Pubbl. Lun, 17 Ago 2015
La tutela cautelare nel procedimento amministrativo
Modifica paginaBreve analisi della tutela cautelare nel processo amministrativo: tratti salienti della disciplina in materia cautelare, evoluzione normativa e iter procedimentale.
La tutela cautelare nel processo amministrativo ha carattere di “strumentalità”: infatti, ha lo scopo immediato di assicurare l’efficacia del provvedimento definitivo; realizza, dunque, l’interesse ad evitare che la durata del giudizio possa rendere inutile per il ricorrente la decisione finale.
In base ai principi generali, la concessione della misura cautelare da parte del giudice presuppone l’accertamento di un “fumus boni iuris” e di un “periculum in mora” (art. 55 commi 1 e 9 c.p.a).
Il primo elemento consiste in una valutazione sommaria sul merito della pretesa fatta valere dal cittadino con l’impugnazione. In passato era risolto in un giudizio di “probabilità” di accoglimento del ricorso oppure in un giudizio di “non manifesta infondatezza” del ricorso stesso.
Appariva chiaro che, accogliendo la prima interpretazione, risultava maggiore il rilievo assegnato ai motivi del ricorso e l’accoglimento dell’istanza cautelare finiva con l’esprimere una prima valutazione del giudice circa la fondatezza del ricorso; invece, in base alla seconda interpretazione, la misura cautelare veniva esclusa solo in presenza di una evidente infondatezza del ricorso e, quindi, la valutazione del giudice sui motivi del ricorso finiva con l’assumere un rilievo meno pregnante.
Oggi, sembra accogliersi la prima interpretazione alla luce della legge 1034/1971 (legge Tar) e della legge 205/2000.
Particolare rilievo assume poi, nel processo amministrativo, il profilo costituito dal “periculum in mora”.
La legge identifica questo elemento nella possibilità di “danni gravi e irreparabili” (art. 55, comma 1, c.p.a.) derivanti dal provvedimento impugnato; tali danni devono essere specificamente allegati dal ricorrente nell’istanza di sospensione e perciò il giudice non può d’ufficio ipotizzarne l’esistenza, né introdurli nel processo.
Nel giudizio promosso per l’annullamento di un atto lesivo riguardante interessi legittimi, i “danni gravi e irreparabili”, naturalmente, non si identificano nel pregiudizio ordinario consistente nella lesione dell’interesse legittimo: altrimenti la regola secondo cui il ricorso non ha “effetto sospensivo” risulterebbe contraddetta.
Il danno che giustifica l’accoglimento dell’istanza cautelare da parte del giudice amministrativo deve essere considerato, in modo specifico, come danno determinato dal provvedimento amministrativo a un interesse rilevante del ricorrente e qualificato dal carattere della “gravità” e della “irreparabilità”.
Tale carattere può essere verificato in senso “assoluto” (ossia in relazione al tipo di interesse pregiudicato dal provvedimento), ovvero in senso “relativo” (ossia in relazione all’incidenza del provvedimento alla luce delle condizioni soggettive del ricorrente).
Nello stesso tempo, però, il giudice amministrativo deve considerare anche i riflessi che produrrebbe la misura cautelare rispetto all’Amministrazione e rispetto ai controinteressati: il giudice amministrativo, ai fini dell’accoglimento dell’istanza cautelare, deve effettuare una valutazione “comparata” di tutti questi interessi, sulla base del suo prudente apprezzamento.
La concessione o il diniego della misura cautelare può essere subordinato a una cauzione, a garanzia del pregiudizio subito dalla parte su cui grava la pronuncia del giudice; la cauzione non è ammessa, però, quando siano in gioco “interessi essenziali della persona”.
Riguardo la disciplina della tutela cautelare nel processo amministrativo, essa è stata modellata sul giudizio d’impugnazione: di conseguenza la tutela cautelare si è incentrata nella sospensione del provvedimento impugnato.
Solo con la l. 205/2000 il legislatore ha considerato l’istituto in termini più generali ed ha introdotto una disciplina più coerente con la varietà di controversie devolute al giudice amministrativo.
La legge Crispi del 1889 dettava la regola secondo cui l’impugnazione del provvedimento non ha “effetto sospensivo”.
Questa regola veniva ricondotta originariamente a principi generali, come la gerarchia di valori fra l’interesse pubblico, che è a fondamento del potere amministrativo, e l’interesse del privato, che è a fondamento del ricorso.
L’art. 39 t.u. Consiglio di Stato ha confermato che “i ricorsi in via contenziosa non hanno effetto sospensivo” e ha precisato che l’”esecuzione dell’atto” impugnato può essere sospesa dal giudice amministrativo “per gravi ragioni”, su istanza del ricorrente.
Spetta quindi alla parte interessata richiedere l’intervento del giudice, per evitare che le sue ragioni possano essere compromesse prima della decisione del ricorso.
La domanda di una misura cautelare deve essere presentata dal ricorrente al giudice adito per il ricorso principale, con istanza scritta, che deve essere notificata all’Amministrazione resistente e agli “interessati”.
Questa previsione era interpretata, in passato, nel senso che non fosse necessaria la notifica a tutti i controinteressati. Sotto questo profilo, la procedura appariva incompatibile con i principi costituzionali sulla garanzia del contraddittorio. Negli anni ’90, tuttavia, il Consiglio di Stato si è orientato nel senso di ammettere che il giudice amministrativo possa provvedere definitivamente sull’istanza cautelare solo dopo l’integrazione del contraddittorio con tutte le parti necessarie del giudizio.
La richiesta di misura cautelare viene esaminata in camera di consiglio dal giudice amministrativo, decorsi almeno 10 giorni dalla notifica dell’istanza. Sull’istanza cautelare il giudice amministrativo decide con ordinanza motivata.
In caso di estrema gravità e urgenza, “tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio”, la misura cautelare può essere richiesta al Presidente del Tar o della sezione cui il ricorso principale sia stato assegnato, previa notifica della relativa istanza alle altre parti.
Il Presidente provvede con un decreto motivato che é efficace fino all’ordinanza del collegio, cui va sottoposta l’istanza cautelare.
Anche in tal caso, comunque, la tutela cautelare ha carattere incidentale e si svolge nell’ambito di un giudizio instaurato col ricorso principale: a differenza di quanto previsto nel processo civile, non è contemplata una tutela cautelare precedente all’instaurazione del giudizio, neppure quando la controversia verta su diritti soggettivi.
La pronuncia sull’istanza cautelare deve essere sempre motivata e la motivazione deve estendersi “alla valutazione del pregiudizio fatto valere” dalla parte istante (c.d. periculum in mora) e deve indicare “i profili che, ad un primo esame, inducono ad una ragionevole previsione sull’esito del ricorso” (c.d. fumus boni iuris).
Nel caso di rigetto dell’istanza cautelare il giudice può provvedere, in via provvisoria, sulle spese del procedimento cautelare.
In questo modo il legislatore ha inteso porre un rimedio al pericolo di un utilizzo improprio dello strumento dell’istanza cautelare.