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Pubbl. Mar, 21 Apr 2020

Cura Italia e sospensione della prescrizione: tra questioni di diritto intertemporale e legittimità costituzionale.

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Marco Nigro



Prime riflessioni sulle disposizioni del decreto ”Cura Italia” che prevedono la sospensione della prescrizione per tutti quei procedimenti penali rinviati a causa dell´ emergenza.


ENG The provisions of the ”Cura Italia” decree which provide for the suspension of the prescription for all those criminal proceedings postponed due to the emergency.

Sommario: 1. Premessa; 2. Successione delle leggi penali nel tempo ex art 2 c.p.; 3. Successione delle leggi penali nel tempo nell’ambito degli istituti c.d. “misti”; 4. Le disposizioni contenute nel “Cura Italia” rivestono il carattere dell’eccezionalità?; 5. Questioni di legittimità Costituzionale; 6. La natura dei provvedimenti di rinvio delle udienze che dispongono la sospensione. 

1. Premessa

Il D.L. 17.03.2020 n. 18, (“Decreto Cura Italia”), accanto alle previsioni di natura economica e di sostegno al sistema sanitario nazionale, contiene anche norme che incidono sulla giustizia e sulla disciplina processuale, sia civile che penale, modificando quanto già previsto dai decreti-legge n. 9 e 11 del 2020.

Il presente contributo si sofferma sulle disposizioni in materia procesual-penalistica di cui all’art. 83 del Decreto, intitolato “Nuove misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti in materia di giustizia civile, penale, tributaria e militare”, ponendosi come obiettivo quello di analizzare le problematiche interpretative di cui al comma 9 che introduce la sospensione della prescrizione per quei processi penali le cui udienze “cadono” nel periodo emergenziale.

Secondo la novella legislativa infatti: “Nei procedimenti penali il corso della prescrizione e i termini di cui agli articoli 303, 308 309, comma 9, 311, commi 5 e 5-bis, e 324, comma 7, del codice di procedura penale e agli articoli 24, comma 2, e 27, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 rimangono sospesi per il tempo in cui il procedimento è rinviato ai sensi del comma 7, lettera g), e, in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020; il comma 10 prosegue disponendo che “ai fini del computo di cui all’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, nei procedimenti rinviati a norma del presente articolo non si tiene conto del periodo compreso tra l’8 marzo e il 30 giugno”.

Ad una prima lettura le disposizioni introdotte appaiono di dubbia legittimità costituzionale; non sembrano, infatti, essere dettate da motivazioni direttamente collegate a ristabilire l’ordine del sistema sanitario nazionale, inoltre non sono previsioni di natura economica ma incidono pesantemente sullo status dell’imputato, prevedendo una ingiustificata sospensione del corso prescrizione.

Ma tralasciando questo profilo (che vedremo in seguito) la disposizione pone, senza dubbio alcuno, anche problematiche di diritto intertemporale andando, per l’appunto, ad incidere negativamente (in peius) sull’ imputato, di guisa che si potrebbe ritenere applicabile, in tale materia, anche l’art. 2 c.p., comma 4

2. Successione delle leggi penali nel tempo ex art. 2 c.p.

L'efficacia della norma penale nel tempo è disciplinata dall'art. 2 e dall'art. 25, 2° co., Cost. La regola generale dell'irretroattività è postulata nel nostro ordinamento dall'art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale; l'art. 2 comma 1 c.p. ribadisce l'irretroattività della regola incriminatrice mentre il secondo comma dispone l'applicabilità di regola successiva in forza della quale il fatto concreto non è più riconducibile alla qualifica di illecito penale derivante da statuizione precedente ( balza evidente la deroga al principio di irretroattività). Com’è stato autorevolmente affermato, due sono i princìpi cardine: “l'irretroattività della norma penale, considerata nelle due componenti della fattispecie e della pena, quando la norma successiva peggiora il quadro normativo (penale) precedente; la retroattività della norma penale così considerata, quando è migliorativa di tale quadro (escluse le norme eccezionali, temporanee che sono sempre irretroattive)”[1] .

L’irretroattività della legge costituisce, senza dubbio, anche un principio di garanzia e certezza per il cittadino; rappresenta quindi un corollario fondamentale del principio di legalità visto nella sua funzione di consentire che ciascun consociato, prima di determinarsi, sia posto nella condizione di sapere come l'ordinamento considera la sua condotta.

Se invece a reato commesso non sopraggiunge una legge abolitiva, ma una legge più favorevole per il reo, si applica la legge successiva, solo se non sia già stata pronunciata sentenza irrevocabile; nel caso di più leggi che si sono succedute occorrerà scegliere tra esse la più favorevole (art. 2 comma 4 c.p.).

Secondo la dottrina due sono i criteri per valutare se la legge posteriore sia più o meno favorevole: da un lato la posizione, ormai minoritaria, di chi sostiene l'esigenza di un'analisi globale ed astratta [2]; dall’altro,  la maggioranza degli autori propende per un'analisi in concreto con particolare attenzione “alla situazione di maggiore o minore vantaggio che deriva al reo dall'applicazione dell'una o dell'altra disciplina nella concretezza del suo caso, cioè in relazione al fatto contestato, prescindendo dai profili di maggiore o minor favore che una di esse presenta rispetto all'altra, quando tali profili non riguardano la situazione personale del reo»[3].

Non è molto diversa la posizione della giurisprudenza secondo cui il c.d. favor legis va necessariamente diagnosticato in concreto: “la ricerca della legge più favorevole al reo va fatta non in astratto o in via teorica bensì caso per caso, in rapporto al vantaggio che in concreto può derivare al reo, a seconda delle situazioni che si presentano e delle stesse possibili determinazioni del giudice riguardo ad esse ” ( Cfr. Cass, Sez. V, 26.1.2006). [4  

3. Successione delle leggi penali nel tempo nell’ambito degli istituti c.d. “misti”.

In tema di successioni di leggi penali nel tempo un ulteriore sforzo esegetico va compiuto allorquando trattasi di stabilire se tra le “disposizioni più favorevoli al reo” debbano rientrarvi esclusivamente quelle di natura “sostanziale” e concernenti in senso stretto la misura della pena, ovvero vi si possano includere anche le norme che, riguardando ulteriori e diversi profili, ineriscono ai c.d. istituti "misti", quali, ad es., la querela, la prescrizione, le condizioni di procedibilità, la sospensione condizionale della pena, la competenza per materia ecc.[5]

Ora, coerentemente agli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sopra richiamati, le disposizioni di cui all’art. 2 comma 4, sono state costantemente interpretate nel senso che la locuzione “disposizioni più favorevoli al reo” si riferisce sia a tutte quelle norme che apportino modifiche in melius alla disciplina di una fattispecie criminosa e sia a quelle che apportano modifiche di favore allo status di imputato nel suo complesso, ivi comprese, quindi, quelle che incidono sulla prescrizione del reato. Una conclusione, questa, coerente con la natura sostanziale della prescrizione e con l’effetto da essa prodotto[6].  

Tra l’altro, in linea con il prefato orientamento, anche la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi circa la legittimità dell'art. 10, 3° co., L. 5.12.2005, n. 251, ha ritenuto che l’istituto della prescrizione sia fattispecie di natura sostanziale e non processuale (C. Cost. 23.11.2006, n. 393; e già da C. Cost. 23-31.5.1990, n. 275).

Tuttavia, la soluzione proposta è meno scontata di quanto appaia almeno per altri istituti giuridici di natura “ibrida” o “mista”; l'assenza di criteri consolidati per la qualificazione di una norma come processuale o sostanziale ha generato, ai fini intertemporali, diverse oscillazioni giurisprudenziali e tale incertezza ha favorito l’applicazione retroattiva di diverse norme [7].

Soffermandoci sull’oggetto del presente contributo, si segnala come, in tema di prescrizione, la giurisprudenza di legittimità non ha subito oscillazioni di rilievo ma, anzi, ha consolidato il suo lapidario orientamento sulla natura “sostanziale” e non “processuale” dell’istituto: “un istituto che incide sulla punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo l’effetto di impedire l’applicazione della pena, nel nostro ordinamento giuridico rientra nell’alveo costituzionale del principio di legalità penale sostanziale enunciato dall’art. 25, secondo comma, Cost. con formula di particolare ampiezza. La prescrizione pertanto deve essere considerata un istituto sostanziale, che il legislatore può modulare attraverso un ragionevole bilanciamento tra il diritto all’oblio e l’interesse a perseguire i reati fino a quando l’allarme sociale indotto dal reato non sia venuto meno (potendosene anche escludere l’applicazione per delitti di estrema gravità), ma sempre nel rispetto di tale premessa costituzionale inderogabile (Cfr. Cass. Sentenza 115/2018).[8]

Rebus sic stantibus, aderendo a tale impostazione, la sospensione della prescrizione introdotta dal Decreto “Cura Italia” dovrebbe operare solo per quei procedimenti penali relativi a fatti di reato commessi successivamente all’entrata in vigore della novella normativa; per i fatti pregressi (e quindi per quasi tutti i procedimenti rinviati d’ufficio), infatti, opererebbe la disciplina di cui all’art. 2 comma 4 con conseguente applicabilità della lex mitior, da individuarsi in quella che prevede un rinvio dell’udienza senza la sospensione dei termini di prescrizione

4. Le disposizioni contenute nel “Cura Italia” rivestono il carattere dell’eccezionalità?

Alla conclusione appena prospettata si potrebbe obiettare che le disposizioni contenute nel decreto “Cura Italia” sarebbero riconducibili all’alveo delle c.d. norme eccezionali, per natura sempre irretroattive, con conseguente inapplicabilità della lex mitior.

A norma dell’art. 2 comma 5 c.p., infatti, la retroattività dell'abolitio criminis e la disciplina della norma più favorevole non operano allorquando “si tratta di leggi eccezionali o temporanee”; queste norme, inoltre, “hanno il carattere della ultrattività, nel senso che continuano ad essere applicabili anche dopo la loro abrogazione da parte di una legge più favorevole[9]; infine “hanno una matrice unitaria, poiché sono destinate comunque a durare un certo periodo, corrispondente al persistere delle circostanze eccezionali [...], oppure definito mediante un termine fissato cronologicamente [...] o in rapporto a un determinato evento futuro [...]» [10]

A titolo di esempio vengono generalmente considerate eccezionali quelle leggi emanate per fronteggiare circostanze politiche, economiche o sociali, ritenute così gravi da giustificare una normativa derogatoria del regime in atto. “Esse presentano, dunque, il duplice requisito di essere emanate per ragioni eccezionali e di fare eccezione alla normativa precedente[11]

Ora, non vi è dubbio alcuno che la proliferazione normativa dedicata al contrasto del COVID 19 e, con essa, l’emanazione dello stesso D.L. “Cura Italia”, hanno tutte le caratteristiche tipiche di una legislazione oltre che “urgente” anche “eccezionale” (nel senso sopra richiamato), in quanto finalizzate alla necessità di fronteggiare una emergenza epidemiologica senza precedenti.

Tuttavia, non si può nemmeno ragionevolmente sostenere l’assunto per il quale il complesso di tutte le disposizioni fin’ora adottate dall’esecutivo (nei più svariati settori) rivestano (tutte) il carattere dell’eccezionalità; detto in altri termini è molto più ragionevole sostenere che, nell’ambito dei 124 articoli del Decreto “Cura Italia” l’esecutivo abbia adottato norme di carattere sicuramente “eccezionale” e, nel contempo, abbia colto l’occasione per regolamentare situazione “parallele” che, nella sostanza, di eccezionale avevano (ed hanno) ben poco.   

Tale ragionamento troverebbe conforto proprio nella relazione illustrativa al decreto in commento secondo la quale i principali obiettivi dell’esecutivo erano quello di “proteggere la salute dei cittadini, sostenere il sistema produttivo e salvaguardare la forza lavoro”; in definitiva molte delle norme del decreto non sembrano affatto dettate da motivazioni di ordine sanitario, economico o produttivo.

5. Questioni di legittimità Costituzionale

Ma anche se tale ultimo assunto non dovesse convincere c’è un ulteriore considerazione che rende inapplicabili le previsioni di cui all’art. 83 comma 9 del decreto in commento.

Di fatti, la circostanza che trattasi di norme di diritto sostanziale, certamente sfavorevoli all’imputato e, soprattutto, non vigenti all’epoca del fatto-reato, apre la strada a diversi profili di legittimità costituzionale nella misura in cui si appalesa un contrasto con il principio di irretroattività della norma penale sfavorevole di cui all’art.25 co.2 Cost. (e dall’art.7 CEDU). E’ noto, infatti, come tale principio sia ritenuto avere portata “generale” e non limitata alle sole norme incriminatrici; in definitiva il principio di irretroattività della norma penale sfavorevole, di rango costituzionale e convenzionale ( artt.25 co.2 Cost. e 7 CEDU) renderebbe illegittima qualsiasi legge ordinaria, anche eccezionale, che dovesse prevedere una disciplina sostanziale peggiorativa e retroattiva.

Cosi argomentando la soluzione della problematica proposta pare sfuggire alle dinamiche connesse principio del favor rei e alla disciplina dell’art. 2 c.p., e andrebbe ricercata, piuttosto, nei principi che attengono alla gerarchia della fonti.

6. La natura dei provvedimenti di rinvio delle udienze che dispongono la sospensione.

Ora, alla luce di tale convincente ricostruzione, data per assodata l’“inapplicabilità” della disciplina della sospensione della prescrizione per quei procedimenti originati da fatti-reato commessi precedentemente la novella legislativa, si pone l’ulteriore problematica circa gli “effetti” dei provvedimenti giudiziari di rinvio che dispongono la sospensione della prescrizione.

Sul punto si è osservato come i provvedimenti de quibus, rivestendo natura “dichiarativa” e non “costitutiva” (tra l’altro di situazioni la cui regolamentazione è predeterminata dalla legge) non produrrebbero alcun effetto, e sarebbero quindi semplicemente colpiti da mera “inefficacia”. In estrema sintesi il provvedimento emesso fuori dai casi consentiti non produrrebbe alcuna sospensione e la prescrizione continuerebbe a decorrere regolarmente.

Nel caso in cui, invece, si sposi la tesi dell’illegittimità costituzionale della disposizione richiamata non resterà che attendere gli eventuali esiti della relativa questione proposta innanzi alla Consulta.

Per finire un’ultima considerazione è degna di nota; l’aver stabilito nel Decreto la sospensione della prescrizione “per il tempo in cui il procedimento è rinviato” equivale a dire che tutti i procedimenti che non hanno un’udienza fissata nel periodo interessato (o che sono ancora in attesa della fissazione della prima udienza o, ancora, che sono nella fase delle indagini preliminari) non subiranno alcuna sospensione. Ciò produrrà la non facile coesistenza di procedimenti, tutti “pendenti nella stessa fase emergenziale”, di cui solo alcuni verranno colpiti da un periodo di sospensione della prescrizione mentre altri sfuggiranno a tale istituto con la diretta conseguenza che gli imputati dei primi subiranno certamente un trattamento differenziato rispetto ai secondi per il sol fatto che la data di udienza viene celebrata nel periodo emergenziale.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Vinciguerra, 289. Analogamente, Cadoppi, Veneziani, PG, 70; Riz, 41; Padovani, 38; Fiandaca, Musco, PG, 85; Antolisei, PG, 105; Marini, 120). In ossequio al criterio del favor libertatis, pertanto, è corretto parlare di irretroattività relativa, e ciò sia con riferimento all'art. 25 Cost. sia avuto riguardo alla disciplina dell'art. 2 (Mantovani, PG, 82; già in Id., Principi di diritto penale, 2a ed., Padova, 2007, 28.

[2] Vannini, FI, 1932, II, 261; Marini, 122

[3] Vinciguerra, 309

[4] Vedi anche Cass Pen., Sez. III, 4.10.1996 secondo cui «la disciplina più favorevole va individuata sulla base di un raffronto oggettivo fra le norme applicabili, ossia facendo riferimento alla disciplina complessiva risultante dalle norme precettive e sanzionatorie senza tenere conto di singole disposizioni più favorevoli». Analogamente detto criterio fu seguito quando fu introdotta la disciplina del giudice di pace penale (C., Sez. V, 8.2.2006; C., Sez. IV, 4.2.2003; C., Sez. IV, 16.1.2003) come pure quando venne riformata la materia dei giuochi d'azzardo dalla L. 23.12.2000, n. 388 successivamente modificata dalla L. 27.12.2002, n. 289 (T. Camerino 16.1.2003). Ed ancora lo stesso criterio è stato di recente adottato con riferimento all'applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità - prevista dall'art. 186, 9° co. bis, c. str., introdotto dall'art. 33, L. 29.7.2010, n. 120 - ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge di riforma e integranti il reato guida in stato di ebbrezza (C., Sez. IV, 17.1.2013, n. 7961; C., Sez. IV, 24.5-20.9.2012, n. 36291). La sostituzione della pena detentiva o pecuniaria con quella del lavoro di pubblica utilità è stata ritenuta applicabile anche ai fatti commessi anteriormente alla modifica normativa, purché non vi sia stato il passaggio in giudicato della sentenza di condanna (C., Sez. IV, 12.11.2014, n. 50053; C., Sez. III, 7.11.2012-14.5.2013, n. 20726; C., Sez. I, 10.4.2013, n. 20025; C., Sez. IV, 12.12.2012-4.2.2013, n. 5509).

[5] Per un inquadramento generale v. Garofoli, Manuale di diritto penale, parte gen., Milano, 2012, 276 ss.; a favore dell'estensione dell'art. 2, Sabatini, Princìpi di diritto processuale penale, Città di Castello, 1931, 164; Pagliaro, ED, XXIII, Milano, 1973, 1068: «nella sistematica dei nostri codici, tali istituti sono considerati come attinenti al diritto penale sostanziale. Perciò, da un punto di vista esegetico, è aperta la via a estendere loro la disciplina di cui all'art. 2».

[6] Cfr Cass., Sez. I, 8 maggio 1998, n. 7442 secondo cui «il decorso del tempo non si limita ad estinguere l’azione penale, ma elimina la punibilità in sé e per sé, nel senso che costituisce una causa di rinuncia totale dello Stato alla potestà punitiva».

[7] Vedi per le norme che hanno reso perseguibile a querela di parte un reato precedente perseguibile d'ufficio (considerate sostanziali in quanto la querela venne ritenuta condizione di punibilità e non di procedibilità (FRECCIA C., Sez. I, 20.6.1972; C., Sez. I, 22.6.1964); recentemente, a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 10.4.2018, n. 36, è stata affermata la natura mista, sostanziale e processuale, della procedibilità a querela e la conseguente necessità di applicare la sopravvenuta disciplina più favorevole nei procedimenti pendenti in sede di cognizione (C., Sez. II, 8.11.2018-4.1.2019, n. 225); l'applicazione retroattiva è stata però esclusa con riferimento alla fase esecutiva (C., Sez. I, 3.12.2019-16.1.2020, n. 1628). Altrettanto per quanto concerne l'art. 460 c.p.p., ritenuto norma di natura sostanziale (C., Sez. III, 24.1.2003). In materia di sospensione condizionale della pena l'art. 165, 1° co., come modificato dall'art. 2, 1° co., L. 11.6.2004, n. 145 consente di subordinare la concessione del beneficio alla prestazione di un'attività non retribuita a favore della collettività: tale norma ha natura sostanziale e quindi, ove più sfavorevole per l'imputato rispetto al regime preesistente non potrà trovare applicazione (C., Sez. III, 20.5.2010).

[8] Vedi anche in senso conforme, sentenze n. 143 del 2014, n. 236 del 2011, n. 294 del 2010 e n. 393 del 2006; ordinanze n. 34 del 2009, n. 317 del 2000 e n. 288 del 1999”.

[9] Marinucci, Dolcini, PG, 96.

[10] Comm. Romano, PG, 71; Contento, 102; Comm. Ronco, I, 285.

[11] Vinciguerra, 323; nello stesso senso, Nuvolone, 54; Marinucci, Dolcini, PG, 96.