Pubbl. Mer, 22 Lug 2020
Non si applica l´art. 2051 per i danni cagionati da animali randagi
Modifica paginaIl contributo rappresenta una primissima analisi delle sentenze della Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, le n. 12112 e n 12113 del 22 Giugno 2020. Le pronunce annotate permettono di generare alcune riflessioni in merito all’accertamento di responsabilità extracontrattuale per danni cagionati da animali selvatici. In motivazione, la Suprema Corte, oltre a chiarire la questione relativa a quale Ente pubblico debba ritenersi investito dell’onere di controllo e custodia della fauna selvatica, fornisce i presupposti della presunzione di colpa di cui all’art. 2052 c.c., concludendo di non dover ritenere responsabile la P.A dei danni cagionati dalla selvaggina, soprattutto con riferimento alle specificità del luogo di verificazione dell’evento (nel caso di specie, le sedi viarie).
Sommario: 1. Premessa: la legislazione speciale. Sulla differenza tra animale domestico, randagio e fauna selvatica; 2. Il fondamento giuridico e la natura della responsabilità ex art. 2052 c.c.; 2.1 Il caso particolare del maneggio; 3. La responsabilità della P.A. per danni cagionati da fauna selvatica; 4.La disciplina del soccorso di animali feriti da sinistri stradali; 5. L’ultimo arresto della giurisprudenza di legittimità: sentenze n. 12112 e 12113 del 22 Giugno 2020 della Terza Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione; 5.1 Il fatto; 5.2 La motivazione della decisione della Suprema Corte.
1. Premessa: la legislazione speciale. Sulla differenza tra animale domestico, randagio e fauna selvatica
Il punto di partenza del contributo deve necessariamente consistere nella perimetrazione fattuale e soggettiva del tema in esame, ossia la responsabilità per il danno causato da animali.
Tralasciando le problematiche connesse all’individuazione dei generali profili di disciplina civilistica che trovano spazio applicativo nella presente fattispecie, occorre soffermarsi inizialmente sulla tradizionale tripartizione concettuale tra animali domestici, randagi e selvatici.
Mentre per i primi nulla quaestio posta la chiarezza normativa dell’art. 2052 c.c., meno agevole è la distinzione tra gli animali randagi e la fauna selvatica.
L’art. 3 della L. n. 281/1991, la “legge quadro in materia di animali d’affezione e prevenzione del randagismo”, assegna alle Regione l’onere della gestione degli animali randagi, da ottemperare attraverso la realizzazione di appositi rifugi, quali i canili, o la rivalorizzazione di quali già operativi sul territorio. Il dovere di controllo sanitario è nelle mani dei reparti di veterinaria delle aziende sanitarie locali. Le Regioni infine sono ammesse, attraverso un capillare processo di delegazione dei poteri, a decentrare parte dei suddetti obblighi e nonché a distribuire la relativa competenza in materia ai Comuni. Ciò in pieno ossequio dei principi di sussidiarietà ed adeguatezza, formulati all’art. 118 della Costituzione.
Per ciò che concerne la fauna selvatica, si ricordi che a partire dall’entrata in vigore della Legge n. 968 del 27 Dicembre 1977, questa è parte integrante del patrimonio indisponibile dello Stato ed è altresì preservata quale collettivo interesse della Nazione. La “Legge sulla caccia”, L. n. 157/1992, ha poi disposto per le Regioni a statuto ordinario il vincolo di tutela per gli animali selvatici dal quale è derivata la presunzione di responsabilità della Pubblica Amministrazione per i danni arrecati alla suddetta fauna, essendo l’Ente Pubblico certamente titolare di una nota posizione di garanzia nei confronti di quest’ultima. Sicché l’art. 26 della riferita legge prevede la costituzione di un fondo regionale precipuamente volto ad assicurare la funzione risarcitoria, come indennizzo, a fronte di danni non altrimenti risarcibili.
2. Il fondamento giuridico e la natura della responsabilità ex art. 2052 c.c.
Nodo gordiano del dibattito sorto in dottrina e giurisprudenza riguarda la qualificazione della responsabilità circoscritta all’evento-danno prodotto dal sinistro stradale, il quale eziologicamente deriva dalla condotta dell’animale selvatico.
Elemento propedeutico della responsabilità ex. art. 2052 c.c. è sicuramente la signoria operata sull’animale, estrinsecabile ora quale proprietà ora quale uso di questo. Infatti, ai sensi del citato articolo, “il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.
È piuttosto chiara la volontà del Legislatore di arricchire il vigente codice con la antica previsione di cui all’art. 1154 del codice civile del 1865 e frattanto prospettare anche sotto la nuova disciplina, che il proprietario o il fruitore dell’animale rispondano sempre, anche in forza di una presunzione di colpa, foriera ad una vera e propria ipotesi codificata di responsabilità oggettiva. Essa orbene si connota per il fatto di apparire del tutto scissa dall’elemento subiettivo dell’illecito e di essere poco reattiva alla peculiare installazione del nesso di causalità.
È ormai pacifico, anche per la giurisprudenza più recente, che il proprietario e/o l’utilizzatore dell’animale siano chiamati a rispondere, alla luce dell’art. 2052 c.c., non di una propria condotta, diretta manifestazione della loro attitudine volitiva, ma sulla base di una mera presunzione, costruita sulla proprietà o sull’utilizzazione, che avvince il soggetto all’animale, nonché al legame causale che regge l’azione dello stesso animale e prova che il danno deriva proprio da quest’ultimo.
Tutto quanto premesso è evidente che la responsabilità delineata dal testo dell’art. 2052 c.c. è una responsabilità iuris et de iure, sempre posta a carico dei soggetti indicati dalla norma per qualsivoglia azione dannosa imputata all’agire dall’animale. In conclusione, precisa nuova ulteriore giurisprudenza che, per liberarsi dalla predetta presunzione, il proprietario o l’utilizzatore deve dare prova che né lui, né alcun atro uomo modello “diligente”, avrebbero potuto intervenire per impedire la causazione del danno. Il comportamento dell’animale quindi dovrà essere rubricato in termini di imprevedibilità, inevitabilità ed assoluta eccezionalità, con la conseguenza che i soggetti sopra ricordati potranno essere espunti da tale presunzione di colpa solo limitatamente alle ipotesi, saldamente accertate, di caso fortuito.
2.1 Il caso particolare del maneggio
Non mancano specifiche attuazioni proprio nel senso della configurabilità della responsabilità iscritta all’art. 2052 c.c. Con riferimento alla fattispecie concernente la responsabilità dei gestori dei maneggi per danni procurati dai cavalli ai noleggianti, i Giudici di piazza Cavour hanno fermamente escluso che il cliente possa ritenersi responsabile in forza dell’uso che fa del cavallo.
Nella decisione in commento, la Terza Sezione della Suprema Corte, testualmente afferma che: “…chi ha in uso l’animale, a norma dell’art. 2052 c.c. è il gestore del maneggio, che esercita la relativa attività economica, traendone profitto, a favore del cliente e non quest’ultimo (che altrimenti sarebbe responsabile dei danni che senza sua colpa il cavallo può cagionare agli altri clienti del maneggio).” Giova sottolineare che la responsabilità, saggiata al lume del principio ubi commoda, ibi et incommoda, trova allocazione in capo a colui che utilizza, o meglio trae vantaggio, dall’animale. Poco significativa è la considerazione che l’utilizzatore, nel caso di specie, non coincida con colui che cavalca l’animale. Operando infatti un accertamento in concreto sul profitto economico ricavato dalla destinazione d’uso del cavallo, è ben manifesto che il gestore del maneggio, spesso anche proprietario dell’animale, debba indicarsi come unico fruitore del cavallo. D’altro canto, l’uso del cliente, sottende parimenti la sola finalità ludica, che dunque è estromessa dallo spazio di responsabilità ex art. 2052 c.c..
3. La responsabilità della P.A. per danni cagionati da fauna selvatica.
Si è visto come operi, in tema di responsabilità extracontrattuale derivante da danni prodotti da animali, la presunzione di colpa, per proprietario ed utilizzatore, stabilita dall’art. 2052 c.c. Si è poi detto, come dal disposto di cui all’art.1 L. n. 157/1992, che la fauna selvatica rientra nel patrimonio indisponibile dello Stato e la preservazione di questa è sicuramente interesse collettivo di natura nazionale. premesso ciò, essa non può mai rubricarsi come res nullius. Infatti, è sempre escluso che di questa possa risponderne la Pubblica Amministrazione, quale proprietario, giacché, aderendo a tale interpretazione, la selvaggina verrebbe depurata di un tratto ineliminabile, ovvero la libertà che la caratterizza.
La questione ha comportato contrasto giurisprudenziale così aspro da necessitare l’intervento del Giudice delle leggi. La Corte Costituzionale, con ordinanza n. 4/2001, ha precisato circa la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art.2052 c.c., in riferimento alla tendenza di negare la responsabilità dello Stato per gli effetti dannosi arrecati dalla fauna selvatica, dimostrando altresì che la disposizione posta al vaglia della Corte è da ritenersi applicabile solo alle ipotesi di danni cagionati da animali domestici. In argomento, la Consulta ha così proseguito ribadendo che in tali situazioni, è preferibile invocare l’art. 2043 c.c.
Quanto dedotto si traduce nel principio, ormai ampiamente consolidato anche in seno alla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’inapplicabilità dell’art. 2052 c.c. è fisiologico risultato della natura degli animali considerati, dello stato selvaggio e libero in cui vivono, e per questa ragione la responsabilità extracontrattuale contemplata all’art.2052 c.c. sarà tenuta a lasciare spazio alle regole generali che operano sul tema della responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c.
Una simile lettura esclusiva è stata recentemente riproposta dalla giurisprudenza di merito. Il Giudicante adito, nell’anno 2008, presso il Tribunale civile di Venezia, si è soffermato sulla valutazione della non spendibilità della responsabilità ex art. 2052 c.c. in ipotesi di danno provocato da selvaggina. Tale statuizione veniva supportata dal difetto del nesso eziologico che sarebbe dovuto fungere da ponte di collegamento causale tra il comportamento dell’animale e la portata, in concreto, del potere di tutela e custodia, come evinta dall’art. 2051 c.c..
4. La disciplina del soccorso di animali feriti da sinistri stradali.
Una tra le questioni più importanti sottese al tema in disamina attiene alle esigenze di tutela della parte debole in occorrenza di siffatti incidenti su strada, ovvero gli animali che, una volta feriti dall’impatto con il veicolo, versano in stato di necessità. In altre parole, il Legislatore italiano sembra di aver positivamente accolto le istanze europee di tutela dell’ambiente e di cura e preservazione dell’ecosistema, coniugandole entro un ambizioso progetto di riforma ispirato ai principi dello sviluppo sostenibile.
Al riguardo, si segnalino:
- il comma 9 bis dell’art. 189 del Codice della Strada, introdotto con la L. n. 189/2010, che impone agli utenti della strada il dovere diffuso di fermarsi e prestare soccorso agli animali coinvolti nel sinistro, a nulla ostando la personale responsabilità di aver cagionato l’incidente. Tale obbligo di tempestivo soccorso, ove inottemperato, è sanzionabile con la pena pecuniaria;
- L’art. 177 CdS, anch’esso sottoposto a revisione con la L. n. 189/2010, il quale consente l’uso di dispositivi acustici di segnalazione ed allarme per coloro che alla guida di un’autombulanza veterinaria o di altro mezzo idoneo al soccorso dell’animale, trasportino un animale in stato di necessità. La detta urgenza scrimina altresì il conducente in caso di violazione delle generali norme di condotta e prudenza nelle more della circolazione stradale.
- Per il fine di limitare, ove possibile, eventuali abusi delle facoltà sopra riconosciute, giustificate dalle gravi condizioni dell’animale trasportato sul mezzo, l’art. 7 del Decreto Ministeriale n. 217 del 2012, pone la necessita, previa espressa richiesta, di esibire il documento idoneo ad attestare la riferita condizione critica circa lo stato di salute dell’animale leso.
5. Gli ultimi arresti della giurisprudenza di legittimità: sentenze n. 12112 e 12113 del 22 Giugno 2020 della Terza Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione
La Suprema Corte, con duplice pronuncia pubblicata in data 22 Giugno 2020, è intervenuta sulla tematica della responsabilità della P.A. per i danni originati dal comportamento della selvaggina, soffermandosi meticolosamente sul potere di governo e gestione della fauna da parte dell’Ente Pubblico, specie con riferimento a strade ed autostrade.
5.1 Il fatto
Il ricorrente agiva in giudizio contro il Comune di Giulianova e la Asl di Teramo asserendo che la sera del 25 Giugno 2003, attorno le 23 e 30, durante il viaggio sul proprio motociclo Honda, per la strada statale 80, capitolava, impattando in terra con violenza, a causa di una brusca manovra, cui venina costretto per evitare di colpire un cane randagio, sopravvenuto all’improvviso dalla radura antistante la via. Il soggetto in questione, data l’impeto dell’incidente occorso, versava in stato comatoso per svariati giorni. Quindi richiedeva l’accertamento della responsabilità del riferito Comune di Giulianova, per la lamentata omissione di dovuta attività di tutela della fauna selvatica e prevenzione del fenomeno del randagismo, nonché il pagamento di una somma a titolo di risarcimento per i danni patrimoniali e non testé menzionati. Il Comune di Giulianova e la Asl di Teramo, resistenti in giudizio, si opponevano.
L’autorità giudiziaria territorialmente competente, il Tribunale di Teramo, suffragava il rigetto della domanda attorea con la statuizione che il dovere di segnalazione e gestione del randagismo è attribuito alla sezione per i servizi veterinari della Asl. Nel caso de quo non si produceva alcuna pregressa indicazione del suddetto fenomeno nella zona indicata.
Il ricorrente dunque decideva di proporre appello avverso la sentenza del giudice di prime cure, argomentando circa le manifeste violazioni perpetrate di fatto dalle controparti. Il mezzo di gravame valorizzava, tra le altre, la dedotta violazione della Legge Regionale n. 86/1999, sull’omissione delle misure di preservazione e prevenzione, l’art. 107 del codice di rito civile, in merito alla non automatica estensione, in primo grado, della domanda al terzo indicato dall’attore, la Asl di Teramo. In aggiunta, una volta costituitasi, l’Anas eccepiva l’improponibilità dell’impugnazione, posto il difetto di domande, e richiedeva, in subordine, che l’appello venisse rigettato.
La Corte d’Appello de l’Aquila rigettava il gravame proposto e decideva sulla condanna dell’appellante alle spese di lite. Il ricorrente originario, non demordendo, investiva la Suprema Corte di Cassazione con apposito ricorso.
5.2 La motivazione della decisione della Suprema Corte
Il percorso esegetico della Corte si avviava con l’accertamento della competenza dell’Anas, sulla vigilanza e manutenzione, anche rispetto il fenomeno del randagismo, del tratto di strada divenuto scenario del sinistro in esame. I Giudici dichiaravano, al contempo, inammissibile il ricorso, rimarcando che la fattispecie vagliata non è equiparabile all’ipotesi di incidente stradale cagionato dal comportamento impervio di un animale selvatico, verificatosi in autostrada.
La Corte altresì escludeva l’empirica sussistenza di qualsiasi prova a sostegno della qualità di “randagio” del cane coinvolto nel sinistro. A sostegno di quanto detto, nel punto 6 dei motivi della decisione, esaustivamente si legge: “La configurabilità, dunque, in tale ipotesi di una responsabilità ex art. 2051 c.c., si fonda sulla possibilità di riscontrare in essa un effettivo potere di governo della cosa sussumibile nel concetto di custodia rilevante ai fini della richiamata norma; possibilità che tuttavia non sussiste con riferimento ad ogni tipo di sede viaria, ma è affermata, con riferimento a quella autostradale, in ragione delle sue peculiari caratteristiche”. A corredo di ciò, con l’altra sentenza, la n. 12113, afferente alla medesima tematica, pubblicata anch’essa in data 22 Giugno 2020, la Corte di legittimità, forte degli ultimi orientamenti dalla stessa recentemente consolidati, si è spinta oltre, affermando i seguenti principi di diritto:
- Ai sensi dell’art. 2052 c.c., le conseguenze dannose cagionate dall’attività della fauna selvatica sono ascrivibili nell’alveo di responsabilità extracontrattuale della P.A. e quest’ultima è tenuta al risarcimento dei danni relativi;
- Anche nel settore in esame vige il principio secondo cui è l’attore-danneggiato che deve farsi carico dell’onere della prova e fornire pertanto la precipua testimonianza del danno denunciato. Sul versante opposto, la Regione risponderà a meno che non dia la prova liberatoria del caso fortuito, ex art. 2052 c.c.;
- Venendo alla responsabilità della Regione, essa si fa carico in toto della legittimazione passiva, poiché sola titolare della competenza, ratione materiae, della gestione della fauna selvatica, anche in merito ad attività che la Regione, in forza del principio di sussidiarietà ex. art. 118 Cost., abbia già delegato ad altro soggetto. In ipotesi siffatte, la regione sarà ammessa a rivalersi nei confronti di quegli enti ai quali era stata assegnata la gestione della materia, in concreto.
Alla luce di quanto prospettato, si evidenziano una serie di criticità interpretative tali da far intendere che la questione non sia ancora giunta ad un’univoca soluzione, stanti le criptiche oscillazioni giurisprudenziali che si registrano sul punto. Plausibilmente, è quindi da aspettarsi un decisivo intervento delle Sezioni Unite.
(1) Art.3 L. 281/1991: “Competenze delle regioni”
1. Le regioni disciplinano con propria legge, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'istituzione dell'anagrafe canina presso i comuni o le unità sanitarie locali, nonché le modalità per l'iscrizione a tale anagrafe e per il rilascio al proprietario o al detentore della sigla di riconoscimento del cane, da imprimersi mediante tatuaggio indolore. 2. Le regioni provvedono a determinare, con propria legge, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i criteri per il risanamento dei canili comunali e la costruzione dei rifugi per cani. Tali strutture devono garantire buone condizioni di vita per i cani e il rispetto delle norme igienicosanitarie e sono sottoposte al controllo sanitario dei servizi veterinari delle unità sanitarie locali. La legge regionale determina altresì i criteri e le modalità per il riparto tra i comuni dei contributi per la realizzazione degli interventi di loro competenza. 3. Le regioni adottano, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite le associazioni animaliste, protezioniste e venatorie, che operano in ambito regionale, un programma di prevenzione del randagismo. 4. Il programma di cui al comma 3 prevede interventi riguardanti: a) iniziative di informazione da svolgere anche in ambito scolastico al fine di conseguire un corretto rapporto di rispetto della vita animale e la difesa del suo habitat; b) corsi di aggiornamento o formazione per il personale delle regioni, degli enti locali e delle unità sanitarie locali addetto ai servizi di cui alla presente legge nonché per le guardie zoofile volontarie che collaborano con le unità sanitarie locali e con gli enti locali. 5. Al fine di tutelare il patrimonio zootecnico le regioni indennizzano gli imprenditori agricoli per le perdite di capi di bestiame causate da cani randagi o inselvatichiti, accertate dal servizio veterinario dell'unità sanitaria locale. 6. Per la realizzazione degli interventi di competenza regionale, le regioni possono destinare una somma non superiore al 25 per cento dei fondi assegnati alla regione dal decreto ministeriale di cui all'articolo 8, comma 2. La rimanente somma è assegnata dalla regione agli enti locali a titolo di contributo per la realizzazione degli interventi di loro competenza. 7. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione ai princìpi contenuti nella presente legge e adottano un programma regionale per la prevenzione del randagismo, nel rispetto dei criteri di cui al presente articolo.
(2) Art. 4 L.281/1991: “Competenze dei comuni”
1. I comuni, singoli o associati, e le comunità montane provvedono al risanamento dei canili comunali esistenti e costruiscono rifugi per i cani, nel rispetto dei criteri stabiliti con legge regionale e avvalendosi dei contributi destinati a tale finalità dalla regione. 2. I servizi comunali e i servizi veterinari delle unità sanitarie locali si attengono, nel trattamento degli animali, alle disposizioni di cui all'articolo 2.
(3) Articolo 118, Cost:
“Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.
Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
(4) Cass. Civ. Sez. III, sent. n. 15895, 20 Luglio 2011.
(5) Cass. Civ. Sez. III, sent. n. 14743, 17 Ottobre 2002.
(6) Corte Cost. ord. n. 4 del 4 Gennaio 2001.
(7) Ibidem: “nel caso in cui il danno è arrecato da un animale domestico (o in cattività), è naturale conseguenza che il soggetto nella cui sfera giuridica rientra la disponibilità e la custodia di questo si faccia carico dei pregiudizi subiti da terzi secondo il criterio di imputazione ex art. 2052 cod. civ”.
(8) Art. 2043 c.c. “Risarcimento per fatto illecito”: Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto,obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.
(9) Tribunale di Venezia, 25 febbraio 2008
(10) Art. 191 Trattato sul Funzionamento dell’UE:
1. La politica dell'Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi:
— salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente,
— protezione della salute umana,
— utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali,
— promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici.
2. La politica dell'Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio "chi inquina paga".
In tale contesto, le misure di armonizzazione rispondenti ad esigenze di protezione dell'ambiente comportano, nei casi opportuni, una clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri a prendere, per motivi ambientali di natura non economica, misure provvisorie soggette ad una procedura di controllo dell'Unione.
3. Nel predisporre la sua politica in materia ambientale l'Unione tiene conto:
— dei dati scientifici e tecnici disponibili,
— delle condizioni dell'ambiente nelle varie regioni dell'Unione,
— dei vantaggi e degli oneri che possono derivare dall'azione o dall'assenza di azione,
— dello sviluppo socioeconomico dell'Unione nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle sue singole regioni.
4. Nell'ambito delle rispettive competenze, l'Unione e gli Stati membri collaborano con i paesi terzi e con le competenti organizzazioni internazionali. Le modalità della cooperazione dell'Unione possono formare oggetto di accordi tra questa ed i terzi interessati.
Il comma precedente non pregiudica la competenza degli Stati membri a negoziare nelle sedi internazionali e a concludere accordi internazionali.
(11) In caso di inosservanza si applica la sanzione amministrativa di € 413 (se corrisposta entro cinque giorni è ridotta a € 289,10)