Autonomia negoziale e convenzione arbitrale: analisi diacronica e sincronica di aspetti controversi.
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Francescoferdinando Cristarella Oristano
L´articolo ha lo scopo di analizzare la convenzione arbitrale da un punto di vista squisitamente civilistico e nei suoi aspetti più controversi. In particolare, sarà evidenziato come la funzione e la struttura siano indici di qualificazione del fatto in relazione a fattispecie simili. Inoltre, verrà trattato il problema della forma come funzione in relazione alla convenzione arbitrale, nonché le ricadute del carattere imperativo o inderogabile delle norme che disciplinano diritti sul contenuto del negozio. Infine, verranno evidenziati i criteri di interpretazione del negozio con particolare riferimento alla problematica del collegamento negoziale.
Sommario: 1) L’evoluzione storica della convenzione arbitrale; 2) La convenzione arbitrale come negozio giuridico: struttura e funzione come indici di qualificazione; 3) Convenzione arbitrale e forma come funzione; 4) La disponibilità del diritto tra norme inderogabili e imperative; 5) Criteri di interpretazione della convenzione arbitrale con particolare riguardo al collegamento negoziale.
1) L’evoluzione storica della convenzione arbitrale
D. Friedmann, in un illuminante scritto[1], sottolinea come l’origine del processo sia atavica e religiosa. Il primo processo, infatti, secondo l’autore, fu quello condotto da Dio nei confronti di Adamo ed Eva. Questo, giudice e accusa allo stesso tempo, dopo avere ascoltato le parti (Adamo, Eva e il serpente) li condannò a fati diversi, avendo emanato la prima sentenza.
Al di là della religione, dove il concetto di iudex non sembra esser connotato dalla terzietà, la storia ha evidenziato il crescente bisogno della società di affidarsi ad un soggetto terzo per dirimere le controversie. L’importanza ai fini del soddisfacimento delle esigenze sociali, dunque, non riguarda il carattere pubblico o privato del giudice, ma la sua terzietà ed equidistanza rispetto alle parti.
Le peculiarità dell’equidistanza e della terzietà, infatti, non si rinvengono esclusivamente nella figura del giudice in quanto magistrato, ma anche in quella del giudice in quanto soggetto privato designato dalle parti. Quest’ultimo non è un aliquid novi proprio delle moderne società globalizzate, ma è una figura la cui origine è antica e dibattuta.
Parte della letteratura, nonostante la mancanza di evidenti testimonianze dirette, fa risalire la convenzione arbitrale, in forza della quale le parti devolvono la controversia a un giudice privato, all’antica Roma[2]. Addirittura, c’è chi ritiene che le legis actiones furono generate da una prassi arbitrale fra privati[3]. Altra parte della dottrina romanistica, invece, ritiene che l’arbitrato fu praticato a Roma in relazione a rapporti che non avevano avuto riconoscimento nell'ambito della legge[4]. Un ulteriore filone dottrinale afferma che la figura dell'arbitro derivò dalla scomposizione del processo nel diritto romano[5].
In particolare, vi erano due fasi: 1) quella in iure, in cui la controversia veniva regolata dal giudice (iudex) e terminava con la litis contestatio; 2) quella apud judicem, in cui la controversia era decisa e conosciuta da un arbitro (arbiter) scelto dalle parti liberamente.
I pretori, tra la media e l’ultima età repubblicana, non diedero tutela alla convenzione (fondata sulla bona fides) secondo la quale due parti decidevano di affidare ad un terzo la risoluzione delle controversie. In altre parole, la decisione arbitrale non venne riconosciuta, così la giurisprudenza escogitò uno stratagemma elusivo.[6] Le parti, infatti, potevano dar vita a reciproche stipulationes in virtù delle quali ciascuno stipulante prometteva il pagamento di una somma di denaro (poena) in caso di mancata accettazione o esecuzione di una decisione arbitrale. Nacque così il compromìssum. La decisione dell’arbiter non produceva effetto di sentenza, ma un obbligo giuridico in capo al soccombente consistente nel dovere di esecuzione della decisione. Essendo la stipulatio un negozio tutelato iure civili[7], il pretore non avrebbe potuto negare l'actio ex stipulatu[8]. Ulpiano riconosceva anche la tutela di un compromissum sententia statere promiserit (senza determinazione di una pena) mediante l’actio incerti ex stipulatu[9].
Nel diritto intermedio, la convenzione arbitrale rivestì una particolare importanza, tantoché si afferma che il termine arbitrator risalga all’epoca medievale[10]. L’uso frequente dell’arbitrato in quest’epoca fu riconducibile all’invasione dei popoli germanici e allo scontro fra diritto consuetudinario e diritto romano, di guisa che gli invasori, per mezzo di un compromesso, preferivano deferire a terzi le controversie ai fini dell’applicazione del ius consuetudinario[11].
Nel periodo ricompreso fra il 1100 e il 1200 d.c., l’arbitrato fu molto adoperato per le controversie civili e ne venne addirittura istituito uno obbligatorio per alcune materie[12]. Dunque, l’arbitrato non era visto come mezzo di esplicazione dell’autonomia delle parti per mezzo di un compromesso arbitrale, ma come un quid di obbligatorio a carattere non soltanto deflattivo, ma anche di semplificazione procedurale, visto che non erano previste forme solenni (a differenza della giurisdizione ordinaria).
Per ciò che attiene, invece, alla disciplina del compromesso arbitrale nel codice del 1865, è necessario sottolineare come la stessa sia una sorta di compromesso fra due esigenze: quella liberale e quella autoritaria[13]. La relazione del ministro Pisanelli attribuì una forte rilevanza all’autonomia negoziale, stabilendo che “la facoltà di preferire alla giurisdizione ordinaria dei tribunali stabilita dalla legge quella privata degli arbitri deriva dai principi di ragion comune, poiché è una conseguenza naturale del diritto di obbligarsi e di disporre delle cose proprie”. L’autonomia negoziale, dunque, era direttamente ricollegabile alla modalità di esercizio delle situazioni giuridiche soggettive.
Nel periodo fascista mutò radicalmente l’angolatura prospettica d’inquadramento dell’istituto. Ciò in quanto si passò dalla prospettiva del litigante reclamante giustizia a quella del giudice che deve dirimere la controversia. Dunque, ci fu il passaggio dalla prospettiva dell’autonomia negoziale a quella rituale[14].
2) La convenzione arbitrale come negozio giuridico: struttura e funzione come indici di qualificazione
Odiernamente, la questione dell’autonomia negoziale non riguarda l’arbitrato come rito, bensì la convenzione arbitrale (compromesso o clausola compromissoria) come negozio giuridico. Per comprendere bene il passaggio, bisogna partire dall’evoluzione della concezione di autonomia contrattuale.
La tesi storica (sandulliana) che riconnetteva all’autonomia contrattuale il mero potere di disposizione in senso stretto[15], infatti, è stata superata dalla tesi ferriana. Questa riconosce anche il potere di accertamento e di composizione negoziale della lite[16]. Dall’ampiezza dell’autonomia contrattuale deriva una necessaria protezione dei paciscenti che non si estrinseca esclusivamente nel controllo di meritevolezza ma, preventivamente, si riverbera anche negli elementi essenziali del contratto, a volte stravolgendone i dogmi e gli assiomi. Si pensi alla forma come funzione o alla valutazione in chiave assiologica non solo della causa, ma dell’intero contenuto[17].
Fatte queste premesse di carattere sistematico, è necessario concettualizzare la convenzione arbitrale.
Si tratta del negozio giuridico in virtù del quale le parti si impegnano a trasferire ad uno o più terzi la risoluzione giudiziale di una o di una molteplicità di liti[18]. Se la volontà delle parti è orientata all’effetto di deferire liti già insorte, si parla di compromesso arbitrale[19]. Nel caso in cui, invece, le liti deferende siano puramente eventuali e future, si parla di clausola compromissoria[20].
Quest’ultima non è un elemento accidentale del contratto all’interno del quale è inserita, ma ha una propria individualità e autonomia funzionale[21]. Ciò non è rilevante soltanto da un punto di vista dogmatico, ma anche prasseologico. Si pensi al fatto che, ad onta dell’autonomia funzionale della clausola compromissoria, un cessionario di un diritto di credito derivante dal contratto entro cui la clausola è inserita, non subentrerà automaticamente nella stessa. Quindi, il cessionario non potrà opporre la clausola compromissoria al ceduto, a differenza di quest’ultimo che invece può avvalersene, altrimenti si vedrebbe privato del diritto di far decidere ad arbitri le controversie sul credito in forza di un accordo tra cedente e cessionario al quale egli è rimasto estraneo[22].
Sempre a causa dell’autonomia funzionale della clausola compromissoria, la giurisprudenza[23] sottolinea come quest’ultima contenuta in un contratto non consente di estendere la deroga alla competenza del giudice ordinario ed il deferimento agli arbitri a controversie relative ad altri contratti, ancorché gli stessi risultino collegati a quello principale cui accede la medesima clausola. Conseguentemente, la clausola compromissoria avente ad oggetto le controversie relative al rapporto sociale non si estende alla controversia relativa al rapporto interno fra fiduciante e fiduciario[24].
In tema di scissione societaria, invece, secondo un recente orientamento della corte di Cassazione, la società nata dalla scissione subentra nel preesistente rapporto contrattuale facente capo a quella scissa, in virtù di una successione a titolo particolare nel diritto controverso, con la conseguenza che la clausola compromissoria per arbitrato rituale in origine pattuita rimane efficace[25].
Deroghe palesi in relazione all’autonomia della clausola compromissoria si sono verificate anche con riguardo all’appalto pubblico. Secondo la giurisprudenza, in ipotesi di conclusione di un contratto nell'ambito di una procedura ad evidenza pubblica annullata dal giudice amministrativo con sentenza passata in giudicato, la invalidità della procedura si riflette su tutti gli aspetti negoziali successivamente stipulati, che hanno avuto come presupposto i provvedimenti amministrativi caducati. Di talché l’invalidità dell'atto di aggiudicazione dell'appalto di un servizio pubblico, la quale esclude che l'Amministrazione possa legittimamente stipulare il contratto con l'apparente aggiudicatario e, pertanto, inserire nello stesso una clausola compromissoria, determina la invalidità anche di questa[26].
Autorevole dottrina[27] rintraccia la natura negoziale della convenzione arbitrale dallo stesso art 806 c.p.c., in virtù del fatto che in forza dello stesso le parti esprimerebbero, litteris, la volontà di deferire a terzi, in luogo dell’autorità statale, una decisione attinente a doglienze attuali o eventuali. Tale dichiarazione di volontà si inserirebbe nella categoria del negozio giuridico poiché postulata dall’ordinamento giuridico e poiché gli effetti programmati dalle parti sarebbero da quest’ultimo garantiti[28]. Si tratterebbe di atti di volontà privata per mezzo dei quali i paciscenti decidono di avvalersi dell'autorità arbitrale (privata), in sostituzione del senso di giustizia pubblico[29]. Questo è il motivo per cui c’è chi ritiene che l’arbitrato sia una vera e propria forma di giustizia privata[30].
Una volta chiarito che la convenzione arbitrale, sia nella forma di compromesso che di clausola compromissoria, sia un negozio giuridico, è bene che l’interprete si interroghi ulteriormente, chiedendosi se trattasi di contratto oppure no. La risposta è senz’altro positiva visto che si parla di un accordo teleologicamente orientato a costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici patrimoniali[31].
Tale natura non cambia anche allorquando le parti ricorrano alla giustizia arbitrale per dirimere doglianze aventi ad oggetto rapporti che non sono contrattuali, come in tema di successioni mortis causa o in tema di rapporti condominiali. In questi casi, infatti, si tratta di un contratto stipulato al fine di risolvere in via arbitrale questioni non contrattuali.
La funzione della convenzione arbitrale varia a seconda che si tratti di compromesso arbitrale o clausola compromissoria. Infatti, mentre nel primo caso la sintesi degli effetti essenziali è quella di deferire una lite pendente a un terzo arbitro, nel secondo caso la funzione è quella di deferirne una eventuale. Nel secondo caso, dunque, la fattispecie contrattuale assolve anche una funzione preventiva.
Non bisogna confondere la convenzione di arbitrato con il contratto di arbitrato, figura contrattuale utilizzata per accedere al procedimento arbitrale. In altre parole, si tratta di quel negozio che si conclude tra le parti e gli arbitri e che lega in modo autonomo ogni parte ad ogni arbitro[32].
I due contratti, dunque, secondo la dottrina tradizionale, devono considerarsi autonomi sul piano funzionale e strutturale, nonostante il fatto che l’interesse delle parti debba essere valutato globalmente[33]. Mentre il contratto di arbitrato è destinato a perfezionarsi con l'accettazione da parte dell'arbitro o degli arbitri che si costituiscono in collegio[34], la convenzione arbitrale si perfeziona soltanto con il consenso delle parti che all’arbitrato vogliono ricorrere.
Dunque, il contratto di arbitrato, a differenza della convenzione, ha una struttura necessariamente plurilaterale.
La clausola compromissoria o il compromesso arbitrale possono prevedere un arbitrato rituale o irrituale. Secondo la giurisprudenza di merito e di legittimità, la differenza tra l'uno e l'altro tipo di arbitrato non può imperniarsi sul rilievo che con il primo le parti abbiano demandato agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice, ma va ravvisata nel fatto che, nell'arbitrato rituale, le parti vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all'art. 825 cod. proc. civ., con l'osservanza delle regole del procedimento arbitrale, mentre nell'arbitrato irrituale esse intendono affidare all'arbitro (o agli arbitri) la soluzione di controversie (insorte o che possano insorgere in relazione a determinati rapporti giuridici) soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà[35].
La convenzione arbitrale, dunque, prevede la risoluzione di una lite mediante uno strumento di natura privata, e non pubblica[36].
3) Convenzione arbitrale e forma come funzione
Si è già detto che gli artt. 807 e 808 c.p.c. parlano rispettivamente di compromesso arbitrale e di clausola compromissoria. L’art 807 c.p.c. prevede per il compromesso arbitrale la forma scritta come requisito di validità del contratto[37]. La mancanza della forma scritta, infatti, produce la nullità del contratto di compromesso arbitrale. Il secondo comma dell’articolo ivi richiamato chiarisce quali siano le forme scritte ritenute valide, considerando i nuovi strumenti oggi a disposizione grazie all’avanzamento della tecnica. In aggiunta al telegrafo e alla telescrivente, si tengono in considerazione il fax e i messaggi telematici, con espresso richiamo alla normativa, anche regolamentare, concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti trasmessi in via telematica (a tal riguardo si richiamano gli artt. 20, 21, 71, D.Lgs. 7.3.2005, n. 82, Codice dell'amministrazione digitale[38]).
Secondo dottrina e giurisprudenza il requisito della forma scritta "ad substantiam" richiesto per la validità del compromesso e della clausola compromissoria non postula che la volontà negoziale sia indefettibilmente espressa in un unico documento recante la contestuale sottoscrizione di entrambe le parti, potendo, per converso, realizzarsi anche quando la seconda sottoscrizione sia contenuta in un documento separato, purché inscindibilmente collegato nei contenuti al primo da un punto di vista funzionale[39].
L’art 808 c.p.c. estende alla clausola compromissoria gli stessi requisiti di forma del compromesso arbitrale. A riguardo, è doveroso ricordare quanto detto in precedenza, cioè che la clausola compromissoria è autonoma rispetto il contratto cui accede fisicamente[40]. Per tali ragioni, eventuali patologie del contratto acceduto non si ripercuotono sulla clausola compromissoria accedente, in quanto la stessa ha una autonoma causa da valutarsi in concreto.
Bisogna inoltre segnalare la presenza di un orientamento ermeneutico di matrice giurisprudenziale secondo il quale il principio dell'autonomia della clausola compromissoria rispetto al negozio di riferimento vale in relazione all'arbitrato rituale, che si attua, per volontà delle parti, mediante l'esercizio di una potestà decisoria alternativa rispetto a quella del giudice istituzionale e si risolve in un lodo avente tra le parti la stessa efficacia di sentenza, ma non può essere invocato in relazione all'arbitrato irrituale, avente natura negoziale e consistente nell'adempimento del mandato, conferito dalle parti all'arbitro, di integrare la volontà delle parti stesse dando vita ad un negozio di secondo grado, il quale trae la sua ragione d'essere dal negozio nel quale la clausola è inserita e non può sopravvivere alle cause di nullità che facciano venir meno la fonte stessa del potere degli arbitri[41].
La giurisprudenza distingue, ritenendo ad substantiam la forma relativa al compromesso o alla clausola compromissoria aventi ad oggetto un arbitrato rituale e distinguendo con riguardo alle convenzioni arbitrali che rimandano ad un arbitrato irrituale.
In particolare, secondo l’orientamento tradizionale, la forma scritta a pena di nullità è richiesta, ai sensi dell'art. 807 c.c., unicamente con riguardo al compromesso per arbitrato rituale, mentre, per l'arbitrato irrituale, tale forma è richiesta solo se esso concerne rapporti giuridici per i quali è prevista la forma scritta ad substantiam ai sensi dell'art. 1350 c.c., dovendosi, negli altri casi, fare riferimento all'art. 1967 c.c. che prevede la forma scritta ad probationem[42].
Nel caso di specie, la giurisprudenza ritenne non richiesta la forma scritta a pena di nullità nel caso di compromesso per arbitrato irrituale relativo ad un rapporto di locazione di durata infranovennale, anche se avente ad oggetto immobili adibiti ad uso diverso da abitazione (per i quali il diniego alla rinnovazione tacita è consentito, ai sensi degli art. 28 e 29 l. 27 luglio 1978 n. 392, solo nei casi tassativamente previsti), posto che l'art. 1358 n. 8, c.c. richiede la forma scritta a pena di nullità solo per quei contratti che originariamente prevedono una locazione di durata superiore ai nove anni, laddove, nelle ipotesi di cui agli art. 28 e 29 legge citata, il rinnovo è pur sempre eventuale (sia pure nei limiti espressamente previsti) e tale eventualità esclude l'unicità della durata ultranovennale dalla quale l'art. 1358 n. 8, c.c. fa discendere la necessità della forma scritta ad substantiam.
Per ciò che riguarda la forma ad probationem, la giurisprudenza ha affermato che la prova può essere costituita da qualsiasi attestazione scritta circa l’esistenza del mandato compromissorio, anche se successiva alla pattuizione e a carattere meramente ricognitivo, purché attribuibile alle parti. Pertanto, un documento, quale la conferma d'ordine, formato dal mediatore ai sensi dell'art. 1760, n. 3, c.c., da questo solo sottoscritto, ed inviato alle parti, che contenga la conferma dell'avvenuto accordo compromissorio, facendo salva la volontà delle parti di comunicare allo stesso mediatore il loro eventuale dissenso, costituisce prova del compromesso per arbitrato irrituale ove tale dissenso non sia stato manifestato[43].
La giurisprudenza, inoltre, ha stabilito che la clausola compromissoria per arbitrato irrituale, anche quando non sia richiesta la stipula in forma scritta come requisito di validità, se è generica ed indeterminata è nulla. Ai fini della stipula di una clausola compromissoria "per relationem", il rinvio al documento esterno che la contiene deve invero contenere un richiamo espresso e specifico alla stessa[44].
Alla luce dell’analisi del dato pretorio e dottrinale oggetto di analisi, è lecito interrogarsi circa il ruolo della forma nella clausola compromissoria e nel compromesso. Per far ciò l’interprete deve individuare precipuamente gli interessi che giustificano la deroga al principio di libertà dei vestimenta, anche trascendendo dai tradizionali modi di intendere la forma come veicolo attraverso il quale l’assetto degli interessi delle parti viene manifestato ab esterno[45] o come mero vestimento formale del negozio.
Bisogna, dunque, passare da un’analisi strutturale del requisito della forma ad una funzionale[46], tale per cui la forma non è soltanto struttura ma è anche funzione[47]. Secondo la dottrina unanime, le funzioni della forma sono molteplici. Si parla di funzione costitutiva, probatoria, pubblicitaria, di opponibilità erga omnes, di risoluzione dei conflitti, di protezione, di controllo del contenuto e di razionalizzazione del mercato. Sicuramente, con riferimento alle convenzioni arbitrali non è peregrino affermare che la forma ha anche una funzione di controllo del contenuto del negozio che, come è noto, può avere ad oggetto soltanto controversie “arbitrabili”.
Inoltre, l’approccio funzionale alla forma evidenzia che in questi casi la stessa è finalisticamente orientata e rendere evidente l’esternazione della volontà dei paciscenti che, ad ogni modo, rinunciano alla definizione giudiziale delle controversie. Quando si parla di forma nella convenzione arbitrale, dunque, non si può prescindere da considerazioni di matrice teleologica e assiologica.
4) La disponibilità del diritto tra norme inderogabili e imperative
L’art 806 del c.p.c., secondo parte della dottrina, è un indice di consacrazione del principio della libertà di stipulare la convenzione arbitrale, richiedendo quale unica condicio sine qua non il carattere disponibile dei diritti oggetto della controversia[48].
A riguardo, è razionale l’equazione logica “compromettibilità del diritto uguale disponibilità dello stesso”[49]. Inoltre, è necessario evidenziare come il legislatore abbia inteso dare maggior spazio applicativo alla convenzione arbitrale rispetto alla transazione. Quest’ultima, infatti, prevede il requisito della transigibilità della lite che è molto più restrittivo, visto che un diritto disponibile può non essere transigibile. A riprova di ciò si tenga in considerazione l’art 1972[50].
C’è anche chi afferma il contrario, cioè che l’alveo della disponibilità sia più ristretto di quello della transigibilità[51]. Infine, una terza tesi, ad usum delphini, ritiene sovrapponibili i due concetti[52]. Secondo altra parte della dottrina, il mancato richiamo ai diritti che possono essere oggetto di transazione (come avveniva in passato) evita anche un gravoso doppio passaggio ermeneutico[53].
La ratio della necessaria disponibilità del diritto risiede nel fatto che mentre il giudice decide iure imperii, l’arbitro esplica le sue funzioni iure privatorum in forza di una determina negoziale che involge i paciscenti[54]. L’area della convenzione arbitrale, dunque, riguarda la sfera dell’autonomia negoziale privata. A riprova di ciò, la Corte di Cassazione ha affermato che è preclusa la compromettibilità in arbitri delle controversie relative ad interessi legittimi, con riferimento alle posizioni soggettive dei privati su cui incidono gli atti autoritativi della P.A., in quanto sottratte alla disponibilità delle parti[55].
Mentre la dottrina sottolinea che l’indisponibilità del diritto non deve essere confusa con l’inderogabilità della norma applicabile al caso concreto[56], in giurisprudenza non c’è unanimità di vedute. Un primo orientamento giurisprudenziale, ritiene valida la clausola compromissoria deferente ad arbitri le controversie relative all'aggiornamento del canone dei contratti di locazione ad uso non abitativo, nonostante la presenza di norme inderogabili quali gli artt. 32 e 79 l. n. 392/1978[57]. Sulla base di questo ragionamento, la giurisprudenza ritiene arbitrabili le controversie in materia societaria[58].
Un secondo filone giurisprudenziale, con riguardo alle controversie aventi ad oggetto il bilancio, tende ad affermare che non sono compromettibili in arbitri le controversie che hanno ad oggetto l'accertamento della violazione delle norme “inderogabili” dirette a garantire la chiarezza e precisione del bilancio[59].
In questi casi, dunque, sembra esserci una equiparazione fra il piano dell’inderogabilità della norma e quello della disponibilità del diritto. In realtà, alla luce di una attenta analisi, si comprende come il termine “inderogabili” sia stato utilizzato in maniera atecnica, essendo le norme volte a garantire trasparenza e precisione del bilancio imperative, in quanto tutelano interessi metaindividuali.
In particolare, le norme che disciplinano la contabilità sociale, con la finalità di assicurare la chiarezza e la precisione dei bilanci, hanno natura imperativa poiché contengono principi dettati a tutela, oltre che dell'interesse dei singoli soci ad essere informati dell'andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell'affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere l'effettiva situazione patrimoniale e finanziaria dell'ente, e sono pertanto inderogabili, in quanto la loro violazione rende illecita, e quindi nulla, la delibera di approvazione[60].
Da un punto di vista prasseologico, dunque, l’indisponibilità tende a essere presente nel caso di norme imperative. La giurisprudenza ha affermato che le controversie in materia societaria possono formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società e che concernono la violazione di norme poste a tutela dell'interesse collettivo dei soci o dei terzi; pertanto non sono compromettibili e devolvibili al giudizio di arbitri le controversie riguardanti lo scioglimento della società.
Tale principio si applica anche in ipotesi di società di persone, la quale costituisce, sia sul piano sostanziale che processuale, un centro autonomo di rapporti intersoggettivi diversi e distinti da quelli facenti capo ai singoli soci[61]. Non sono compromettibili, dunque, neanche deliberazioni assembleari di società aventi oggetto illecito o impossibile, le quali danno luogo a nullità rilevabili anche d’ufficio dal giudice. Questo poiché violano norme imperative che, ontologicamente, non possono prestarsi ai meccanismi della compromettibilità negoziale in quanto teleologicamente orientata alla salvaguardia di interessi superindividuali.
Dunque, è evidente come la differenza fra il concetto di norma imperativa e norma inderogabile si rifletta sulla qualificazione del diritto come disponibile o non. Ciò incide non soltanto sull’oggetto della convenzione arbitrale e della lite, ma sull’interno contenuto del negozio che non può prescindere da valutazioni assiologiche che sono la luce riflessa del carattere imperativo o non della norma.
5) Criteri di interpretazione della convenzione arbitrale con particolare riguardo al collegamento negoziale
L’interpretazione della convenzione arbitrale è disciplinata dall’art 808 quater c.p.c. che si limita a stabilire che, nel dubbio, la convenzione d'arbitrato si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce. Tale norma, dunque, non fornisce elementi ed indicazioni circa le modalità di interpretazione della convenzione arbitrale. A tal punto, dunque, è importantissima l’operazione di qualificazione della convenzione arbitrale come contratto, dal momento che permette l’applicazione degli artt. 1362 ss[62]. Di conseguenza, l’art 808 quater diventa un criterio ermeneutico che si aggiunge agli altri tradizionali che caratterizzano l’interpretazione del contratto in generale[63].
Recentemente la Corte di Cassazione ha affermato che la portata della convenzione arbitrale che contenga l'indicazione delle liti da devolvere ad arbitri con riferimento a determinate fattispecie astratte ( come l'"interpretazione" e "l'esecuzione" del contratto) va ricostruita, ex art. 1362 c.c., sulla base della comune volontà dei compromettenti, senza limitarsi al senso letterale della parole; sicché, quando la clausola contenga il riferimento a definizioni giuridiche come sintesi del possibile oggetto delle future vertenze, esse non assumono lo scopo di circoscrivere il contenuto della convenzione arbitrale, in quanto un'interpretazione restrittiva della clausola comporterebbe la necessità di sottoporre a due diversi organi (arbitro e giudice ordinario) la decisione di questioni strettamente collegate tra loro con una dilatazione dei tempi di giudizio[64].
Il punctum prudens della tematica riguarda in particolar modo il rapporto fra interpretazione estensiva della clausola compromissoria e rapporti negoziali complessi, con particolare riferimento al collegamento negoziale. Questo perché l’art 1365 c.c. afferma che quando in un contratto si è espresso un caso al fine di spiegare un patto, non si presumono esclusi i casi non espressi, ai quali, secondo ragione, può estendersi lo stesso patto.
Secondo la giurisprudenza, la clausola compromissoria deve essere interpretata fino a ricomprendere tutte le controversie che si riferiscono a pretese aventi la loro causa petendi nel contratto medesimo[65], rientrando nell’oggetto della convenzione arbitrale, implicitamente, anche il deferimento ad arbitri circa l’accertamento del carattere simulato del contratto sul quale si fonda la pretesa[66] o fatti anteriori alla stipula della clausola compromissoria[67].
L’interpretazione estensiva, secondo la cassazione, trova un limite perché la clausola compromissoria contenuta in un determinato contratto (nella specie, di locazione) non estende i propri effetti alle controversie relative ad altro contratto (nella specie, di sublocazione), ancorché collegato a quello principale[68].
Una parte della dottrina, invece, con riguardo ai negozi collegati e all’applicazione della clausola compromissoria distingue fra: a) il caso in cui la clausola compromissoria sia contenuta in contratto collegato con altri contratti stipulati da persone diverse; b) il caso in cui il collegamento sia fra contratti stipulati fra i medesimi soggetti[69]. Nell’ultimo caso, anche coerentemente all’orientamento della giurisprudenza francese teorizzante la teoria del consenso indiretto, la clausola arbitrale sarebbe estendibile al negozio collegato[70]. Nel caso in cui, invece, il collegamento negoziale involga negozi collegati stipulati con altre parti (terze rispetto alla stipula della clausola compromissoria), opererebbe il limite all’estensione della clausola[71].
[1] D. Friedmann, Diritto e morale nelle storie bibliche, Milano, 2008, p. 23
[2] M.Marrone, Sull'arbitrato privato nell'esperienza giuridica romana, in Rivista dell’arbitrato VI.1, 1996
[3] B. Albanese, Il processo privato romano delle «legis actiones, Palermo, 1987
[4] E. Betti, Diritto romano, I, Padova, 1935, p. 493 e ss.
[5] G.Levi, Arbitrato nel diritto privato italiano, in AA.VV, Digesto di diritto civile, 2012, in banca dati Wolter Kluwers.
[6] M.Marrone, op. cit.
[7] M. Talamanca, Conventio e stipulatio nel sistema dei contratti romani, in Le droit romain et sa reception en Europe, Varsavia, 1973, passim.
[8] M. Marrone, op cit.
[9] Ulp. D. 4,8,27,7.
[10] G. Scaduto, Gli arbitratori, Palermo, 1923, XI, 28, n. 2.
[11] G. Levi, op. cit.
[12] Garetto, «Arbitro e arbitratore (diritto intermedio)», in NN.D.I., I, 2, Torino, 1958, 928.
[13] G. Alpa-V.Vigoriti, Arbitrato (nuovi profili), in Digesto, banca dati Leggi d’Italia, 2011.
[14] S.Izzo, la convenzione arbitrale nel processo: studio sui rapporti fra arbitro e giurisdizioni statuali, Torino, 2015, p.50
[15] F. Santoro Passarelli, Negozio e giudizio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1956, pag. 1157, ss; a riguardo si rimanda anche all’illuminante descrizione di Crotti. L., La convenzione arbitrale, in dirittoegiustizia.it
[16] M. Giorgianni, Accertamento (negozio di), ora in Scritti minori, Napoli, 1988,336, ss; Crotti. L., op cit.
[17] Sullo stravolgimento del contratto come dogma e della funzione dei suoi elementi essenziali si rimanda a F. Criscuolo, “Autonomia negoziale e autonomia contrattuale”, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2008, pp. 344 e ss.
[18] P.Perlingieri, Manuale di diritto civile, Napoli, 2017, p. 815.
[19] Vedi art. 806 cpc.
[20] Vedi art. 808 cpc.
[21] Cassazione civile , sez. I , 08/02/2005 , n. 2529, Giust. civ. 2006, 1, I , 174.
[22] Cass. civ. Sez. Unite, 17/12/1998, n. 12616, in Mass. Giur. It., 1998
[23] Cass. civ. Sez. VI - 1 Ord., 13/09/2019, n. 22903, in quotidiano giuridico 2019
[24] Ibidem
[25] Cass. civ. Sez. VI - 2 Ord., 16/05/2019, n. 13192, in CED Cassazione, 2019.
[26]Cass. civ. Sez. III, 14/07/2016, n. 14348, in Massima redazionale, 2016
[27] G.Levi, op cit.
[28] ibidem
[29] F. Carpi, L'arbitrato, Bologna, 2007.
[30] M.Bove, Giustizia privata, Padova, 2009, pp. 1-23.
[31] G. Levi, op.cit.
[32] Si rimanda a L. Barbareschi, Gli arbitrati, Milano, 1937, p. 101, nonché a F. Carnelutti, Istituzioni del processo civile italiano, Roma, 1936, p. 66.
[33] R. Vecchione, L'arbitrato nel sistema del processo civile, Milano, 1971, p. 401.
[34] F. Criscuolo, La regolamentazione negoziale del procedimento arbitrale, in Rivista dell'Arbitrato, fasc.3, 2015, pag. 479.
[35] Tribunale, Roma, Sez. spec. Impresa, 26/01/2018, n. 1885, in Redazione Giuffrè 2018; Cassazione civile, sez. I, 30/10/2014, n. 23074, in Giustizia Civile Massimario 2015.
[36] Cassazione civile, sez. I , 01/04/2011 , n. 7574, in Giust. civ. Mass. 2011, 4, 532
[37] G. Schizzerotto, Dell'arbitrato, 3ª ed., Milano, 1988, p. 163.
[38] Vedi AA.VV, Commentario del codice di procedura civile, VII, tomo terzo, Milano, 2014, artt. 707 e 708.
[39] Cass. civ. Sez. I, 22/02/2000, n. 1989, in Mass. Giur. It., 2000; Cass. civ. Sez. I, 02/02/2007, n. 2256 (rv. 595059), in Mass. Giur. It., 2007; Cassazione civile, sez. I, 30/09/2010, n. 20504, in Riv. arbitrato 2011, 1 , 69 NOTA (s.m.) (nota di: UNGARETTI DELL'IMMAGINE); R.Vaccarella- G.Verde, Dell'arbitrato, Torino, 1997, p.26
[40] V. par. 2
[41] Cass. civ. Sez. I, 16/06/2000, n. 8222, in Mass. Giur. It., 2000.
[42] Cassazione civile sez. un., 14/05/1997, n.4258, in Giust. civ. 1998, I,2001 (nota di: CEROLINI)
[43] Cassazione civile, sez. I, 07/07/1999, n. 7048, in Giust. civ. Mass. 1999, 1587
[44] Cassazione civile, sez. II, 12/09/2011, n. 18679, Rivista dell'Arbitrato 2013, 4, 949 NOTA (s.m.) (nota di: MOTTO)
[45] F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, 9ª ed., Napoli, 1989, p. 135
[46] Sulle funzioni della forma si rimanda a C.M. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 2000, 278 ss.
[47] Sulla forma come funzione si rimanda a F. Criscuolo, op cit.
[48] A. Barletta, La “disponibilità” dei diritti nel processo di cognizione e nell'arbitrato, in Riv. dir. proc., 2008, 979 ss.
[49] A. Spatuzzi, L'indisponibilità del diritto soggettivo quale limite di arbitrabilità delle controversie, in Riv. arb., 2014, p. 763
[50] Sulla differenza fra transigibilità e disponibilità si rimanda a F. Criscuolo, op Cit.
[51] A. Motto, Art. 806. Controversie arbitrabili, in Briguglio A. e Capponi B. (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, III, 2, Padova, 2009, passim.
[52] Si rimanda a G. Verde, Lineamenti di diritto dell'arbitrato, Torino, 2010, passim.
[53] F. Danovi, L'arbitrato di famiglia in Italia, tra antitesi e possibili consonanze, in Rivista dell'Arbitrato, fasc.1, 2016, pag. 49
[54] G. Ruffini, Arbitrato e disponibilità dei diritti nella legge delega per la riforma del diritto societario, in Riv. dir. proc. 2002, p. 149
[55] Cassazione civile, sez. I, 31/01/2014, n. 2126, in Giustizia Civile Massimario 2014.
[56] E. Ricci, Dalla «transigibilità» alla «disponibilità» del diritto. I nuovi orizzonti dell'arbitrato, in Riv. arb. 2006, p. 265
[57] Cassazione civile , sez. un. , 15/06/2017 , n. 14861, in Rivista Giuridica dell'Edilizia 2017, 4, I , 859
[58] Cassazione civile , sez. VI , 31/10/2018 , n. 27736, in Giustizia Civile Massimario 2018; Cassazione civile , sez. VI , 27/06/2013 , n. 16265, in Giustizia Civile Massimario 2013.
[59] Cassazione civile, sez. VI, 10/06/2014, n. 13031, in Giurisprudenza Commerciale 2016, 4, II, 737 NOTA (s.m.) (nota di: CORSI); Cassazione civile , sez. VI , 10/09/2015 , n. 17950, in Giurisprudenza Commerciale 2016, 4, II , 737 NOTA (s.m.) (nota di: CORSI);
[60] Tribunale, Bologna, Sez. spec. Impresa, 14/02/2018, n. 489, in Ilsocietario.it 2018
[61] Cassazione civile , sez. I , 19/09/2000 , n. 12412, in Giust. civ. 2001 , I, 405 (nota di: VIDIRI)
[62] F. Sangermano, Criteri di interpretazione della clausola compromissoria, in Contratti, 2012, 1, p. 95 (nota a sentenza)
[63] Tribunale Milano Sez. VIII, 06/06/2011, in Società, 2011, 8, 973
[64] Cass. civ. Sez. VI - 3 Ord., 22/10/2018, n. 26553, in CED Cassazione, 2018
[65] Cass. civ. Sez. I, 22/12/2005, n. 28485, in Mass. Giur. It., 2005
[66] Cass. civ. Sez. III Ord., 31/05/2019, n. 14884, in Il caso.it, 2019
[67] Cass. civ. Sez. I Ord., 08/02/2019, n. 3795, in CED Cassazione, 2019
[68] Cass. civ. Sez. III Sent., 17/01/2017, n. 941, in CED Cassazione, 2017
[69] E. Zucconi Galli, Collegamento negoziale e efficacia della clausola compromissoria: il leasing e altre storie, in Riv. trim. dir. proc. civ., fasc.4, 2000, pag. 1085
[70] E. Zucconi Galli Fonseca, La clausola compromissoria nei contratti collegati fra le stesse parti, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, fasc.3, 1 SETTEMBRE 2019, pag. 827
[71] E. Zucconi Galli Fonseca, La clausola compromissoria nei contratti collegati fra parti diverse, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, fasc.4, 1 DICEMBRE 2019, pag. 1169