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Pubbl. Gio, 15 Ott 2020

Gli istituti al confine del divieto di patto commissorio

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Giuseppe Rossi



Il contributo è una riflessione sulla definizione dell´ambito applicativo del divieto di patto commissorio. Attraverso la ricostruzione del contenuto del divieto e l´analisi delle fattispecie al confine del suo ambito applicativo, si è rilevato che le interpretazioni estensive della giurisprudenza non sono state seguite dal Legislatore che ha mantenuto ristretto l´ambito del divieto. Tale contrasto sembra essersi ridotto dal momento che la giurisprudenza ha ritenuto prevalente, quale ratio del divieto, la tutela del debitore, da cui consegue un ambito applicativo meno esteso rispetto ai precedenti orientamenti. Inoltre, recentemente il Legislatore, mediante la previsione espressa di eccezioni in materia finanziaria, ha mostrato di non volere un generale restringimento del divieto.


ENG This study aims at providing a contribution to the definition of the forfeiture agreement prohibition´s application field. Through the retracement of the evolution of the prohibition´s content and the exam of the contractual schemes representing borderline cases, we can observe that the jurisprudential extensive interpratation was not followed by the Legislator. Such contrasts have decreased because the jurispudence has identified the prevailing ratio of the prohibition in the protection of the debtor, that lead to restrict the application field. Furthermore, recently the Legislator, through explicit provision of ”exceptions” in financial matters, gave proof of his intention not to excessively resctrict the forfeiture agreement prohibition´s application field.

Sommario: 1. Premessa; 2. Percorso evolutivo del contenuto del divieto di patto commissorio; 3. Istituti al confine del divieto di patto commissorio; 4. Approdi legislativi e giurisprudenziali; 5.Conclusioni.

1. Premessa

Il divieto di patto commissorio è l’istituto con il quale l’ordinamento rende nulla la pattuizione, intercorrente tra un creditore e il suo debitore, con la quale si stabilisce che quest’ultimo, in caso di inadempimento, perde la proprietà di un determinato bene, che entra automaticamente nel patrimonio del creditore. Da quanto appena esposto e dalla collocazione sistematica del divieto si evince che con il patto commissorio il creditore mira ad ottenere una garanzia ulteriore, e più stringente per il debitore, rispetto alle garanzie tipiche previste.

Tale divieto è espressamente previsto dagli articoli 1963 e 2744 c.c. [1], il primo, in riferimento ai contratti di anticresi e, il secondo, nell’ambito più generale delle cause legittime di prelazione.

In particolare, si ricava, da un’interpretazione letterale del disposto dell’articolo 2744 c.c., che l’ambito applicativo del divieto dovrebbe ricomprendere i patti commissori relativi a beni ipotecati o dati in pegno. Tuttavia, ormai da tempo, la giurisprudenza [2] e, ancor prima, la dottrina più accorta [3] hanno messo in luce che nella prassi sono emersi una serie di meccanismi atti ad aggirare il divieto di patto commissorio, rendendo meramente scolastiche le fattispecie espressamente previste.[4]

Infatti, il risultato proibito con il divieto di patto commissorio può essere conseguito anche con schemi che non corrispondono a quelli descritti dall’articolo 2744 c.c., ad esempio, sarebbe a tale fine sufficiente pattuire che oggetto del trasferimento di proprietà sia un bene non gravato da ipoteca o non dato in pegno.

Ciò ha portato la giurisprudenza ad ampliare l’ambito applicativo del divieto oltre quelle che potremmo definire le ipotesi tipiche, specificatamente previste. In particolare, nell’ottica dell’estensione dei confini dell’ambito applicativo del divieto di patto commissorio, la giurisprudenza, mediante un’interpretazione funzionale, è giunta a sanzionare con la nullità tutte le pattuizioni che, pur non rientrando nelle ipotesi tipiche, producono i medesimi risultati che con la norma si vogliono proibire, ovvero il trasferimento della proprietà di un bene allo scopo di costituire una garanzia.[5]

Si estendono, così, i confini del divieto, riconducendovi tutti i negozi che contrastano in modo sostanziale con il disposto dell’articolo 2744 c.c.   

In tale prospettiva, sono stati individuati gli schemi negoziali utilizzati nella prassi per aggirare il divieto, ovvero il c.d. patto commissorio autonomo, quello obbligatorio e quelli per l’attuazione dei quali si prevede l’intervento di un soggetto terzo rispetto al rapporto obbligatorio garantito; nonché possono, a seconda del loro atteggiarsi in concreto, rientrare nell’ambito del divieto una serie di istituti previsti dal codice civile ed elaborati dalla prassi, che potrebbero prestarsi per le loro caratteristiche al perseguimento del risultato illecito sopra descritto. Ci si riferisce, in particolare, alla vendita sospensivamente condizionata, ovvero condizionata risolutivamente, alla vendita con patto di riscatto o con patto di retrovendita, al riporto, al c.d. sale and lease back, alla vendita fiduciaria a scopo di garanzia, al conferimento in società di persone simulata, alla clausola penale e alla datio in solutum, nonché al patto marciano, al pegno di crediti e al pegno irregolare.[6]

Secondo l’impostazione ermeneutica funzionale, che pone al centro dell’indagine la causa dello schema negoziale posto in essere, l’estensione del divieto di patto commissorio viene a dipendere dall’individuazione della ratio sottesa alla previsione dello stesso. Il primo e più importante riflesso pratico dell’individuazione della ratio si traduce nella liceità o illiceità degli schemi negoziali sopramenzionati.

Agli inizi del nuovo millennio l’orientamento estensivo applicato dalla giurisprudenza è apparso in controtendenza rispetto al Legislatore, nonché con le impostazioni adottate a livello sovranazionale. Ad oggi, i contrasti tra la visione estensiva e restrittiva dei confini del divieto di patto commissorio sembrano essersi appianati a seguito di ulteriori chiarificazioni della giurisprudenza in ordine all’individuazione della ratio e dei recenti interventi legislativi in materia finanziaria, con cui sono state positivizzate alcune “eccezioni” al divieto di patto commissorio.

2. Il percorso evolutivo del contenuto del divieto di patto commissorio

Il divieto di patto commissorio affonda le sue radici nell’antichità, essendo stato introdotto nel 324 d.C. dall’imperatore Costantino.[7]

Nel 1865, come mutuato dal code Napoléon, il divieto viene inserito nel codice civile italiano, per poi essere ripreso dal codice civile del 1942.

L’ambito applicativo del divieto subisce una prima estensione con il passaggio al Codice civile attuale. Infatti, dalla previsione della nullità per le sole pattuizioni commissorie stipulate in continenti [8] e con riferimento solamente al pegno e all’anticresi, nel 1942, si prevede la nullità anche delle pattuizioni c.d. ex intervallo [9], riferite non solo al pegno e all’anticresi, ma anche all’ipoteca, come espressamente previsto dall’articolo 2744 c.c.[10]

Nonostante tale estensione, la formulazione letterale della norma consente in concreto di giungere al risultato, che la stessa vuole proibire, senza incorrere direttamente nella violazione dell’articolo 2744 c.c. Infatti, gli interpreti, anche sulla base di alcuni meccanismi giuridici predisposti dall’ordinamento, hanno elaborato delle soluzioni, atte ad aggirare il divieto di patto commissorio, che si sono diffuse nella prassi e che hanno portato la giurisprudenza ad estendere ulteriormente l’ambito applicativo del divieto, al fine di porre un freno al proliferare di schemi negoziali, che comunque riproducono gli effetti vietati dall’articolo 2744 c.c.

In particolare, ci si riferisce alla figura del c.d. patto commissorio autonomo, ovvero il patto che non accede ad una garanzia reale tipica, ma direttamente al rapporto obbligatorio.[11]

Un tale schema negoziale, che, stando ad un’interpretazione letterale, non dovrebbe rientrare nell’ambito del divieto, è stato comunque ritenuto nullo.

Inizialmente [12], l’elemento dirimente, rilevato dalla giurisprudenza, consisteva nel momento in cui avveniva il trasferimento della proprietà in favore del creditore. Pertanto, in applicazione di tale criterio temporale, nei casi di trasferimento immediato i giudici escludevano l’applicazione del divieto, in tal modo sanzionando con la nullità le sole ipotesi di costituzione di una garanzia reale per mezzo di un contratto di vendita sospensivamente condizionata all’inadempimento del debitore.

L’interpretazione giurisprudenziale menzionata non considerava che anche nelle ipotesi di trasferimento immediato è possibile conseguire il risultato proibito dall’articolo 2744 c.c., ad esempio, per mezzo di un contratto di vendita risolutivamente condizionato all’adempimento del debitore, ovvero di vendita con patto di riscatto o di retrovendita.

Pertanto, la giurisprudenza ha cominciato ad elaborare una nuova definizione, in chiave estensiva, del contenuto del divieto di patto commissorio, facendo leva sul criterio ermeneutico funzionale e, dunque, prescindendo dal criterio temporale.

In particolare, tale orientamento giurisprudenziale si è consolidato a seguito di due sentenze rese dalla Corte di cassazione a sezioni unite [13], che hanno posto l’attenzione sul reale assetto d’interessi, sotteso allo schema negoziale impiegato dalle parti. La Corte di cassazione ha ricondotto le ipotesi di alienazioni in garanzia allo schema del contratto in frode alla legge, anch’esso sanzionato con la nullità, ai sensi dell’articolo 1344 c.c. In tali ipotesi viene dichiarata la nullità del negozio, non tanto perché il patto opera contra lege, quanto piuttosto perché opera in fraudem legis.[14]

Secondo tale impostazione, ciò che rileva non è il momento del trasferimento quanto la sua effettività, che nei patti commissori viene a dipendere dall’inadempimento del debitore e che è valutabile dal giudice con un’indagine sullo scopo che le parti hanno voluto realmente perseguire ponendo in essere il negozio. 

Si superano, così, quegli schemi elusivi del divieto di patto commissorio, elaborati dalla prassi, che sono formalmente molto lontani dalle fattispecie individuate dall’articolo 2744 c.c.

In tal guisa, sono stati dichiarati nulli anche i contratti che prevedono la partecipazione di un terzo allo schema negoziale, sancendo, dunque, l’irrilevanza dell’identità soggettiva quando il risultato perseguito dalle parti si sostanzi nella costituzione di una garanzia reale per mezzo di una alienazione, che in questo caso si realizzerebbe attraverso negozi diversi, ma collegati.[15] Applicando la medesima logica, rientra nell’ambito del divieto anche il c.d. patto commissorio obbligatorio, che si configura quando l’alienazione in garanzia consegue all’adempimento della promessa di alienare, assunta dal debitore in relazione ad un debito ancora non scaduto [16], ovvero quando il debitore si impegna a trasferire la proprietà per mezzo di un contratto preliminare di vendita. In tali ipotesi, pur non essendo immediato il trasferimento, si configura comunque un patto commissorio vietato dall’ordinamento[17].

L’evoluzione in senso estensivo del contenuto dell’articolo 2744 c.c. se, da un lato, ha permesso di rilevare le elusioni del divieto, da un altro lato, ha fatto sorgere dei dubbi circa l’interpretazione della portata della nullità da comminare nelle ipotesi descritte.

In particolare, la questione riguarda la sorte del contratto cui accede la pattuizione commissoria, ovvero se esso debba considerarsi integralmente nullo, ai sensi dell’articolo 1419, comma 1, c.c. o se, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, la nullità riguardi la sola pattuizione vietata, almeno nelle ipotesi in cui questa non sia ritenuta essenziale dai contraenti. Infatti, nel caso tipico espressamente previsto dall’articolo 2744 c.c. la nullità colpisce esclusivamente il patto commissorio, rimanendo valido ed efficace il rapporto obbligatorio e la garanzia tipica ad esso collegata. Tale ricostruzione, che applica l’articolo 1419, comma 2, c.c., non può ritenersi valida in assoluto nelle ipotesi di patto commissorio c.d. autonomo. Inizialmente, dottrina e giurisprudenza [18] ritenevano che in tali ipotesi la nullità fosse radicale e dovesse estendersi a tutto il negozio.[19] Più recentemente la giurisprudenza [20], in virtù del principio della conservazione del contratto, ha avallato la ricostruzione per la quale la nullità colpisce esclusivamente il patto commissorio, lasciando intatto il negozio cui il patto accede. [21]

3. Gli istituti al confine del divieto di patto commissorio

Il percorso evolutivo che ha portato ad una considerevole estensione dell’ambito di applicazione dell’articolo 2744 c.c. [22], non è stato seguito da un intervento legislativo di ridefinizione dei limiti del contenuto del divieto, salvo alcuni interventi di tipo settoriale che prevedono espressamente la non applicabilità dell’articolo 2744 c.c. a determinate operazioni economiche, intercorrenti tra soggetti qualificati.

Di conseguenza, l’individuazione dei limiti entro i quali delimitare l’applicazione del divieto di patto commissorio è stata rimessa all’opera della giurisprudenza e della dottrina, che hanno fornito i parametri in base ai quali ritenere integrato il divieto.

Tale circostanza, però, obbliga l’interprete a svolgere complesse indagini in concreto, di volta in volta diverse, in quanto possono cambiare i parametri di riferimento, a seconda dell’istituto utilizzato per dare una veste giuridica all’operazione economica e, soprattutto, a seconda della ratio attribuita al divieto, che, in ultima istanza, viene a dipendere dalla sensibilità del singolo giudice, data l’assenza di una specificazione da parte del Legislatore.

La giurisprudenza ha lentamente rincorso la prassi, dapprima, sanzionando la sola vendita sospensivamente condizionata, per poi colpire, a partire dal 1983 [23], anche altri tipi di negozio, la cui efficacia si presta alla costituzione di una garanzia reale atipica in violazione del divieto di patto commissorio.[24]

Uno degli istituti che, per la caratteristica efficacia sopra accennata, si pone al confine del divieto è la vendita con patto di riscatto, previsto dall’articolo 1500 c.c., nonché la vendita con patto de retrovendendo, assimilabile alla prima, pur avendo carattere obbligatorio.[25]

Tali schemi negoziali sono frequentemente utilizzati al fine di costituire una garanzia in favore del creditore, accessoria ad un mutuo o comunque ad un rapporto obbligatorio che genera un credito da garantire.

Infatti, si ritiene integrato il patto commissorio quando, contestualmente alla stipulazione del mutuo, o anche successivamente al fine di ottenere una dilazione del pagamento, il debitore mutuatario vende al creditore mutuante un proprio bene ad un prezzo corrispondente all’importo del mutuo, riservandosi la possibilità di riscattarlo o, comunque, di riacquistarne la proprietà al medesimo prezzo, maggiorato degli interessi e delle spese, entro un termine coincidente con quello fissato per la restituzione del mutuo.[26] Legando l’irrevocabilità del trasferimento all’inadempimento del debitore, si stabilisce un nesso funzionale e teleologico tra i due negozi che rende il contratto nullo, ai sensi dell’articolo 1344 c.c., in quanto posto in frode al divieto di patto commissorio.[27]

Tale ricostruzione è osteggiata da parte della dottrina, in quanto reputata eccessivamente indeterminata.[28]

In particolare, si è affermato che, sul piano funzionale, lo schema negoziale del contratto di riporto, previsto dall’articolo 1548 c.c., non differisce dalla vendita con patto di retrovendita, in quanto consente ad un soggetto di trasferire in proprietà ad un altro una determinata quantità di titoli di credito, con l’obbligo di ritrasferirli nel termine e al prezzo pattuiti, ponendo in essere due scambi, uno, a pronti e, l’altro, a termine.

Dunque, anche per tale contratto dovrebbero valere le medesime considerazione. Tuttavia, è necessario considerare che il riporto è spesso utilizzato al fine di costituire una garanzia in sede di finanziamento [29], ma ciò non ne implica necessariamente la illiceità per violazione del divieto di patto commissorio, essendo a tal fine indispensabile un’indagine sulla causa, nonché sull’effettivo assetto di interessi perseguito dai contraenti, che ne dimostri lo scopo di garanzia e la mancanza di corrispondenza tra la dimensione della garanzia e quella del credito garantito.

La situazione potrebbe apparire più chiara analizzando il divieto nell’ottica dei negozi fiduciari. La questione relativa alla violazione indiretta del divieto si pone in stretta relazione con l’istituto del negozio indiretto, con il quale si realizza una divergenza tra la funzione tipica e lo scopo effettivo del negozio posto in essere.

In particolare, la vendita fiduciaria si configura quando al contratto viene collegato un patto limitativo dei poteri di disposizione e di godimento del bene. L’atto posto in essere è un’alienazione, ma con una limitazione dei suoi effetti tipici, dovuta allo scopo perseguito, che può consistere o nell’incarico di far godere il bene ad un terzo, c.d. fiducia cum amico, o nella costituzione di una garanzia reale in favore di un creditore, c.d. fiducia cum creditore.[30] In quest’ultimo caso si configura una vendita a scopo di garanzia, la quale è potenzialmente lesiva del divieto di patto commissorio, in quanto potrebbe costituire una vendita con patto di riscatto dissimulante un mutuo con patto commissorio.[31]

Le medesime problematiche sono emerse in relazione ad altre figure negoziali, come il c.d. sale and lease back, sul quale si è concentrata l’attenzione degli interpreti, in quanto riproduce uno schema negoziale potenzialmente incompatibile con l’articolo 2744 c.c.[32]

Infatti, con il contratto di sale and lease back, definito socialmente tipico, un’impresa vende un bene della propria azienda ad una società finanziaria, la quale contestualmente lo concede in locazione alla stessa impresa venditrice, prevedendo la possibilità per l’impresa di riacquistare il bene al termine del contratto, ad un prezzo notevolmente ridotto.[33]

Sulla base dell’interpretazione estensiva, fondata sul criterio ermeneutico funzionale, la giurisprudenza afferma la necessità di una valutazione in concreto della causa del contratto in esame, di garanzia o di scambio, al fine di stabilirne la natura elusiva.[34] A tale scopo sono stati elaborati una serie di indici sintomatici della natura fraudolenta del sale and lease back [35], consistenti nella sussistenza di un rapporto di credito e debito tra utilizzatore e concedente, di una situazione di difficoltà economica dell’utilizzatore e di una sproporzione tra il valore del bene e il corrispettivo versato per l’acquisto.

Altri istituti che per la loro struttura si pongono al confine del divieto di patto commissorio, ma che, allo stesso tempo, possono fornire elementi utili al fine di definire in modo più preciso i limiti applicativi del divieto sono: la clausola penale, la datio in solutum e il patto marciano, nonché il pegno irregolare e il pegno di crediti.

In particolare, ai sensi dell’articolo 1382 c.c., la presenza di una clausola penale nell’ambito di un contratto consente alla parte adempiente di ottenere, in caso di inadempimento della controparte, una prestazione a titolo di risarcimento del danno, indipendentemente dalla sua dimostrazione. L’entità del danno è limitata al valore della prestazione penale pattuita, salvo espressa previsione di risarcibilità del maggior danno. In effetti, risulta d’immediata evidenza che anche tale schema tipico potrebbe essere piegato al fine di eludere il divieto di patto commissorio nel caso in cui si pattuisse come oggetto della prestazione penale il trasferimento di un determinato bene.[36] Tuttavia, si rileva che l’ordinamento con la clausola penale persegue l’interesse di evitare che un soggetto ottenga delle prestazioni che non sono razionalmente giustificate e che il medesimo interesse è anche alla base della previsione, e soprattutto dell’estensione, del divieto di patto commissorio.[37] Tale circostanza, in uno con la possibilità per il debitore inadempiente di richiedere la riduzione della prestazione penale, non rende sovrapponibili i due istituti, anche a prescindere dalla diversità delle funzioni che svolgono nell’ambito dell’autonomia privata, in quanto nelle ipotesi in cui la clausola penale risulti eccessiva, a divenire inefficace è soltanto la parte eccedente.[38]

Per quanto riguarda la datio in solutum, con la quale le parti perseguono il fine della soddisfazione del creditore e, di conseguenza, dell’estinzione dell’obbligazione gravante sul debitore, si può affermare che rispetto agli altri istituti esaminati, si pone certamente al di fuori dell’ambito applicativo del divieto di patto commissorio disegnato dalla giurisprudenza, in quanto se ne discosta sia sotto il profilo funzionale sia sotto il profilo strutturale.

Infatti, il patto commissorio può essere stipulato esclusivamente prima che si verifichi l’inadempimento [39] e non realizza la perdita immediata e definitiva del bene oggetto dell’accordo, come invece accade nell’ipotesi di datio in solutum. Il patto commissorio si configura storicamente come un’alienazione sospensivamente condizionata all’inadempimento. Al contrario, si rileva che la datio in solutum, avendo funzione solutoria, non tollera l’apposizione di condizioni. Da ciò si ricava che il patto commissorio ha funzione solutoria e va più correttamente inquadrato nella categoria degli accordi con funzione di autosoddisfacimento del creditore [40], per mezzo del quale si vuole evitare il ricorso all’esecuzione forzata in caso di inadempimento del debitore.

La datio in solutum è ancor più distante dall’istituto del c.d. patto marciano. La radicale diversità consiste nella previsione, nell’ambito del patto marciano, dell’obbligo per il creditore, che acquista il bene, di restituire al debitore l’eventuale eccedenza del valore del bene rispetto alla dimensione del credito.

Infatti, con il patto marciano si riproduce lo schema del patto commissorio con degli elementi correttivi che lo rendono un lecito surrogato dell’esecuzione forzata, mentre la datio in solutum si pone quale surrogato dell’adempimento.

Il patto marciano, le cui radici vanno rintracciate nell’elaborazione giuridica dei giuristi severiani del III secolo d.C. [41], impone al creditore, che abbia acquistato il diritto di proprietà in seguito all’inadempimento del debitore, di restituirgli la parte del valore del bene oggetto del patto che eccede la dimensione del credito; inoltre, il valore del bene deve essere valutato al momento dell’effettivo trasferimento secondo parametri oggettivi e preventivamente pattuiti.

La validità del c.d. patto marciano comune è pacificamente ammessa anche in base all’analogia con l’istituto del pegno irregolare [42], previsto dall’articolo 1851 c.c., nonché con l’istituto del pegno di crediti, previsto dall’articolo 2803 c.c. [43] Infatti, tali istituti permettono al creditore pignoratizio di trattenere quanto necessario alla sua soddisfazione, salvo l’obbligo di restituire l’eventuale eccedenza. In tal senso, è necessario, altresì, considerare i recenti interventi legislativi in materia finanziaria che hanno positivizzato quelli che possono definirsi sottotipi del patto marciano comune, riconoscendone la meritevolezza e, dunque, la validità nel nostro ordinamento. 

4. Gli approdi legislativi e giurisprudenziali

Data la rilevanza, che il patto marciano assume in tema di patto commissorio, risulta indispensabile per l’interprete, in mancanza di un intervento legislativo di carattere generale, ricostruire l’istituto basandosi sull’analisi della prassi giurisprudenziale, nonché sui recenti interventi legislativi di settore che hanno positivizzato alcuni sottotipi di patto marciano.

Tale operazione è di fondamentale importanza, in quanto attualmente si ritiene che il divieto di patto commissorio non trovi applicazione quando nell'operazione negoziale viene inserito un patto marciano.[44]

La caratterizzazione del patto marciano, quale meccanismo idoneo a salvare in ogni caso la validità del contratto, era fortemente sostenuta in dottrina [45], anche prima dei recenti interventi legislativi di settore. Ad oggi, una tale ricostruzione trova in questi interventi un’ulteriore conferma, facendo venir meno i dubbi sulla ammissibilità di un tipo generale di patto marciano e sulla validità di tale strumento convenzionale di autotutela esecutiva.[46]

Posto che il patto marciano può configurarsi alla stregua delle diverse figure di patto commissorio, elaborate dalla giurisprudenza sulla base dell’interpretazione estensiva precedentemente descritta [47], è necessario sottolineare che il tratto differenziale, idoneo a renderlo lecito, è l’obbligo per il creditore di restituire al debitore l’eventuale eccedenza del valore del bene alienato rispetto all’ammontare del credito.[48]

Tale circostanza, con cui si assicura la tutela del debitore e si evita l’illiceità del patto commissorio, non poteva non essere ripresa dal legislatore nel momento in cui ha tipizzato alcuni sottotipi di patto marciano.

Ci si riferisce agli articoli 48-bis e 120-quinquiesdecies del Testo unico in materia bancaria (T.u.b.).

Gli schemi negoziali regolati dalle norme appena richiamate sono anch’essi in parte riconducibili alle diverse figure di patto commissorio ricostruite dalla giurisprudenza, ma ne costituiscono tipologie speciali, in quanto presentano delle caratteristiche specifiche [49], che li rendono speciali rispetto al patto marciano comune.[50]

In particolare, l’articolo 120-quinquiesdecies del T.u.b., introdotto con il d.lgs. 72 del 2016 [51], riguarda i contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali. Con tale patto si attua una vendita sospensivamente condizionata all’inadempimento del debitore, con l’obbligo della banca di restituire l’eccedenza, in seguito alla stima [52], effettuata dopo l’inadempimento ad opera di un perito imparziale.[53] Inoltre, a rendere speciale tale figura rispetto al patto marciano comune sono le previsioni relative all’effetto esdebitativo [54], indipendente dal risultato della stima, e della predeterminazione ad opera del legislatore di un inadempimento minimo da cui far dipendere il trasferimento del bene.[55]

L’articolo 48-bis del T.u.b. disciplina i finanziamenti alle imprese garantiti da trasferimento in favore della banca, di un immobile non destinato ad abitazione principale, sospensivamente condizionato all’inadempimento, con l’obbligo di restituzione dell’eccedenza e di stima successiva all’inadempimento.[56] I profili qualificanti dello schema negoziale in esame consistono nella facoltà della banca, una volta verificatosi l’inadempimento, di non avvalersi del patto, nella predeterminazione ad opera del legislatore dell’inadempimento minimo e nell’individuazione del momento in cui ritenere avverata la condizione, al momento della stima ovvero della restituzione dell’eccedenza, nonché nella necessaria pubblicità del patto.[57] 

Un’ulteriore tipologia di patto marciano tipizzato è costituita dal c.d. prestito vitalizio ipotecario, disciplinato dall’articolo 11-quaterdecies del d.l. 203 del 2005 [58], come modificato dalla legge n. 44 del 2015, che, al comma 12-quater, prevede il medesimo effetto esdebitativo che qualifica il sottotipo di patto marciano previsto dall’articolo120-quinquisdecies T.u.b. in favore del debitore.

Vi sono stati anche altri interventi legislativi, più o meno recenti, in materia di garanzie finanziarie, che hanno riguardato il patto commissorio, prevedendone, in alcuni casi, specifiche deroghe, come nelle ipotesi dell’articolo 6 del d.lgs. n. 170 del 2004 [59], ovvero in altri casi, riproponendone il contenuto, come nelle ipotesi di cui al comma 4-bis, dell’articolo 23, del Testo unico in materia finanziaria (T.u.f.), come modificato dal d.lgs. n. 129 del 2017. Quest’ultima previsione, che mostra l’esigenza di ribadire il divieto in materia di investimenti per la clientela al dettaglio, potrebbe porre in dubbio l’univocità di tendenza raggiunta, nell’ultimo decennio, dal Legislatore e dalla giurisprudenza in tema di patto commissorio. Si ritiene, infatti, riscontrabile un allineamento di tendenza in riferimento all’idoneità del patto marciano a rendere lecita un’alienazione in garanzia, che potrebbe venir meno, qualora il divieto specificatamente previsto dal T.u.f. fosse interpretato in modo assoluto, in quanto in tal caso a nulla rileverebbe il suo collegamento con un patto marciano.[60]

5. Conclusioni

Come affermato in premessa, al fine di delimitare i confini del divieto di patto commissorio, è fondamentale individuare la ratio che giustifica l’imposizione del divieto nel nostro ordinamento.

Tra le ricostruzioni più risalenti si annoverano le interpretazioni che giustificano il divieto alla stregua del principio di tipicità delle garanzie reali, la cui violazione comporterebbe la nullità radicale del negozio senza distinzioni in concreto [61], al fine di conservare la funzione sociale delle garanzie tipiche, evitando i danni sociali che deriverebbero dalla generalizzata applicazione della pattuizione commissoria.

Secondo un altro approccio interpretativo, la ratio del divieto andrebbe rintracciata nel monopolio statale della funzione esecutiva. Tuttavia, la previsione nel nostro ordinamento di forme di autotutela convenzionale diverse dall’esecuzione forzata, quale, ad esempio, la cessione dei beni ai creditori, prevista dagli articoli 1977 e ss. c.c., smentisce tale ricostruzione. [62] Peraltro, secondo tale impostazione dovrebbe essere ritenuto lecito il c.d. patto commissorio autonomo, in quanto svincolato da garanzie reali atipiche.[63]

Tra le molteplici e differenti ricostruzioni della ratio dell’istituto in esame, le più convincenti sono, da un lato, quelle che ritengono il divieto di patto commissorio uno strumento posto a tutela della parte potenzialmente più debole del rapporto obbligatorio, ovvero il debitore, nonchè le ricostruzioni che pongono alla base del divieto la necessità di tutelare la par condicio creditorum, ovvero gli eventuali ulteriori creditori.

In particolare, secondo quest’ultima impostazione, il divieto di patto commissorio troverebbe fondamento nella necessità di impedire che il soddisfacimento preferenziale di un creditore pregiudichi l’interesse degli altri alla soddisfazione del proprio credito.[64] Rispetto a quest’ultima ricostruzione, appare preferibile l’impostazione tradizionale, come rimodulata dalla giurisprudenza e dalla dottrina più recenti, che riconosce nel divieto la ratio prevalente di tutela del debitore dall’abuso del creditore. Si ritiene, infatti, che tale abuso sarebbe evitabile, collegando al patto commissorio una clausola marciana [65], e che tale operazione sarebbe inutile, qualora si ritenesse prevalente la ratio di tutela della par condicio creditorum, in quanto importerebbe la nullità anche del patto marciano, che è invece pacificamente ritenuto lecito.   

Dunque, si può affermare che la ratio del divieto consiste nella necessità di impedire che il creditore, sfruttando la propria posizione, si arricchisca in danno del debitore, lucrando, senza una giusta causa [66], l’eccedenza del valore del bene oggetto del patto commissorio rispetto a quello del credito rimasto inadempiuto.

Infatti, si ritiene che la funzione del patto commissorio corrisponda allo scopo di autosoddisfacimento del creditore, perseguito mediante uno schema negoziale che cela un’insidia per il debitore, ovvero la possibilità di evitare, pagando, la definitiva acquisizione del bene da parte del creditore. Tale possibilità, generalmente, “alimenta la speranza nel debitore - il più delle volte l’illusione - di potersi procurare le somme per adempiere”.[67] Tale ricostruzione sarebbe, peraltro, confermata in base all’id quod plerumque accidit. Infatti, frequentemente nella pratica il debitore stipula il patto commissorio al fine di ottenere una dilazione del termine di pagamento.

Pertanto, attualmente, in base alla ricostruzione più accreditata, che trova conferma anche nei recenti interventi legislativi, seppur settoriali, si ritiene che con il divieto di patto commissorio viene tutelato, in primis, il debitore, al quale si evita di subire una perdita non sorretta da una giustificazione razionale e, in secondo luogo, ricevono una tutela indiretta anche gli altri creditori, in quanto si evita che il patrimonio del debitore, sul quale possono soddisfarsi, sia pregiudicato in modo irragionevole, circostanza che comporterebbe anche la lesione dei loro interessi.

In particolare, si afferma che la ratio prevalente è quella di “evitare una sproporzione tra debito garantito ed entità della garanzia prestata e ciò anche al fine di tutelare i creditori”.[68] Infatti, la par condicio creditorum è tutelata in caso di patto commissorio, mediante la comminatoria di nullità, nonchè, seppur indirettamente, in caso di patto marciano, mediante l’obbligo di restituzione dell’eccedenza.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Nonché ribadito nell’ambito dei finanziamenti per la clientela al dettaglio dall’articolo 23, comma 4-bis T.u.f.

[2] Cass. 6 marzo 1978 n. 1104; Cass. 2 gennaio 1980 n. 452; Cass. 12 novembre 1982 n. 6005.

[3] Pugliese G., “Nullità del patto commissorio e vendita con patto di riscatto”, in Giur. compl. cass. civ., 1945, I, 156; De Martini A., “Il negozio fiduciario e la vendita a scopo di garanzia”, in Giur. it., 1946, I, 2, 331.

[4] Rispoli G., “I nebulosi confini del divieto di patto commissorio”, in Gius. civ., Fasc. 11-12-2013, p. 699.

[5] A titolo esemplificativo, Cass. 11 luglio 2019 n. 18680, per la quale ciò che rileva è “l’intento delle parti di costituire una garanzia, con l’attribuzione irrevocabile del bene al creditore solo in caso di inadempienza del debitore”

[6] Gazzoni F., “Manuale di diritto privato”, Edizioni scientifiche italiane s.p.a., Napoli, 2019, p. 1115; con particolare riferimento al patto marciano e alla datio in soluto, Luminoso A., “Patto commissorio, patto marciano e nuovi strumenti di autotutela esecutiva”, in Riv. dir. civ., 2017, passim; nonché Id. “Patto commissorio, patto marciano e nuovi strumenti di autotutela esecutiva”, in Riv. dir. civ., 2017, passim.

[7] De Giovanni L., “I giuristi severiani. Elio Marciano”, M. D’Auria editore, Napoli, 1989, passim, nonché, Giorgi G, “Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano”, Cammelli, Firenze, 1903, p. 951., il quale ritiene che il divieto abbia origini ancor più risalente.

[8] Ci si riferisce al patto commissorio stipulato contestualmente al sorgere del rapporto obbligatorio cui accede.

[9] Ci si riferisce ai patto commissorio stipulato in un momento successivo rispetto alla nascita del rapporto obbligatorio cui accede

[10] Rispoli G., op cit., p 698-699.

[11] Rispoli G., op. cit., p. 699.

[12] Cass. 6 marzo 1978 n. 1104; Cass. 2 gennaio 1980 n. 452; nonchè Cass. 12 novembre 1982 n. 6005.

[13] Cass., sez. un., 3 aprile 1989 n. 1611; Cass., sez. un., 21 aprile 1989 n. 1907. Si veda, inoltre, Cass. 3 giugno 1983 n. 3800, con la quale già si proponeva la medesima interpretazione.

[14] Gazzoni, op. cit., p. 829

[15] Cass. 10 marzo 2011 n. 5740, con riguardo alla necessaria indagine circa il collegamento negoziale, nonché Cass. 29 agosto 1998 n. 8624, per la quale, il divieto di patto commissorio trova applicazione anche al negozio con il quale un terzo trasferisce, o promette di trasferire, al creditore un proprio bene a garanzia dell’adempimento dell’obbligazione.

[16] Gazzoni F., “Manuale di diritto privato”, Edizioni scientifiche italiane s.p.a., Napoli, 2019, p. 661-662 Nel caso in cui invece la promessa di alienazione fosse destinata alla soddisfazione di un credito già scaduto saremmo difronte ad un’ipotesi di datio in soluto, che deve ritenersi lecita secondo quanto verrà spiegato nel successivo paragrafo.

[17] Cass. 23 ottobre 1999 n. 11924 “Il divieto di patto commissorio, sancito dall’art. 2744 c.c., s’estende a qualsiasi negozio, quale ne sia il contenuto, che venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento, dell’illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore. Anche, quindi, un contratto preliminare di compravendita può dissimulare un mutuo con patto commissorio, ancorché non sia previsto il passaggio immediato del possesso del bene promesso in vendita, qualora la promessa di vendita garantisca la restituzione, entro un certo termine, della somma precedentemente o coevamente mutuata dal promittente compratore, sempre che risulti provato il nesso di strumentalità tra i due negozi”; vi veda anche Cass. 19 maggio 2004 n. 9466; nonchè Cass. 16 settembre 2004 n. 18655.

[18] Si veda la nota di Mariconda V., “Trasferimenti commissori e principio di

Causalità”, alla sentenza della Cass., sez. un., 3 aprile 1989, n. 1611, in Foro it., 1989; nonché Andrioli V., “Divieto del patto commissorio”, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Libro quarto delle obbligazioni, Art. 2740-2744, Bologna-Roma 1945, sub art. 2744, p. 53.

[19] Cipriani N., “Patto commissorio autonomo: come salvare la validità del finanziamento e della garanzia”, in giustizia civile.com, approfondimento del 27/05/2014, p. 4., il quale ne evidenzia le nefaste conseguenze, quali ad esempio l’insorgere degli obblighi restitutori immediati, l’eliminazione degli interessi, il venir meno delle garanzie ecc…

[20] Cass. 25 maggio 2000 n. 6864, «In tema di patto commissorio, la sanzione della nullità prevista dalla norma di cui all’art. 2744 c.c. riguarda il solo patto commissorio stipulato a latere dell’obbligazione restitutoria (con conseguente inefficacia del trasferimento del bene oggetto della stipulazione, ex art. 2744 c.c.), e non anche detta obbligazione restitutoria, che resta del tutto valida indipendentemente dalle sorti del patto accessorio vietato».

[21] Rispoli G., “I nebulosi confini del divieto di patto commissorio”, in Giustizia civile, anno LXIII, Fasc. 11-12-2013, p. 698.

[22] Mediante la comminatoria di nullità, prevista dall’articolo 1344 c.c. per i contratti che esprimono una causa illecita, come gli schemi negoziali elusivi del divieto di patto commissorio.

[23] Cass. 3 giugno 1983 n. 3800.

[24] Luminoso A., “Patto commissorio, patto marciano e nuovi strumenti di autotutela esecutiva”, Riv. dir. civ., 2017, p. 10 ss

[25] Trabucchi G. op. cit., p. 887-888.

[26] Gazzoni F., op cit., p. 1115.

[27] Si vedano Cass. sez. un. 1989 n. 1611; Cass. 11 giugno 2007 n. 13621; Cass. 20 febbraio 2013 n. 4262; Cass 21 gennaio 2016 n. 1075; nonché, più recentemente, Cass. 3 giugno 2019 n. 15112; Cass. 11 luglio 2019 n. 18980; Cass. 26 febbraio 2018 n. 4514, per la quale  “la vendita con patto di riscatto o di retrovendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio, può rappresentare un mezzo per sottrarsi all'applicazione del relativo divieto ogni qualvolta il versamento del prezzo da parte del compratore non si configuri come corrispettivo dovuto per l'acquisto della proprietà, ma come erogazione di un mutuo, rispetto al quale il trasferimento del bene risponda alla sola finalità di costituire una posizione di garanzia provvisoria, capace di evolversi in maniera diversa a seconda che il debitore adempia o meno l'obbligo di restituire le somme ricevute.”.

[28] Gazzoni F., op cit., p. 1115 e 1116.

[29] Cass. 15 novembre 1993 n. 11278.

[30] Trabucchi G., “Istituzioni di diritto civile”, Edizioni CEDAM, Padova, 2013, p. 119.

[31] Trabucchi G., op. cit., p.120, ove, nella nota n. 1, si ricostruisce la discontinua evoluzione giurisprudenziale in materia di vendita con patto di riscatto e vendita a scopo di garanzia. Secondo tale ricostruzione, nella prima metà degli anni Ottanta, la Corte di cassazione riteneva tali schemi negoziali incompatibili con il divieto; nella seconda metà, la Suprema Corte escludeva la vendita con patto di riscatto dall’ambito applicativo del divieto; per poi adottare, nel 1998, un’interpretazione funzionale del divieto di patto commissorio, consolidatasi e valida ancora oggi, mediante la quale potrebbero essere dichiarati nulli tutti i negozi la cui causa tipica è lo scambio, quando posti in essere a scopo di garanzia.

[32] Berto E., “Il divieto di patto commissorio e la tipizzazione delle clausole marciane, all’interno del diritto bancario e all’interno della materia dell’intermediazione finanziaria”; Diritto.it, dir. civ. e comm., 2020.Si consideri, inoltre, Schermi A., “Leasing finanziario, lease back e patto Commissorio”, in Gius. civ., 1996, I, 1360, che ritiene il lease back lesivo del divieto in modo assoluto e, dunque, ontologicamente nullo.

[33] Luminoso A., “Lease back, mercato e divieto del patto commissorio”, Giur. comm., 2000, 490 ss.

[34] Cass., 28 maggio 2018, n.13305, “lo schema contrattuale del "sale and lease back" è, in linea di massima ed almeno in astratto, valido, in quanto contratto d'impresa socialmente tipico, ferma la necessità di verificare, caso per caso, l'assenza di elementi patologici, sintomatici di un contratto di finanziamento assistito da una vendita in funzione di garanzia, volto ad aggirare, con intento fraudolento, il divieto di patto commissorio”.

[35] Cass. 9 marzo 2011 n. 5583, “Quando non vengano fornite motivazioni differenti dal risparmio fiscale, l’operazione costituisce abuso del diritto, a nulla rilevando che non rientri tra quelle espressamente indicate per l’applicazione della disposizione antielusiva. L’operazione contrattuale di sale and lease back può dirsi fraudolenta allorché venga accertata la compresenza di tre circostanze: l’esistenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice utilizzatrice, le difficoltà economiche di quest’ultima, la sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall’acquirente".

[36] Iamicelli P., “sub art. 1382”, in Comm. cod. civ., diretto da Gabrielli E., Torino, 2011, p. 976.

[37] Gorla G., “Il contratto. Lineamenti generali”, Milano, 1954, p. 259. Che parla a tal proposito di “funzione immunitaria della logica mercantile”.

[38] Barcellona M., “Clausole generali e giustizia contrattuale, equità e buona fede tra codice civile e diritto europeo”, Torino, 2006, p. 306; id., “Della causa: il contratto e la circolazione della ricchezza”, Torino, 2014, p. 361.

[39] Cass 21 gennaio 2016 n. 1625; Gazzoni F. op. cit., p. 662.

[40] Luminoso A., “Patto marciano e sottotipi”, in Riv. dir. civ., 2017, p. 1406; il quale parla, a tal proposito, di “strumento di autotutela esecutiva”.

[41] De Giovanni L., op. cit., passim, il quale ne spiega l’origine proprio in relazione all’introduzione del patto commissorio ad opera dell’imperatore Costantino.

[42] Cass. 24 maggio 2004 n. 10000, “La costituzione di un pegno irregolare rende inoperante il divieto di patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c., atteso che, a mente del disposto del precedente art. 1851, e in coerenza con l’intento del legislatore di evitare indebite locupletazioni, deve ritenersi consentito al creditore, nell’ipotesi di inadempimento della controparte, di fare definitivamente propria la (sola) somma corrispondente al credito garantito e, quindi, di compensarlo con il suo debito di restituzione del tantundem, nel legittimo esercizio del proprio diritto di prelazione e senza richiesta di assegnazione al giudice dell’esecuzione”; nonché Cass. 20 ottobre 1994 n. 8571 e, più recentemente, Cass. 17 gennaio 2020 n. 844, per la quale si tratta “di clausola lecita, che persegue lo stesso scopo del pegno irregolare ex art. 1851 c.c. ed è ispirata alla medesima "ratio" di evitare approfittamenti del creditore in danno del debitore, purché le parti abbiano previsto, al momento della sua stipulazione, che, nel caso ed all'epoca dell'inadempimento, sia compiuta una stima della cosa, entro tempi certi e modalità definite, che assicuri una valutazione imparziale, ancorata a parametri oggettivi ed automatici oppure affidata ad una persona indipendente ed esperta, la quale a tali parametri debba fare riferimento”.

[43] Rispoli G., op. cit., p. 703.; Cass. 2 aprile 2001 n. 4796, “La cessione del credito, avendo causa variabile, può avere anche funzione esclusiva di garanzia, comportando in tal caso il medesimo effetto, tipico della cessione ordinaria, immediatamente traslativo del diritto al cessionario, nel senso che il credito ceduto entra nel patrimonio del cessionario e diventa un credito proprio di quest’ultimo, il quale è legittimato pertanto ad azionare sia il credito originario sia quello che gli è stato ceduto in garanzia, sempre che persista l’obbligazione del debitore garantito”.

[44] Cass. 17 gennaio 2020 n. 844, “Il divieto del patto commissorio sancito dall'art. 2744 c.c. non opera quando nell'operazione negoziale (nella specie, una vendita immobiliare con funzione di garanzia) sia inserito un patto marciano (in forza del quale, nell'eventualità di inadempimento del debitore, il creditore vende il bene, previa stima, versando al debitore l'eccedenza del prezzo rispetto al credito)”.

[45] Cipriani N., op cit., p. 5 e ss.

[46] Luminoso A., p. 1417

[47] Tipico ovvero autonomo, obbligatorio o reale, in continenti o ex intervallo.

[48] Per la dottrina, si veda Luminoso A., op. cit., p. 1414, nonchè Dolmetta A., “La ricerca del «marciano utile»”, in Riv. dir. civ., 2017, p. 816 ss. Per la giurisprudenza, si veda Cass. 28 gennaio 2015, n. 1625; Cass. 18 marzo 2015, n. 5440; Cass. 9 maggio 2013, n. 10986; Cass. 21 gennaio 2005, n. 1273. Nel senso della nullità del patto marciano, si veda Minniti G., “Garanzia e alienazione”, Torino 2007, p. 29 ss.; nonchè

Mariconda V., op. cit., 1428 ss.

[49] Che si giustificano in relazione alle particolari categorie di soggetti cui si rivolgono

[50] Ci si riferisce, in particolare, all’effetto esdebitativo, nonché al circostanza per cui il patto marciano comune non prevede il soddisfacimento mediante vendita. Infatti, nel caso in cui ciò fosse previsto dalle parti l’accordo consisterebbe in una variante anomala dell’istituto. Così, Dolmetta A., op. cit., p. 817 e ss.

[51] In attuazione della direttiva 2014/17UE nota come “Mortgage credit directive”.

[52] La stima ha assunto un ruolo molto rilevante, sulla scorta delle segnalazioni della dottrina e della giurisprudenza, che hanno segnalato “la necessità che essa venga compiuta in un momento successivo all’inadempimento, ad opera di un perito indipendente ed esperto, in tempi certi e con modalità definite (che assicurino il diritto al contraddittorio delle parti) al fine di individuare il giusto prezzo del bene alienato, ossia il prezzo corrente”. Tali indicazioni son state “raccolte dal nostro Legislatore al momento della positivizzazione dei patti marciani bancari”. Così, Luminoso A., op cit., p.1418-1419.

[53] Il comma 4, lett. d), dell’articolo120-quinquiesdecies, stabilisce che la stima deve essere effettuata da un perito scelto di comune accordo, ovvero nominato dal Presidente del Tribunale, ai sensi dell’articolo 696, comma 3, c.p.c.

[54] Effetto limitato all’ambito del credito al consumo, ma previsto anche in riferimento al c.d. prestito vitalizio ipotecario.

[55] Luminoso A., op. cit., p. 1409.

[56] La stima è effettuata da un perito, nominato dal Presidente del Tribunale, che procede ai sensi dell’articolo 568 c.p.c.

[57] Luminoso A., op. cit., p.1410.

[58] Convertito in legge n. 248 del 2015.

[59] In attuazione della direttiva 2002/47CE, prevede espressamente la non applicabilità dell’articolo 2744 c.c. ai contratti di garanzia finanziaria che prevedono il trasferimento della proprietà in funzione di garanzia; peraltro senza prevedere gli obblighi della stima al momento del trasferimento e della restituzione dell’eventuale eccedenza che caratterizzano il patto marciano. Così, Berto E., op cit., p. 7, che spiega come il debitore potrebbe tutelarsi ricorrendo agli strumenti di carattere generale forniti dall’ordinamento e che le tutele caratterizzanti il patto marciano sono, comunque, ricostruibili da una lettura sistematica del decreto legislativo, richiamando in particolare, l’articolo 4, comma 1, lett. a) e b).   

[60] E. Berto, op. cit., p. 13.

[61] Mariconda V., op cit., p. 1428.

[62] Come già rilevato da Buongiorno G., “L’autotutela esecutiva”, Milano, 1984, p. 31 e ss.

[63] Rispoli G., op. cit., p 705 e ss..

[64] Berto E., op. cit., p. 4.

[65] Cass. 17 gennaio 2020 n. 844.

[66] Nelle circostanze che qui vengono in rilievo ovvero i rapporti intercorrenti tra debitore e creditore, la giusta causa non può essere rintracciata in modo assoluto nell’autonomia privata e per la stessa ragione si dubita che la liceità generalizzata della datio in solutum sia rispettosa la realtà socioeconomica attuale. Si veda nota successiva.

[67] Luminoso A., op. cit., p. 1405. Il quale, peraltro, sulla scorta di un ragionamento assimilabile a quello qui esposto, critica la generalizzata liceità della datio in solutum, stabilita dal codice del 1942, affermando la necessità di una revisione dell’istituto, in quanto appare “poco rispettosa della dialettica degli interessi in gioco”, p. 1407.

[68] Gazzoni F., op. cit., p. 1116.