Pubbl. Lun, 20 Apr 2020
I file informatici integrano il concetto di cosa mobile
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Pur se difetta il requisito della apprensione materialmente percepibile del file in sé considerato (se non quando esso sia fissato su un supporto digitale che lo contenga), di certo il file rappresenta una cosa mobile, definibile quanto alla sua struttura, alla possibilità di misurarne l´estensione e la capacità di contenere dati, suscettibile di esser trasferito da un luogo ad un altro, anche senza l´intervento di strutture fisiche direttamente apprensibili dall´uomo.” Cass. Sez. II, 13 aprile 2020, n. 11959
La pronuncia in esame[1] è degna di attenzione visto che muta un consolidato orientamento in merito al concetto di cosa mobile.
Sul delitto di appropriazione indebita, la giurisprudenza di legittimità ha sempre affermato che l'oggetto materiale della condotta non poteva essere un bene immateriale.
In particolare, per quanto concerne i files informatici si è sempre escluso che potessero integrare il concetto di "cosa mobile", a causa della natura dei documenti. Infatti, per fare un esempio, nel caso di copiatura non autorizzata di "files" contenuti in un supporto informatico altrui, non si realizzerebbe la perdita del possesso della cosa da parte del legittimo detentore.
Più precisamente, in ambito penale il concetto di "cosa mobile" si ritiene integrato quando la cosa sia suscettibile di "fisica detenzione, sottrazione, impossessamento od appropriazione, e che a sua volta possa spostarsi da un luogo ad un altro o perché ha l'attitudine a muoversi da sé oppure perché può essere trasportata da un luogo ad un altro o, ancorché non mobile ab origine, resa tale da attività di mobilizzazione ad opera dello stesso autore del fatto, mediante sua avulsione od enucleazione[2]".
Pertanto, seguendo tale assunto, dal concetto di cosa mobile sarebbero escluse le entità immateriali come le opere dell'ingegno, e per ciò che ci riguarda i files informatici, anche perché come è noto l'unica norma che effettua una equiparazione tra cosa mobile e bene immateriale è l'art. 624 c.p. che considera oggetto di appropriazione anche le energie, equiparandole alle cose mobili.
Nella pronuncia, oggetto della presente nota, la Corte di Cassazione partendo dal concetto di file, ha ritenuto che questo possa essere definito come un insieme di dati, archiviati o elaborati, cui sia stata attribuita una denominazione secondo le regole tecniche uniformi.
Infatti, si legge nella sentenza che
si tratta della struttura principale con cui si archiviano i dati su un determinato supporto di memorizzazione digitale. Questa struttura possiede una dimensione fisica che è determinata dal numero delle componenti, necessarie per l'archiviazione e la lettura dei dati inseriti nel file. Le apparecchiature informatiche, infatti, elaborano i dati in essi inseriti mediante il sistema binario, classificando e attribuendo ai dati il corrispondente valore mediante l'utilizzo delle cifre binarie (0 oppure 1: v. ISO/IEC 2382:2015 - 2121573). Le cifre binarie (bit, dall'acronimo inglese corrispondente all'espressione binary digit) rappresentano l'unità fondamentale di misura all'interno di un qualsiasi dispositivo in grado di elaborare o conservare dati informatici; lo spazio in cui vengono collocati i bit è costituito da celle ciascuna da 8 bit, denominata convenzionalmente byte (ISO/IEC 2382:2015 - 2121333).
Infatti, analizzando la definizione di file anche parte della dottrina ha ritenuto che non si tratta di entità immateriali privi di fisicità. Invero, la Corte di Cassazione ha ritenuto che “il file, pur non potendo essere materialmente percepito dal punto di vista sensoriale, possiede una dimensione fisica costituita dalla grandezza dei dati che lo compongono, come dimostrano l'esistenza di unità di misurazione della capacità di un file di contenere dati e la differente grandezza dei supporti fisici in cui i files possono essere conservati e elaborati."
Tale assunto smentisce quindi l’orientamento maggioritario che da sempre ha ritenuto che il file non contenesse i caratteri della fisicità propri del concetto di cosa mobile.
Per quanto concerne il concetto di detenzione fisica necessario per integrare il reato di appropriazione indebita ex art. 646 c.p., la Corte rileva
“la capacità del file di essere trasferito da un supporto informatico ad un altro, mantenendo le proprie caratteristiche strutturali, così come la possibilità che lo stesso dato viaggi attraverso la rete Internet per essere inviato da un sistema o dispositivo ad un altro sistema, a distanze rilevanti, oppure per essere "custodito" in ambienti "virtuali" (corrispondenti a luoghi fisici in cui gli elaboratori conservano e trattano i dati informatici); caratteristiche che confermano il presupposto logico della possibilità del dato informatico di formare oggetto di condotte di sottrazione e appropriazione.
Riassumendo, essendo il file oggetto di trasferimento da un supporto informatico a un altro senza alcuna variazione strutturale, può certamente essere oggetto di appropriazione da parte di un soggetto che effettua, ad esempio, la copiatura di un file da un supporto esterno.
Pertanto, la Corte di Cassazione giunge a tale conclusione “pur se difetta il requisito della apprensione materialmente percepibile del file in sé considerato (se non quando esso sia fissato su un supporto digitale che lo contenga), di certo il file rappresenta una cosa mobile, definibile quanto alla sua struttura, alla possibilità di misurarne l'estensione e la capacità di contenere dati, suscettibile di esser trasferito da un luogo ad un altro, anche senza l'intervento di strutture fisiche direttamente apprensibili dall'uomo."