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Pubbl. Mer, 15 Apr 2020

Emergenza Coronavirus e la sorte del pagamento dei canoni di locazione

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Luca Collura



Durante il periodo di emergenza sanitaria che il nostro Paese, e non solo, sta sperimentando, in molti si ritrovano legati da contratti di locazione che prevedono il pagamento di canoni anche molto esosi malgrado sia loro di fatto impedito di godere dell’immobile. È possibile sottrarsi al pagamento dei canoni in parola?


Sommario: 1. Premessa – 2. Della locazione in generale – 3. Il problema del pagamento dei canoni in assenza di concreto godimento degli immobili – 4. Conclusioni

1. Premessa

A seguito del D.P.C.M. 8 marzo 2020, del D.P.C.M. 9 marzo 2020, del D.P.C.M 22 marzo 2020 e dell'ancora più recente D.L. 25 marzo 2020, strumenti normativi che, per contrastare l'emergenza sanitaria legata alla diffusione del virus Covid-19 (c.d. Coronavirus), hanno grandemente limitato gli spostamenti su tutto il territorio nazionale ed hanno imposto la chiusura di numerosi esercizi commerciali (c.d. lockdown), molti – mentre era ancora possibile spostarsi per far rientro alla propria abitazione, residenza o domicilio[1] – hanno lasciato il nord Italia per ricongiungersi con i propri familiari nel sud della nostra penisola mentre i commercianti si sono trovati a dover chiudere forzatamente le proprie attività, con conseguenze drammatiche in termini di guadagno.

In conseguenza di questi repentini interventi legislativi, parecchi si ritrovano oggi a dover corrispondere dei canoni di locazione per appartamenti dei quali non possono concretamente usufruire – non potendo far ritorno nelle città in cui vivevano prima dell'esplodere dell'emergenza – o per immobili presso i quali non possono esercitare la loro attività commerciale, ma che, tuttavia, a stretto rigore di diritto, risultano comunque dovuti in forza di contratti ancora validi ed efficaci. 

Molti, quindi, si sono chiesti come far fronte a questa situazione e, in particolare, se sia possibile in qualche modo sottrarsi al pagamento dei canoni, spesso cadendo "vittima" delle tante fake news che, benché prive di ogni fondamento scientifico e giuridico, circolano sui social network ingenerando, se non panico, quanto meno grande confusione, specie tra coloro che non sono particolarmente ferrati nelle materie giuridiche.

Con il presente lavoro, senza la pretesa di fornire verità universalmente valide, si analizzerà la questione sopra descritta, onde addivenire ad una soluzione che, anziché su basi non sempre provate, tra l'altro spesso inconferenti, si basi sulle disposizioni del nostro ordinamento giuridico.

2. Della locazione in generale

Seppur per brevi cenni, pare opportuna un’introduzione in generale alla figura del contratto di locazione, onde tracciare un quadro giuridico cui sia possibile far riferimento nel prosieguo della trattazione cui ci si accinge[2].

La locazione è disciplina anzitutto dal Codice Civile, il quale, agli artt. 1571 ss., fornisce la nozione e la disciplina base del contratto de quo.

In particolare, il nostro Codice, all’art. 1571, definisce la locazione come il contratto in forza del quale una parte (detta locatore) si obbliga a far godere all’altra (detta locatario o conduttore) una cosa mobile o immobile per un dato tempo dietro il pagamento di un corrispettivo (i.e. il canone).

Da questa breve ma comunque assai pregnante definizione si possono evincere l’essenza della locazione e quelle che sono le obbligazioni principali di locatore e conduttore, almeno per ciò che è di nostro interesse[3].

Con il contratto di locazione il locatore è tenuto, oltre a consegnare la cosa al conduttore (anche se solo figurativamente: si pensi alla consegna delle chiavi di un appartamento, che è il vero oggetto della locazione), ad astenersi dal tenere comportamenti tali da ostacolarne il libero godimento secondo i termini e le modalità fissati dal contratto (e, si deve aggiungere, eventualmente previsti dalla legge).

Dal canto suo, il conduttore è tenuto a corrispondere al locatore, secondo le scadenze pattuite, i canoni di locazione, il pagamento dei quali rappresenta la sua prestazione principale.

Di fondamentale importanza risulta chiarire che cosa sia il “godimento” cui fa riferimento il Codice civile quando descrive il contratto di locazione e le prestazioni delle parti dello stesso. Ebbene, per “godimento” deve intendersi l’uso volto a soddisfare i propri bisogni ed i propri interessi, in conformità con le regole fissate dal contratto e dall’ordinamento giuridico.

Tanto detto, deve aggiungersi che il godimento di un immobile, sotto il profilo abitativo, non consiste soltanto nel trasferire in esso la propria residenza, il proprio domicilio o la propria abitazione (sebbene, almeno nel caso di locazione di immobili per uso abitativo, ciò sia l’id quod plerumque accidit). Il conduttore, infatti, potrebbe decidere di utilizzare l’immobile come luogo di esercizio della propria attività commerciale, come deposito per conservarvi le proprie cose, per organizzarvi saltuariamente degli eventi, financo per tenerlo inutilizzato al fine di evitare, ad esempio, che lo stesso venga utilizzato da altri, se ciò risponde ai suoi personali interessi; a questa serie di ipotesi, nel caso di locazione ad uso commerciale, deve aggiungersi che il godimento si ha anche laddove il conduttore decida di utilizzare l’immobile solo per conservarvi i beni aziendali oppure comunque chiuda per un periodo di tempo più o meno lungo, senza che ciò in alcun modo incida sull’obbligo di pagamento dei canoni.

Si desume, quindi, che il godimento non deve necessariamente essere attuale e continuativo (tale è quello di colui che va a vivere nell’immobile preso in locazione) potendo essere anche solo potenziale e saltuario (come nel caso di chi utilizzi l’immobile solo in alcuni periodi dell’anno oppure, addirittura, non lo utilizzi affatto, in quanto potrebbe comunque farlo in ogni momento). Ciò che davvero rileva è che il locatore si astenga da qualunque comportamento che possa impedire o anche solo limitare l’an e il quomodo del godimento della res da parte del conduttore.

Fatta questa premessa, va ricordato come la disciplina della locazione sia da rinvenire pure nella legge 27 luglio 1978, n. 392, e nella legge 9 dicembre 1998, n. 431. È a questi compendi normativi, quindi, oltre che alla disciplina codicistica, che dovrà farsi riferimento nel tentativo di addivenire alla soluzione che il presente scritto si propone di trovare.

3. Il problema del pagamento dei canoni in assenza di concreto godimento degli immobili

Come segnalato nell’incipit di questo lavoro, la questione da risolvere è se chi, non potendo fare uso dell’immobile preso in locazione perché bloccato in una città diversa da quella in cui si trova l’immobile stesso in forza di quanto previsto dai recenti decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri[4], sia comunque tenuto.

In merito, malgrado molti attendessero ansiosamente un intervento legislativo volto a regolare la materia, l’art. 65 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. Decreto “Cura Italia”), si è limitato a prevedere, per coloro che conducono in locazione un immobile con finalità commerciali (i.e. gli imprenditori: ad es., chi utilizza l’immobile per stabilirvi il proprio bar o la propria pizzeria, ecc.), un credito d’imposta pari al 60% del canone pagato nel mese di marzo 2020[5]: ciò significa che, in base al d.l. in parola, i canoni degli immobili locati per uso commerciale vanno regolarmente pagati ma il conduttore potrà successivamente godere di un credito d’imposta nella misura del 60% di una mensilità.

Il medesimo decreto legge, all’art. 95 prevede una speciale disciplina in tema di conduzione in locazione di impianti sportivi pubblici, sulla quale è però possibile sorvolare.

Null’altro è disposto nello specifico dalla legislazione emergenziale di questi giorni. Quid iuris nei casi non disciplinati? E soprattutto, malgrado le previsioni del Decreto “Cura Italia”, è possibile in qualche modo sottrarsi al pagamento dei canoni?

Per rispondere ad una domanda tanto spinosa, si deve senz’altro far riferimento alla disciplina prevista dal Codice civile in materia di obbligazioni in generale e di contratti a prestazioni corrispettive, oltre che alla legislazione speciale in materia, per capire se esista una previsione normativa che permette di sospendere il pagamento del canone.

Atteso che le leggi speciali sopra menzionate[6] nulla prevedono, non resta che guardare soltanto alla disciplina codicistica.

Anzitutto potrebbe farsi leva sul combinato disposto degli artt. 1256, 1463 e 1464 c.c., i quali, in buona sostanza, dispongono che laddove la prestazione diventi impossibile per causa non imputabile al debitore, egli è liberato dalla propria prestazione, deve restituire ciò che abbia ricevuto e non può chiedere che la controparte presti la propria, salvo l’obbligo di adempiere all’eventuale parte di prestazione rimasta possibile[7]. Tuttavia, l’esito ultimo dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione è la risoluzione del contratto, vale a dire la liberazione di ciascuna parte contrattuale dagli obblighi derivanti dal contratto stesso, per cui il conduttore, così come non dovrebbe più pagare il canone, dovrebbe liberare l’immobile.

Al di là della diatriba circa l’ammissibilità o meno di un’impossibilità assoluta delle prestazioni pecuniarie (qual è quella del conduttore, il quale è tenuto solo a pagare il canone), che tendenzialmente viene esclusa[8], ciò che qui rileva è che la risoluzione del contratto, cui, in ultima istanza, condurrebbe l’impossibilità sopravvenuta della prestazione del conduttore, non pare essere ciò che le parti vogliono, in quanto difficilmente potrebbe sostenersi che chi conduce in locazione un immobile che ha adibito a locale per la propria pizzeria, per evitare il pagamento di uno o due mesi di canone, voglia essere obbligato a liberare immediatamente il locale stesso da tutti i suoi beni aziendali. Per tali motivi, a parere di chi scrive, questa soluzione non si appalesa praticabile. Oltretutto, non si può non osservare come la soluzione appena proposta sarebbe applicabile solo ai casi di contratti di locazione di immobili ad uso commerciale – perché il conduttore, dovendo tenere chiusa la propria attività, non riuscirebbe a guadagnare quanto necessario a pagare il canone – e non anche a quelli di locazioni ad uso abitativo, atteso che, in queste circostanze, il pagamento dei canoni non era di certo ricollegato, né ricollegabile, al godimento della res da parte del conduttore.

Altra strada – anch’essa, a ben vedere, percorribile solo nel caso di locazioni ad uso commerciale – è quella dell’eccessiva onerosità sopravvenuta di cui agli artt. 1467 ss. c.c., i quali, in buona sostanza, dispongono che, nei contratti a prestazione continuata (come è la locazione), se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerose per avvenimenti straordinari e imprevedibili non rientranti nella normale alea contrattuale (quale senz’altro è la chiusura forza imposta dai decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri sopra ricordati), essa può chiedere la risoluzione del contratto, salvo il diritto della controparte di evitarla offrendo un’equa modifica delle condizioni contrattuali[9].

A parere di chi scrive, se il rimedio appena citato pare, a stretto rigore di diritto, esperibile, in quanto è evidente che il conduttore, non potendo più esercitare la propria attività commerciale, potrebbe avere seri problemi ad onorare i suoi impegni di pagamento dei canoni pattuiti ed interesse ad una loro riduzione, va anche ricordato che la riduzione non consegue automaticamente alla sua richiesta: anzi, il conduttore, se ritiene che la sua prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa, può solo chiedere la risoluzione del contratto, con tutte le conseguenze già ricordate, e soltanto il locatore può impedire la risoluzione offrendo una modifica del contratto secondo equità (modifica che, tra l’altro, andrebbe poi, ove le parti non fossero d’accordo, valutata dal giudice). Anche questa prospettiva, quindi, presenta un’utilità più teorica che pratica.

Quid iuris, invece, per il caso delle locazioni ad uso abitativo? Orbene, essendo, per i motivi sopra ricordati, non applicabili le soluzioni dell’impossibilità e dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, salvo che si voglia far leva sulla venuta meno della causa in concreto del contratto, con conseguente risolubilità dello stesso[10] – che, in ogni caso, realizzerebbe probabilmente la volontà delle parti –, parrebbe che il conduttore debba necessariamente continuare ad adempiere la propria obbligazione pagando i canoni[11].

Sia nel caso degli immobili ad uso commerciale, che per quello di locazioni ad uso abitativo, esiste una strada di certo percorribile idonea a realizzare la volontà delle parti (che, presumibilmente, sarà quella di addivenire ad una riduzione del canone per un certo tempo): il contratto di transazione.

Attraverso la stipula di una transazione, infatti, le parti, al fine di prevenire il sorgere di una lite circa la debenza o meno del canone durante il periodo di lockdown e di impossibilità di raggiungere l’immobile locato, potrebbero farsi le seguenti reciproche concessioni: a) il locatore potrebbe concedere una riduzione del canone per un determinato periodo di tempo; b) il conduttore potrebbe obbligarsi a continuare a pagare in ogni caso, senza poter eccepire alcun sopravvenuto difetto del sinallagma contrattuale.

4. Conclusioni

Per quanto sin qui detto e ritenuto, parrebbe che, allo stato, salvo che si addivenga ad una soluzione concordata tra locatore e conduttore circa una riduzione, anche solo temporanea, del canone, i conduttori siano tenuti a continuare a corrispondere quanto dovuto al locatore, non potendo lamentare alcun inadempimento da parte dello stesso, il quale, purché si astenga dal tenere comportamenti idonei ad impedire, quantitativamente o qualitativamente, il godimento dell’immobile da parte del conduttore, risulterà perfettamente adempiente alla propria prestazione ed avrà pieno titolo per richiede l’adempimento anche alla sua controparte contrattuale.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cioè durante il periodo di vigenza dell’art. 1, c. 1, lett. a), D.P.C.M. 8 marzo 2020, il cui secondo periodo è stato soppresso dal disposto dell’art. 1, c. 1, lett. b), D.P.C.M. 22 marzo 2020.

[2] Innumerevoli sono gli scritti che riguardano la materia. Per aver saputo coniugare brevità e chiarezza espositiva, si segnalano C. CILLO, A. D’AMATO e G. TAVANI, Dei singoli contratti, Seconda ed., Vol. I, Milano, 2014, 337 ss.

[3] Malgrado la locazione possa avere ad oggetto tanto beni mobili quanto beni immobili, nel corso del presente lavoro, per evidenti ragioni di semplificazione ed opportunità, si farà principalmente riferimento, anche sotto il profilo squisitamente terminologico, alla disciplina prevista per la locazione di immobili e, tra le varie discipline esistenti, a quelle riguardanti la locazione di immobili ad uso abitativo e commerciale.

[4] In particolare il riferimento va al combinato disposto degli artt. 1, c. 1, lett. a), D.P.C.M. 8 marzo 2020, 1, c. 1, D.P.C.M. 9 marzo 2020 e 1, c. 1, lett. b), D.P.C.M. 22 marzo 2020.

[5] Sull’argomento, data la tecnicità della materia, che non è oggetto del presente scritto, si veda G. GRECO, Decreto Cura Italia: locazione commerciale e credito d’imposta, in Commercialista Telematico, pubblicato su internet all’indirizzo https://www.commercialistatelematico.com.

[6] L. 392/1978 e l. 431/1998.

[7] In dottrina, richiamano la disciplina in parola: I. CARABETTA e G. MOLINARI, Emergenza con effetti sui contratti di locazione di immobili a uso commerciale, in EutekneInfo – Il quotidiano del commercialista, pubblicato su Internet all’indirizzo https://www.eutekne.info, i quali, tuttavia, si dimostrano giustamente dubbiosi circa l’applicabilità della medesima al caso di specie; F. DE SANTI, Emergenza coronavirus e affitto d’azienda: posso non pagare?, in 4Clegal, pubblicato su Internet all’indirizzo, https://www.4clegal.com, il quale – facendo leva sul concetto di sopravvenuta mancanza di causa in concreto, la quale, però, secondo chi l’ammette, comporterebbe la risolubilità del contratto e non il venire meno dell’obbligatorietà della prestazione della parte che abbia perso interesse al contratto stesso – giunge alla non condivisibile conclusione per cui, in caso di affitto di azienda, l’affittuario potrebbe non pagare il canone per tutto il periodo di chiusa forzata.

[8] Per tutti, Cass., 15 novembre 2013, n. 25777.

[9] Ritengono praticabile questa soluzione I. CARABETTA e G. MOLINARI, Emergenza con effetti sui contratti di locazione di immobili a uso commerciale, cit.

[10] L’unica cosa che il conduttore di un immobile ad uso abitativo potrebbe eccepire, infatti, sarebbe che, non potendo egli concretamente usufruire dell’immobile nel periodo in cui forzatamente si trova altrove (cosa, tra l’altro, non vera fino in fondo, atteso che, trovandosi, verosimilmente, beni di proprietà del predetto all’interno dell’immobile, egli di fatto ne starebbe comunque godendo), avrebbe perso interesse nel permanere degli effetti contrattuali.

[11] In tal senso già A. DONATI, Coronavirus, studenti fuori sede: come regolarsi per l'affitto, in La Repubblica – Economia & Finanza, pubblicata su Internet all’indirizzo https://www.repubblica.it/.