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Pubbl. Sab, 16 Mag 2020

Permesso di soggiorno: è necessario che il richiedente abbia una situazione abitativa certa

Elena Crispino



La dimostrazione della stabilità dell´alloggio costituisce un presupposto indispensabile per il rilascio del permesso di soggiorno e che, peraltro, è l´interessato a dover offrire la prova della disponibilità dell´alloggio, presso il quale è domiciliato, producendo, ad esempio, documenti quali pagamenti delle utenze, delle spese condominiali o un contratto di locazione regolarmente registrato o un atto di acquisto dell´immobile, che dimostri l´effettiva permanenza nell’immobile indicato.


Sommario: 1. Premessa; 2. I fatti e la sentenza 176/2015 del TAR Parma; 3. Il Consiglio di Stato respinge le censure: ordinanza cautelare e sentenza di appello e il principio di diritto dell’indefettibilità del requisito abitativo; 4. Il quadro normativo e la giurisprudenza precedente; 5. La giurisprudenza successiva: Consiglio di Stato 26 marzo 2019 n. 2014 e TAR Lazio 25 febbraio 2020 n. 3610; 6. Conclusioni.

Sommario: 1. Premessa; 2. I fatti e la sentenza 176/2015 del TAR Parma; 3. Il Consiglio di Stato respinge le censure: ordinanza cautelare e sentenza di appello e il principio di diritto dell’indefettibilità del requisito abitativo; 4. Il quadro normativo e la giurisprudenza precedente; 5. La giurisprudenza successiva: Consiglio di Stato 26 marzo 2019 n. 2014 e TAR Lazio 25 febbraio 2020 n. 3610; 6. Conclusioni.

1. Premessa

Col presente articolo, si commenterà la sentenza n. 3344 del 4.6.2018, emanata dal Consiglio di Stato in materia di permesso di soggiorno e, in particolare, del relativo obbligo del richiedente di possedere e documentare una situazione abitativa adeguata.

Con la pronuncia in commento, i giudici di Palazzo Spada forniscono una motivazione stringata in punto di diritto, limitandosi a richiamare precedenti arresti, di cui sarà dato pienamente conto nel corso della trattazione. La necessità, per lo straniero richiedente, di essere in possesso di un sicuro ed idoneo locus alloggiativo rappresenta infatti ormai un principio consolidato nella giurisprudenza sul punto, che ha nondimeno evidenziato come tale locus, pur essendo un presupposto dell’istanza da allegare documentalmente, è tuttavia successivamente suscettibile di verifica da parte delle autorità preposte, e la sua mancanza costituisce sempre legittimo motivo per il rigetto dell’istanza di richiesta o di rinnovo del permesso di soggiorno, ovvero di revoca del permesso già ottenuto.

2. I fatti e la sentenza 176/2015 del TAR Parma

La sentenza in commento trae origine da una vicenda che ha visto susseguirsi, prima della pronuncia del Consiglio di Stato[1] 3344 del 4.6.2018, una sentenza del TAR Emilia Romagna – sezione di Parma e un’ordinanza cautelare dello stesso Consiglio di Stato.

L’intera controversia originava dalla richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno che H.B., cittadina marocchina, presentava presso la Questura di Parma, con l’annessa documentazione comprovante i requisiti richiesti dal d.lgs. 286/1998 (Testo Unico Immigrazione). In particolare, la richiedente dichiarata di essere domiciliata in Parma, via Giuseppe Turi, 45; tuttavia, a seguito di tre diverse verifiche da parte dell’amministrazione, la stessa risultava irreperibile presso l’indirizzo indicato. Pertanto, la Questura di Parma emanava un provvedimento di diniego del permesso di soggiorno.

Avverso tale provvedimento, la richiedente proponeva ricorso presso il TAR Parma, lamentando la violazione dell’art. 10-bis l. 241/1990: secondo la ricorrente, in particolare, l’amministrazione procedente avrebbe emanato il provvedimento senza comunicarle il c.d. preavviso di rigetto. Peraltro, pur riconoscendo la sua assenza presso il domicilio indicato nelle occasioni di verifica da parte dell’amministrazione, affermava di essersi allontanata soltanto per un breve periodo di tempo (37 giorni) al fine di recarsi presso il proprio paese d’origine.

Il TAR Parma, con sentenza 176/2015, rigettava il ricorso proposto dalla ricorrente, ritenendo che il provvedimento di diniego di rinnovo fosse stato correttamente emanato.

In particolare, il Giudice amministrativo riteneva ampia ed esaustiva la motivazione redatta dall’amministrazione procedente, la quale aveva peraltro proceduto, prima di rigettare l’istanza, ad effettuare diversi controlli presso il domicilio dichiarato, riscontrando tutte le volte l’irreperibilità dell’interessata.

Queste le argomentazioni fornite dal Giudice di prime cure per confermare il provvedimento di diniego: innanzitutto, l’interessata aveva l’obbligo, una volta innescato il procedimento tramite la propria istanza, di comunicare all’amministrazione procedente ogni variazione di domicilio, ai sensi dell’art. 6, co. 8, d.lgs. 286/98, e non lo aveva fatto. La mancata partecipazione al procedimento, lamentata dalla ricorrente nei motivi di ricorso, in realtà non è stata frutto di un’omissione da parte dell’amministrazione, ma conseguenza naturale del fatto che, nel periodo di interesse, la stessa richiedente si era recata nel paese di origine, ciò implicando la sua irreperibilità all’indirizzo dichiarato.

Da ultimo, pur se è vero che la richiedente, una volta rientrata in Italia, aveva fornito all’amministrazione procedente un nuovo indirizzo di domiciliazione, ciò era stato fatto soltanto dopo l’emanazione del provvedimento di diniego: pertanto, ciò non sarebbe sufficiente per integrare il disposto dell’art. 5, co. 5, d.lgs. cit., secondo il quale “il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti … sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio”.

3. Le pronunce del Consiglio di Stato in sede d’appello (sent. 3344/2018) e in sede cautelare (ord. 5717/2015): il principio di diritto dell’indefettibilità del requisito abitativo

Sulla controversia brevemente ricostruita si pronunciava infine il Consiglio di Stato, emanando la sentenza n. 3344 del 4.6.2018 (a seguito dell’appello della stessa H.B.), con la quale veniva confermata la sentenza del TAR Parma ora richiamata.

Il Consiglio di Stato, nella sentenza in commento, ha ribadito un principio di diritto già consolidato nell’ambito della giurisprudenza amministrativa: in particolare, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno e del rinnovo dello stesso, “la certezza della situazione abitativa costituisce un presupposto indispensabile, sia per il lavoro autonomo che, come per il caso di specie, per il lavoro subordinato, non potendo essere rilasciato o rinnovato in situazioni di forte precarietà alloggiativa, connesse a sostanziale irreperibilità dello straniero[2].

Da tale principio discende la conseguenza dell’infondatezza dell’appello proposto: i Giudici di Palazzo Spada, infatti, hanno richiamato i controlli effettuati dall’amministrazione procedente, in seguito ai quali è emersa la sostanziale irreperibilità della richiedente; la valutazione dell’amministrazione resta legittima, poiché la richiedente, anche laddove avesse potuto interloquire in sede procedimentale, non avrebbe potuto fornire alcun elemento tale da modificare l’esito del procedimento. La violazione dell’art. 10-bis l. 241/1990 è, dunque, meramente formale, stante non solo la conclamata irreperibilità della richiedente presso l’indirizzo dichiarato, ma anche alla luce della circostanza (rappresentata dalla Questura) che tale indirizzo risulta addirittura fittizio, essendo stato indicato da diversi cittadini extracomunitari al fine di soddisfare il requisito abitativo richiesto dalla normativa del Testo Unico Immigrazione.

Le conclusioni cui è pervenuto il Consiglio di Stato nella sentenza 3344/2018, che ha definitivamente chiuso la questione, erano peraltro state anticipate nell’ordinanza cautelare n. 5717 del 23.12.2015, che aveva respinto la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza del TAR Parma, avanzata dalla stessa appellante.

Orbene, già in sede cautelare, in effetti, il Consiglio di Stato aveva rigettato la richiesta avanzata dalla ricorrente, ritenendo che non sussistesse il necessario fumus boni iuris[3], richiamando all’uopo il principio di diritto consolidato per il quale il possesso di una situazione abitativa certa è presupposto indefettibile tanto per il rilascio del permesso di soggiorno quanto per il suo rinnovo, essendo indifferente che esso sia richiesto per lavoro subordinato ovvero autonomo[4].

4. Il quadro normativo e la giurisprudenza precedente

Il principio dell’indefettibilità di una situazione alloggiativa certa, richiamato dal Consiglio di Stato nella sentenza in commento e nell’ordinanza collegata, emerge con chiarezza sia dal dato normativo, che dall’interpretazione che di esso è stata data dalla pressoché unanime giurisprudenza amministrativa.

Il permesso di soggiorno rappresenta il titolo per rimanere legalmente sul territorio italiano dopo l’ingresso, a sua volta legittimo, mediante visto di ingresso. I due titoli, pertanto, risultano strettamente collegati quanto ai presupposti richiesti per ottenerli. Ciò è chiaro alla luce del combinato disposto degli artt. 4 e 5 d.lgs. 286/1998: ai sensi dell’art. 4, co. 4, “'l’Italia consentirà l'ingresso nel proprio territorio allo straniero che dimostri di essere in possesso di idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno”.

Parallelamente, l’art. 5 prevede, al co. 1, che “possono soggiornare nel territorio dello Stato gli stranieri entrati regolarmente ai sensi dell'articolo 4, che siano muniti di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno rilasciati, e in corso di validità”. Inoltre, la stessa norma precisa che il permesso di soggiorno, da richiedere entro otto giorni lavorativi rispetto alla data d’ingresso sul territorio nazionale, è rilasciato per le attività previste dallo stesso visto d’ingresso, ovvero dalle disposizioni vigenti (co. 2), e può esserne negato il rilascio o il rinnovo laddove il richiedente non soddisfi più i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno (co. 5).

Ancora, il Testo Unico Immigrazione prevede, tra le attività per le quali può essere rilasciato o rinnovato un permesso di soggiorno, il lavoro subordinato e il lavoro autonomo.

Quanto al lavoro subordinato, la normativa oggi richiede la stipula, tra il datore di lavoro e il lavoratore straniero, di un contratto di soggiorno, ai sensi dell’art. 5-bis, nell’ambito del quale la legge impone che sia inserita, a pena di invalidità dello stesso, “la garanzia da parte del datore di lavoro della disponibilità di un alloggio per il lavoratore”. Non solo: l’art. 22 d.lgs. cit., nel descrivere l’iter procedimentale per il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, prevede che sia presentata, oltre alla proposta di contratto di soggiorno, anche “idonea documentazione relativa alle modalità di sistemazione alloggiativa per il lavoratore straniero”.

Le stesse conclusioni si possono trarre esaminando la normativa in materia di permesso di soggiorno per lavoro autonomo. In particolare, l’art. 26 d.lgs. cit. prevede che il lavoratore straniero, oltre a comprovare di essere in possesso di risorse adeguate per lo svolgimento dell’attività, nonché dei requisiti richiesti dalla legge italiana per l’esercizio della stessa, “deve comunque dimostrare di disporre di idonea sistemazione alloggiativa” (co. 3).

Il quadro normativo, pertanto, risulta chiaro nel richiedere, come requisito necessario per il rilascio del permesso di soggiorno, documentazione che comprovi la certezza della situazione abitativa del richiedente. E poiché i requisiti per il rilascio valgono expressis verbis anche per il rinnovo, e che la loro mancanza giustifica non soltanto il diniego di rilascio e di rinnovo, ma anche la revoca del permesso già ottenuto (art. 5, co. 5 d.lgs. cit.), emerge chiaramente che l’incertezza della situazione abitativa, che sia accertata dall’amministrazione procedente con adeguate verifiche, determina certamente l’esito negativo del procedimento, nel nostro caso, di rinnovo del permesso.

Le conclusioni così emergenti dal dato normativo risultano confermate in modo consolidato da parte della giurisprudenza amministrativa. Già con la sentenza 6018/2006 il Consiglio di Stato, pur occupandosi del diverso profilo del giudizio di pericolosità del richiedente, affermava che, accanto a tale profilo discrezionale[5], la richiesta del rinnovo del permesso era subordinata anche alla sussistenza di altri requisiti, tra i quali certamente il possesso di idoneo alloggio. Per il Consiglio di Stato, “requisiti essenziali per poter ottenere il permesso di soggiorno (oppure il suo rinnovo, in entrambi i casi essendo identica la ratio della normativa in esame) sono un alloggio, un’attività lavorativa e una condotta di vita corretta”.

Ancora, nel 2008[6], i Giudici di Palazzo Spada confermavano la necessità, tanto per il rilascio quanto per il rinnovo del permesso di soggiorno, di una situazione abitativa certa, questa volta desumendola dagli stessi artt. 4 e 5 d.lgs. 286/1998: “il rilascio e il rinnovo del permesso richiedono la verificabile sussistenza di precisi presupposti, deducibili dagli artt. 4, 5 comma 5 e 13, comma 2 del d.lgs. 25.7.1998, n. 286; tali presupposti coincidono con la disponibilità di leciti mezzi di sussistenza (implicanti il possesso di un alloggio), regolare attività lavorativa e condotta di vita corretta, tali da far escludere, in via prognostica, ogni possibile pericolosità sociale”.

Interessante appare, nella pronuncia de qua, la circostanza che il requisito abitativo venga desunto non dalle norme specifiche di cui agli artt. 22 e 26 d.lgs. cit. (che indicano, come già segnalato, la necessaria documentazione di tale requisito per poter innescare la procedura di rilascio e di rinnovo), ma quale presupposto interno della necessaria disponibilità di mezzi di sussistenza. Inoltre, dalla motivazione richiamata, sembra quasi che il Consiglio di Stato intenda, in tale occasione, includere il requisito abitativo (e con esso, la valutazione circa la disponibilità dei mezzi di sussistenza) all’interno della valutazione discrezionale circa la pericolosità sociale del richiedente: come a dire che, in altri termini, la disponibilità di una situazione alloggiativa idonea sarebbe elemento da valutare nell’ambito del giudizio prognostico di pericolosità, caratterizzato da profili discrezionali, e non da accertare sic et simpliciter in modo vincolato.

Il principio di diritto dell’indefettibilità del requisito abitativo ai fini del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno veniva pure ribadito nel 2013[7], in merito ad una richiesta di rilascio di permesso per lavoro autonomo, che veniva respinta dall’autorità competente con una motivazione ritenuta ampia ed esaustiva, e sorretta da un’adeguata istruttoria, in seguito alla quale emergeva “l’assenza di un’idonea sistemazione alloggiativa da parte della ricorrente, come invece è richiesto dall’art. 26 del d.lgs. 286/98 per ottenere il permesso di soggiorno per lavoro autonomo”.

Ancora, nel 2016[8], nuovamente il Consiglio di Stato affermava la validità del suddetto principio, richiamando la giurisprudenza precedente qui citata. Peraltro, nel caso di specie, il richiedente, oltre ad essere sostanzialmente irreperibile, aveva pure falsamente attestato l’indirizzo di residenza, in realtà riferibile ad una cittadina casertana, ciò comportando il diniego del rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, come previsto ai sensi dell’art. 22, co. 5-ter, d.lgs. cit.

5. La giurisprudenza successiva: Consiglio di Stato 26 marzo 2019 n. 2014 e TAR Lazio 25 febbraio 2020 n. 3610

L’arresto in commento, in sostanza, tende a consolidare la linea interpretativa, inaugurata dal Consiglio di Stato sin dal 2006, volta a richiedere il possesso di una situazione abitativa idonea e stabile quale presupposto indefettibile tanto per il rilascio quanto per il rinnovo del permesso di soggiorno.

In questo senso, peraltro, si è mossa anche la successiva giurisprudenza amministrativa.

In primis, la giurisprudenza di merito ha dimostrato di aderire pedissequamente all’indirizzo or ora richiamato. Interessante, sul punto, risulta una recentissima sentenza del TAR Lazio, Sezione di Roma[9], con la quale detto giudice accoglieva il ricorso di una donna straniera, titolare di permesso di soggiorno in Italia per motivi religiosi, la quale, dispensata dai voti e avendo trovato lavoro come collaboratrice domestica, presentava istanza per la conversione dell’originario permesso in permesso di soggiorno per lavoro subordinato. La Questura di Roma, tuttavia, emanava un provvedimento di diniego dell’istanza, adducendo a motivazione la circostanza che il permesso rilasciato per motivi religiosi non risulta convertibile.

Orbene, il TAR Lazio, dopo aver esplicitato che l’impossibilità di conversione non dispensa l’autorità procedente dal verificare se è possibile comunque rilasciare ex novo un permesso di soggiorno per lavoro subordinato, precisava che tale nuova valutazione autonoma è subordinata unicamente alla verifica dei requisiti richiesti dalla normativa del d.lgs. 286/98 per il rilascio di un permesso di questo tipo. Nel caso di specie, la richiedente, regolarmente residente in Italia dal 2003 e priva di precedenti penali a carico, risultava in possesso di un’attività lavorativa non saltuaria e soprattutto in disponibilità di un idoneo alloggio.

Nell’annullare il relativo illegittimo provvedimento di diniego della Questura di Roma, il giudice di prime cure si è posto perfettamente nel solco tracciato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, considerando indispensabile al rilascio del permesso il requisito abitativo, che nel caso di specie risultava pienamente soddisfatto.

L’orientamento richiamato è stato anche confermato più volte dallo stesso Consiglio di Stato, in occasione di recentissime pronunce.

In particolare, con sentenza 2014 del 26.3.2019[10], i giudici di palazzo Spada, respingendo l’appello di un cittadino straniero che si era visto confermato dal TAR Toscana il provvedimento di diniego del permesso di soggiorno, hanno emanato una decisione pienamente in continuità con la linea interpretativa delle sentenze precedenti, richiamando nella motivazione l’orientamento ormai consolidato in seno al Consiglio di Stato.

Secondo la pronuncia in esame, la giurisprudenza superiore amministrativa è ormai da tempo stabilmente orientata nel senso che “la dimostrazione della stabilità dell’alloggio costituisce un presupposto indispensabile per il rilascio del permesso di soggiorno” e che, peraltro, “è l'interessato a dover offrire la prova della disponibilità dell'alloggio, presso il quale è domiciliato, producendo, ad esempio, documenti quali pagamenti delle utenze, delle spese condominiali o un contratto di locazione regolarmente registrato o un atto di acquisto dell'immobile, che dimostri l'effettiva permanenza nell’immobile indicato”; al contrario, e conseguentemente, “l'assenza di un idoneo, stabile ed effettivo alloggio, di cui lo straniero deve produrre sufficiente e convincente prova, è un elemento che ben può e deve l'Amministrazione porre a fondamento della sua valutazione in ordine all'effettivo inserimento sociale del richiedente il permesso di soggiorno nel territorio nazionale”.

Nel caso di specie, il Consiglio di Stato evidenziava la totale precarietà della situazione abitativa del ricorrente, il quale faceva affidamento, per il proprio alloggio, “all’ospitalità di benevolenza da vari amici”, così risultando certamente compromesso il necessario requisito alloggiativo, e di conseguenza riteneva infondato l’appello proposto.

La suddetta sentenza 2014/2019 veniva pure richiamata dallo stesso Consiglio di Stato nella pronuncia, di poco successiva, dell’ottobre dello stesso anno[11], confermando non soltanto l’indefettibilità di un locus alloggiativo idoneo e stabile, ma anche la necessità che sia il richiedente a fornirne la prova, seppur in via documentale (e.g. allegando un contratto di locazione, ovvero un atto di acquisto dell’immobile, ovvero anche i pagamenti delle relative utenze). La suddetta prova documentale risulta infatti indispensabile al fine di consentire le relative verifiche dell’amministrazione procedente, strumentali all’accertamento della stabilità della situazione alloggiativa e alla conseguente decisione nel merito circa l’accoglimento dell’istanza.

6. Conclusioni

Dalla giurisprudenza amministrativa appena richiamata, risulta consolidato (e condiviso peraltro anche dalla giurisprudenza di merito[12])  il principio per il quale la certezza di una situazione abitativa idonea è requisito indispensabile tanto per il rilascio quanto per il rinnovo del permesso di soggiorno, sia esso richiesto per lavoro subordinato che per lavoro autonomo.

Tale idoneità abitativa deve essere, in primis, allegata alla documentazione richiesta per la presentazione dell’istanza, essendo onere del richiedente indicare un indirizzo di domicilio, al precipuo fine di consentire all’amministrazione procedente di effettuare le verifiche del caso, volte ad accertare l’effettività della situazione alloggiativa dichiarata. Laddove, nel corso di tali verifiche, dovesse emergere una situazione di forte precarietà alloggiativa, tale riscontro sarà certamente impeditivo dell’esito favorevole dell’istanza di rilascio o di rinnovo del permesso.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Si ricorderà, a tal proposito, che sulle controversie in materia di immigrazione da parte del migrante c.d. volontario od economico, vi è un riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo, al quale spetta il controllo giurisdizionale sui provvedimenti di ingresso (visti d’ingresso e permessi di soggiorno), e giudice ordinario, al quale competono invece i provvedimenti di espulsione (salvo significative eccezioni in caso di ricongiungimento familiare e di espulsione effettuata dal Ministro dell’Interno). Ciò implica che la posizione dello straniero che intenda fare ingresso sul territorio italiano si configura come interesse legittimo, potendo essere soddisfatta soltanto laddove coincida con il primario interesse pubblico curato dall’amministrazione competente; al contrario, poiché l’espulsione intacca il diritto alla libertà personale dell’individuo, in tal caso viene in essere un diritto soggettivo, la cui tutela spetta, come tale, al giudice ordinario, stante il criterio tradizionale di riparto della giurisdizione. Sul punto si veda R. Chieppa, R. Giovagnoli, “Manuale di diritto amministrativo”, Giuffrè Francis Lefebvre Editore, 2018.

[2] Consiglio di Stato, sent. n. 3344 del 4.6.2018, reperibile su www.giustizia-amministrativa.it.

[3] Per fumus boni iuris (talvolta tradotto come “parvenza di buon diritto”) si intende la necessità, affinché l’istanza cautelare sia accolta, che emergano ictu oculi dagli atti di causa elementi che fanno propendere per un esito del ricorso favorevole all’istante. E’ necessario, in sostanza, per l’accoglimento della richiesta di tutela cautelare, che già in tale sede emerga una prognosi favorevole dell’esito del ricorso di merito proposto dal ricorrente. Sul punto, si veda il volume “Giustizia amministrativa”, a cura di F.G. Scoca, Giappichelli Editore, 2014.

[4] Consiglio di Stato, ord. n. 5717 del 23.12.2015, reperibile su www.giustizia-amministrativa.it.

[5] Secondo la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza prevalente, il provvedimento di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno è connotato, al tempo stesso, da profili vincolati e profili discrezionali. In particolare, se i requisiti c.d. documentali (come il possesso di idonea sistemazione alloggiativa) sono oggetto di una valutazione vincolata da parte dell’amministrazione procedente, la quale deve limitarsi a verificarne la sussistenza e la conformità alla legge, il diverso profilo di pericolosità sociale è oggetto di valutazione discrezionale, dovendo l’amministrazione formulare un giudizio prognostico circa l’eventuale pericolosità, desumibile da qualsiasi elemento in suo possesso. Sul punto, si veda R. Chieppa, R. Giovagnoli, “Manuale di diritto amministrativo”, Giuffrè Francis Lefebvre Editore, 2018, nonché giurisprudenza conforme (e.g. Cons. Stato, sent. 2852/2006; Cass., sent. 473/1994).

[6] Consiglio di Stato, sent. n. 3961 del 19.8.2008, reperibile su www.giustizia-amministrativa.it.  

[7] Consiglio di Stato, sent. n. 3710 del 10.7.2013, reperibile su www.giustizia-amministrativa.it.

[8] Consiglio di Stato, sent. n. 1313 dell’1.4.2016, reperibile su www.giustizia-amministrativa.it.

[9] Si fa riferimento alla sentenza del TAR Lazio, Sezione di Roma, n. 3610 del 25.2.2020, reperibile su www.giustizia-amministrativa.it.

[10] Anch’essa reperibile su www.giustizia-amministrativa.it.

[11] Il riferimento è alla sentenza del Consiglio di Stato n. 6992 del 14.10.2019, reperibile su www.giustizia-amministrativa.it.

[12] Oltre alla sentenza del TAR Lazio 3610/2020, si vedano, ex plurimis, anche le recenti sentenze del TAR Campania, n. 1636 del 22.3.2019, e n. 3195 del 12.6.2019.