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Pubbl. Mer, 6 Mag 2020

L´art. 524 c.c. non è (ancora) titolo per l´esercizio diretto dell´azione di riduzione da parte del creditore

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Luca Collura
AvvocatoUniversità commerciale Luigi Bocconi



Con sentenza del 29.10.2019, n. 1563, la Corte d´Appello di Brescia, Sez. II Civile, prendendo posizione sul controverso argomento riguardante i mezzi di tutela da accordare ai creditori personali del legittimario leso (o pretermesso), ha statuito che, una volta esperita l’azione ex art. 524 c.c., il creditore agente può esercitare ogni azione spettante al debitore in relazione all’eredità, inclusa l’azione di riduzione, ma ciò dovrà fare ai sensi dell’art. 2900 c.c.


ENG With 29.10.2019 sentence, n. 1563, the Brescia Court of Appeal, Section II Civil, taking up a position on the controversial argument concerning the means of protection to be granted to the personal creditors of the injured (or pretermitted) forced heir, ruled that, once the action ex art. 524 of the Civil Code has been taken, the proceeding creditor can take any action due to the debtor in relation to the inheritance, including the reduction action, but this must be done in accordance with art. 2900

Sommario: 1. Il casus decisus – 2. Differenza tra rinuncia all’eredità e rinuncia all’azione di riduzione e rimedi esperibili – 3. La decisione della Corte d’Appello – 4. Conclusioni

1. Il casus decisus

La vicenda sottoposta al vaglio della Corte d’Appello di Brescia riguarda una successione mortis causa apertasi nel 2011.

Con testamento olografo, il de cuius aveva disposto di grandissima parte dei propri beni in favore della moglie, istituita erede, lasciando che, sulla restante esigua parte del suo patrimonio, si aprisse la successione legittima.

All’eredità così devolutagli, uno dei figli dell’ereditando decideva però di rinunciare.

Il di lui creditore, essendo stato pregiudicato dalla rinuncia all’eredità compiuta dal debitore, adiva il Tribunale di Brescia acché, accertato che la rinuncia era avvenuta in suo danno, l’autorizzasse ad accettare l’eredità in nome e in luogo del rinunciante ai sensi dell’art. 524 c.c., e, successivamente, ad agire in riduzione ai sensi dell’art. 2900 c.c., fino a concorrenza del proprio credito.

A seguito del decesso dell’attore, avvenuto durante la pendenza del procedimento, i suoi eredi riassumevano il processo.

Con sentenza del 14.07.2015, il Tribunale bresciano autorizzava gli eredi dell’attore ad accettare l’eredità del debitore ai sensi dell’art. 524 c.c. e a soddisfarsi sui beni ereditari fino a concorrenza del loro credito e, a tal fine, disponeva la riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della sua quota di legittima.

Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello l’erede testamentaria, eccependo, per quanto qui di interesse, che gli attori non potevano esperire l’azione di riduzione in surrogazione, in quanto essi non avevano specificato tale volontà nell’atto di citazione, limitandosi ad azionare il rimedio di cui all’art. 524 c.c., e che, in ogni caso, la rinuncia all’eredità da parte del legittimario preterito comporta implicita rinuncia anche all’azione di riduzione.

2. Differenza tra rinuncia all’eredità e rinuncia all’azione di riduzione

La rinuncia all’eredità e la rinuncia all’azione di riduzione sono due facoltà che il legittimario può esercitare separatamente l’una dall’altra, anche se la prima racchiude necessariamente in sé anche l’altra – in quanto la rinuncia all’eredità comporta logicamente anche rinuncia all’azione di riduzione (che è una facoltà spettante al legittimario quale erede o, comunque, per conseguire la qualità di erede, quindi incompatibile con la volontà di rinunciare all’eredità) –, mentre la rinuncia all’azione di riduzione[1] non è compatibile con l’avvenuta rinuncia all’eredità[2].

La rinunzia all’eredità[3]:

  • è un negozio giuridico unilaterale, perché il titolare del diritto lo dismette senza la partecipazione di altri soggetti, che ha però rilievo bilaterale[4], atteso che produce anche un effetto indiretto nella sfera giuridica altrui (i chiamati in subordine), consistente nell’acquisto del diritto di accettare l’eredità;
  • è un negozio inter vivos;
  • è un negozio formale, perché la legge richiede ad substantiam il rispetto delle forme di cui all’art. 519 c.c.;
  • è un negozio neutro, non essendo né gratuito né oneroso;
  • è un negozio a revocabilità limitata, in quanto la revoca è ammissibile solo in presenza delle circostanze di cui all’art. 525 c.c.;
  • è un actus legitimus, non tollerando l’apposizione di termini o condizioni;
  • è un atto di straordinaria amministrazione;
  • non è un negozio personalissimo, atteso che, ai sensi degli artt. 320 e 374 c.c., è ammessa la rinuncia all’eredità per mezzo di legale rappresentante;
  • non è un negozio recettizio, in quanto la sua efficacia prescinde dal fatto di essere portato a conoscenza di determinati soggetti[5].

La rinuncia all’azione di riduzione:

  • è una vera e propria rinuncia, avente ad oggetto il diritto potestativo[6] del legittimario di agire in riduzione;
  • è un negozio a forma libera, potendo esso derivare anche da facta concludentia[7];
  • è un negozio irrevocabile[8].

A parte le differenze sopra riportate, è fondamentale avere riguardo agli effetti che conseguono alla rinuncia all’eredità e a quelli della rinuncia all’azione di riduzione: chi rinuncia all’eredità manifesta la volontà di dismettere qualunque diritto ereditario, sia che gli spetti come legittimario, sia come erede legittimo, sia come erede testamentario (ivi incluso, ovviamente, quello di agire in riduzione); chi rinuncia all’azione di riduzione, invece, manifesta la propria volontà di rendere intangibili le situazioni giuridiche venutesi a creare per volontà del de cuius[9], essendo tale actio l’unico mezzo di tutela a disposizione del legittimario che, vedendosi leso nei suoi diritti di riserva, intenda conseguire tutti quelli attribuitigli dal conditor legis[10].

Malgrado gli effetti delle due rinunce siano ictu oculi formalmente diversi, vi è almeno un caso nel quale essi finiscono sostanzialmente per coincidere: si tratta di quello di rinuncia all’eredità da parte del legittimario chiamato solamente come erede e che non sia beneficiario di donazioni o legati e di quella del legittimario pretermesso come erede che, senza aver ricevuto donazioni o legati, rinunci all’azione di riduzione. In entrambi i casi il legittimario, sebbene con modalità differenti, rinuncia di fatto ad ogni diritto che potrebbe spettargli sulla successione a cui è chiamato: nel primo caso rinunciando ad acquistare l’eredità (e quindi anche all’azione di riduzione); nel secondo rinunciando all’unico strumento che la legge gli concede per conseguire quanto spettantegli, id est l’azione di riduzione.

Potendo la rinuncia all’eredità recare pregiudizio alle ragioni del ceto creditorio, il legislatore del 1942 ha approntato un rimedio per i creditori il cui debitore l’abbia posta in essere e ciò ha fatto attraverso l’art. 524 c.c., che prevede una «singolare figura d’impugnazione[11]» consistente nella possibilità per il creditore di farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e in luogo del rinunziante, onde soddisfarsi sui beni ereditari (di sua spettanza) fino alla concorrenza del proprio credito.

La dottrina e la giurisprudenza non hanno mancato di far notare l’imprecisione «della formula legislativa laddove essa fa riferimento all’accettazione dell’eredità da parte dei creditori del rinunciante[12]», atteso che l’azione non comporta una vera e propria accettazione dell’hereditas – tanto che, ad esito della stessa, il titolo di erede non viene conseguito né dal creditore agente né dal debitore rinunciante – ma permette soltanto al creditore che si sia attivato di soddisfarsi esecutivamente sui beni che, in caso di accettazione, sarebbero spettati al suo debitore, fino a concorrenza del suo credito; trattasi in buona sostanza di un’azione meramente strumentale e cautelare[13].

Valga precisare che può dirsi oramai condivisa l’opinione per cui l’actio in parola non è né una revocatoria né una surrogatoria[14].

Dalla prima si distingue per i presupposti – non richiedendo l’art. 524 c.c. l’elemento della frode né la consapevolezza da parte del debitore di pregiudicare le ragioni dei creditori, essendo sufficiente soltanto l’eventus damni in quanto tale[15] – e per gli effetti – l’azione revocatoria tende a far dichiarare inefficace nei confronti del creditore un atto lesivo delle sue ragioni mentre l’azione de qua non rende inefficace la rinuncia ma permette al creditore di soddisfarsi ugualmente sui beni che sarebbero spettati al suo debitore in caso di accettazione dell’eredità –.

Dalla seconda si differenzia sia per il presupposto – non l’inerzia del debitore, come per la surrogatoria, quanto la sua attività, consistente nella dismissione del diritto di accettare – che per il funzionamento – il creditore agente in surrogazione agisce utendo iuribus debotoris mentre quello che agisce ex art. 524 c.c. lo fa iure proprio[16].

In nuce, presupposti del rimedio di cui all’art. 524 c.c. sono la rinuncia all’eredità da parte del delato e l’eventus damni che ne consegue per il creditore; suo unico effetto, invece, sarà che il creditore potrà soddisfarsi, fino a concorrenza del proprio credito, sui beni che, in caso di accettazione, sarebbero spettati al suo debitore, senza che questi vengano mai acquisiti al patrimonio di quest’ultimo e che lui o il predetto acquistino la qualità di erede[17].

Per la peculiarità del rimedio in commento dottrina e giurisprudenza si sono a lungo interrogate, e continuano a farlo, sulla sua applicabilità oltre i casi tassativamente previsti dalla disposizione, e.g. alla rinuncia all’azione di riduzione da parte del legittimario leso o pretermesso.

Se quanto sopradetto è applicabile in linea generale ai creditori di un soggetto chiamato ad una qualunque eredità, particolare interesse desta quali siano i mezzi di tutela cui possono ricorrere più specificamente i creditori di colui che, rispetto al de cuius, possa vantare il titolo di legittimario.

Il nostro Codice civile, purtroppo, non si occupa in maniera specifica della posizione di costoro, tanto che parte della dottrina[18], dinanzi all’assordante silenzio serbato dal conditor legis, non ha esitato a sostenere che sia per loro esclusa la possibilità di esercitare l’azione di riduzione ai sensi dell’art. 557, non potendo gli stessi essere ricompresi tra gli “aventi causa” cui fa riferimento la disposizione.

La dottrina[19] e la giurisprudenza[20] oggi prevalenti, tuttavia, sono dell’opinione che i creditori personali del legittimario possano esperire l’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni lesive dei di lui diritti di riserva.

Resta tuttavia da chiarire a che titolo costoro siano a ciò legittimati.

Una corrente interpretativa[21] sostiene che la legittimazione spetti loro in via diretta e nomine proprio, ai sensi dell’art. 557, c. 1, c.c., quali “aventi causa” del legittimario; altro filone esegetico[22], allo stato prevalente, è invece dell’opinione che costoro non possano essere fatti rientrare fra gli aventi causa del legittimario e che siano legittimati all’azione di riduzione solo ai sensi dell’art. 2900 c.c. – beninteso, ricorrendone tutti i presupposti di legge[23] –.

Sui rimedi esperibili avverso la rinuncia alla sola azione di riduzione, per ragioni di opportunità redazionale, si dirà nel paragrafo seguente.

Operata questa lunga, ma indispensabile, ricostruzione degli istituti e delle posizioni dottrinarie e giurisprudenziali di nostro interesse, possiamo ora passare all’analisi delle decisioni cui è pervenuto il Giudice bresciano.

3. La decisione della Corte d’Appello

Per meglio comprendere le ragioni del decisum della Corte territoriale, occorre muovere da una precisazione circa i reali contorni dei motivi di appello fatti propri dall’erede testamentaria, i quali – pur potendo prima facie parere poco significativi a causa della scarsa articolazione e delle imprecisioni che ne caratterizzano la formulazione – hanno una portata giuridicamente molto maggiore di quello che potrebbe pensarsi.

Eccependo che gli attori non potevano esperire l’azione di riduzione in surrogazione essendosi in primo grado limitati ad esercitare il rimedio ex art. 524 c.c. e che, in ogni caso, l’azione di riduzione era andata perduta a causa della rinuncia all’eredità (rectius, alla sola azione di riduzione, atteso che, nella prospettazione difensiva, il legittimario era preterito e non semplicemente leso e poteva, quindi, rinunciare, al più, all’azione di riduzione), l’appellante intendeva evidentemente significare: a) in primis che, comportando la rinuncia all’eredità implicita rinuncia anche all’azione di riduzione, per recuperare quest’ultima non sarebbe sufficiente il rimedio di cui all’art. 524 c.c. ma servirebbe esperire un’apposita ed ulteriore azione revocatoria ai sensi degli artt. 2901 ss. c.c.; b) lo strumento previsto dall’art. 524 c.c., ove vittoriosamente esperito, non è titolo idoneo anche per il successivo esercizio in via diretta dell’azione di riduzione da parte del creditore, dovendo il medesimo azionarla attraverso l’azione surrogatoria di cui all’art. 2900 c.c.

Tanto chiarito, lasciando per adesso da parte tutta la diatriba dottrinaria e giurisprudenziale inerente alla possibilità di revocare la rinuncia alla sola azione di riduzione e agli strumenti per conseguire tale risultato[24], va evidenziato come la Corte territoriale abbia pregevolmente governato le disposizioni di legge che regolano la materia sottoposta al suo giudizio[25].

Il Collegio giudicante, infatti, nel ritenere infondate le eccezioni sollevate dalla parte appellante, chiarisce, in maniera condivisibile, che «una volta esperita l’azione ex art. 524 c.c. e divenuta inefficace la rinunzia all’eredità, i creditori possono ben proporre tutte le azioni spettanti al loro debitore con riferimento all’eredità medesima», ivi inclusa l’azione di riduzione, che non va “recuperata” con un’autonoma azione revocatoria.

L’arresto è sotto questo profilo particolarmente pregevole perché, seppur indirettamente, stabilisce che l’azione di riduzione è da considerarsi come un diritto (potestativo) ereditario, nel senso ch’esso viene acquistato dal legittimario a seguito dell’apertura della successione e che nella medesima trova la propria causa[26], non potendo dunque sostenersi che si tratti di un diritto acquisito dal legittimario iure proprio[27]. Se così non fosse, infatti, non sarebbe giuridicamente sensato che la rinuncia all’eredità implichi rinuncia all’azione di riduzione, dovendo questa essere un quid del tutto distinto dalla prima[28], e l’atto con la medesima venisse dismessa dovrebbe essere fatto oggetto di un’apposita ed autonoma azione revocatoria. Tale essendo la natura dell’azione di riduzione, correttamente la Corte d’Appello è giunta alla conclusione per cui «una volta esperita l’azione ex art. 524 c.c. e divenuta inefficace la rinunzia all’eredità, i creditori possono ben proporre tutte le azioni spettanti al loro debitore con riferimento all’eredità medesima».

Il Giudice, benché non direttamente ma riportando testualmente quanto ritenuto da un recente arresto della Corte di Cassazione[29], prende posizione anche relativamente allo strumento attraverso il quale esperire l’azione di riduzione da parte del creditore: egli, ove ciò sia necessario alla tutela dei propri diritti, dovrà esercitare la medesima ai sensi dell’art. 2900 c.c., i.e. attraverso un’azione surrogatoria.

Questa conclusione, però, era tutt’altro che scontata. Secondo un orientamento giurisprudenziale e dottrinale[30] oggi molto nutrito, infatti, laddove il legittimario sia pretermesso e rinunci all’azione di riduzione, valorizzando la coincidenza di effetti tra rinuncia all’eredità e all’azione di riduzione che viene a realizzarsi in un caso come questo, dovrebbe ammettersi l’esperibilità dell’azione di cui all’art. 524 c.c. onde permettere al creditore agente, fino a concorrenza del suo credito, di soddisfarsi sui beni che sarebbero spettati al suo debitore se avesse esperito l’azione di riduzione. Il titulus dell’esercizio dell’azione di riduzione da parte del creditore, quindi, sarebbe da rinvenire non nell’art. 2900 c.c. ma nello stesso art. 524 c.c., malgrado il medesimo sia stato analogicamente applicato per revocare la rinuncia all’azione di riduzione anziché all’eredità.

Aderendo a questa ricostruzione esegetica, potrebbe a mio avviso farsi un ulteriore passo avanti ed ammettersi che, a seguito del vittorioso esercizio dell’impugnazione della rinuncia all’eredità compiuta dal legittimario semplicemente leso, il creditore possa aggredire in executivis direttamente presso terzi non solo i beni ereditari “offerti” al debitore e da lui rinunciati ma anche quelli ch’egli avrebbe eventualmente acquistato esperendo l’azione di riduzione e ciò non surrogandosi a costui nell’esperimento dell’actio medesima ai sensi dell’art. 2900 c.c. bensì in virtù dell’art. 524 c.c., che, permettendogli di soddisfarsi «sui beni ereditari», sarebbe ex se titolo sufficiente per realizzare il proprio credito non solo su quelli che il debitore aveva ricevuto (tramite legati o un’istituzione ereditaria) e a cui ha rinunciato ma anche sull’azione di riduzione – essa stessa, come visto, bene ereditario –, attraverso la surrogazione reale della medesima con le altre res facenti parte dell’asse ereditario in proporzione del credito da tutelare.

4. Conclusioni

Stando a quanto argomentato dalla Corte bresciana nell’arresto in commento, possono desumersi i due seguenti principi di diritto:

a) esperendo vittoriosamente l’azione di cui all’art. 524 c.c., il creditore del legittimario leso rinunciante all’eredità revoca la rinuncia rispetto a tutti i beni ereditari, ivi compresa l’azione di riduzione, senza che, per la medesima, sia necessario esperire un’autonoma azione revocatoria;

b) qualora il creditore, per tutelare il proprio credito, avesse la necessità di esercitare detta azione di riduzione, non potrebbe farlo recta via in virtù del predetto art. 524, ma dovrebbe surrogarsi al debitore ai sensi dell’art. 2900 c.c.

Per il Giudice d’appello, ordunque, non sarebbe condivisibile l’orientamento “evolutivo” proposto da una larga parte della dottrina e della giurisprudenza, ed in questa sede richiamato, in virtù del quale l’azione ex art. 524 c.c. assurgerebbe ex se a titolo idoneo anche all’esercizio diretto dell’azione di riduzione da parte del creditore, il quale risulterebbe allora legittimato ad aggredire presso terzi i beni che sarebbero stati acquistati dal suo debitore ove quest’ultimo avesse personalmente esperito l’azione di riduzione. A tale orientamento, però, tanto per ragioni di economia – non soltanto processuale – che di coerenza sistematica, ritengo di dover aderire, con l’auspicio che il medesimo possa trovare maggiore diffusione in seno alla giurisprudenza.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Si ricordi che l’art. 557, c. 2, c.c., letto a contrario, dispone che la rinuncia all’azione di riduzione non può avvenire fintanto che è vivo il donante, per cui la stessa è nulla ove intervenga mentre l’ereditando è ancora in vita. Secondo G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, Quarta edizione, a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, I, Milano, 2015, 556, «La norma, in realtà, è superflua, perché il divieto era già compreso nell’art. 458 (divieto dei patti successori)». La riconducibilità del divieto all’art. 458 c.c. è sostenuta anche da Cass., 17 agosto 1963, n. 2327, la quale ha ritenuto che «La dichiarazione del legittimario, fatta in vita del donante, di essere stato soddisfatto della sua quota di riserva, sia che la si consideri come disposizione di diritti a successione non ancora aperto o rinuncia ai medesimi, sia che la si configuri come rinuncia preventiva all’esperimento delle azione di riduzione della donazione e delle disposizioni lesive della porzione di legittima, impinge nel divieto posto rispettivamente dagli artt. 458 e 557».

[2] G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., 556 e 557.

[3] Oggetto di grandi disquisizioni è la natura giuridica della rinuncia all’eredità: a chi (F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2007, 442 ss.; A. PALAZZO, Le successioni, Milano, 2000, 359; V. SCIARRINO e M. RUVOLO, La rinuncia all’eredità, in Il Codice Civile. Commentario, Artt. 519-527, fondato e già diretto da P. Schlesinger, continuato da F. D. Busnelli, Milano, 2008, 50; Cass., 10 agosto 1974, n. 2394)  ne sostiene la natura di rifiuto impeditivo, in quanto il delato non rinuncerebbe ad un diritto già acquisito ma rifiuta di acquistare la complessa posizione giuridica che gli viene offerta, si contrappongono quanti (F. SANTORO-PASSARELLI, Sulla forma della rinuncia all’eredità, in Saggi di diritto civile, II, Napoli, 1961, 805; L. CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, s.d., 152; L. COVIELLO jr., Diritto successorio, Bari, 1962, 304; W. D’AVANZO, Delle successioni – tomo I (parte generale), Firenze, 1941, 328 ss.; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., 312 e 313; Cass., 29 marzo 2003, n. 4846) sostengono invece trattarsi di autentico negozio dismissivo, nella specie di rinuncia abdicativa, avente ad oggetto il diritto di accettare l’eredità, definito “diritto” dallo stesso legislatore all’art. 479 c.c.

[4] V. BARBA, La rinuncia all’eredità, Milano, 2008, 94.

[5] L. FERRI, “Delle Successioni. Della separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede – Della rinunzia all’eredità – Dell’eredità giacente – Della petizione di eredità, artt. 512 – 535”, in Commentario al codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1968, 89; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., 313 e 314; C. TATAROFILA, Profili critici in tema di rinuncia al’eredità, in Giuricivile – Rivista di diritto e giurisprudenza civile, pubblicata su Internet all’indirizzo giuricivile.it; G. GROSSO e A. BURDESE, Le successioni. Parte generale, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, XII, tomo 1, Torino, 1977, 320; V. SCIARRINO e M. RUVOLO, La rinuncia all’eredità, cit., 38 ss.; G. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Nona edizione aggiornata, Milano, 2018, 148 ss.

[6] Così Cass., 28 marzo 1977, n. 2773, che parla di diritto «patrimoniale (e perciò disponibile) e potestativo, del legittimario di agire per la riduzione delle disposizione testamentarie lesive della sua quota di riserva».

[7] In tal senso Cass., 7 maggio 1987, n. 4230; Cass., 3 dicembre 1996, n. 10775; Cass., 20 gennaio 2009, n. 1373.

[8] G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., 556.

[9] G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., 557; Cass., 28 marzo 1997, n. 2773.

[10] A. CICU, Successione legittima e dei legittimari, Milano, 1943, 279 ss.; F. MESSINEO, Azione di riduzione e azione di restituzione per lesa legittima, in Riv. dir. civ., 1943, 129 ss.; G. GRASSI, Rinuncia del legittimario pretermesso all’azione di riduzione e mezzi di tutela dei creditori: revoca della rinuncia ed esercizio in surroga dell’azione di riduzione, in Fam., 2004, 12, 1191. In caso di totale pretermissione, poi, l’esercizio dell’azione di riduzione è l’unico modo che ha il legittimario non solo per ottenere i diritti di riserva a lui spettanti ma anche per ottenere la stessa qualità di erede, essendo ormai un principio consolidato in dottrina (A. BULGARELLI, Gli atti «dispositivi» della legittima, in Not., 2000, 5, 481 ss., spec. 486; M. CRISCUOLO, La tutela dei creditori rispetto ad atti dispositivi della legittima, in AA. VV., Tradizione e modernità del diritto ereditario nella prassi notarile, Milano, 2016, 120 e 121; S. VASSALLO, Tutela dei creditori in caso di rinuncia all’asse ereditario, in Giuricivile – Rivista di diritto e giurisprudenza civile, pubblicata su Internet all’indirizzo giuricivile.it; S. PAGLIANTINI, La frode per testamento ai creditori del legittimario: sulla c.d. volontà testamentaria negativa e tecniche di tutela dei creditori, in AA. VV., Tradizione e modernità del diritto ereditario nella prassi notarile, Milano, 2016, 211; M. C. TATARANO, La successione necessaria, in AA. VV., Diritto delle successioni e delle donazioni, a cura di R. Calvo e G. Perlingeri, Napoli, 2013, I, 522 ss.; L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Tratt. dir. civ., diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, Milano, 1992, XLIII, 2, 123) ed in giurisprudenza (Cass., 11 marzo 1966, n. 699; Cass., 24 giugno 1972, n. 2141; Cass., 17 ottobre 1973, n. 2624; Cass., 20 dicembre 1973, n. 3453; Cass., 5 ottobre 1974, n. 2621; Cass., 3 dicembre 1996, n. 10775; Cass., 15 giugno 2006, n. 13804; Cass. 20 novembre 2008, n. 27556; Cass., 13 gennaio 2010, n. 368; Cass., 3 luglio 2013, n. 16635; Cass., 26 ottobre 2017, n. 25441) quello per cui il legittimario pretermesso acquista la qualità di erede solo dopo il vittorioso esperimento dell’azione di riduzione. Contra F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ e G. AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1973, 181 e 188, e, recentemente, A. TORRONI, La reintegrazione della quota riservata ai legittimari nell'impianto del codice civile, in Giur. it., 2012, II, 1951 ss., spec. 1957, secondo i quali il pretermesso non diventa erede in quanto, non sussistendo un tertium genus di devoluzione ereditaria diversa dalla legge e dal testamento, non si può non riconoscere che, in un caso del genere, l’eredità non si devolve per legge – data l’inoperatività della disposizioni in materia di successione legittima, messe fuori causa da una contraria volontà testamentaria – né per testamento – il quale ha, rispetto al pretermesso, una volontà privativa e non attributiva –. Per una più completa disamina delle posizioni in materia, si rinvia a A. MONDINI, In merito all’azione di riduzione, in Judicium – Il processo civile in Italia e in Europa, pubblicata su Internet all’indirizzo judicium.it.

[11] G. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 153.

[12] V. SCIARRINO e M. RUVOLO, La rinuncia all’eredità, cit., 267. Nello stesso senso, per tutti, G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., 329.

[13] Cass., 12 giugno 1964, n. 1470; Cass., 10 agosto 1974, n. 2935; Cass., 24 novembre 2003, n. 17866; Cass., 29 marzo 2007, n. 7735.

[14] Per tutti M. VASCELLARI, sub Art. 524, in Commentario Breve al Codice Civile, diretto da G. Cian e A. Trabucchi, a cura di G. Cian, 12a ed., Milano, 2016, 590 e 591. In tal senso pare chiaramente deporre anche la Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice civile n. 254, nella quale si legge: «[…] si infatti si prescinde dal pregiudizio teorico della sistemazione di questo istituto negli schemi dell’azione revocatoria o della surrogatoria, si vedrà che praticamente il requisito della frode del rinunziante nn è opportuno che sia richiesto. Un’efficace tutela dei creditori anteriori alla rinunzia può e deve essere realizzata indipendentemente dall’animus del rinunciante e solo in base all’estremo obbiettivo del danno. Qui non si tratta di tutelare aspettative di terzi, ché altrimenti si dovrebbe richiedere la frode di coloro ai quali l’eredità è devoluta in luogo del rinunziante, il che invece è inconcepibile; non vi è quindi ragione alcuna, sotto il profilo pratico, di condizionare la tutela dei creditori, oltre che al danno, anche alla frode del rinunziante. Del resto l’esercizio del diritto dei creditori, previsto da questo articolo, importa non già il venire meno della rinunzia e tanto meno l’acquisto della qualità di erede da parte dei creditori, ma solo il potere di questi di aggredire i beni ereditari, che residuano dopo il pagamento dei creditori dell’eredità per il soddisfacimento delle loro ragioni. Se, in base a questa disciplina, di concluderà che l’azione in parola non rientra negli schemi della surrogatoria o della pauliana, poco male. Quel che importa è che la disciplina sia adeguata alle esigenze pratiche e alla necessità di una composizione degli interessi in conflitto. Per evitare equivoci ho soppresso nell’art. 524 il riferimento alla dichiarazione d’inefficacia della rinuncia nei confronti dei creditori, che sarebbe stata puramente preliminare e avrebbe invece potuto far pensare a un richiamo delle norme sulla revocatoria».

[15] Cass., 10 agosto 1974, nn. 2394 e 2395.

[16] Si veda l’ampia disamina di F. PIRONE, Rinunzia all’azione di riduzione ed art. 524 c.c.: la tutela del creditore del legittimario, in Not., 2018, 2, 221 ss.; così anche A. BUSANI e A. CURRAO, Legittimario pretermesso inerte e azione di riduzione in via surrogatoria, in Not., 2019, 5, 528 ss.; V. SCIARRINO e M. RUVOLO, La rinuncia all’eredità, cit., 259 ss.; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., 330.

[17] G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., 330 e 331.

[18] Per tutti, F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1962, 331.

[19] L. MENGONI, Successioni per causa di morte – Parte speciale. Successione necessaria, Milano, 2000, 243; E. BETTI, Appunti di diritto civile, Milano, 1928-1929, 516; F. SANTORO-PASSARELLI, Dei legittimari, in Codice civile, Libro delle successioni per causa di morte e delle donazioni, in Commentario diretto da M. D’Amelio e E. Finzi, editori vari, 1941, 316; A. PINO, Tutela dei legittimari, Padova, 1954, 69 ss.; A. BIGONI e F. GIOVANZANA, La tutela del creditore personale del legittimario tra surrogatoria, revocatoria ed art. 524 c.c., in Notariato, 2013, 6, 658 ss.; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., 538. Contra V. E. CANTELMO, I legittimari, in Successioni e donazioni, XI, Padova, 1991, 125; F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2011, 490, il quale in particolare esclude l’esercizio dell’azione di riduzione in via surrogatoria, in quanto il suo esercizio sarebbe una scelta rimessa totalmente al legittimario e che quindi non può essere imposta da un’iniziativa del creditore. Solo parzialmente in disaccordo M. CRISCUOLO, La tutela dei creditori rispetto ad atti dispositivi della legittima, in AA. VV., Tradizione e modernità del diritto ereditario nella prassi notarile, Milano, 2016, 119, il quale ritiene che «L’assolutezza di tale affermazione […] non può essere condivisa in pieno».

[20] Cass., 30 ottobre 1959, n. 3208; Trib. Cagliari, 14 febbraio 2002, in IlSole24Ore, Mass. Rep. Lex24; Trib. Gorizia, 4 agosto 2003, in Familia, 2004, 12, 1187 ss., con nota di G. GRASSI, Rinuncia del legittimario pretermesso all’azione di riduzione e mezzi di tutela dei creditori: revoca della rinuncia ed esercizio in surroga dell’azione di riduzione; Trib. Pesaro, 11 agosto 2005, in Foro it., Rep., 2009, voce Successione ereditaria, n. 148; Trib. Novara, 18 marzo 2013, in Notariato, 2013, 6, 655 ss., con nota di A. BIGONI e F. GIOVANZANA, La tutela del creditore personale del legittimario tra surrogatoria, revocatoria ed art. 524 c.c.; Cass., 22 febbraio 2016, n. 3389; Cass., 20 giugno 2019, n. 16623.

[21] Ciò si desumerebbe dal disposto del comma 3 dell’articolo 557 c.c., il quale prevede che i creditori del defunto possono esercitare l’azione di riduzione solo ove il legittimario non abbia accettato con beneficio d’inventario bensì in maniera pura e semplice, determinando la confusione del proprio patrimonio con quello ereditario: letta a contrario la disposizione legittimerebbe all’esercizio dell’azione di riduzione anche i creditori personali del legittimario, non essendo altrimenti giuridicamente comprensibile dove stia la differenza tra questi ultimi ed i creditori del de cuius che, a seguito dell’intervenuta accettazione pura e semplice del legittimario, sono diventati essi stessi suoi creditori personali. In tal senso, ex multis, L. BARASSI, Le successioni per causa di morte, Milano, 1944, 280; W. D’AVANZO, Delle successioni – tomo II (parte speciale), Firenze, 1941, 499.

[22] L. FERRI, Dei legittimari, Libro II – Art. 536-564, in Commentario del Codice Civile, diretto da A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1981, 200, per il quale «questi agiscono utendo iuribus, cioè fanno valere il diritto e l’azione di cui è titolare il legittimario»; V. R. CASULLI, voce Riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie lesive della legittima, in Noviss. Dig. It., Torino, 1957, 1060 e 1061; C. GIANNATTASIO, Delle successioni, Libro II - Tomo I, in Commentario del Codice Civile, Torino, 1959, 364; E. BETTI, Appunti di diritto civile, cit., 516; F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ e G. AZZARITI, Successioni per causa di morte, Padova, 1969, 242. In giurisprudenza, Trib. Parma, 27 aprile 1974, in Giur. it, 1975, I, 350, secondo cui «L’azione di riduzione è esperibile in via surrogatoria dal creditore del legittimario preterito».

[23] In questo senso chiaramente Trib. Lucca, 2 luglio 2007, in IlSole24Ore, Mass. Rep. Lex24, per il quale l'azione di riduzione quale rimedio volto a rendere l'atto dispositivo del defunto inefficace può essere esercitata dai creditori del legittimario facendo ricorso al rimedio generale della surrogatoria sempre che ne sussistano le condizioni.

[24] Sull’argomento sia consentito un richiamo a L. COLLURA, Mezzi di tutela dei creditori del legittimario leso o pretermesso, in Gazz. Not., 2019, 382-387, e in Giusizia Civile.com, pubblicata su Internet all’indirizzo giustiziacivile.com, 9-12, ove anche un florilegio di riferimenti bibliografici e giurisprudenziali.

[25] E ciò, sia consentito, nonostante un’evidente imprecisione giuridica che caratterizza le premesse del suo decisum. La Corte, infatti, dopo aver ricordato l’eccezione dell’appellante per cui la rinuncia all’eredità da parte del legittimario preterito comporta anche rinuncia all’azione di riduzione, esordisce statuendo «Premesso che una siffatta affermazione, secondo la stessa prospettazione fatta dall’appellante, presuppone la, già smentita, pretermissione del [legittimario; ndr] dall’eredità del padre, la stessa si palesa contraddittoria […] perché la stessa parte appellante ha affermato che l’erede pretermesso non può rinunciare a nessuna azione riguardante l’eredità, posto che non è erede e quindi non può aver rinunciato né all’eredità né all’azione di riduzione», per concludere che «Ne consegue che nessuna rinunzia all’azione di riduzione è configurabile nel caso in esame». Tale affermazione, per quanto abbiamo avuto modo di vedere sub § 2, è palesemente erronea: se così fosse, il legittimario pretermesso, all’apertura della successione, non sarebbe titolare dell’azione di riduzione, la quale, invece, è anzi l’unico strumento che l’ordinamento gli fornisce per recuperare la parte di patrimonio ereditario cui aveva diritto attraverso il suo esperimento. Essendone titolare sin dall’apertura della successione, il legittimario potrebbe anche rinunciarvi, salvo poi individuare lo strumento cui far ricorso per revocare tale particolare atto abdicativo, anche se, nel caso di pretermissione, non potrebbe validamente rinunciare all’eredità. Nel caso sottoposto al vaglio del Collegio bresciano, tuttavia, atteso che il legittimario non era pretermesso ma leso, la sua rinuncia all’eredità comportava, eccome, anche implicita rinuncia all’azione di riduzione.

[26] Malgrado nel caso del legittimario pretermesso, che non è destinatario di una delazione e non consegue quindi alcun diritto ereditario, sia il solo bene che al medesimo perviene.

[27] Chi scrive è consapevole del fatto che una simile impostazione parrebbe porsi in aperta antitesi con l’orientamento della dottrina più moderna (per tutti F. MAGLIULO, La legittima quale attribuzione patrimoniale policausale. Contributo ad una moderna teoria della successione necessaria, in Riv. not., 2010, 533 ss., secondo il quale la legittima non è necessariamente quota d’eredità, potendo anzi essere soddisfatta anche con attribuzioni aventi una causa diversa, e.g. un legato o una donazione, e sarebbe da escludere che il legittimario debba essere necessariamente erede del de cuius). Ma proprio perché lo scrivente ritiene pienamente condivisibile tale ultima impostazione, reputa quanto mai opportuno precisare perché il riconoscimento della natura di diritto ereditario all’azione di riduzione non presuppone l’adesione alla tesi per cui il legittimario sia erede necessario o legatario ex lege. Va anzitutto premesso che l’actio de qua si pone come strumento di tutela del diritto del legittimario ad ottenere un certo quantum di valore sul patrimonio complessivo del de cuius e, salvo che quest’ultimo può decidere liberamente il quomodo per attribuirgli tale valore (donazioni in vita, legati o istituzione ereditaria), il legittimario, laddove, all’apertura della successione, non abbia già ottenuto beni di valore sufficiente a soddisfare i suoi diritti di riserva né possa ottenerli per successione legittima o tramite legati, avrà in ogni caso diritto di conseguire quanto gli spetta: per assicurargli tutela il legislatore gli attribuisce con la successione il diritto di agire in riduzione. Orbene, la natura ereditaria dell’azione può desumersi dal disposto dell’art. 557, c. 2, c.c., a mente del quale i legittimari non possono rinunziare alla stessa finché vive il donante e che viene solitamente ritenuto espressione del divieto dei patti successori dispositivi di cui all’art. 458 c.c. (si veda in merito quanto riportato sub nota 1), in quanto, rinunciando all’azione, il legittimario starebbe rinunciando ad un diritto che gli spetta su una successione non ancora apertasi, i.e. ad un diritto ereditario. A quest’osservazione a mio avviso non può nemmeno obiettarsi che, in realtà, il legislatore, prevedendo il divieto di rinuncia, avrebbe in via mediata inteso evitare che il legittimario potesse rinunciare ai beni che potrebbe conseguire ad esito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, perché il legittimario potrebbe comunque ottenere tutto quanto gli spetta sin dall’apertura della successione (e.g. tramite un’istituzione ereditaria) pur avendo preventivamente rinunciato all’azione di riduzione. Lo stesso art. 557 c.c., al comma 1, prevedendo che l’azione può essere ceduta inter vivos o mortis causa, riconoscendole indirettamente natura patrimoniale (in questo senso, tra l’altro, v. Cass., 22 giugno 1961, n. 1495; Cass., 30 novembre 1963, n. 3077; Cass., 28 luglio 1967, n. 2006; Cass., 28 giugno 1968, n. 2202; Cass., 26 gennaio 1970, n. 161; Cass., 21 marzo 1983, n. 1979; Cass., 9 aprile 2008, n. 26254; Cass., 20 gennaio 2009, n. 1373; Cass., n. 16623/2019; Trib. Gorizia, 4 agosto 2003, cit.; App. Roma, 27 ottobre 2010, in IlSole24Ore, Mass. Rep. Lex24; App. Napoli, 12 gennaio 2018, in Not., 2018, 2, 214 ss., con nota di F. PIRONE, Rinunzia all’azione di riduzione ed art. 524 c.c.: la tutela del creditore del legittimario), finisce per deporre in favore della tesi appena prospettata. Perciò ritengo non peregrina l’idea per cui l’azione di riduzione sia un diritto (potestativo) ereditario, del quale il testatore non può tuttavia privare il legittimario tramite un’apposita disposizione testamentaria e che il legittimario acquista sempre e comunque, anche nel caso che risulti totalmente pretermesso – in quanto strumentale all’ottenimento di altri beni ereditari volti a “riempire” la sua quota di legittima – o sia già stato soddisfatto con donazioni e/o legati e/o finanche un’istituzione ereditaria– salvo, in tale ultimo caso, soccombere nell’eventuale giudizio ch’egli instaurasse esercitando l’azione medesima per mancanza di interesse ad agire –.

[28] È quanto avviene, per esempio, nel caso del trattamento di fine rapporto spettante al lavoratore ai sensi dell’art. 2120 c.c. Ove la fine del rapporto di lavoro dipenda dal decesso del medesimo, l’art. 2122, c. 1, c.c., dispone che l’indennità sia corrisposta ai figli che erano a carico del lavoratore, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo, salvo precisare, al comma 3, che, in mancanza di questi soggetti, essa andrà attribuita seconda le norme sulla successione legittima. Dal combinato disposto dei due commi si desume che l’indennità viene acquistata iure proprio e non iure successionis (in tal senso, da ultimo, anche Agenzia delle Entrate, Risoluzione 36/E del 6 febbraio 2009), per cui, nel caso che beneficiario dell’indennità sia un figlio del de cuius (che è anche suo legittimario), egli l’acquisterà anche laddove dovesse rinunciare all’eredità, trattandosi di un diritto del tutto sconnesso dalla vicenda successoria.

[29] Cass., 20 giugno 2019, n. 16623.

[30] In merito, ampiamente, L. COLLURA, Mezzi di tutela dei creditori del legittimario leso o pretermesso, cit., 371 ss., e cit., 1 ss.