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Pubbl. Gio, 27 Ago 2020

Ai confini del diritto amministrativo “del nemico”: interdittive prefettizie antimafia e misure di self cleaning elusive

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Andrea Corvaglia



Sul piano sistematico le interdittive prefettizie antimafia hanno assunto un ruolo centrale nella tutela dell´ordine pubblico economico. Con l´espansione applicativa dell´istituto sembra emergere la crescente rilevanza del contrasto alle misure elusive (cd. misure di self cleaning patologiche). In questo contributo si cerca di fornire una chiave di lettura sistematica dell´attuale dibattito, alla luce delle recentissime e rilevanti indicazioni ermeneutiche fornite dalla giustizia amministrativa.


ENG On a systematic level, the anti-mafia prefectural bans have assumed a central role in the protection of economic public order. With the application expansion of the institute, the centrality of the contrast to elusive measures (so-called pathological self-cleaning measures) seems to emerge. This contribution seeks to provide a systematic key to the current debate, in the light of the very recent and relevant hermeneutic indications provided by administrative justice.

Sommario: 1. Ai confini dello scontro tra Stato e anti-Stato: “Mafia s.p.a.” e tutela dell’ordine pubblico economico; 2. L’azione dello Stato: le informative prefettizie antimafia; 3. La reazione dell’anti-Stato: le misure di self cleaning elusive; 4. Brevi considerazioni conclusive.

1. Ai confini dello scontro tra Stato e anti-Stato: “Mafia s.p.a.” e tutela dell’ordine pubblico economico.

La criminalità mafiosa si caratterizza per diffusività e flessibilità. Uno dei principali tratti caratteristici delle associazioni di stampo mafioso è la subdola capacità di penetrare nei nodi fondamentali della rete sociale, sia in campo economico che politico. La violenza, che costituisce un presupposto della forza di intimidazione, assume sicuramente valore strumentale all’instaurazione di un legame simbiotico con le infrastrutture sociali oggetto delle ambizioni di controllo mafiose[1]. Nelle fasi più avanzate di affermazione del potere mafioso, però, il patrimonio di violenza capitalizzato dal sodalizio tende a diventare un dato talvolta residuale, di cui non è più necessario l’impiego per affermare o conservare il controllo sulle attività economiche del territorio[2]. Questa ricostruzione è confermata: da un lato, sul piano fenomenologico, dall’emergere della cd. mafia silente; dall’altro, sul piano normativo, dal fatto che l’art. 416 bis c.p. descrive una fattispecie di associazione “di tipo mafioso” ma non necessariamente “per delinquere” (a differenza dell’art. 416 c.p.).

Sul piano fattuale, in estrema sintesi, la controversa figura della “mafia silente” evoca un nuovo modello di criminalità: tendenzialmente delocalizzata; operativa in aree diverse da quelle storicamente soggette al controllo mafioso; principalmente dedita all’assoggettamento delle realtà economiche attraverso un atteggiamento intimidatorio connotato da modalità evocative e implicite (quindi sfuggenti e più efficaci)[3]. Per cui, l’assenza di esteriorizzazione del metodo mafioso tende a facilitare la penetrazione incontrollata delle mafie nel tessuto economico[4] e richiede la predisposizione di adeguati strumenti di reazione e prevenzione.

Del resto, il dato letterale descrive già un modello di criminalità dedita non necessariamente alla commissione di reati-fine ma all’interazione predatoria con le attività economiche. La mafiosità è un attributo dell’associazione e deriva da una serie di requisiti, che colorano la struttura e le finalità del sodalizio: il requisito oggettivo è l’esistenza della forza di intimidazione del vincolo associativo nonché della condizione di assoggettamento e di omertà; il requisito eziologico è la relazione causale tra forza di intimidazione e le condizioni di assoggettamento ed omertà, per cui le seconde devono derivare dalla prima; il requisito teleologico è la preordinazione del vincolo associativo al fine di commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali (art. 416 bis c.p. comma 3).

L’uso della congiunzione disgiuntiva “o” implica che, per qualificare come mafiosa un’associazione, è sufficiente sul piano teleologico anche solo la finalità di acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri. Non è quindi nemmeno necessaria la commissione di reati-fine, quale scopo della consorteria mafiosa. Può essere invece necessario e sufficiente l’obiettivo di realizzare, a determinate condizioni, profitti o vantaggi ingiusti. Tale ingiustizia può consistere nell’acquisizione di una posizione di vantaggio sul mercato derivante da una patologica alterazione della concorrenza in un particolare settore, determinata, ad esempio, dal sistematico reinvestimento di somme di provenienza illecita.   

Nella bonifica dell’inquinamento mafioso del tessuto economico, quindi, si assiste alla svalutazione dell’efficacia del diritto penale. Le forme più subdole di penetrazione imprenditoriale, infatti, possono tranquillamente non estrinsecarsi attraverso la commissione dei reati-fine tipici di una associazione per delinquere semplice (ad esempio rapine, spaccio, estorsioni, eccetera); in astratto, il controllo mafioso può sostanziarsi, al contrario, in attività di per sé lecite. In concreto, la forza di intimidazione della criminalità di stampo mafioso tende a proiettarsi nell’infiltrazione di aziende “bianche”, fino al loro totale assoggettamento o, ancora, nel reinvestimento di proventi illeciti nell’economia legale attraverso l’uso dello schermo societario e di “teste di legno”. La priorità è quella di evitare che l’impresa, già assoggettata alla criminalità, possa intercettare anche i cospicui flussi di capitale derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici. L’obiettivo è quello di prevenire, prima ancora che di reprimere.   

Per cui, da un lato, la risposta penale è inefficace; dall’altro, l’esigenza di bonifica del tessuto economico si proietta su misure amministrative più fluide, che costituiscono un’anticipazione della soglia di difesa sociale rispetto al momento in cui è fisiologica l’attivazione della risposta penale.

Per queste ragioni, hanno assunto grande importanza, sul piano della tutela amministrativa dell’ordine pubblico economico, alcuni strumenti di intervento previsti dalle leggi di settore, tra cui vi sono: le comunicazioni antimafia, le informative prefettizie antimafia, l’amministrazione giudiziaria dei beni, il controllo giudiziario delle aziende, le misure straordinarie di gestione delle imprese. Del resto, la dottrina considera ormai da tempo le misure amministrative di prevenzione come i pilastri della normativa antimafia[5].

2. L’azione dello Stato: le informative prefettizie antimafia.

 Le informazioni antimafia sono uno strumento di prevenzione caratterizzato dal massimo arretramento della soglia di difesa sociale “a tutela di diritti aventi rango costituzionale, come quello della libera iniziativa imprenditoriale (art. 41 Cost.), nel necessario, ovvio, bilanciamento con l’altrettanto irrinunciabile, vitale, interesse dello Stato a contrastare l’insidia delle mafie[6].

La base normativa è costituita dagli artt. 91 ss. del d.lgs. n. 159 del 2011 (cd. codice antimafia).

Le informative prefettizie possono essere tipiche o atipiche, liberatorie o interdittive; si inseriscono in un sistema di circolazione informativa tra prefetture e stazioni appaltanti, finalizzato a prevenire l’infiltrazione mafiosa nel settore degli appalti pubblici.

Le Prefetture, considerate le storiche funzioni di coordinamento - sia verticale, tra centro e periferia, che orizzontale, tra le ramificazioni istituzionali dello Stato presenti sul territorio - sono il nodo della rete istituzionale cui naturalmente compete l’attività di intelligence antimafia.

Le informazioni tipiche sono rilasciate sulla base della consultazione della banca dati nazionale (art. 91 comma 3). Le informazioni atipiche conseguono all’accertamento da parte del Prefetto di non predeterminati “tentativi di infiltrazione mafiosa” nei confronti dell’impresa interessata (art. 94 comma 1), desunti da elementi indiziari, accertati su base probabilistica secondo la regola probatoria del “più probabile che non” (artt. 84 comma 4 e 91 comma 6). Tale standard probatorio implica l’estraneità alle esigenze di rigore inferenziale proprie del cd. principio b.a.r.d. (art. 533 c.p.p.) e sottende una analisi induttiva di elementi “evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (qual è quello mafioso)” eventualmente integrata da massime di comune esperienza[7].

Il Prefetto dispone di ampi poteri istruttori e di accertamento; può disporre anche accessi ed accertamenti nei cantieri delle imprese interessate all'esecuzione di lavori pubblici, avvalendosi, a tal fine, dei gruppi interforze (art. 93). Sul piano della tutela, si osserva che l’accertamento dei fatti è competenza esclusiva del Prefetto ed è elemento estraneo alla cognizione del Giudice[8]. Un’ampia discrezionalità colora inoltre la valutazione dei fatti accertati, che può essere sindacata solo in relazione all’esistenza di vizi logici della motivazione[9].

Dottrina e giurisprudenza hanno messo in dubbio la compatibilità della natura atipica delle informative interdittive con il rispetto del principio di legalità e, di conseguenza, con le garanzie costituzionali e convenzionali. La critica non sembra ictu oculi infondata: è abbastanza evidente che attraverso le informative, sulla base di presupposti dichiaratamente indeterminati, possano essere limitati diritti costituzionalmente e convenzionalmente tutelati.

La Corte Costituzionale, tuttavia, ha recentemente dissipato ogni dubbio sulla legittimità dell’istituto, principalmente sulla base di due argomentazioni[10].

In primo luogo, il principio di legalità – come declinato in chiave costituzionale e convenzionale[11] – si salda con il concetto di prevedibilità degli effetti della norma. Per cui, il deficit di determinatezza dei presupposti, in presenza dei quali il provvedimento può essere emanato, deve ritenersi superato sulla base “dell’interpretazione, fornita da una giurisprudenza costante e uniforme, di disposizioni legislative pure caratterizzate dall’uso di clausole generali, o comunque da formule connotate in origine da un certo grado di imprecisione[12].

In secondo luogo, la scelta di utilizzare una tecnica legislativa caratterizzata da uno scarso grado di determinatezza intrinseca appare giustificata dalla natura della realtà sociale, cui le norme sono destinate ad applicarsi. In particolare, esiste una ragionevole simmetria tra la “grande adattabilità” alle circostanze, che le modalità di azione mafiose manifestano, e la fluidità della disciplina delle informative antimafia, che devono prevenirle: in particolare, assolvendo il compito di monitorare il fenomeno, conoscerne le manifestazioni, individuandone i relativi sintomi e garantendo un rapido intervento[13].

In ottica “cautelare e preventiva”, quindi, le informative antimafia sono legittimamente usate come insostituibili strumenti di difesa anticipata della legalità, da parte degli avamposti dello Stato[14].

3. La reazione dell’anti-Stato: le misure di self cleaning elusive.

Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Ai tentativi di infiltrazione mafiosa, talvolta, l’impresa interessata risponde adottando misure cd. di self cleaning, finalizzate a prevenire o rimuovere l’anomalia riscontrata. Queste misure possono essere fisiologiche o elusive.

Le misure fisiologiche tendono a rimuovere, da una compagine societaria sana, il soggetto contiguo alla criminalità organizzata. Tali misure sono considerate con favore dall’ordinamento in quanto consentono di bilanciare la libertà di iniziativa economica con la tutela dell’ordine pubblico economico, senza pregiudicare la continuità dei contratti delle amministrazioni pubbliche. Lo stesso Prefetto può chiede all’impresa di adottare misure di self cleaning. Infatti, può “ordinare la rinnovazione degli organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto” prima di disporre la straordinaria e temporanea gestione dell’impresa (art. 32 d.l. n. 90 del 2014).

Le misure di self cleaning “patologiche”, invece, sono caratterizzate dalla finalità elusiva delle misure antimafia. Sull’analisi della figura si sofferma la recentissima sentenza n. 3641/2020 del Consiglio di Stato, la quale ne evidenzia le principali criticità.

In primo luogo, si rileva che il presupposto fattuale dei tentativi di elusione della normativa antimafia è la conoscenza, o quantomeno il sospetto, della imminente emanazione di una informativa prefettizia interdittiva. Ne deriva che “la discovery anticipata, già in sede procedimentale, di elementi o notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in informative riservate delle forze di polizia, spesso connessi ad inchieste della magistratura inquirente contro la criminalità organizzata e agli atti delle indagini preliminari, potrebbe frustrare la finalità preventiva perseguita dalla legislazione antimafia, che ha l’obiettivo di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell’economia legale ha assunto forme e “travestimenti” sempre più insidiosi[15].

La trasparenza e i diritti di partecipazione procedimentale, quindi, in relazione alle funzioni prefettizie antimafia, rischiano di agevolare il ricorso a tecniche elusive, di cui le associazioni mafiose sono ben capaci[16].

Ad esempio, il semplice mutamento della sede legale medio tempore posto in essere dall’impresa coinvolta può comportare un notevole aggravio del procedimento preordinato all’emanazione dell’informativa antimafia ed, eventualmente, l’annullamento per incompetenza dell’informativa. Il principio tempus regit actum, combinato con la disciplina sulla competenza ad adottare le informazioni antimafia, implica la competenza Prefetto del luogo in cui l’impresa ha sede al momento dell’adozione del provvedimento interdittivo. L’eventuale trasferimento medio tempore della sede legale dell’impresa in una provincia diversa comporta quindi la necessità di trasmettere gli atti istruttori alla prefettura competente ad emanare l’atto in relazione alla nuova sede legale[17].

Il sistema è evidentemente inefficiente e sarebbe opportuna una deroga al principio tempus regit actum (ad oggi normativamente infondata senza un intervento normativo ad hoc). L’implementazione del principio tempus regit actionem consentirebbe infatti di radicare la competenza in capo al Prefetto della provincia in cui l’impresa ha la sede legale, nel momento in cui viene avviato il procedimento preordinato all’emanazione dell’interdittiva antimafia. In questo modo si potrebbe neutralizzare l’efficacia elusiva dei fraudolenti trasferimenti di sede legale. La ratio del revirement sarebbe analoga a quella sottesa alla disciplina sulla competenza all’accertamento del reato permanente (art. 8 c.p.p.), nella misura in cui è finalizzata ad evitare che la cessazione della permanenza sia determinata da ragioni opportunistiche preordinate a radicare la competenza in un contesto più favorevole per il reo.

I Giudici di Palazzo Spada, infine, segnalano che le imprese inquinate, avuto sentore di una imminente interdittiva, di regola “reagiscono mutando sede legale, assetti societari, intestazioni di quote e di azioni, cariche sociali, soggetti prestanome, cercando comunque di controllare i soggetti economici che fungono da schermo, anche grazie alla distinta e rinnovata personalità giuridica, nei rapporti con le pubbliche amministrazioni[18].

Tali misure devono intendersi come misure di self cleaning elusive ogni qualvolta “risultino in concreto inidonee a creare una netta cesura con la pregressa gestione subendone, anche inconsapevolmente, i tentativi di ingerenza[19].

Il giudizio di inidoneità della misura a creare una cesura con il contesto criminale – chiarisce il Consiglio di Stato – compete al Prefetto ed è connotato da ampia discrezionalità: è sindacabile dal Giudice amministrativo solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti. 

4. Brevi considerazioni conclusive.

Per concludere, si osserva che alla espansione applicativa delle interdittive antimafia corrisponde simmetricamente la diffusione di tecniche elusive sempre più efficaci.

La giurisprudenza sembra indicare alcuni principi utili a contenere l’utilizzo delle misure di self cleaning elusive: la limitazione della disclosure istruttoria, la deroga ai principi di partecipazione procedimentale, il coordinamento tra le prefetture competenti (ed aggiungerei: la deroga al principio tempus regit actum) nonché l’attenta valutazione, caso per caso, dell’idoneità delle misure adottate a recidere i rapporti con la criminalità organizzata.  


Note e riferimenti bibliografici

[1] La dottrina divide gli step evolutivi del potere mafioso in: fase predatoria; fase corruttiva e fase simbiotica. Nel progredire delle varie fasi decresce la necessità di utilizzare la violenza mentre aumenta la capacità di operare impunemente grazie alla “fama” criminale acquisita e al patrimonio di violenza capitalizzato, il cui uso non è più necessario per garantire il controllo del territorio. Così APOLLONIO A. estorsione “ambientale” e art. 416-bis.1 c.p. al cospetto dei modelli mafiosi elaborati dalla giurisprudenza, in Riv. Giur. Cassazione penale n. 10/2018.

[2] In relazione alla letteratura sul punto si segnala, ex multis: ARLACCHI P., La mafia imprenditrice. L’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, il Mulino, Bologna, 1983; ARLACCHI P., La mafia imprenditrice. Dalla Calabria al centro dell’inferno, il Saggiatore, Milano, 2007.

[3] Leading case: Cass. pen., Sez. II, 23 febbraio 2015, n. 15412, Agresta, la quale chiarisce

che “meglio sarebbe ridefinire la nozione di cd. mafia silente non già come associazione

criminale aliena dal cd metodo mafioso o solo potenzialmente disposta a farvi ricorso, bensì

come sodalizio che tale metodo adopera in modo silente”; contra: un risalente orientamento sostenuto da Cass. pen., Sez. V, n. 19141, 13 febbraio 2006, Bruzzaniti, Rv. 234403, che ritiene incompatibile il concetto di

mafia silente con l’esteriorizzazione della forza intimidatrice richiesta dall’art. 416 bis c.p.

[4] V. Trib. Reggio Emilia, 10 luglio 2019, n. 1155. Il cd. maxi-processo Aemilia ha ad oggetto proprio la poderosa penetrazione ‘ndranghetista nel tessuto economico nel nord-est. Si segnala il commento di Gambarati  M., È mafia silente ma è mafia. Brevi note sul “metodo mafioso” alla luce del processo Aemilia, in riv. Giurisprudenza Penale n. 1/2020.

[5] Così R. SCARPINATO, La dimensione imprenditoriale della criminalità organizzata e le sue nuove forme di manifestazione: l’analisi sociologica, l’accertamento giudiziario e l’applicabilità della normativa di prevenzione ai nuovi fenomeni criminali, incontro di studio sul tema “le misure di prevenzione patrimoniali”, Roma, 28-29 aprile 2005, in www.csm.it.

[6] Consiglio di Stato n. 3030 del 2020.

[7] Consiglio di Stato 2343 del 2018.

[8] Consiglio di Stato n. 4724 del 2001.

[9] Consiglio di Stato n. 7260 del 2010.

[10] Corte costituzionale n. 24 del 2019.

[11] Ex multis, Corte europea dei diritti dell’uomo, sezione V, sentenza 26 novembre 2011, Gochev c. Bulgaria; id., sezione I, sentenza 4 giugno 2002, Olivieiria c. Paesi Bassi; id., sezione I, sentenza maggio 2010, Lelas c. Croazia.

[12] V. nota 5.

[13] Consiglio di Stato n. 3641 del 2020.

[14] Consiglio di Stato A.P. n. 3 del 2018.

[15] Consiglio di Stato n. 810 del 2010.

[16] Consiglio di Stato n. 2854 del 2020.

[17] Consiglio di Stato n. 3030 del 2020 punto 3.

[18] Consiglio di Stato n. 3641 del 2020.

[19] Cons. St., sez. III, 27 novembre 2018, n. 6707; 7 marzo 2013, n. 1386