Pubbl. Mar, 5 Mag 2020
Aumento del prezzo delle mascherine: il reato di manovre speculative su merci
Modifica paginaautori Giuseppe Ferlisi , Marco Nigro
In questo elaborato si intende verificare la possibilità di applicare l´art. 501 bis c.p., concepito per altri fini, anche ai recenti fatti di cronaca che vedono protagonisti esercizi commerciali alzare oltremodo il prezzo dei dispositivi di protezione individuale. Gli autori propongono, tuttavia, per maggiore efficacia e visti i problemi dati dalla vetustità della norma, la previsione di una sanzione amministrativa.
Sommario: 1. Premesse; 2. L'art. 501 bis c.p.; 3. Le conseguenze di una condanna; le sanzioni accessorie; 4. Problemi interpretativi.
1. Premesse
Saremo costretti a “convivere” con il virus Sars-Cov2, questo è il messaggio che da qualche settimana rimbalza da istituzioni e scienziati; ciò in quanto, sino a che non avremo un vaccino, il rischio di un rialzo della curva epidemiologica e del nascere di nuovi focolai è sempre dietro l’angolo.
Saremo, quindi, costretti a indossare le mascherine, a fare della normalità il distanziamento sociale ed a cambiare lo stile di vita per qualche mese o, forse, per anni.
Inoltre, in alcune regioni come la Campania, dal 4 Maggio è obbligatorio indossare le mascherine nei luoghi pubblici o aperti al pubblico, mentre su tutto il territorio nazionale sarà obbligatorio indossarle nei mezzi pubblici.
Insomma, tutti noi dovremo avere la nostra mascherina e da qui nasce l’esigenza di comprarne numerose soprattutto se, ad esempio, quelle TNT o chirurgiche sono ad uso limitato.
Tale necessità ha fatto, ovviamente, sorgere molteplici condotte discutibili, con un rialzo del prezzo in maniera significativa per beni che fino a qualche mese fa costavano qualche decina di centesimi di euro ed oggi hanno visto un rialzo ben oltre quanto disposto dalla semplice legge della domanda e dell’offerta.
Queste condotte hanno convinto il Governo ad introdurre un prezzo fisso, pari ad 0,50 Euro, al fine di calmierare i prezzi ed evitare manovre speculative. Manovre, tuttavia, che già trovano un importante ostacolo all’interno del codice penale, in particolare all'interno dell’art. 501 bis.
2. L’art. 501 bis c.p.
La repressione delle condotte speculative sulle merci, nonostante sia stata introdotta nell’ordinamento italiano in epoca relativamente recente, ha origini antichissime.
A partire dall'Edictum de pretiis rerum venalium di Diocleziano (301 d.c.)1 infatti, pressoché ogni ordinamento giuridico ha comminato sanzioni penali contro i comportamenti volti a provocare un rialzo pericoloso dei prezzi o un'anomala rarefazione delle merci. Anche il codice Zanardelli, fra i delitti contro l'incolumità pubblica, contemplava il c.d. aggiotaggio annonario.
La norma in commento viene introdotta con il Decreto-legge n. 704 del 1976 in seguito alla crisi energetica del ’73 come forma di contrasto alle manovre speculative a cui erano esposti gran parte di generi alimentari.
Lo scopo è, come per tutte le norme che intervengono nel libero mercato, quello di tutelare chi si mette in gioco nella concorrenza rispettando le regole, oltre che a funzionare quale ombrello protettivo per i consumatori.
Di fatto la norma si pone l’obiettivo, non semplice, di bilanciare il diritto di iniziativa economica privata ed i vincoli di solidarietà sociale previsti dall’articolo 41, comma 2 della Costituzione.
Essa recita:
“Fuori dei casi previsti dall'articolo precedente, chiunque, nell'esercizio di qualsiasi attività produttiva o commerciale, compie manovre speculative ovvero occulta, accaparra od incetta materie prime, generi alimentari di largo consumo o prodotti di prima necessità, in modo atto a determinarne la rarefazione o il rincaro sul mercato interno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 516 a euro 25.822. Alla stessa pena soggiace chiunque, in presenza di fenomeni di rarefazione o rincaro sul mercato interno delle merci indicate nella prima parte del presente articolo e nell'esercizio delle medesime attività, ne sottrae all'utilizzazione o al consumo rilevanti quantità.”
La disposizione, appare strutturalmente destinata a fronteggiare situazioni eccezionali ed emergenziali; in buona sostanza, al posto di contenere i fenomeni speculativi, per quanto possibile, con prescrizioni di tipo amministrativo, si sceglie di colpire soltanto i comportamenti più allarmanti perché, per dimensioni o per il contesto in cui vengono realizzati, sono dotati di una pericolosità fuori dall'ordinario.
Come può leggersi, la norma fa specifico riferimento a tre tipologie di prodotti: a) materie prime; b) generi alimentari di largo consumo; c) Prodotti di prima necessità. Cerchiamo di distinguerli.
Per materia prima deve intendersi tutto ciò che, in modo determinante, partecipa ai più frequenti processi produttivi e di trasformazione (es. petrolio, gomma, ferro, ecc.) 2; i generi alimentari di largo consumo sono, invece, quelli che costituiscono le basi dell'alimentazione della popolazione (es. pane, olio, pasta e simili); infine, nella locuzione prodotti di prima necessità sono ricompresi quei prodotti che, benché non alimentari, sono tuttavia da ritenersi indispensabili per la vita quotidiana (es. indumenti, sapone, ecc.).
Rebus sic stantibus, per capire se questa norma può essere applicata alle mascherine, bisogna fare sul punto precise considerazioni.
A riguardo viene utile una recentissima ordinanza di sequestro, del 2.4.2020 del Tribunale di Salerno a firma del Dott. Scermino (in allegato al presente elaborato).
Nell'ordinanza in commento il G.I.P. salernitano ha ravvisato il fumus sulla base delle seguenti considerazioni:
- la sproporzionata percentuale di rincaro, qualificabile come manovra speculativa;
- l'emergenza in atto che permette di considerare le mascherine come beni di prima necessità;
- la condotta anche unica e isolata del singolo imprenditore, in un periodo di straordinaria fibrillazione, in grado di condizionare il mercato interno, seppur in un’area territorialmente limitata.
Il GIP, infatti, statuiva che alla luce dell’emergenza sanitaria da Covid-19, anche i dispositivi di protezione individuale, come le mascherine, rientrino nella categoria dei prodotti di prima necessità, visto il loro ruolo fondamentale nella tutela della salute dei cittadini.
Specificatamente, non potendo essere sostituiti con altri beni diversi, rientrano a pieno titolo fra i prodotti di prima necessità menzionati dalla norma in commento.
Tra l’altro, a conforto di tale conclusione, si rammenta come sia l’Istituto Superiore della Sanità [10] sia l’OMS hanno qualificato come “essenziali” le mascherine chirurgiche e filtranti per la prevenzione della malattia infettiva Covid-19.
Per il G.I.P, dunque, il rincaro ingiustificato sul prezzo delle mascherine, effettuato a proprio vantaggio sulla scia di una particolare situazione di mercato, costituisce quella “manovra speculativa” di cui parla la norma incriminatrice ed entro cui rientra anche il danno per i consociati.
Venendo all’analisi della tipicità, e cominciando dalla condotta, disquisendosi di un reato di pericolo al giudice non viene richiesto di accertare in concreto la lesione del bene giuridico tutelato dalla disposizione, e quindi di verificare che sia prodotto o meno l’evento di danno.
Il Tribunale di Salerno, muovendosi sulla stessa linea interpretativa, ha propeso per la considerazione del reato de quo quale reato di pericolo astratto, dovendosi accertare l’idoneità della condotta speculativa a produrre un danno al mercato considerato nella sua generalità, ivi compreso il mercato a carattere locale.3
Si deve, tuttavia, segnalare, che altra parte della dottrina ritiene diversamente tale reato si di pericolo, ma non astratto, bensì in concreto.4
Difatti, secondo il citato orientamento, la prognosi ex ante in concreto permette di selezionare quei comportamenti per cui il pericolo è probabile e non astrattamente possibile e ciò in virtù del fatto che il legislatore usa la locuzione “atto”, ossia capace di porre in pericolo il bene giuridico, facendo pensare ad una valutazione di tale capacità da parte del giudice in concreto.5-6
Sicuramente interessante la parte dell’ordinanza in cui il G.I.P. ha evidenziato come l’atteggiamento speculativo di un singolo esercente possa avere un effetto generalizzato, spingendo altri esercenti, per le semplici logiche concorrenziali, ad aumentare loro volta il prezzo delle mascherine per non vedersi enormemente svantaggiati; di qui, quindi, il pericolo generalizzato sul mercato nel suo complesso; tale interpretazione poggia le proprie basi su giurisprudenza costante.
Per ciò che concerne l’elemento soggettivo, è richiesto il dolo generico, nella sua esplicazione di intenzione a ottenere una massimizzazione del profitto oltre il consentito, non essendo richiesto, invece, la previsione circa l’aumento effettivo dei prezzi sul mercato.
Insomma, sarà bastevole ai fini della commissione del reato quella condotta nel quale l’agente prevede di porre in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma, ossia di provocare un aumento, almeno a carattere locale, dell’aumento generalizzato dei prezzi. Da segnalare che, trattandosi di reato di pericolo, non è punibile il tentativo.
3. Le conseguenze di una condanna per art. 501 bis cp. Le sanzioni accessorie.
La condanna per l’articolo 501-bis c.p. comporta conseguenze giuridiche extrapenali, quali, ad esempio, l’interdizione dall’esercizio di attività commerciali o industriali per le quali sia richiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza da parte dell’autorità, ovvero l’incapacità di contrarre con la P.A. se commesso in danno o a vantaggio di un’attività imprenditoriale (art. 32-quater c.p.).
Altra pena accessoria è quella della pubblicazione della sentenza sul sito internet del Ministero della Giustizia, nonché nei Comuni dove l’imputato è residente o dove è stato commesso il fatto.
4. Problemi interpretativi.
Trovandoci di fronte ad una norma creata circa quarant'anni fa, peraltro disapplicata per lungo tempo – eccetto per l’applicazione di qualche coraggioso Pubblico Ministero – è evidente che la stessa presenta segni evidenti della sua vetustità e la sua scarsa attitudine ad adattarsi facilmente alle dinamiche commerciali odierne.
Infatti, figlia di una politica economica ben lontana da quella attuale, quella protezionistica, risulta poco adatta ad un mercato globale che ha fatto tramontare sempre di più l’idea delle barriere fisiche del mercato, con l’e-commerce o gli strumenti telematici di vendita.
Da questo discende la difficile interpretazione del soggetto attivo: tra le recenti sentenze di legittimità, ad esempio, sono stati forniti alcuni criteri sui quali debba orientarsi il giudice, il quale potrà considerare “le dimensioni dell’impresa, la notevole quantità delle merci e la possibile influenza degli altri operatori del settore”; tali criteri servono all’interprete quale capacità di comprendere chi abbia in concreto avuto la capacità di influenzare il mercato e produrre, così, un aumento generalizzato dei prezzi.7
Tali parametri, quindi, sembrerebbero immediatamente far escludere i singoli e isolati rivenditori al dettaglio, i quali, privi dei criteri dimensionali predetti, sono marginali rispetto al mercato nel suo complesso, dominato da grandi rivenditori e grandi distributori.
Si è visto che, nell’ambito dell’art. 501-bis, co. 1, il rincaro dei prezzi da parte di un operatore va tenuto distinto dal rincaro generalizzato che ne deriva come effetto sul mercato; e si è visto anche che, per quanto una condotta sia già dannosa per gli interessi patrimoniali di un numero più o meno ampio di soggetti determinati (gli acquirenti a costo maggiorato), ciò non è sufficiente a integrare gli estremi del fatto tipico.
Perché questo avvenga, ciò che i criteri forniti dalla Cassazione sembrano richiedere è, in definitiva, una particolare capacità espansiva degli effetti della condotta, una trasmissibilità dell’aumento di prezzi da un operatore all’altro, fino a coinvolgere – si direbbe, “contagiare” – una fetta significativa di mercato, tale da poter ravvisare una lesione, almeno potenziale, dell’interesse sovraindividuale protetto.
Inoltre, la norma sembra applicabile anche al caso nel quale un operatore del settore decida di ritirare dal mercato il prodotto delle mascherine in seguito alla decisione del governo nel fissare un prezzo fisso; a tale “uso” della norma sovviene parte della giurisprudenza passata, la quale ha applicato il dettame normativo de quo ai casi di rifiuto di vendere o produrre merci “il cui prezzo è fissato con provvedimento di autorità”, facendo rinvenire l’ombrello protettivo della norma in esame per ciò che concerne la “rarefazione”.8
Vero vulnus della norma, e quindi ciò che apre maggiormente alle strategie difensive, risulta essere quella del pericolo in concreto, nella misura che questo si contemperi con un mercato come quello odierno, e considerato nella sua “località” anche quale europeo, dominato da libertà indiscusse nel settore concorrenziale.
Difatti, dal trattato di Maastricht in poi le nozioni di mercato locale ed europeo sono venute a coincidere, come peraltro sostenuto da numerose pronunce della Corte di Giustizia europea [11], le quali hanno ritenuto incompatibili con il diritto comunitario misure nazionali volte a restringere la libertà di circolazione delle merci.
Alla luce dì ciò, il carattere di mercato e l’effetto sullo stesso, richiesto dall’art. 501 bis c.p., andrebbe valutata su base ancor più larga e vasta di quella nazionale, con chiaro riflesso riguardo la concezione di pericolo, soprattutto se considerato nella sua dimensione concreta e non astratta.
Sul punto, pertanto, alcuni autori hanno proposto, sulla scorta di quanto avvenuto per l’art. 650 c.p. e la successiva trasformazione in sanzione amministrativa, anche per tali casi l’uso di una norma a carattere amministrativo, con il vantaggio di rafforzare la disciplina contro le pratiche commerciali scorrette, demandando ad esempio all’AGCOM la competenza tecnica in merito.9
[1] cfr. Arangio Ruiz, Storia del diritto romano, 7a ed., Napoli, 1998, 318;
[2] Bertolino, sub art. 501 bis, 1613;
[3] Sostanzialmente in questi termini, del resto, si è pronunziata la stessa giurisprudenza di legittimità (C., Sez. VI, 15.5.1989, in CP, 1989, 2361, con nota di Carcano), benché concludendo nel caso concreto per l'insussistenza del reato, essendo il fatto circoscritto alla vendita di due generi di prodotti ortofrutticoli – patate e zucchine – posta in essere da un singolo ed isolato dettagliante;
[4] sul punto v. MARINUCCI, DOLCINI, GATTA, Manuale di Diritto Penale, Pg, VIII ed., Milano, Giuffré, 2019, p. 253;
[5] In senso contrario, cfr. Cass., Sez. VI penale, 02/03/1983, n. 2385, secondo cui, in tema di manovre speculative su merci, è necessario che la sottrazione all'utilizzazione o al consumo concerna “rilevanti quantità” e cioè comportamenti di portata sufficientemente ampia e taleda costituire un serio pericolo per la situazione economica generale. Nella specie, era stataesclusa la sussistenza del reato, trattandosi di circa tremila quintali di zucchero;
[6] In senso analogo, cfr. Cass., Sez. VI penale, 15/05/1989, in Cass. pen. 1992, p. 2361, secondo cui, invero, la consumazione del reato richiederebbe la sussistenza di comportamenti diportata sufficientemente ampia da integrare un serio pericolo per la situazione economicagenerale, con il rilievo però che la locuzione "mercato interno", contenuta nella citata norma,rende certamente configurabile la fattispecie criminosa anche quando la manovra speculativa;
[7] In questo senso Cass. 15.5.1989, cit.; Cass., Sez. VI, sent. 2.3.1983 – dep. 18.3.1983, Perossini, Rv. 160958 - 01; Cass., 13.11.1980, Costa, che il Tribunale cita da Giust. Pen., 1981, II, 129; Così ancora Cass. 15.5.1989;
[8] Così Cass. 13.11.1980;
[9] Sui rapporti tra strumento penale e amministrativo nella gestione dell’emergenza Covid-19, si vedano, G.L. Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, 26 marzo 2020, e C. Cupelli, Emergenza COVID-19: dalla punizione degli “irresponsabili” alla tutela degli operatori sanitari, 30 marzo 2020, spec. par. 3.4.
[10] Si veda allegato il Rapporto ISS COVID-19 n.5/2020
[11] Si veda allegato Corte di giustizia dell’Unione europea - COMUNICATO STAMPA n. 3/11