Pubbl. Sab, 18 Lug 2020
Il termine per impugnare la sentenza che omologa o respinge il concordato
Modifica paginaIl termine per impugnare il provvedimento che omologa o respinge il concordato è quello previsto dall´art. 18, comma 14, L.F. e, quindi, è di trenta giorni decorrenti dalla notifica a cura della cancelleria.(Commento a Cass. 12/06/2020 n. 11343)
Sommario: 1.La controversia; 2.Le soluzioni possibili; 3.L’interpretazione della Suprema Corte.
1. La controversia
La sentenza in oggetto segna l’epilogo di una procedura concordataria che ha visto la contestazione da parte di un creditore, il quale si doleva di atti in frode posti in essere dal debitore i cui effetti erano stati utilizzati dal debitore per poter accedere alla procedura.
Il tema giuridico di merito della vicenda verteva sull’obbligo dell’Autorità Giudiziaria di valutare tutti i profili dell’art. 173 L.F., alla luce dei principi generali i quali vietano che una parte processuale possa abusare del proprio diritto di valersi di una delle soluzioni alternative della crisi offerte dalla normativa fallimentare, ogni qualvolta questa soluzione venga ad essere solo un modo per coprire fatti e, sopratutto, atti rilevanti ai fini dell'art. 173 L.F.
Il creditore nella fase innanzi al Tribunale aveva sostenuto, da un lato, che lo strumento concordatario non poteva essere usato in modo dissennato, al fine di coprire e “pulire” buchi di bilancio e, dall’altro, che pur essendo venuta meno la valutazione sulla “meritevolezza”, il Tribunale non solo poteva, ma doveva essere rigoroso nella verifica di fatti che il Commissario Giudiziale o i creditori possano segnalare e, conseguentemente, che il voto dei creditori – anche se essenziale ai fini del perfezionamento della fattispecie - non poteva prevalere sul contenuto pubblicistico del controllo che il Tribunale è obbligato a compiere a tutela dell’ordinamento.
In mancanza di tale controllo, l’esigenza di tutela sia delle imprese che del ceto creditorio da parte dello Stato, perseguita nella normativa sul concordato, deve ritenersi irrealizzata perchè, ove si consentisse al Tribunale solo un ruolo “notarile” di mera verifica del raggiungimento delle maggioranze, si legittimebbe, da parte del richiedente il concordato, quello che era stato evidenziato essere un vero e proprio abuso del diritto nel ricorso allo strumento concordatario.
Il Tribunale, invece, nella sentenza che aveva portato all'impugnazione dapprima in Corte d'Appello e poi in Cassazione aveva ritenuto che la verifica delle maggioranze e dei presupposti del concordato avesse avuto esito positivo e che l’argomento sollevato dal debitore inerente il “cram down” fosse meritevole di tutela più di ogni altro elemento, ritenendo che il ceto creditorio potesse risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili, senza con ciò considerare però che il venir meno dell’azione di responsabilità contro l’amministratore (esercitabile dalla Curatela ma non anche da singoli creditori) costituiva di per sè stesso un sia pur teorico mancato introito di somme da destinare a riparto tra i vari creditori.
La Corte d’Appello, invece, entrando nel merito degli atti compiuti dal debitore, aveva ritenuto di dare rilevanza agli atti di frode che non consentivano in nessun caso la possibilità di avvalersi di strumenti premiali come il concordato.
Avverso tale pronunzia il debitore aveva proposto ricorso per Cassazione nell’ordinario termine ex art. 325 c.p.c. invece che nel termine di cui all’art. 18 L.F.
La Suprema Corte, nella pronunzia in commento (Cass. 12/06/2020 n. 11343), ha esaminato unicamente la questione attinente il termine processuale, ritenendo il ricorso per Cassazione, proposto dal debitore, tardivo.
2.Le soluzioni possibili
Ebbene: prima della modifica dell’art. 183 L.F. ad opera del D. L.vo n. 169/07 l’impugnazione avverso il decreto di omologazione era così regolamentato: “contro la sentenza che omologa o respinge il concordato possono appellare gli opponenti e il debitore entro quindici giorni dall'affissione. La sentenza è pubblicata a norma dell'art. 17 ed il termine per ricorrere per cassazione decorre dalla data dell'affissione”.
Successivamente alle modifiche apportate dal precitato D. L.vo 169/07, la formulazione è diventata più criptica: “contro il decreto del tribunale può essere proposto reclamo alla corte di appello, la quale pronuncia in camera di consiglio”.
La norma, quindi, dopo il D. L.vo 169/07 non disciplina espressamente il procedimento di ricorso per Cassazione avverso il decreto della Corte di Appello.
In mancanza di una espressa normativa, occorre partire dai principi generali per chiedersi se il procedimento che ci occupa sia un procedimento regolato dal rito ordinario, da quello camerale di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c. ovvero dall’art. 18 L.F., norma questa che, a differenza dell’art. 183 L.F., prevede espressamente al comma 14 che “il termine per proporre il ricorso per Cassazione è di trenta giorni dalla notificazione”.
Ebbene: le uniche pronunzie della Suprema Corte rinvenute in relazione al reclamo, ma che delineano la disciplina applicabile, sono la n. 4304 del 2012 e la n. 21606 del 2013. Dalle stesse sembra evidenziarsi che la modalità procedurale per poter impugnare la pronunzia della Corte sul reclamo sia solo quella indicata dall’art. 18 L.F. e, conseguentemente, che il ricorso per Cassazione vada proposto entro il termine di giorni trenta dalla notifica della pronunzia della Corte di Appello ex art. 183 L.F.
Inoltre, nella Relazione al cit. D.Lgs. 169/07[1] si legge, che la norma "sostituisce l'art. 183 del R.D.. Con l'inserimento della previsione del reclamo alla corte di appello per l'impugnazione sia del decreto, che dell'eventuale sentenza di fallimento emessi all'esito del giudizio di omologazione, serve a chiarire e razionalizzare il regime di impugnativa dei provvedimenti emessi all'esito del giudizio di omologazione, nel rispetto dei principi del giusto processo".
In mancanza però di un chiaro termine per impugnare sono ipotizzabili più soluzioni: il ricorso straordinario ex art. 111 c.p.c.[2]; l’applicazione della normativa generale dettata per i procedimenti in camera di consiglio di cui all'art. 739 c.p.c., in virtù della norma di cui all'art. 742 bis c.p.c. ovvero dalla L. Fall., art. 26, o, infine, dalla L. Fall., artt. 18 e 131, relativi al concordato fallimentare.
Il richiamo fatto dalla Relazione al "giusto processo" e la considerazione che la norma di cui alla L.F., art. 183, comma 2, preveda che "con lo stesso reclamo è impugnabile la sentenza dichiarativa di fallimento, contestualmente emessa a norma dell'art. 180, comma 7", fanno ritenere che il legislatore abbia tenuto presente il "reclamo" - che con lo stesso decreto legislativo era stato sostituito all'appello contro la sentenza dichiarativa di fallimento, L. Fall., ex art. 18 - nonchè il "reclamo" (disciplinato pressochè in modo identico a quello previsto dall'art. 18, espressamente richiamato) introdotto dal medesimo decreto legislativo in materia di concordato fallimentare con il novellato, L. Fall., art. 131.
Ebbene: sia nell'ipotesi di cui alla L. fall., art. 18, che in quella di cui alla L. fall., art. 131, il termine per la proposizione del reclamo è quello di trenta giorni. La circostanza che "con lo stesso reclamo" proponibile contro il decreto che pronuncia sull'omologazione del concordato preventivo possa essere impugnata la sentenza dichiarativa di fallimento impone - per un'evidente lettura costituzionalmente orientata della L. Fall., art. 183 - di ritenere applicabile il medesimo termine previsto dalla L. Fall., art. 18.
3.L’interpretazione della Suprema Corte
La Corte nelle pronunzie surrichiamate, quindi, ha indicato quale linea guida processuale, quella segnata dall’art. 18 L.F. atteso che “e', dunque, la previsione espressa della impugnabilità del decreto con lo stesso reclamo proposto contro la sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata ai sensi della L. F., art. 180, a rendere applicabile il termine di cui alla L. Fall., art. 18, anche per l'impugnazione del solo decreto di omologazione o di diniego di omologazione non potendo, uno stesso termine di impugnazione, mutare a seconda del contenuto del provvedimento impugnato e della eventualità che contestualmente al diniego di omologazione possa o non possa (ad esempio perchè non vi sono istanze di creditori) essere pronunciata la "separata" ma "contestuale" sentenza di fallimento, impugnabile "con lo stesso reclamo".”[3]
Logica vuole che l’art. 18 cit. vada applicato in ogni sua parte e, quindi, anche in quella relativa al procedimento di cassazione, espressamente previsto nello stesso art. 18 L.F., essendo stata quindi abbandonata la tesi già proposta da Cass. Sez. I, Sent., 04-11-2011, n. 22932 secondo cui “il procedimento di omologazione si svolge secondo il comune rito camerale di cui all'art. 737 c.p.c. e ss., e di conseguenza che il termine per il ricorso per cassazione è quello ordinario di sessanta giorni”.
Tale impostazione, quella cioè di seguire il procedimento disciplinato nell’art. 18 L.F. è stata anche successivamente seguita in sede di legittimità da Cass. 21606/13 e, in sede di merito, da App. Venezia 2/12/14 che ha altresì evidenziato che: “una volta, invero, abbandonato il ricorso al modello generale di reclamo di cui all'art. 739 c.p.c., pare conseguente attingere alla disciplina prevista con riferimento al reclamo ex art. 18 l.fall., anch'esso plasmato secondo le forme del rito camerale, ma con alcune peculiarità relative anche alla individuazione del momento a partire dal quale quel termine prende decorrenza”, ma soprattutto ha evidenziato come: “l'applicazione delle regole dettate in tema di decorrenza dei termini per l'impugnazione dall'art. 739 c.p.c. realizzerebbe, nello specifico, una disciplina non in grado di soddisfare le esigenze di certezza e celerità che sottostanno alle procedure concorsuali”.
Tali esigenze di celerità e la generale sottrazione della normativa fallimentare anche alla sospensione dei termini durante il periodo feriale, oltre che una necessità di armonizzare l’intero sistema delle impugnazioni in subiecta materia, impongono di ritenere che il termine per il ricorso per cassazione non può che essere mutuato dalla previsione esplicita dell’art. 18 L.F. quale norma unica regolante il sistema delle impugnazioni e, quindi, di trenta giorni.
La giurisprudenza successiva del Supremo Collegio, ha poi confermato quanto già sopra dedotto: “In tema di concordato preventivo, al provvedimento emesso, ai sensi dell'art. 183, comma 1, legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942), dalla Corte d'appello decidendo sul reclamo avverso il decreto di omologazione si applica la disciplina prevista dall'art. 18, comma 14, della citata legge, di modo che lo stesso è ricorribile per cassazione entro il termine di trenta giorni decorrenti dalla notificazione a cura della cancelleria; infatti il permanere anche rispetto all'impugnazione per cassazione delle ragioni giustificative della necessità di individuare una coincidente disciplina regolante il reclamo avverso il decreto con il quale il Tribunale abbia provveduto sull'omologazione, accordandola o negandola, fa sì che la portata del rinvio compiuta dall'art. 183, comma 2, legge fallimentare al procedimento di reclamo vada intesa come riferita all'intero svolgersi delle fasi di impugnazione previsto dall'art. 18 legge fallimentare e non solo alla porzione del reclamo.”[4].
Anche in precedenza la Suprema Corte aveva ritenuto che “L'irrilevanza della dichiarazione di fallimento ai fini della proponibilità del reclamo avverso il provvedimento di diniego dell'omologa, reso dal Tribunale, non può che con-durre a individuare un unico termine per la presentazione dell'impugnazione, onde evitare che i termini per proporre la medesima forma di gravame possano mutare a seconda del contenuto del provvedimento impugnato e della eventualità che, contestualmente al diniego di omologazione, possa o non possa essere pronunciata la sentenza di fallimento”[5]
La pronunzia in commento altro non ha fatto che confermare tali principi richiamando espressamente Cass. civ. Sez. I, 20/11/2019, n. 30201 e concludendo per la inammissibilità del ricorso e portando, quindi, alla revoca della procedura concordataria.
[1] Riportata nel “Manuale di diritto fallimentare e delle procedure concorsuali” di Giuseppe Trisorio Liuzzi – Giuffrè 2011 pag. 266
[2] Così G. Trisorio Liuzzi nel manuale riportato alla nota 1)
[3] Così in motivazione Cass. civ. Sez. I, Sent., (ud. 02-02-2012) 19-03-2012, n. 4304
[4] Cass. civ. Sez. I, 20/11/2019, n. 30201
[5] Cass. civ. Sez. I, Sent., (ud. 04-06-2019) 05-08-2019, n. 20892