Pubbl. Dom, 3 Mag 2020
Denigrare l´avvocato con un esposto inviato al Consiglio dell´Ordine integra il reato di diffamazione
Modifica paginaL´esimente di cui all´art. 598 c.p. (non punibilità delle offese contenute in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie e amministrative) non è applicabile agli esposti inviati al Consiglio dell´Ordine forense, in quanto l´autore dell´esposto non è parte nel successivo giudizio disciplinare e l´esimente di cui all´art. 598 c.p. attiene agli scritti difensivi in senso stretto, con esclusione di esposti e denunce”.
Sommario: 1. Il reato di diffamazione: presupposti applicativi; 2. Libertà di pensiero e di espressione: limiti e rilevanza penale; 3. L'esimente di cui all'art. 598 c.p.; 4. La pronuncia della Corte di Cassazione.
1. Il reato di diffamazione: presupposti applicativi
La pronuncia in oggetto - Cass. Pen. Sez. V, sentenza 3 settembre 2018 n. 39486 - trae origine da una vicenda dai contorni giuridici controversi.
Oggetto del Supremo giudizio è stata la condotta di un soggetto, imputato per aver usato toni fortemente denigratori nei riguardi di un Avvocato, accusato dal primo tramite un esposto all'ordine professionale di appartenenza.
Al fine di meglio comprendere la ratio della statuizione giudiziale, si ritiene necesario passare in rassegna gli elementi strutturali della fattispecie del delitto di diffamazione.
Inserito nel Capo II "Dei delitti contro l'onore" - Titolo XII, il reato di diffamazione mira a tutelare il bene giuridico dell'altrui reputazione, dell'onore ovvero della considerazione che il soggetto preso di mira gode nella generalità dei consociati. Più propriamente, si ritiene che oggetto della tutela penale sia l'interesse alla tutela dell'integrità della persona, dalla stima diffusa nell'ambiente sociale ovvero dalla considerazione nutrita presso i terzi. (1)
Trattasi di un reato c.d. comune, potendo essere commesso da chiunque e senza che vi ricorrano determinate e specifiche condizioni personali.
Si badi che, per la sua configurabilità e a dispetto di quanto previsto per la diversa ipotesi dell'ingiuria (peraltro oggi depenalizzata), il delitto di diffamazione impone che tra il soggetto-agente ed il denigrato non vi sia contestualità spaziale, richiedendo la norma che l'agente e la vittima non siano compresenti. Ai fini della sussistenza dell'elemento psicologico del reato di diffamazione è sufficiente il dolo generico, vale a dire la consapevolezza di offendere l'onore o la reputazione altrui.
Appare fortemente incerta, invece, la natura del delitto di diffamazione, ben prestandosi ad essere annoverata tanto nella species del reato di pericolo quanto in quella di danno.
Pur tuttavia, secondo l'orientamento giurisprudenziale maggiormente accreditato, il delitto in parole assume i caratteri tipici del reato di danno, richiedendosi per la sua configurazione l'effettiva conoscenza della notizia diffusa da parte di due o più persone. " La diffamazione è un reato formale ed istantaneo che si consuma con la comunicazione con più persone lesiva dell'altrui reputazione..." (in tal senso Cass. Pen. ord. del 6 luglio 1979, n.1524).
Tirando le somme di questo prima sezione, possiamo ritenere che "In tema di delitti contro l’onore, l’elemento psicologico della diffamazione consiste non solo nella consapevolezza di pronunziare o di scrivere una frase lesiva dell’altrui reputazione ma anche nella volontà che la frase denigratoria venga a conoscenza di più persone. Pertanto, è necessario che l’autore della diffamazione comunichi con almeno due persone ovvero con una sola persona, ma con tali modalità che detta notizia sicuramente venga a conoscenza di altri ed egli si rappresenti e voglia tale evento" (Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 36602 del 13 ottobre 2010).
2. Libertà di pensiero e di espressione: limiti e rilevanza penale
Questione fortemente controversa attiene al rapporto, spesso conflittuale, tra la libertà di espressione e pensiero ed il rischio che il suo esercizio trascenda in una fattispecie di rilievo penale, appositamente sanzionata dall'ordinamento con la figura criminis della diffamazione.
A tale fine, occorre dapprima porre una premessa di carattere generale.
L'art. 21 della Carta Costituzionale cristallizza un principio cardine del nostro sistema di diritto, quale la libertà di tutti i cittadini a manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione. (2)
Si badi che l'esercizio del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero si scinde in differenti articolazioni, quali - a titolo esemplificativo e per quel che ivi rileva - il diritto di cronaca ed il diritto di critica.
Occorre evidenziare come la libertà di espressione riceva adeguata tutela anche a livello sovranazionale, e segnatamente all'art. 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948 e all'art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (3) (4).
Prima facie, stante la copertura costituzionale del diritto in parola, si sarebbe portati a ritenere come l'esercizio di detto diritto sia privo di qualsivoglia limite, potendosi esplicare nelle forme più disparate.
Quanto innanzi, però, non risponde propriamente al vero, dal momento che anche la libertà di manifestare il proprio pensiero risente di un forte limite, rappresentato dalla tutela della reputazione e dell'onore che, nell'esercizio del diritto di espressione, potrebbe essere compromesso.
Prima di addentrarci nello specifico della questione, appare opportuno porre in evidenza quali siano le differenze sostanziali che intercorrono tra il diritto di cronaca ed il diritto di critica (quest'ultimo ricorrente nel caso di specie).
Da un lato, il diritto di cronaca si concrettizza nell'esposizione veritiera dei fatti e degli accadimenti, la cui connotazione principale è che si tratti di una ricostruzione fedele ed obiettiva degli eventi, ovvero pienamente rispondenti alla realtà.
D'altro canto, ricorre l'ipotesi del diritto di critica ogniqualvolta il racconto di un accadimento si risolva in una attività di carattere meramente valutativo, finalizzata più che alla ricostruzione veritiera degli eventi, ad una prospettazione personalizzata che di quel fatto ne viene data.
Da quanto innanzi, infatti, se ne desume come a dispetto della mera cronaca, il diritto di critica importi una necessaria ed inevitabile "alterazione" della narrazione degli eventi, risentendo necessariamente dell'influenza dell'opinione personale.
Ebbene, trattandosi di una ricostruzione dei fatti arricchita da giudizi e considerazioni di carattere soggettivo, si è portati a ritenere che il diritto di critica goda di una estensione certamente più ampia rispetto alla cronaca.
Nonostante ciò, però, non bisogna giungere a ritenere che l'esercizio del diritto in parola sia scevro da qualsiasi limite, atteso che, così agendo, si incorrerebbe nel rischio di sfociare nel rilievo penale dell'azione ogniqualvolta, nella narrazione di un fatto, il soggetto trascenda in un gratuito attacco personale, finalizzato a denigrare un terzo senza alcun interesse di carattere pubblicistico.
Si ritiene opportuno, a tal proposito, dar conto della portata effettiva dei limiti imposti all'esercizio del diritto di critica, valevoli anche per il diritto di cronaca ma dai contorni certamente più flessibili:
- interesse sociale alla diffusione della notizia: è richiesto che la notizia o il racconto diffuso risponda ad un interesse effettivo e comune della generalità dei consociati, dovendosi ammettere pertanto, che la divulgazione della notizia soddisfi una esigenza di informazione sociale collettiva;
- continenza: detto limite impone all'autore che racconta il fatto di non trascendere in offese gratuite, le quali non perseguono altro fine che quello di denigrare un altro soggetto; egli dovrà, pertanto, preoccuparsi di utilizzare un linguaggio "misurato" e non lesivo dell'altrui reputazione;
- veridicità della notizia: tal'ultima limitazione è quella che, rispetto alle precedenti, più si presta al carattere di flessibilità, dal momento che colui che diffonde una notizia, pur dovendo sempre attenersi ad un racconto che sia il quanto più possibile rispondente al vero , è legittimato ad arricchire il racconto con considerazioni e giudizi personali che, necessariamente, alterano la genuinità della narrazione (pur senza trascendere mai nell'illecito penale).
Sul punto si richiama autorevole giurisprudenza di legittimità secondo cui "In tema di diffamazione...l'esercizio del diritto di critica pur assumendo necessariamente connotazioni soggettive ed opinabili (...) richiede - unitamente al rispetto del limite della rilevanza sociale e della correttezza delle espressioni usate - che, comunque, le critiche trovino riscontro in una corretta e veritiera riproduzione della realtà fattuale e che, pertanto, esse non si concretino in una ricostruzione volontariamente distorta della realtà, preordinata esclusivamente ad attirare l'attenzione negativa dei lettori sulla persona criticata" (in tal senso Cass. Pen. 30 novembre 2005, n.9373).
A fronte di una evenienza di tal tipo, si pone un contrasto interpretativo sotto il punto di vista giuridico: operando in concreto il bilanciamento di interessi tra i valori in gioco - diritto di espressione da un lato e tutela della reputazione e dell'onore altrui dall'altro -, occorre interrogarsi su quale sia la soluzione adottata dalla legislazione penale
L'esigenza di fornire una risposta quanto più soddisfacente possibile a detto interrogativo ha animato anche i Giudici di Piazza Cavour, i quali, chiamati a pronunciarsi in ordine alla rilevanza penale della condotta diffamatoria dell'imputato - reo di aver accusato un Avvocato tramite esposto al Consiglio dell'Ordine di appartenenza -, ha ritenuto ricorrere a pieno gli elementi del fatto tipico, consolidando così l'imputazione ascritta nei confronti del reo.
Nel motivare la propria decisione, gli Ermellini hanno ribadito come, nel caso di specie, non potesse ammettersi l'eccezione dell'imputato relativa alla deduzione della causa di giustificazione dell'esercizio di un diritto di cui all'art. 51 c.p.
Per orientamento giurisprudenziale consolidato, infatti, l'invio di un esposto al Consiglio dell''Ordine risulta scriminato dalla causa di giustificazione ex art 51 c.p. solo nel caso in cui le accuse mosse abbiano un proprio fondamento o siano, quantomeno, ritenute fondate dal soggetto "accusatore" (in tal senso Cass. Pen. Sez. V, n.42576 del 20.07.2016).
Nella vicenda in oggetto, invece, il Supremo Consesso ha ritenuto che le accuse mosse dall'imputato nei confronti del professionista, integravano a pieno tutti gli estremi del reato di diffamazione di cui all'art. 595 c.p., ricorrendo nella specie tanto l'infondatezza delle accuse sollevate quanto la pluralità dei potenziali destinatari della notizia diffusa.
Così la Corte di Cassazione nella sentenza in commento " Ciò non vale tuttavia per l'invio di una missiva gratuitamente denigratoria ad un Ordine professionale; sussiste, infatti, in tal caso il requisito della comunicazione con più persone, considerato che la destinazione alla divulgazione può trovare il suo fondamento oltre che nella esplicita volontà del mittente-autore, anche nella natura stessa della comunicazione, in quanto propulsiva di un determinato procedimento (giudiziario, amministrativo, disciplinare) che deve essere portato a conoscenza di altre persone, diverse dall'immediato destinatario, sempre che l'autore della missiva prevedesse o volesse la circostanza che il contenuto relativo sarebbe stato reso noto a terzi; nè in tal caso può ricorrere l'esimente del diritto di critica, che sussiste solo allorché i fatti esposti siano veri o quanto meno l'accusatore sia fermamente e incolpevolmente, ancorchè erroneamente, convinto della loro veridicità".
3. L'esimente di cui all'art. 598 c.p.
Assunta la piena ricorrenza degli estremi penali della condotta, i Giudici Supremi hanno stigmatizzato l'eccezione proposta dalla difesa dell'imputato con riferimento all'esimente di cui all'art. 598 c.p.
La causa di non punibilità in parola, più propriamente, elide la rilevanza penale della condotta ritenendo che "non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all'Autorità giudiziaria, ovvero dinanzi a un'Autorità amministrativa, quando le offese concernono l'oggetto della causa o del ricorso amministrativo".
Sul punto, si sono succeduti negli anni due opposti indirizzi giurisprudenziali.
Secondo un orientamento più datato e propenso ad una lettura restrittiva della disposizione, l'esimente in parola dovrebbe essere applicata per le sole ipotesi in cui il soggetto "accusatore" sia parte del procedimento giurisdizionale o amministrativo, dovendo inoltre intendersi per "scritti" i soli atti tipici di dette tipologie di procedimenti, non potendo estendersi tale accezione anche agli esposti o denunce - come nella specie l'esposto presentato al Consiglio dell'Ordine - (ex multis Cass. Pen. Sez. 5, n.24003 del 20.04.2010).
Muovendo da premesse diametralmente opposte, la stessa giurisprudenza di legittimità ha sostenuto che l'esimente di cui trattasi ben possa invocarsi in applicazione ad una vicenda similare a quella in oggetto, ritenendo che l'autore dell'esposto ben possa considerarsi alla stregua di una parte del procedimento e quindi portatore di un proprio interesse giuridicamente tutelato (Cass. Pen. Sez. V, n.28081 del 15.04.2011).
La Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione, investita di detto giudizio, ha ritenuto di aderire al primo orientamento, affermando che per l'applicazione dell'esimente in parola è indispensabile che l'autore della comunicazione rivesta la qualifica di "parte del procedimento nel quale è chiamato a tutelare un proprio specifico interesse".
Segnatamente, motiva la Corte, nel caso di specie l'imputato non rivestiva alcuna qualifica di soggetto facente parte del relativo procedimento amministrativo/disciplinare che, dalla presentazione dell'esposto, ne sarebbe derivato in capo all'Avvocato, dal momento che - l'accusatore - non gode di alcun diritto tale da legittimarlo ad avere un controllo o recriminare il diritto all'informazione in ordine agli esiti di quel determinato procedimento disciplinare eventualmente attivato.
Ad una più attenta e scrupolosa analisi fattuale, nella vicenda in oggetto non paiono difatti ravvisarsi gli estremi oggettivi e soggettivi denunciati dall'art. 598 c.p. per la sua piena ricorrenza.
Aderendo all'interpretazione della norma resa dal Supremo Consesso, infatti, per "scritti" sarebbero da intendersi i soli atti presentati in occasione dei procedimenti giurisdizionali o amministrativi.
Ebbene, il semplice esposto presentato dal cittadino privato ed indirizzato al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, proprio per il carattere di estraneità del soggetto accusatore rispetto all'organizzazione professionale, non consente di ritenere applicabile al caso di specie l'esimente in parola, per insussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi denunciati dalla normativa.
Ne consegue, quindi, che l'accusatore rimane privo della qualifica di "contraddittore", con l'evidente esclusione dell'esimente di cui all'art. 598 c.p. e la conferma della sua piena punibilità.
4. La pronuncia della Corte di Cassazione
Muovendo da tali considerazioni di diritto, la Corte regolatrice, rigettando il ricorso proposto dall'imputato e motivando in ordine alla esclusione della esimente di cui all'art. 598 c.p., hanno reso il seguente disposto, sintetizzato nella massima: "L'esimente di cui all'art. 598 c.p. (non punibilità delle offese contenute in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie e amministrative) non è applicabile agli esposti inviati al Consiglio dell'Ordine forense, in quanto l'autore dell'esposto non è parte nel successivo giudizio disciplinare e l'esimente di cui all'art. 598 c.p. attiene agli scritti difensivi in senso stretto, con esclusione di esposti e denunce".
1. Chiunque, fuori dai casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032 (art. 595 c.1 c.p.).
2. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione (art. 21 c.1 Cost.).
3. Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione, e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e frontiera.
4. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive.