La crisi della certezza del diritto: cause e cenni sulle recenti prospettive di risoluzione
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Alessandro Carrà
Analisi delle singole cause che, nel passaggio da una concezione meramente formalistica del diritto ad una sostanzialistica, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, hanno messo in crisi il tradizionale concetto positivistico di certezza del diritto e breve prospettazione delle recenti soluzioni teorizzate
Sommario: 1. Per una contestualizzazione storico- politica: il tracollo del positivismo giuridico e il passaggio dal piano letterale della norma a quello dei valori che la sorreggono; 2. Le nuove concezioni e prospettive di recupero sulla certezza in seguito alla crisi del positivismo; 3. La natura bifronte delle costituzioni in relazione alla certezza del diritto: al contempo causa e soluzione dell’incertezza; 4.Il determinante ruolo dell’interpretazione e dell’interprete ai fini della (in)certezza del diritto ed il loro contributo essenziale nell’ottica di realizzazione della giustizia sostanziale; 5. Altre cause che hanno determinato la crisi della certezza: ipertrofia legislativa e ritardi nei procedimenti. Risvolti sociologici e prospettive di risoluzione.
1. Per una contestualizzazione storico-politica: il tracollo del positivismo giuridico e il passaggio dal piano letterale della norma a quello dei valori che la sorreggono
Una delle tematiche più controverse e dibattute nella dottrina giusfilosofica è quella relativa alla concreta applicazione del concetto di certezza del diritto. Da un punto di vista concettuale, a darne una descrizione estremamente sintetica per ragioni espositive, la certezza del diritto viene definita come prevedibilità delle decisioni giuridiche in relazione ad una data fattispecie; intendendo per decisone sia l’atto di decidere (prevedibilità dell’intervento), sia il contenuto dell’atto, cioè il significato e le conseguenze della decisione (prevedibilità del risultato dell’intervento)[1].
In concreto, risulta difficilmente ipotizzabile poter effettuare delle previsioni puntuali in merito al fatto che una normativa astrattamente applicabile ad una determinata fattispecie venga, o meno, applicata, e, anche ammettendo che sia possibile riuscirvi, risulta evidente l’impossibilità di prevedere esattamente ex ante il cum e il quantum di tale applicazione, in quanto variabili direttamente dipendenti dall’interpretazione dell’organo preposto all’operazione decisionale.
Considerando l’attuale contingenza politico-giuridica e sociale, ormai caratterizzata da un elevato livello di multiculturalità e, di conseguenza, da una molteplicità situazioni e rapporti variegati contemplati dall’ordinamento, è possibile affermare che la certezza del diritto risulta inevitabilmente condizionata dall’interpretazione e dal ragionamento dell’operatore giuridico chiamato ad applicare le norme, soprattutto, negli ambiti, quali ad esempio le decisioni dei giudici o gli atti discrezionali della P.A., in cui talvolta è fisiologica la previsione di un certo margine di discrezionalità riservato all’interprete.
Alla luce di un affastellato sistema normativo e delle fonti, la crisi del concetto di certezza, nell’ottica di una sua realizzazione fattuale, risiede, quindi, nella difficoltà di prevedere quale norma ed in che modo verrà applicata dai giudici e dagli altri operatori. L’interpretazione riveste, dunque, un ruolo cruciale nella prospettiva della realizzazione fattuale della certezza del diritto ed il suo risultato dipende tanto da variabili soggettive, quali le posizioni, le visioni ed i ragionamenti dell’interprete, quanto da variabili oggettive ed intrinseche all’ordinamento, derivanti dal margine di discrezionalità concesso all’interprete dalle norme che regolano la sua attività e a cui questa si riferisce.
La rilevanza concessa dall’ordinamento al ruolo dell’interprete, storicamente è conseguenza del declino del positivismo giuridico tradizionale, avvenuto in seguito alla Seconda guerra mondiale. Ragionando dal punto di vista sociologico, con la decadenza dell’ èthos individualistico-borghese vennero meno le esigenze di razionalizzazione, certezza formale e unità del diritto, che, fino ai primi due decenni del XX secolo, trovavano appieno la loro soddisfazione nello Stato quale unico creatore di diritto e nei processi di codificazione.
A partire dagli anni venti del secolo scorso, l’individualismo di stampo borghese lasciò spazio a un fervente nazionalismo, che, al contrario di come ci si auspicava, condusse alle grandi dittature in buona parte dell’Europa, che si rivelarono tutte esperienze sociologicamente, oltre che umanamente, disastrose, poiché tentarono, invano, di far confluire gli interessi disomogenei di società con ormai un alto livello di pluralismo in quelli dello Stato[2].
Emblematico è l’esempio del nazismo in Germania, che fallì nel tentativo di garantire una certezza sostanziale, a discapito di quella formale, attraverso l’introduzione del principio del giudice creatore di diritto[3], dal momento che pretese che gruppi disomogenei si identificassero, anche coattivamente, nei principi dello stato; il che, come ha affermato il filosofo del diritto Gianmarco Gometz, «diventa una mistificazione oppressiva in un gruppo come quello dell’odierno stato nazione , di natura prevalentemente societaria e complessa»[4].
Con l’emanazione delle carte costituzionali e l’elaborazione delle numerose teorie relative alla loro interpretazione, iniziò il tracollo di fondamentali impianti positivistici, quali la cd. “Tesi della separazione”, la finitezza del sistema e quella che Paolo Grossi definisce “ legalità legale”[5], ovverosia la coincidenza del diritto valido e legale con il contenuto letterale delle norme, che a sua volta coincide con la volontà del detentore del potere, i quali crollano sotto i colpi delle Costituzioni.
I predetti assunti positivistici vennero, poi, definitivamente superati grazie agli accordi internazionali e alle numerose organizzazioni transazionali che, progressivamente, si sviluppano a partire dagli anni ‘50 del secolo scorso, determinando, fra gli altri, quelli che oggi sono il diritto internazionale e quello dell’Unione.
La portata del principio di legalità, per cui sarebbe valido solo il diritto “codificato”, si riduce notevolmente alla luce del pluralismo delle fonti che gli ordinamenti odierni, considerati nel loro progressivo sviluppo dal dopoguerra in poi, sono stati costretti a sopportare[6].
Lo stesso accade per quanto riguarda la certezza del diritto intesa come prevedibilità, giacché le Costituzioni e le più importanti “Carte dei diritti” internazionali e comunitarie trasfondono i principi ai quali sono ispirate nelle norme in esse contenute, dettando spesso disposizioni programmatiche o di principio stesso, le quali necessitano di un complesso processo di interpretazione da parte dell’operatore chiamato ad applicarle e di quello tenuto a modulare l’interpretazione e l’applicazione delle leggi nazionali sulla base delle indicazioni, disposizioni e dei principi promananti da esse.
Questo fa si che, inevitabilmente, l’interprete sia chiamato a scegliere fra più norme e più significati da attribuire alle stesse, anche alla luce di quei principi, tra i quali merita una menzione particolare quello di ragionevolezza, caposaldo della nostra Costituzione, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e di molti altri testi normativi transnazionali.
La rinnovata attenzione per i principi, che erano a stento considerati all’interno delle tradizionali codificazioni positive, a causa di «quella loro carica di indefinitezza che arrivava a incrinare la solidità del sistema legale, sistema che era, doveva essere certo»[7], diede nuova linfa a quell’idea e concetto di giustizia che erano stati fortemente esclusi dalla tradizionale visione positivistica.
Il positivismo, quindi, nonostante le moderate aperture di illustri esponenti[8] e una limitata importanza attribuita al ruolo processi interpretativi e argomentativi[9] venne superato, a beneficio di altre teorie che si svilupparono e presero piede sulla scena giusfilosofica, fra le quali le teorie dell’argomentazione, il giusrealismo e le teorie post-positivistiche[10].
2. Le nuove concezioni e prospettive di recupero sulla certezza in seguito alla crisi del positivismo
La crisi del positivismo investì completamente il concetto formalistico di certezza-prevedibilità, infatti, caduto il concetto di sillogismo perfetto tra fattispecie, norma e risultato dell’applicazione[11] dove «tutta la creatività giuridica veniva a concentrarsi nella volontà del legislatore»[12], entra in scena il realismo giuridico, antiformalistico e fautore dell’interpretazione creativa del diritto[13], per il quale la validità di fatti e decisioni si determina a posteriori, così come il significato delle disposizioni.
In merito, il filosofo del diritto Luzzati afferma che: «Si passa da un sistema completamente imperniato sulla volontà del legislatore a un sistema completamente imperniato sulla volontà dei giudici di ultima istanza. A un volontarismo giuridico, dunque, ne succede un altro»[14].
Un esempio emblematico di questa ventata antilegalistica e antiformalistica viene offerto dalla (estrema) visione giusrealistica dello statunitense Jerome Frank[15], il quale accusa di arretratezza, sonnambulismo, scolasticismo, verbalismo, platonismo e mancanza di oggettività»[16], quei giuristi che sono ostinati a vedere la certezza come prevedibilità assoluta[17], arrivando, addirittura ad etichettare la certezza come un mito e come «l’origine di tanti malanni nella società d’oggi»[18].
Al di là di questa impostazione estremistica, che Norberto Bobbio classifica come “scientismo ingenuo”[19], è innegabile che nella seconda metà del secolo scorso il concetto di certezza del diritto abbia attraversato un periodo di crisi, che, spesso, ha scoraggiato anche i teorici all’avvicinarsi al tema[20].
Ciononostante, alcune teorie, quali quelle dell’argomentazione giuridica, o altre concezioni normative moderate, hanno tentato, spesso con risultati fruttuosi, di costituire una valida alternativa fra i due poli estremi del positivismo e del realismo.
Anche con riferimento alla certezza del diritto, alla luce del fatto che essa è, comunque, intesa come un presidio ideale della sfera di libertà del cittadino contro i pericoli dell’esercizio arbitrario del potere[21] e come mezzo imprescindibile per la “coesistenza ordinata dell’uomo”[22], le predette concezioni tentarono di costituire una valvola di sfogo contro ogni possibile deviazione volontaristica del concetto, ridefinendone il significato e spostando l’angolo visuale dal fatto, ora al procedimento[23], ora al piano dei valori condivisi da un popolo[24].
3. La natura bifronte delle costituzioni in relazione alla certezza del diritto: al contempo causa e soluzione dell’incertezza
Analizzando le singole cause che hanno maggiormente contribuito a quella che è stata definita “crisi della certezza”[25], fra cui meritano di essere segnalate, in particolare, le difformità interpretative, la lunghezza dei procedimenti, l’ipertrofia legislativa dovuta ad implementazione e rapida successione delle leggi e il ruolo delle Costituzioni, è probabile che proprio quest’ultima colpisca più facilmente coloro i quali si approcciano per le prime volte al tema.
Potrebbe, infatti, stupire il fatto che proprio le Costituzioni che incarnano i principi della società, i valori e, spesso, anche la morale di un popolo costituiscano una causa di incertezza del diritto.
Invero, solo apparentemente le Costituzioni sono causa di incertezza, poiché nel loro essere “ un ordine materiale di valori ”[26], anteponendo i principi alle norme e anche il punto di vista sostanziale a quello fattuale, si scontrano, vincendone le resistenze, contro alcuni pilastri positivistici della certezza-prevedibilità fattuale determinandone la crisi, ma, al contempo, aprono la via alla certezza sostanziale.
Infatti sia il primato della legge, sia la validità di essa vengono messe in discussione alla luce delle norme costituzionali, sicché «il sillogismo perfetto che vede la sua conclusione nella sentenza, dove tutta la creatività giuridica viene a concentrarsi nella volontà del legislatore»[27] non esiste più, la legge ordinaria deve sottostare alla Costituzione, dal punto di vista applicativo ed anche legislativo[28].
Questa primazia della legge costituzionale è espressa chiaramente dal professore Giovanni Conso, il quale afferma che: «A maggior ragione, in quanto diritto vigente, le norme costituzionali devono costantemente guidare l’attività dell’interprete verso due binari: tutte le volte che una disposizione di legge ordinaria si presti a più interpretazioni, si deve optare per quella più conforme alla Costituzione […] ; tutte le volte che una disposizione di legge ordinaria non consente un’interpretazione conforme alla Costituzione o, pur consentendola, viene normalmente intesa in senso non costituzionale, […] , si deve immediatamente provocare l’intervento della Corte costituzionale» [29].
Prendendo in considerazione una Costituzione come la nostra, imperniata su determinati valori[30], che si esprime per norme programmatiche, dove alcune disposizioni sono l’enunciazione formale dei principi che la reggono, risulta evidente che essa necessita di essere tutelata anche dal legislatore ordinario, con l’enunciazione di previsioni legislative che tendano ad attuare quanto prospettato a livello costituzionale[31]. La Costituzione è definita come l’insieme dei principi fondamentali applicati dai giudici [32], con essa si ha «lo spostamento del criterio di valutazione dalla prescrittività legale all’apprezzamento del valore degli interessi, […] , non la mera legalità, ma diritto conformato a giustizia» [33] ed ancora «è la garanzia per i cittadini contro i possibili abusi che i detentori del potere possono commettere ed è un limite alla libertà di questi»[34]. Tutte queste definizioni pongono l’accento sul principio, che per dirsi realizzato deve farlo dal punto di vista sostanziale e non può accontentarsi di essere recepito nelle norme, ma deve emergere e risultare dall’effettiva applicazione delle norme al caso concreto[35].
«La costituzione è un complesso di principi e valori che sono in parte sottratti alla controversia politica» [36], ma, ed è questo uno dei riflessi maggiori sul problema della certezza, quando si tratta di trasfondere i valori e i principi nel caso concreto, colui che è chiamato al'applicazione concreta della norma, non può essere, come prevedevano i canoni della certezza positivistica, un mero traduttore[37]; egli, invero, è un interprete, in quanto è la costituzione stessa a chiamarlo a compiere un' interpretazione della legge conforme ad essa[38].
La legge stessa, dovendo essere continuamente interpretata secondo la Costituzione e dovendola rispettare nella propria formulazione per non incappare nel rischio di una dichiarazione d’incostituzionalità, perde quella caratteristica strutturale di longevità e stabilità nel tempo che aveva contribuito a rinsaldare il concetto di certezza formale.
Contestualizzando quest’ultima considerazione nel nostro ordinamento, la struttura rigida della Costituzione non si concreta in certezza, in quanto priva in partenza ogni norma ordinaria della sicurezza della sua validità, la quale può essere sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale, secondo le due vie a disposizione[39], per un numero non limitato di volte[40].
Sebbene la Costituzione sia lo specchio della società e la sua attuazione corrisponde alla nostra evoluzione[41], al punto che taluno afferma, addirittura, che «la certezza del diritto cui si deve mirare è la certezza che la Costituzione sia attuata»[42], e, sebbene il pluralismo giuridico che essa determina è una conseguenza voluta per venire incontro al pluralismo sociale dei nostri tempi, in modo da cercare di garantire un maggior grado di giustizia sostanziale, è innegabile che la Costituzione determini delle questioni che, se non affrontate e risolte, possono risultare deleterie sul fronte della realizzazione della certezza fattuale.
Una delle questioni più rilevanti è legata al fatto che con la Costituzione si sia passati dalla norma positiva espressa al piano dei principi fondamentali sottesi alla norma, che, in quanto tali, hanno bisogno di essere interpretati per essere attuati[43]; pertanto, all’interpretazione e, soprattutto all’interprete, viene affidato un ruolo di primaria importanza nel mondo del diritto e, segnatamente, nell’ambito della certezza, ossia quello di garantire che la legge venga interpretata e, successivamente, applicata rispettando i principi fondamentali della Costituzione.
E’ vero, dunque, che la Costituzione fornisce un valido salvagente per quanto riguarda l’interpretazione, essendo al contempo parametro e fine a cui l’interprete deve tendere[44], ma, troppo spesso, è proprio l’interpretazione della Costituzione in presenza di complesse fattispecie a suscitare problemi, giacché tale operazione è un atto che attiene alla sfera umana, e, in quanto tale, per quanto possano essere ferree le regole a cui quest’operazione è sottoposta[45], bisognerà sempre fare i conti con delle componenti soggettive che influenzeranno la scelta.
A ciò si aggiunga che in Italia il numero dei ricorsi obera la Corte Costituzionale, determinando lungaggini nei procedimenti ed eccessivi ritardi e che spesso, la Corte di Cassazione, alla quale è affidata la funzione nomofiliattica, ovvero il compito di garantire l'osservanza della legge, la sua interpretazione uniforme e l'unità del diritto, entra in contrasto con quella Costituzionale.
Quanto detto sopra genera una situazione di instabilità sia processuale, in quanto, fra incidenti, sospensioni e ritardi, i procedimenti si allungano a dismisura, sia normativa, poiché, alla luce del sindacato di costituzionalità, le norme possono finire in qualsiasi momento sul “banco degli imputati” di fronte al giudice delle leggi[46].
Dal punto di vista della certezza del diritto, questa instabilità rischia di compromettere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni giurisdizionali e la loro sicurezza circa i comportamenti da adottare e i rapporti giuridici da far valere nello svolgersi della vita quotidiana [47].
E’ auspicabile, pertanto, una maggiore speditezza dei procedimenti di fronte alla Corte Costituzionale, affinché a beneficiarne sia la certezza del diritto, nella prospettiva di superamento di ambiguità ed incertezza sul piano giuridico, nei sensi voluti dalla Costituzione[48].
E’ questo ciò che augura Conso, conscio del fatto che affinché la Costituzione possa migliorare la sua efficacia come mezzo di tutela della certezza sostanziale, facendo fronte all’evoluzione della società e a tutte le nuove esigenze emergenti, sarebbe opportuno effettuare una revisione nella prospettiva di semplificare e sveltire il meccanismo vigente per le modifiche costituzionali, «senza tradire il bene della certezza del diritto»[49].
Oggi siamo ancora lontani da una soluzione del genere, poiché intaccare la rigidità della Costituzione potrebbe significare affievolirne quella funzione di garanzia per i cittadini nei confronti del potere legislativo vigente.
Ciononostante, anche allo stato attuale, la Costituzione, specchio di una società variegata e pluralista, dove il criterio fondamentale di valutazione si sposta «dalla prescrittività legale all’apprezzamento del valore degli interessi»[50], rappresenta il passaggio da una legalità formalisticamente intesa, frutto di un giudizio nomologico-deduttivo, ad una giustizia sostanziale e fattuale, dove emergono il principio di ragionevolezza, inteso come osservazione dei criteri di correttezza del “ragionamento pratico”[51] ed un’argomentazione condotta in funzione attuativo-applicativa[52].
Un ulteriore spinta in questo senso è stata fornita dall’ Unione Europea, che è a tutti gli effetti una comunità di diritto che si fonda su principi fondamentali[53], fra i quali ha una primaria rilevanza proprio il principio di ragionevolezza, al centro di numerosi testi dell’Unione, fra cui la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione[54].
Nei giudizi nei quali si discute di valori e di principi, e, alle volte, si esige il complesso e delicato bilanciamento fra essi, bisogna «applicare una logica aperta e flessibile, in cui i principi e i valori assunti a parametro, di volta in volta, si definiscono e si riempiono di contenuti, collocandosi in un ordine relazionale sempre diverso»[55], e, il flessibile canone della ragionevolezza, che, infatti, si presta a più rappresentazioni[56], costituisce un parametro fondamentale, come ribadito numerose volte dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea; al contempo, il predetto canone è carico di un’intrinseca discrezionalità, in quanto può coinvolgere, in una ipotetica fattispecie, il bilanciamento di diritti fondamentali, valori e principi, anche extra-giuridici, aprendo la via sindacati di proporzionalità, congruità, pertinenza etc.[57]
La ragionevolezza, inoltre, può consistere anche in una valutazione di adeguatezza, proporzionalità, coerenza e non difformità rispetto al sistema, necessità e plausibilità del mezzo ( legge) rispetto al fine perseguito.
E’ evidente, a questo punto, l’ampio ruolo che svolge il giurista-interprete in un sistema così complesso: egli ha, infatti, il difficile compito di garantire la certezza del diritto, attraverso un’interpretazione non arbitraria, condotta nel rispetto delle norme, dei principi e dei diritti fondamentali, tenendo conto delle consuetudini e della giurisprudenza delle alte corti[58] e bilanciando, anche, alla luce di tutto ciò, gli interessi emergenti dal caso concreto.
4. Il determinante ruolo dell’interpretazione e dell’interprete ai fini della (in)certezza del diritto ed il loro contributo essenziale nell’ottica di realizzazione della giustizia sostanziale
Le Costituzioni e le organizzazioni internazionali, soprattutto l’UE, hanno determinato il passaggio dalla rigida concezione positivistico- legalistica del diritto, in cui la legge doveva essere meramente tradotta o esplicata e obbedita secondo la volontà del legislatore, ad una concezione aperta, pluralistica ed elastica, dove la legge passa in secondo piano rispetto ai principi, i quali devono necessariamente essere interpretati, in virtù della loro indeterminatezza ed elasticità[59].
«Era il riconoscimento della vitalità della fonte giurisprudenziale nell’attuale momento storico»[60], giacché i principi, in virtù delle loro qualità e dal momento che le disposizioni a cui si fa riferimento per individuarli nel sistema normativo sono intrise di generalità[61], hanno bisogno di essere interpretati in senso valutativo applicativo, da «un interprete, che sia esso dottrinario o giudice o semplice pratico; un interprete che non è soltanto chiamato a spiegare o chiarire, bensì investito di una funzione valutativa che gli permetta di individuare il principio nel concreto dell’esperienza e convertirlo efficacemente in strumento disciplinatore del magma sociale»[62].
L’interpretazione, dunque, assurge al ruolo di momento fondamentale e centrale del procedimento giuridico, poiché ha il compito di valutare e disciplinare la fattispecie, andando a determinare quale sarà l’esito del procedimento. In questo contesto la realizzazione della certezza, intesa nel senso sostanziale di realizzazione nel caso concreto dei valori fondamentali, è inscindibilmente legata all’interpretazione, al ragionamento che vi è dietro e al suo risultato[63]. ; l’ineludibile soggettività della predetta operazione, però, se non contrastata attraverso regole e limiti, potrebbe portare ad una situazione di incertezza più totale nel diritto, soprattutto in una condizione come nostra di pluralismo giuridico e «frattura ideologica e disomogeneità culturale del ceto dei giuristi»[64].
Quando si tratta di interpretare, quindi di compiere una scelta, chiunque sia chiamato a farlo non potrà non essere, in qualche misura, influenzato dalle proprie inclinazioni, che siano esse morali, ideologiche, giuridiche, o d’altro tipo.
E’, altresì, vero che gli interpreti nella maggior parte dei casi sono giuristi, i quali sono vincolati a rispettare regole di tipo giuridico, sociale, etico, economico, di coerenza sistematica o di buona amministrazione[65], che ne dovrebbero guidare e limitare l’attività e restringere il campo delle possibili decisioni.
Nonostante ciò, è innegabile che «il giurista è, da sempre, si potrebbe dire per destinazione , un non neutrale, giacché nel momento in cui viene chiamato a scegliere tra i due o più possibili significati di una disposizione, tra le due o più possibili proposte di nuove soluzioni, non potrà non scegliere in base alle sue ideologie, al suo carattere, ai suoi orientamenti»[66]; a ciò si aggunga che molto spesso i giuristi hanno a che fare con, o si trovano parti in, situazioni conflittuali, ove non vi è alcun interesse a dare alle disposizioni stessa interpretazione[67].
Proprio negli spazi di discrezionalità e, in qualche occasione di indeterminatezza, che un sistema concede, soprattutto in presenza di disposizioni o precedenti vaghi o scarsi, è maggiormente avvertito il rischio di incertezza[68].
Il ricorso al precedente e la concessione di una lmitata discrezionalità al giudice in presenza di disposizioni vaghe costituiscono validi strumenti per contrastare l’incertezza derivante da possibili interpretazioni diverse[69], ma questo è possibile solo in caso di un alto grado di prevedibilità degli indirizzi, adottati dai giuristi, ed in questo senso è fondamentale, nel nostro paese, il ruolo ed il corretto funzionamento della Corte Costituzionale e della Cassazione, essendo preposte entrambe ad attività sia indirizzo che di controllo[70].
L’interpretazione , che in base a chi la compie, si distingue in autentica, dottrinale e giudiziale[71], anche quando sia evolutiva o alternativa, ovvero quando tende a variare gli effetti regolativi della legge, può portare anche a risultati positivi, qualora i cambiamenti siano affrontati gradualmente e rispondano a mutate esigenze della società avvertite dai giuristi[72].
Questo è il caso in particolare dei paesi di common law, dove si è mantenuto un alto grado di uniformità ideologica nel ceto dei giuristi[73] ed è sempre stato assegnato valore di legge alla sentenza, determinando un diritto del precedente.
Nell’ottica di un sistema come il nostro, votato al bilanciamento e alla graduabilità di tutti i possibili principi e valori nel caso concreto, anche il valore della certezza, viene ormai considerato generalmente graduabile[74]; da ciò ne discende che, in determinati ambiti, è possibile che la certezza del diritto venga messa in secondo piano rispetto all’affermazione di altri valori, principi o diritti fondamentali in modo che si possa garantire la possibilità di attuare nella fattispecie concreta il più alto grado di giustizia sostanziale [75].
E’ chiaro, quindi, il motivo per cui il dibattito sull’interpretazione acquista un ruolo centrale nelle varie concezioni sul diritto, e in questo senso eloquente è la definizione dell’interprete che vede concordare i filosofi Dworkin e Corsale, ovvero: «l’interprete viene considerato alla stregua di un Hercules capace di ricavare da un corpus di principi la sola possibile right answer, l’unica soluzione corretta per il caso considerato»[76].
Vi sono molte teorie e metateorie[77] giusfilosofiche che trattano il tema dell’interpretazione, fra le prime, che studiano le tecniche interpretative vigenti in un determinato periodo e ne prospettano altre per realizzare un determinato programma politico-giuridico[78], merita una menzione particolare la Teoria dell’ Argomentazione giuridica, denominata anche teoria della pervasività dell’interpretazione o del ragionamento, proprio a sottolineare quanto sia centrale e afferente a tutti gli altri grandi temi analizzati da questa teoria l’attività di interpretare[79].
Dal punto di vista dei rapporti fra certezza e interpretazione, particolarmente illuminante risulta la metateoria dell’interpretazione giuridica di Luzzati, che studia, dal punto di vista analitico, le interazioni fra la struttura del linguaggio giuridico, interpretazione e certezza del diritto. Egli attraverso l’analisi della vaghezza e dei contigui fenomeni afferenti al linguaggio giuridico con cui si articolano le disposizioni, quali l’ambiguità, la generalità, la genericità, mette in evidenza delle correlazioni che questi possono avere con il grado di certezza dell’enunciato, cioè «la probabilità che la situazione prevista dall’enunciato sia realizzata»[80].
Dallo studio di Luzzati, corroborato da indagini condotte sulla giurisprudenza sorta intorno a norme vaghe[81], emerge che una delle conseguenze principali che possono derivare dalla vaghezza normativa è la discrezionalità, poiché, così come può avvenire in presenza di ambiguità, si determinano spazi in cui è consentito il libero apprezzamento[82] del significato della norma, a discapito della certezza formale.
La vaghezza non è, però, una caratteristica necessariamente negativa, infatti, secondo Luzzati, consente una maggiore adattabilità della disposizione contenuta nella norma alla fattispecie, al fine di permettere la realizzazione di un alto grado di giustizia sostanziale ed una flessibilità ed elasticità, che, in prospettiva dinamica, anche alla luce dell’evoluzione della società e dell’ordinamento, non richiede un’ intenso e continuo ricambio legislativo[83].
Vi sono «settori dove l’esigenza della certezza del diritto viene più acutamente sentita e il legislatore si serve di espressioni ( relativamente) più esatte che introducono tagli netti e soluzioni di continuità»[84], in questi casi tutelare la certezza formale del diritto porta a scelte legislative che comportano il sacrificio di altri valori, quali la giustizia sostanziale e l’adeguatezza delle norme in relazione alla fattispecie concreta[85]. Da quanto detto, viene fuori una concezione della certezza condizionata dalle scelte legislative, graduabile attraverso un uso del linguaggio finalizzato ora a restringere le aree di discrezionalità, ora ad ampliarle.
Proprio la graduabilità, la non assolutezza della certezza e la stretta dipendenza di questa dall’interpretazione sono caratteristiche, ormai unanimemente, riconosciute, sia a livello dottrinale, che giurisprudenziale[86], per cui il discorso trasla definitivamente dal piano della ricerca ostinata di una certezza tout court a quello della valutazione delle fattispecie in concreto, che necessitino la garanzia di un maggior grado di certezza formale o, viceversa, di discrezionalità[87].
5. Altre cause che hanno determinato la crisi della certezza: ipertrofia legislativa e ritardi nei procedimenti. Risvolti sociologici e prospettive di risoluzione
Al di là della “indeterminazione strutturale della legge”[88], che tradizionalmente è la principale fonte di incertezza e di discrezionalità interpretativa nel dibattito giusfilosofico[89], altri fattori ostacolano la possibile realizzazione di quello che è il concetto formale di certezza del diritto, intesa come prevedibilità delle conseguenze giuridiche di atti o fatti.
Se dal punto di vista filosofico-giuridico l’ipertrofia legislativa è una situazione di contorno ed i continui e ripetuti ritardi nei procedimenti sono una conseguenza dell’indeterminatezza e della discrezionalità, se si considera la cd. crisi della certezza dal punto di vista sociologico, invece, la lentezza dei procedimenti assurge ad un ruolo centrale, in quanto risulta essere la causa di incertezza maggiormente avvertita dall’ uomo comune, intendendo qui colui che non è immerso quotidianamente nel mondo giuridico[90].
Infatti, attraverso una discreta conoscenza delle leggi e l’applicazione della razionalità, l’uomo medio potrebbe in buona misura prevedere le conseguenze giuridiche dei propri atti, riuscendo a determinare la sfera dei possibili comportamenti leciti che può tenere e il raggio d’azione entro cui può muoversi[91].
Il significato, o meglio il senso profondo, della certezza del diritto dal punto di vista del comune cittadino, oltre a quelli politico-garantistico di tutela dai possibili arbitri e abusi del potere e di garanzia che la legge, uguale per tutti, venga attuata [92], è quello di poter stabilire con un discreto margine di sicurezza la corrispondenza legale delle proprie azioni[93].
In questo senso le successioni delle leggi nel tempo, l’evoluzione delle interpretazioni delle stesse leggi, e l’implementazione legislativa, che costituiscono l’ipertrofia legislativa[94] comportano un insidioso ostacolo verso la conoscenza delle leggi e/o delle attuali interpretazioni maggioritarie delle stesse, presupposto fondamentale ed imprescindibile per effettuare una previsione legale, mentre la “lunghezza crescente dei procedimenti”[95] rischia di compromettere la fiducia del cittadino nel sistema giuridico, restando il fatto in questione e la sua valutazione giuridica incerti, almeno sino alla decisione finale del procedimento[96].
Un più ampio ricorso all’uso del precedente e alle “moderne tecniche gius-cibernetiche” sono le soluzioni prospettate da Corsale contro l’ipertrofia legislativa, da lui definita “marasma legislativo”[97]. Se, per quanto riguarda il precedente, come già detto, c’è bisogno che si realizzino delle condizioni per essere utilizzato come rimedio all’incertezza[98], attraverso una progressiva digitalizzazione e cibernetizzazione del diritto si potrebbero risolvere vari inconvenienti legati al caos delle fonti, in modo da mettere gli utenti e gli operatori giuridici professionali nelle condizioni di applicare i canoni e i principi generali con più sicurezza, superando antinomie legali e apparenti lacune[99].
Inoltre, anche il legislatore potrebbe beneficiare della “teoria gius-cibernetica”[100], in quanto si potrebbero ridurre gli errori tecnici, che rischiano di compromettere l’attuabilità delle leggi, ovvero di mettere in crisi il principio di legalità o la gerarchia delle fonti[101]. Si tenga, però, presente che l’efficacia di tale soluzione è, comunque, limitata agli elementi legali che determinano il contenuto delle norme, non potendo estendersi a quelli extra-legali, la cui prevedibilità è graduabile alla luce della precisa delimitazione dell’ambito e delle sfere di pertinenza a cui si riferiscono e della, conseguente, integrazione culturale e sociale riguardo a quel relativo settore[102].
[1] Per un ulteriore approfondimento sul concetto di certezza del diritto si veda L. Gianformaggio, Studi sulla giustificazione giuridica, Torino, 1986, 158-169. Inoltre, per una più completa visione circa i risvolti concreti e l'importanza della prevedibilità nell'applicazione pratica del diritto, si rimanda alla celeberrima sentenza della Corte EDU del 14 Aprile 2015 nel caso Contrada c. Italia.
[2] Per la contestualizzazione storica si è fatto riferimento a: P. Grossi, Ritorno al diritto, Bari, 2015; M. Corsale, Certezza del diritto, in Enciclopedia giuridica, vol. VI, Roma, 1988, 5 e G. Gometz, La certezza giuridica come prevedibilità, Torino, 2005, 22-25.
[3] M. Corsale, Op. Cit., 5.
[4] G. Gometz, Op. Cit. 24.
[5] P. Grossi, Op. Cit., 67, si rammenta che l’autore, oltre ad aver ricoperto la carica di presidente della Corte Costituzionale nel biennio 2016-2018, è, unanimemente, considerato uno dei più eminenti storici del diritto al mondo.
[6] P. Grossi, Op. Cit., 87. Secondo la visione dell’autore : «Se le fonti si sono pluralizzate, addirittura de-tipicizzate, è consequenziale che il nostro principio” ( di legalità) “ si sia necessariamente trasformato in una sorta di principio di giuridicità , riferendosi al variegato ventaglio di forze motrici su cui oggi conta il dinamico ordinamento della Repubblica».
[7] P. Grossi, Op. Cit., 71, sul punto l’autore afferma anche che: «quanto era parso vizio deprecabile per il vecchio legalismo appare quale virtù prima in una civiltà giuridica in rapidissima transizione. L’indefinitezza assume, infatti, nel tempo pos-moderno, l’aspetto prezioso di rifiuto rinchiudersi in una rigidezza certa, certissima ma immobile, perche pietrificata nel testuale comando,invece di apertura a future, probabili acquisizioni che mutamenti e conflitti rendevano presenti e urgenti».
[8] Si fa qui riferimento in particolare alle posizioni di Norberto Bobbio e Uberto Scarpelli.
[9] S. Bertea, Certezza del diritto e argomentazione giuridica, Soveria Mannelli ( CZ), 2002, 111 : «Il paradigma giuspositivistico non indaga a sufficienza i metodi attraverso i quali si svolgono o si possono svolgere le attività in senso lato interpretative del diritto e si limita al riconoscimento della loro esistenza e del loro carattere creativo. Con riferimento al tema qui analizzato questa scelta teorica si traduce in una scarsa attenzione per la relazione che vi è tra certezza e ragionamento giuridico».
[10] Così N. McCormick, in N. McCormick, O.Weinberger, M. La Torre ( a cura di), Il diritto come istituzione, Milano, 1990, definisce la sua concezione e le altre che si sviluppano partendo da assunti positivistici, ma superandone gli anacronismi, includendo la morale nel discorso giuridico e adeguandosi alle esigenze della società. Studiosi italiani, quali Bertea e Luzzati, invece, definiscono questo tipo di corrente come normativismo, per sottolinearne il distacco con il positivismo.
[11] Così L. Gianformaggio, Op. Cit., 143-144 e C. Luzzati, L’interprete e il legislatore, Milano, 1999, 308-311
[12] C. Luzzati, Op. Cit., 310.
[13] N. Bobbio, La certezza del diritto è un mito?, Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1964, 146-152.
[14] C. Luzzati, Op. Cit., 310.
[15] N. Bobbio, Op. Cit., 147 : «Frank si inserisce con la sua polemica nella corrente della scuola che possiamo chiamare con nome … del diritto libero, di tutti coloro che hanno sostenuto, per diverse vie e con diversi argomenti, la inadeguatezza della legge alla vita, l’impotenza delle leggi di fronte ai fatti, per concludere con la tesi del giudice-creatore contro quella tradizionale del giudice interprete».
[16] N. Bobbio, Op. Cit., 148, già in J.Frank, Law and the modern mind, New York, Cowasd-McLann, VI ediz., 1949.
[17] H. Kelsen, La dottrina pura del diritto, R. Treves (a cura di), Einaudi, Torino, 1952. L’autore parla della certezza come una “illusione”, se considerata nell’ottica di una visione dicotomica di realizzabilità-irrealizzabilità. Mentre in opere successive abbraccia l’idea della certezza come caratteristica classificabile e bilanciabile.
[18] N. Bobbio, Op. Cit., 149, già in J. Frank, Op. Cit.
[19] N. Bobbio, Op. Cit., 150.
[20] M.Corsale, Op. Cit., 1-4.
[21] M.Corsale, Op. Cit., 5.
[22] N. Bobbio, Op. Cit., 151.
[23] S. Bertea, Op. Cit.
[24] G. Gometz, Op. Cit., 35-51.
[25] Così, fra gli altri, G. Gometz, Op. Cit., e M.Corsale, Op. Cit.
[26] P.Grossi, Op. Cit., 73.
[27] C. Luzzati, Ult. Op. Cit., 310.
[28] G. Conso. Op. Cit., 554-555.
[29] G. Conso. Op. Cit., 554 .
[30] Ibidem. Qui Conso ribadisce che la nostra Costituzione si fonda : « sulla tutela del lavoro, sulla sovranità popolare, sul riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, sulla solidarietà politica economica e sociale, sulla pari dignità sociale dei cittadini e sulla loro uguaglianza davanti alla legge >>.
[31] G. Conso. Op. Cit., 554-555.
[32] N. MacCormick, Op. Cit. 214.
[33] P.Grossi, Op. Cit., 69. L’autore a sostegno della tesi che la costituzione italiana incarna i valori del popolo afferma che: «L’immanenza profonda della nostra Costituzione nell’ordinamento giuridico italiano sta tutta nell’essere lettura della società italiana,ma non lettura stilizzante e astrattizzante, bensì lettura obbiettiva di una realtà storicamente concreta, la quale appare fedelmente registrata nei principii espressi formalmente dalla carta. E’ un popolo concreto di persone, cioè di creature relazionali immerse nella loro vita quotidiana, che trova in esso un formidabile breviario giuridico delle fatiche dell’esistenza. I Costituenti si sono messi dal punto di vista della coscienza comune assumendo a figura guida l’uomo comune con i suoi interessi e l’asprezza dei suoi interessi».
[34] S. Bertea, Op. Cit., 107.
[35] G. Conso. Op. Cit., 555.
[36] S. Bertea, Op. Cit., 107.
[37] L. Gianformaggio, Op. Cit., 43-44.
[38] P. Grossi. Op. Cit., 83.
[39] Alla Corte Costituzionale si può adire in via incidentale o diretta. Nel primo caso si tratta di una questione giudiziale, come ad esempio un dubbio in merito all’interpretazione costituzionalmente orientata di una determinata norma. Nel secondo caso si tratta della prerogativa dello stato e delle regioni di presentarsi direttamente dinanzi alla Corte.
[40] G. Conso. Op. Cit., 555. Riferendosi alla rigidità della nostra costituzione l’autore, seppur non risparmia le critiche, non ne nasconde i vantaggi. Per lui, quanto detto nel corpo dell’articolo «è il prezzo, sacrosanto, richiesto da un sistema, che per un lato ci risparmia il rischio perenne cui sono sottoposti gli ordinamenti a costituzione flessibile, cioè il rischio di vedere rovesciato, dall’oggi al domani, con piena validità, da una semplice legge, un pilastro fissato dalla Carta Costituzionale, e, per l’altro, ci consente di valutare continuativamente la conformità di ogni legge ai dettati costituzionali, secondo l’evolversi e il chiarirsi dei loro significati man mano che si procede lungo il cammino della rispettiva attuazione».
[41] Così G. Conso, Op. Cit., 554 e P. Grossi, Op. Cit.
[42] G. Conso, Op. Cit., 554.
[43] N. MacCormick, Op. cit. p. 214. Qui l’autore espone la teoria della morale istituzionale di Dworkin, sottolineando la non equiparabilità fra un principio costituzionale e la grundnorm kelseniana o alla rule of recognition hartiana ( sul punto H.L.A. Hart, Il concetto di diritto, Torino, 1965)
[44] G. Conso. Op. Cit., cit. p. 554. «La certezza del diritto cui si deve mirare è la certezza che la Costituzione sia attuata, ecco che l’attuazione della Costituzione diventa la chiave di volta di tutti i problemi, cominciare da quelli di ordine più strettamente giuridico».
[45] C. Luzzati, Vaghezza, interpretazione e certezza del diritto, Analisi e diritto, cit., 1990, 153.
[46] G. Conso, Op. Cit., 548-552.
[47] G. Conso, Op. Cit., 558.
[48] Ibidem.
[49] G. Conso. Op. Cit., 555.
[50] P. Grossi. Op. Cit., 69.
[51] P. Grossi. Op. Cit.,73.
[52] Ibidem.
[53] P. Grossi. Op. Cit., 76.
[54]. Ibidem.
[55] M. Fierro. I principi di proporzionalità e ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, anche in rapporto alla giurisprudenza delle corti europee. Servizio studi Corte costituzionale, Roma, 2013.
[56] Ibidem, 13. «Così la ragionevolezza viene, di volta in volta, rappresentata come coerenza, congruenza, congruità, proporzionalità, necessità, misura, pertinenza, e così via».
[57] Ibidem.
[58] G. Conso. Op. Cit., 548- 554.
[59] P. Grossi. Op. Cit., 76-81.
[60] P. Grossi. Op. Cit., 83.
[61]. C. Luzzati, Vaghezza, interpretazione e certezza del diritto, Analisi e diritto, 1990.
[62] P. Grossi. Op. Cit., 81.
[63] S. Bertea, Op. Cit., 111.
[64] M.Corsale, Op. Cit., 4.
[65] C. Luzzati, Ult. Op. Cit., 153. Luzzati afferma qui che sono queste le regole a cui i « giuristi-interpreti si ispirano […] per ridurre la vaghezza e, più in generale per effettuare scelte ridefinitorie fra le alternative di significato offerte dalla lettera».
[66] G. Conso. Op. Cit., 553.
[67] C. Luzzati, Ult. Op. Cit., 154. Qui l’autore afferma che: «i giuristi posseggono un ampio stock di tecniche interpretative che consentono loro di staccarsi dalla letttera quando la reputino un limite troppo angusto. … Tipici strumenti per rovesciare il significato letterale delle disposizioni sono, … , le finzioni, la creazione di false antinomie e false lacune, la sistematica svalutazione delle definizioni legali, il considerare le norme che stabiliscono i limiti della fattispecie come presunzioni, il far passare un’elencazione tassativa per non tassativa, il ricorso - per altro raro- all’ambigua categoria delle sviste del legislatore e, soprattutto, il richiamo a principi impliciti, alla ratio e alla mens legis, in una parola, allo spirito della legge».
[68] C. Luzzati, Ult. Op. Cit., 168-169.
[69] M. Corsale, Op. Cit. p. 4 e C. Luzzati, Op. Cit., 168-169.
[70] G. Conso. Op. Cit., 548- 554.
[71] Così M. Corsale, Op. Cit. e C. Luzzati, Op. Cit.
[72] M. Corsale, Op. Cit.
[73] Ibidem.
[74] C. Luzzati, Ult. Op. Cit., 169- 170. Così anche M. Corsale, Op. Cit. , L. Gianformaggio, Op. Cit. 162-165, G. Gometz. Op. Cit. 32 e S. Bertea. Op. Cit.
[75] C. Luzzati, Ult. Op. Cit., 169-171.
[76] G. Gometz, Op. Cit., 135.
[77] Per metateoria dell’ interpretazione giuridica si intende, invece, qualsiasi teoria che abbia come proprio oggetto l’ interpretazione, anche se indirettamente o in secondo piano rispetto ad un altro oggetto. Per un approfondimento sul punto C. Luzzati, Ult. Op. Cit., 144-145.
[78] C. Luzzati, Ult. Op. Cit., 145.
[80] C. Luzzati, Ult. Op. Cit., 141. L’autore opera una distinzione netta fra dei fenomeni afferenti al linguaggio giuridico degli enunciati che spesso vengono confusi tra loro, quali: a) La vaghezza, intesa come «incompletezza delle regole di significato le quali non correlano mai i segni linguistici a tutti i possibili stati di cose», per cui una disposizione vaga ha bisogno di essere interpretata nel senso di attribuire un significato, in senso attuativo, a segni linguistici che si presentano incompleti. b) L’ambiguità, « che comporta una sovrabbondanza delle regole di significato le quali correlano la medesima espressione a più di una possibile situazione di fatto» c) La genericità, che indica la mancanza di specificazione e precisione dell’espressione, « si ha quando l’espressione stessa si riferisce indifferentemente, cioè senza distinguere, a una pluralità di situazioni diverse». d) La generalità, intesa come universalità, che comporta la validità di un enunciato .
[81] C. Luzzati, Ult. Op. Cit., 154-167. Qui l’autore analizza due esempi di disposizioni vaghe, ovvero quelle che riguardano lo stato di abbandono morale e materiale dei minori e la detenzione di modiche quantità di stupefacenti.
[82] C. Luzzati, Ult. Op. Cit., 141.
[83] C. Luzzati, Ult. Op. Cit., 170-171.
[84] C. Luzzati, Ult. Op. Cit., 169.
[85] C. Luzzati, Ult. Op. Cit., 170-171. L’autore fa riferimento soprattutto alle norme penali , alle prescrizioni, alle decadenze, ai termini dilatori e acceleratori, alla determinazione della misura delle pene, alle usucapioni, ai passaggi in giudicato e tutte quelle situazioni in cui, in un’ottica di bilanciamento di valori e di interessi, la necessità di tutelare il bene della certezza comporta il sacrificio di altri valori.
[86] C. Luzzati, Ult. Op. Cit., 169- 170. Così anche M. Corsale, Op. Cit. 5, L. Gianformaggio, Op. Cit. 162-165 e G. Gometz. Op. Cit. 32.
[87] C. Luzzati, Ult. Op. Cit., 171-172.
[88] M. Corsale, Op. Cit. 5.
[89] Ibidem.
[90] Così G. Conso, Op. Cit. 558-559 e M. Corsale, Op. Cit. 4-5.
[91] G. Conso, Op. Cit. 558.
[92] S. Bertea, Op. Cit. 107- 108.
[93] Così oltre a G. Conso, Op. Cit. 558 anche M. Corsale, Op. Cit., G. Gometz, Op. Cit., S. Bertea, Op. Cit. e L. Gianformaggio Op. Cit.
[94] M. Corsale, Op. Cit., 4-5.
[95] G. Conso. Op. Cit., 558.
[96]Ibidem. Qui l’autore afferma anche che: «Il pregiudizio che ne deriva alle parti interessate non ha commenti; pure gli estranei, però, ne possono risentire, restando nell’incertezza sulla liceità o no di un certo tipo di comportamento».
[97] M. Corsale, Op. Cit., 6.
[98] Il precedente, per poter essere un antidoto all’incertezza dovuta al caos legislativo, deve trovare dietro di sé una giurisprudenza consolidata e, tendenzialmente, unanime. In concreto si può avere a che fare con precedenti contrastanti o con una situazione di vaghezza dei precedenti. Entrambe le situazioni non concedono elementi utili per effettuare una previsione (C. Luzzati, Ult. Op. Cit., 169).
[99] M. Corsale, Op. Cit., 6.
[100] Ibidem.
[101] Ibidem.
[102] Ibidem.