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Pubbl. Sab, 16 Mag 2020

Il mediatore non ha sempre diritto alla provvigione

Valeria Lucia



La Sesta Sezione della Corte di Cassazione, con l´ordinanza n. 7781, pubblicata il 10 aprile 2020, ha chiarito che al mediatore immobiliare spetta la provvigione solo se, grazie al suo intervento, le parti hanno concluso un affare in senso economico-giuridico, a nulla rilevando i vincoli con cui le parti intendono solo regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell´affare


Sommario: 1. La mediazione e il diritto alla provvigione. 2. Gli accordi tra le parti rilevanti ai fini dell’art. 1755 c.c. 3.La decisione di primo grado; 4.La decisione di secondo grado; 5. La decisione della Corte di Cassazione; 6. Il principio di diritto ricavabile dall’ordinanza n. 7781 del 10 aprile 2020.

Sommario: 1. La mediazione e il diritto alla provvigione. 2. Gli accordi tra le parti rilevanti ai fini dell’art. 1755 c.c. 3.La decisione di primo grado; 4.La decisione di secondo grado; 5. La decisione della Corte di Cassazione; 6. Il principio di diritto ricavabile dall’ordinanza n. 7781 del 10 aprile 2020.

1. La mediazione e il diritto alla provvigione.

L’esame dei fatti di causa, che hanno portato la Sesta Sezione della Corte di Cassazione all’adozione dell’ordinanza n. 7781/2020, non può prescindere da una premessa in ordine alla disciplina giuridica della mediazione, con particolare riguardo alla tipologia di accordi tra le parti rilevanti ai fini della “conclusione dell’affare”, rappresentando i predetti accordi il presupposto legittimante il diritto alla provvigione.

L’istituto della mediazione è disciplinato nel Libro IV del Codice Civile (Titolo III, Capo XI, artt. da 1754 a 1765).

Il mediatore è definito come il soggetto che “mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza” e, quando l’affare è concluso per effetto del suo intervento, il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti.

Ne deriva che i presupposti del diritto alla provvigione sono due: l’efficacia causale dell’intervento del mediatore e, in conseguenza di ciò, la conclusione di un affare tra le parti messe in relazione grazie al suo intervento.

Chiarito il ruolo del mediatore, ai fini che qui rilevano, è dirimente chiarire quando l’affare tra le parti può dirsi concluso.

Come avremo modo di approfondire, la giurisprudenza di legittimità è intervenuta ripetutamente, spesso arrivando a conclusioni tra loro contrastanti, per individuare i canoni ermeneutici utili ad indagare l’evoluzione del rapporto tra le parti.

Rispetto a cosa debba intendersi per ‘affare’, ad esempio, è stato fatto riferimento a “qualsiasi operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra due parti. Tale operazione, benché da intendersi in senso generico ed empirico, deve, tuttavia, essere sufficientemente individuata nella sua consistenza storica[1], fino a chiarire che, ai fini della definizione dell’affare, è irrilevante l’identità delle parti.

In tal senso si è espressa una pronuncia di legittimità, per cui “condizione perché sorga il diritto alla provvigione è l’identità dell’affare proposto con quello concluso, che non è esclusa quando le parti sostituiscano altri a sé nella stipulazione conclusiva, sempre che vi sia continuità tra il soggetto che partecipa alle trattative e quello che ne prende il posto in sede di stipulazione negoziale[2].

Il diritto alla provvigione, quindi, è legato alla conclusione di un affare che si identifica non tanto con l’atto giuridico o con le parti in sé considerate, quanto con l’obiettivo finale che le parti intendono raggiungere.

Non resta che approfondire quali siano gli accordi rilevanti.

2. Gli accordi tra le parti rilevanti ai fini dell’art. 1755 c.c.

In tema di compravendita immobiliare, le parti, prima del trasferimento del bene e del saldo del prezzo, possono concludere degli accordi per cristallizzare lo stato di avanzamento della trattativa, per cui è dirimente distinguerne la natura e gli effetti per meglio definire il confine tra atto preparatorio e contratto preliminare.

Questo confine, infatti, ai fini dell’art. 1755 c.c., assume una rilevanza centrale, posto che, il contratto preliminare è certamente vincolante per le parti e, quindi, ben può determinare la conclusione dell’affare, mentre non è riconosciuta alcuna rilevanza negoziale, per difetto di causa, agli accordi prodromici al preliminare, che spesso rappresentano delle mere puntuazioni.

In termini pratici, le suddette problematiche, di individuazione dell’accordo rilevante, si sono enfatizzate con l’evoluzione della contrattazione in campo immobiliare e della relativa attività professionale degli agenti immobiliari, che ha portato ad una vera e propria tripartizione delle fasi contrattuali.

Nella prima fase, eventuale, con una proposta irrevocabile l’acquirente offre un determinato corrispettivo per l’acquisto del bene, a cui il venditore dà seguito manifestando la propria accettazione, o, diversamente, rifiutando la proposta.

In caso di accettazione della proposta da parte del venditore, ha luogo la seconda fase, espressamente prevista, di stipula del contratto preliminare e, infine, la terza, costituita dall’indispensabile rogito notarile e dal saldo del prezzo.

A fronte di tale tripartizione, la realtà si contraddistingue per una serie di varianti di per sé infinite.

Ciò che va indagato, quindi, è se e in quali limiti, in difetto di precise clausole concordate tra le parti, l’ordinamento riconosca un accordo negoziale che rimandi o obblighi i contraenti a concludere un contratto preliminare vero e proprio.

Sul punto, la giurisprudenza di merito è divisa.

Nel tempo, una parte della giurisprudenza, adottando un approccio più ‘tradizionale’, si è dimostrata diffidente rispetto al riconoscimento della configurabilità di un momento contrattuale anteriore e preliminare.

In altre parole, per questo orientamento, la legge, nel fissare i due tipi fondamentali di contratti (preliminare e definitivo), escluderebbe l’esistenza di un contratto preliminare relativo ad altro preliminare. Questo sarebbe nullo, per mancanza di causa, “difettando di ogni funzione economica meritevole di tutela[3].

A tale approccio, poi, si è contrapposto un orientamento più ‘possibilista’, che non ha escluso le ipotesi di c.d. “preliminare aperto”, riconoscendo la possibilità che le fasi che conducono alla stipula del definitivo ben possano essere oggetto di tripartizione.

Pertanto, “in virtù del principio dell’autonomia negoziale”, questo orientamento ha ammesso un regolamento contrattuale che preveda, dopo la prima intesa scritta, un’ulteriore scansione temporale, con la stipulazione del contratto preliminare, collegata al versamento di una caparra.

Del resto, entrambi gli orientamenti hanno sempre tenuto conto della difficoltà interpretativa rispetto a tali forme di negozi per stabilire se un accordo che riguardi solo i punti essenziali del contratto di compravendita possa essere di per sé sufficiente a costituire un contratto preliminare suscettibile di esecuzione coattiva ai sensi dell’art. 2932 c.c., posto che, per aversi un vincolo contrattuale definitivo, tra le parti deve essere raggiunta una intesa su tutti gli elementi dell’accordo.

Partendo da tali considerazioni di segno opposto, le Sezioni Unite sono intervenute nel senso di ammettere che la conclusione di un contratto preliminare di preliminare può determinare l’insorgenza del diritto alla provvigione.

Ciò perché “va escluso che sia nullo il contratto che contenga la previsione della successiva stipula di un contratto preliminare, allorquando il primo accordo già contenga gli estremi del preliminare”, dal momento che, proseguono le Sezioni Unite, “dietro la stipulazione contente la denominazione di preliminare del preliminare (nel senso che la conclusione dell’accordo precede la stipula del contratto preliminare) si possono dare soluzioni fra loro differenti, che delineano sia figura contrattuali atipiche, ma alle quali corrisponde una ‘causa concreta’ meritevole di tutela; sia stadi prenegoziali molto avanzati, cui corrisponde un vincolo obbligatorio di carattere ancora prenegoziale[4].

Sempre le Sezioni Unite, con la sopra richiamata pronuncia, hanno elaborato il seguente principio di diritto: “in presenza di contrattazione preliminare relativa a compravendita immobiliare che sia scandita da due fasi, con la previsione di stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione di un primo accordo, il giudice di merito deve preliminarmente verificare se tale accordo costituisca già esso stesso contratto preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti ex art. 1351 e 2932 c.c., ovvero anche soltanto effetti obbligatori ma con esclusione dell’esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento. Riterrà produttivo di effetti l’accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare, soltanto qualora emerga la configurabilità dell’interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare. La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, potrà dar luogo a responsabilità per la mancata conclusione del contratto stipulato, da qualificarsi di natura contrattuale per la rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase precontrattuale.”

In conformità all’interpretazione resa dalle Sezioni Unite, la giurisprudenza di legittimità successiva, ad esempio, nel ritenere la validità e l’efficacia del “preliminare di preliminare”, ove sia configurabile un interesse delle parti meritevole di tutela, ha collegato al ravvisato accordo “la possibilità della insorgenza del diritto di provvigione da parte del mediatore, non in conseguenza della mancata stipulazione del negozio giuridico successivo, ma in rapporto all’affare, cioè a quella operazione economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti”[5].

Sempre la giurisprudenza di legittimità, ancor più recentemente, in applicazione del sopra illustrato principio di diritto espresso a Sezioni Unite, ha ritenuto che “anche in presenza del completo ordinamento di un determinato assetto negoziale, può risultare integrato un atto meramente preparatorio di un futuro contratto, come tale non vincolante tra le parti, in difetto dell'attuale effettiva volontà delle medesime di considerare concluso il contratto (Cass. n. 910/2005; Cass. n. 20701/2007)”, e che, del resto, “ben può verificarsi l'ipotesi in cui dietro la stipulazione contenente la denominazione di "preliminare del preliminare" (nel senso che la conclusione dell'accordo precede la stipula del contratto preliminare) si ravvisino situazioni fra loro differenti, che delineano figure contrattuali atipiche, ma alle quali corrisponde una "causa concreta" meritevole di tutela.”[6]

 

3. La decisione di primo grado.

Il Tribunale rigettava la domanda di pagamento della provvigione proposta da un mediatore immobiliare in relazione ad un incarico conferitogli dai convenuti per la vendita di un appartamento di loro proprietà.

In particolare, per il giudice di primo grado, disattendendo la tesi sostenuta dall’attore, deve essere “escluso che fosse sorto il diritto dell’agente alla provvigione, ritenendo che la proposta irrevocabile di acquisto formulata dall’acquirente reperito dal XXX non integrasse quella ‘conclusione dell’affare’ cui l’art. 1755 c.c. ricollega la nascita del diritto del mediatore alla provvigione”, evidenziando che, infatti, le parti non avevano sottoscritto alcun contratto preliminare di compravendita.

4. La decisione di secondo grado.

La Corte d’Appello, invocata dal mediatore immobiliare soccombente in primo grado, confermava integralmente il contenuto della pronuncia impugnata, escludendo, ancora una volta, che fosse sorto il diritto dell’agente alla provvigione.

Rispetto alla proposta di acquisto accettata dai venditori, peraltro, la Corte ha escluso espressamente la possibilità di qualificarla come contratto preliminare, argomentando che tale atto aveva come unico scopo quello di fissare gli accordi di massima già raggiunti, nella prospettiva della sottoscrizione di un contratto preliminare in un momento successivo.

In mancanza, quindi, non può dirsi che tra le parti sia sorto alcun impegno giuridicamente vincolante, dal momento che: i proprietari, convenuti in giudizio dal mediatore, avevano espressamente richiesto un incontro per arrivare ad un accordo a loro più favorevole; tra acquirente e venditore era intercorso uno scambio di email che confermava il mancato raggiungimento di un accordo e, infine, era stata fissata una data per la stipula del contratto preliminare.

Chiarita la natura dell’accordo intervenuto tra le parti, la Corte evidenziava anche che, sempre a sostegno della negazione del diritto del mediatore alla provvigione, vi è anche un ulteriore aspetto, poiché nell’atto di conferimento dell’incarico al mediatore era contenuta una clausola che collegava espressamente tale diritto alla stipula del contratto preliminare.

 

5. La decisione della Corte di Cassazione.

Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo di ricorso proposto dai proprietari originari attori, soccombenti in appello, infondato.

In riferimento all’accordo rilevante ai fini del diritto alla provvigione, la Corte ha evidenziato che, l’orientamento richiamato dal ricorrente, che collega alla conclusione di un contratto preliminare di preliminare l’insorgenza del diritto del mediatore alla provvigione, è stato superato dalla più recente giurisprudenza di legittimità e, a dimostrazione di ciò, ha richiamato la sopra citata sentenza n. 30083/19, con cui la Seconda Sezione Civile ha avuto modo di chiarire che “poiché il diritto del mediatore alla provvigione deriva dalla conclusione dell’affare, ai fini della relativa insorgenza non è sufficiente un accordo preparatorio, destinato a regolamentare il successivo svolgimento del procedimento formativo del programmato contratto definitivo”.

6. Il principio di diritto ricavabile dall’ordinanza n. 7781 del 10 aprile 2020.

Il principio di diritto dell'ordinanza in esame è, dunque, quello ricavabile dalla sentenza n. 30083/19. Secondo la Corte “Al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l'affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all'art.2932 c. c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato. Va invece escluso il diritto alla provvigione qualora tra le parti non sia stato concluso un "affare" in senso economico-giuridico, ma si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell'affare, come nel caso in cui sia stato stipulato un patto di opzione, idoneo a vincolare una parte soltanto, ovvero un cd. "preliminare di preliminare", costituente un contratto ad effetti esclusivamente obbligatori non assistito dall'esecuzione in forma specifica ex art.2932 c.c. in caso di inadempimento che, pur essendo di per sé stesso valido ed efficace e non nullo per difetto di causa, ove sia configurabile un interesse delle parti meritevole di tutela alla formazione progressiva del contratto fondata sulla differenziazione dei contenuti negoziali delle varie fasi in cui si articola il procedimento formativo (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4628 del 06/03/2015), non legittima tuttavia la parte non inadempiente ad esercitare gli strumenti di tutela finalizzati a realizzare, in forma specifica o per equivalente, l'oggetto finale del progetto negoziale abortito, ma soltanto ad invocare la responsabilità contrattuale della parte inadempiente per il risarcimento dell'autonomo danno derivante dalla violazione, contraria a buona fede, della specifica obbligazione endoprocedimentale contenuta nell'accordo interlocutorio”.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Corte di cassazione, Sez. III Civile, sentenza del 16 maggio 2014 n. 10833

[2] Corte di Cassazione, Sez. II Civile, sentenza del 25 ottobre 2010 n. 21836.

[3] Corte di Cassazione, Sez. II Civile, 02 aprile 2009, n. 8038

[4] Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza del 6 marzo 2015 n. 4628

[5] Corte di Cassazione, Sez. III Civile, sentenza 17 gennaio 2017 n. 923

[6] Corte di Cassazione, Sez. 6 Civile, ordinanza del 20 marzo 2019 n. 7868.