Il nuovo concordato preventivo nel prisma degli interessi e delle finalità della procedura.
Modifica paginaIl presente scritto, inquadrata storicamente la figura del concordato preventivo, ne analizza la nuova disciplina, con particolare attenzione alla “disclosure” degli interessi ad essa sottesi ed alla volontà del legislatore di funzionalizzare la procedura concorsuale, giungendo ad attribuire nuova verve allo storico requisito della meritevolezza, non più in chiave soggettiva bensì oggettiva.
Sommario: 1. La metamorfosi della disciplina italiana della crisi economica dell’impresa nella legge fallimentare del 1942; 2. Gli aspetti essenziali dell’attuale concordato preventivo; 3. La dichiarazione d’intenti del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza; 4. Il bandolo della matassa: gli interessi sottesi alla procedura come chiave di volta per la comprensione della nuova disciplina del concordato preventivo; 5. L’essenza del concordato preventivo; 6. L'accesso al nuovo concordato preventivo; 7. Le modalità di presentazione della domanda di concordato preventivo; 8. L'ammissibilità della domanda (profili generali); 9. Il contenuto minimo della domanda di concordato preventivo: il piano di concordato; 10. Ambito d’applicazione, tipologie e finalità del nuovo concordato preventivo; 11. Il concordato liquidatorio; 12 Il concordato in continuità; 12.1 Il concordato in continuità diretta; 12.2 Il concordato in continuità indiretta; 12.2.1 La clausola occupazionale nel concordato in continuità indiretta ; 12.2.2 Concordato preventivo in continuità indiretta mediante affitto; 13. Concordato misto e prevalenza quantitativa; 14. Fattibilità giuridica ed economica del concordato preventivo: il nuovo Art. 47 C.C.I.I.; 15. Note conclusive
1. La metamorfosi della disciplina italiana della crisi economica dell’impresa nella legge fallimentare del 1942
A partire dal 2005, anche sotto l’impulso delle istituzioni europee, il legislatore nazionale è più volte intervenuto sulla disciplina dell’antico diritto fallimentare, aprendo sempre più all’uso di strumenti negoziali per la gestione della crisi economico-finanziaria-patrimoniale del debitore, anche non imprenditore. In particolar modo, l’iter già avviato con la prima riforma “liberale” del 2005-2007, poi mediato coi successivi interventi del 2012 e del 2015, è stato proseguito (ma molto probabilmente non concluso) col d. lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 (c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), consegnando al giurista un assetto delle procedure concorsuali completamente stravolto rispetto a quello delineato dalla L. n. 267 del 1942 (c.d. legge fallimentare) (1).
In termini volutamente generalissimi, la L. F. del 1942, nella sua formulazione originaria, si componeva di tre binari, talvolta confluenti: la procedura principale del fallimento, meramente liquidatoria, estintiva dell’impresa e punitiva per l’imprenditore; il canale “premiale” del concordato preventivo, già previsto da una legge speciale del 1903; la novità assoluta dell’amministrazione controllata, rimedio provvisorio, atto a regolare la crisi temporanea dell’impresa, finalizzato a permettere il riacquisto del normale equilibrio economico dell’impresa.
Nella conformazione originaria del 1942, le procedure concorsuali si ponevano in un rapporto sinergico che, riprendendo la retorica del Ministro Guardasigilli del tempo, Dino Grandi (2) poteva essere riassunto in questi termini: il fallimento rappresentava un’esecuzione forzata complessa, tendente alla liquidazione (ed estinzione) dell’impresa, il Concordato preventivo si poneva come un’opportunità per “l’imprenditore onesto ma sfortunato”, nonché come correttivo e antidoto del fallimento, mentre l’Amministrazione controllata stava al concordato come la medicina rispetto all’operazione chirurgica, dal momento che, trovando applicazione in una fase anteriore all’insolvenza, avrebbe potuto traghettare l’impresa fuori dal provvisorio stato di difficoltà economica senza lederne l’integrità fisica.
Nella L. F. del 1942, quindi, l’Amministrazione controllata si attestava come la prima procedura concorsuale non liquidatoria: si introduceva in un sistema tradizionalmente mortifero per l’impresa, un meccanismo di composizione e regolazione della sua crisi, in un’ottica di continuità aziendale, tuttavia l’impianto normativo restava essenzialmente liquidatorio e punitivo per l’imprenditore insolvente, mentre la finalità recuperatoria dell’azienda conservava carattere recessivo.
Col successivo intervento del 2006, recante l’abolizione dell’Amministrazione controllata, si determinava una forte espansione del campo applicativo del concordato preventivo, considerato come lo strumento migliore per comporre le situazioni di crisi dell’impresa. Affiorava, così, un certo favor normativo per l’utilizzo dello strumento negoziale nella fase di composizione della crisi d’impresa, cristallizzato definitivamente con la riforma del 2012, che ne determinava un grandissimo successo applicativo (3).
Così, il legislatore delegato del 2019 veniva chiamato ad intervenire su un assetto normativo decisamente lontano da quello del 1942, benché mai formalmente trasposto dal Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267 (c.d. legge fallimentare).
Con l’intento di offrire una mera istantanea dei profili di differenziazione fra il tenore dell’attuale legge fallimentare e quello dell’originaria, gli elementi di distacco col passato possono essere sintetizzati nei seguenti punti, fra loro fortemente interconnessi.
Innanzitutto, la volontà di anticipare l’emersione della fase patologica dell’impresa, iniziata con la modifica dei presupposti soggettivi ed oggettivi d’applicazione del concordato preventivo nella stagione 2005-2007, poi proseguita con l’introduzione del concordato in continuità aziendale; l’introduzione (prima) e l’ampliamento (poi) degli strumenti di composizione negoziale della crisi, nonché di disposizioni volte a favorirne l’utilizzo; la degiurisdizionalizzazione dei medesimi; la progressiva subordinazione degli strumenti meramente liquidatori ed estintivi dell’impresa rispetto a quelli di risanamento e composizione della crisi.
In un certo senso, quindi, richiamando le figure retoriche care al ministro Grandi, si potrebbe dire che, se la legge del 1942 ha fermamente sostenuto l’eutanasia dell’impresa commerciale insolvente (il fallimento), limitando l’accesso alle terapie alternative ai soli casi (e con le sole procedure) previste dalla legge (lo strumento chirurgico del concordato preventivo, il farmaco dell’amministrazione controllata), le riforme del nuovo millennio hanno ampliato il novero delle cure e rafforzato gli strumenti di auto ed etero-diagnosi, auspicando che ciò potesse favorire la sopravvivenza dell’impresa (e del relativo indotto economico), evitando l’estrema ratio della sua estinzione controllata.
In tale contesto, nel 2017, si palesava l’“esigenza, ormai indifferibile, di operare in modo sistematico ed organico la riforma della materia dell’insolvenza e delle procedure concorsuali” nel tentativo di ridurre ad unità lineare l’intero sistema normativo, limitando le situazioni di difficoltà applicativa e la formazione di indirizzi giurisprudenziali non consolidati, che storicamente avevano rallentato in modo notevole i tempi di definizione delle odierne procedure concorsuali, con gravi ripercussioni per coloro che operano nel tessuto economico italiano, sia in termini economici che di competitività internazionale.
Tuttavia, come autorevolmente notato in dottrina (4), la riforma organica del diritto della crisi d’impresa, per certi versi, ha seguito “una logica di semplice novellazione” delle recenti riforme, finendo per conformare, molto spesso, il vecchio quadro normativo ad interpretazioni giurisprudenziali maturate in materia. Per altri versi parrebbe, invece, aver re-introdotto e\o conservato elementi della legislazione fascista, fra tutti il rafforzamento del potere di controllo del giudice sulla fattibilità giuridica ed economica degli accordi di composizione della crisi, dando così vita ad “una legislazione provvisoria e precaria" (5).
Del resto, in tal senso depongono i diversi provvedimenti correttivi, oggi in corso di approvazione (6), adottati ed adottandi ancor prima della sua entrata in vigore, prevista originariamente per il 15 agosto 2020, e rinviata a causa dell’emergenza Covid-19 al 1° settembre 2021.
Tali contrasti e contraddizioni emergono con particolare evidenza nella nuova disciplina del concordato preventivo, figura emblematica della convivenza (non molto pacifica) fra i principi ispiratori della riforma individuati, in dottrina (7), nella completezza della regolamentazione, nella semplificazione, nella razionalizzazione e modernizzazione della disciplina delle procedure concorsuali, nella celerità ed economicità della procedura, nel favor per l’emersione anticipata della crisi e conseguenziale tempestività delle soluzione della medesima, nella prevalenza delle soluzioni negoziate, nel favor per meccanismi e tecniche di conservazione delle strutture produttive, nel rafforzamento del ruolo e dei poteri degli organi delle procedure, nel coordinamento fra regole concorsuali e regole di diritto societario, nel favor per l’esdebitazione (8).
2. Gli aspetti essenziali dell’attuale concordato preventivo
Il termine concordato preventivo è stato coniato nel 1903 per evidenziare lo stretto rapporto tra questa figura e il fallimento con cui, fino alla riforma del 2006, condivideva presupposti soggettivi ed oggettivi d’applicazione. Con tale termine, infatti, il legislatore del tempo aveva inteso sottolineare come le due procedure fossero in rapporto di alternatività e prevenzione (“correttivo e antidoto”): il concordato è alternativo al fallimento perché la sua apertura impedisce la contestuale apertura dell’altro; è preventivo perché, per il tramite dell’accordo (concordato) fra maggioranza dei creditori e debitore fallibile, quest’ultimo può evitare le gravi conseguenze (patrimoniali, personali e penali) connesse alla dichiarazione del fallimento.
Da un punto di vista prettamente nozionistico, invece, il concordato preventivo può essere definito come una procedura concorsuale giudiziale a carattere volontario (accessibile su istanza del solo debitore), volta ad evitare il fallimento mediante una soddisfazione, anche parziale, delle ragioni creditorie, da realizzarsi attraverso l’esecuzione dell’accordo, raggiunto fra la maggioranza dei creditori ed il debitore sotto la vigilanza dell’autorità giudiziaria (9).
Passando alla sua struttura, l’istituto in esame può essere definito come una “procedura concorsuale giudiziale arricchita da una componente negoziale” (10) innegabile anello di congiunzione fra la procedura liquidatoria principale (oggi fallimento, domani liquidazione giudiziale) e quelle negoziali, su cui il legislatore della riforma ha inteso investire fortemente, dedicando loro la quarta sezione del nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (11).
Più nel dettaglio, si tratta di una procedura concorsuale in senso stretto, scindibile in due componenti, una di carattere marcatamente privatistico (l’accordo – il contratto fra debitore e maggioranza dei creditori) e l’altra prettamente pubblicistica (l’essere una procedura, composta al suo interno di fasi, in cui intervengono soggetti diversi dalle semplici parti del rapporto obbligatorio). Tale conformazione ne rende molto discussa la natura giuridica (12), tuttavia, senza dilungarsi sul punto, ci si sente di aderire alla dottrina della teoria c.d. mista (13), che la definisce ibrida, in quanto nella stessa convivono elementi pubblicisti e privatistici, che danno luogo ad una forma peculiare di organizzazione e regolamentazione dell’accordo tra debitore e creditori.
Si è anche già detto che, con la riforma del 2005-2007, il legislatore ha modificato in modo rilevante la struttura del concordato preventivo, a partire dalla rideterminazione dei suoi presupposti soggettivi ed oggettivi d’applicazione.
Oggi, infatti, gli imprenditori commerciali, esclusi gli enti pubblici, che posseggono congiuntamente i requisiti dimensionali di cui all’art. 1, comma 2, lett. a, b e c. L. F. possono accedere a tale procedura, senza che sia necessario dimostrare l’esistenza dei requisiti personali di meritevolezza, invece previsti dal testo originario del 1942.
Per il tramite di questa modifica, il concordato preventivo ha cessato di essere rimedio riservato al solo imprenditore commerciale sopra soglia “onesto ma sfortunato”, perdendo la sua connotazione fortemente premiale, insita nella legislazione (punitiva) degli anni ’40 del secolo scorso.
Quanto al presupposto oggettivo, ovverosia il fatto economico concernente l’impresa che giustifica l’attivazione della procedura, l’originaria formulazione dell’art. 160 L. F. prevedeva che l’imprenditore commerciale non piccolo potesse accedere al concordato preventivo soltanto quando versava in stato d’insolvenza, indicatore di uno stato di crisi economica piena, definitiva e irreversibile. Tuttavia, nel 2005, il legislatore ha riformato tale requisito, sostituendolo con lo stato di crisi, specificando che lo stesso includeva ma non si esauriva nel precedente stato d’insolvenza. In questo modo si è permessa l’estensione dello strumento concordatario non solo alle situazioni di crisi economica irreversibile ma anche a quelle temporanee e reversibili, dalle quali, mediante un’accurata analisi economico aziendale, è ragionevole ritenere che si possa uscire.
All’ampliamento dell’ambito d’applicazione del concordato preventivo, si è accompagnata la volontà legislativa di perseguire finalità ulteriori rispetto a quelle passate: da mera alternativa liquidatoria, il concordato diviene un vero e proprio procedimento di composizione della crisi, a cui il debitore ricorre non solo per soddisfare i creditori, ma anche per tornare in equilibrio economico-finanziario e continuare l’attività d’impresa.
Oggi, infatti, accedendo a tale procedura, l’imprenditore commerciale - non piccolo - può non solo risolvere la propria posizione debitoria, ma anche tentare il risanamento dell’impresa, continuando ad esistere sul mercato. Alla storica funzione liquidatoria, condivisa col fallimento, esclusivamente volta a soddisfare le ragioni della massa dei creditori, è andata affiancandosi quella di risanamento economico dell’impresa che, se realizzata tempestivamente (e cioè prima dell’emersione dello stato di insolvenza - punto di non ritorno per la vita dell’impresa) le permetterebbe di operare, risanata e ristrutturata, sul mercato.
3. La dichiarazione d’intenti del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza
La riforma avviata nel 2017, e non ancora conclusa, visti i recenti interventi correttivi e posticipativi dell’entrata in vigore della disciplina contenuta nel D. lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 può essere inquadrata, nelle sue premesse e nelle sue finalità, mediante la lettura della Relazione illustrativa al nuovo Codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza.
In particolar modo, per quanto in questa sede rileva, con riferimento al concordato preventivo, il legislatore (14) ha dato atto come lo stesso, nella sua configurazione vigente, abbia rappresentato, “se correttamente adoperato”, lo strumento “più efficace” per “risolvere positivamente le crisi d’impresa o per recuperare le potenzialità aziendali tuttora presenti in situazioni di insolvenza non del tutto irreversibile”. E proprio in virtù di tali considerazioni, nel decennio precedente la sua disciplina è stata interessata da interventi volti a “favorire, nei limiti del possibile, il ricorso all’istituto concordatario”
Allo stesso tempo, però, il legislatore del nuovo codice, riconoscendo come “la stagione delle riforme” a favore degli strumenti negoziali di risoluzione e composizione della crisi d’impresa abbia mostrato, nella prassi, il fianco a possibili abusi dello strumento concordatario a danno dei creditori, ha cercato di porre rimedio a tali evenienze, prevedendo una regolamentazione più dettagliata del contenuto minimo del piano di concordato preventivo ed un controllo più esteso dell’autorità giudiziaria.
Il risultato, però, non è stato quello auspicato, essendosi prodotta una disciplina ricca di chiaroscuri, espressione di una tensione mai sopita fra valori discordanti insiti nella procedura concordataria, non sempre composti in modo lineare (15).
4. Il bandolo della matassa: gli interessi sottesi alla procedura come chiave di volta per la comprensione della nuova disciplina del concordato preventivo
Si è già avuto modo di riferire come il concordato preventivo rappresenti un istituto centrale nel sistema concorsuale nazionale, non solo per l’ampio utilizzo registrato sino ad ora nella prassi, ma soprattutto perché la sua disciplina ha, da sempre, rappresentato una cartina al tornasole delle intenzioni politico-economiche sottese alle varie riforme succedutesi negli anni.
Dal punto di vista dell’analisi scientifica, quindi, le modifiche introdotte col nuovo concordato preventivo acquistano un valore sistematico di rilievo primario. Circostanza non poco spaurante, se si considerano i primi commenti dottrinali, che hanno definito la nuova disciplina del concordato preventivo come “non particolarmente felice” (16), perché fortemente illogica e contradditoria. Se così fosse, ne conseguirebbe una grave (e inammissibile) difficoltà per gli operatori (debitori e creditori commerciali, su tutti) nel districarsi nel nuovo diritto concorsuale.
Tuttavia, anticipando quanto seguirà nel corso dell'analisi, si ritiene che la scelta del legislatore di inaugurare la disciplina del Capo relativo al Concordato preventivo con le finalità della procedura in esame, non possa essere trascurata dal punto di vista interpretativo e sistematico.
Ai sensi dell'art. 84, comma 1 C.C.I.I., infatti, il legislatore stabilisce che "con il concordato preventivo il debitore realizza il soddisfacimento dei creditori mediante la continuità aziendale o la liquidazione del patrimonio". Con tale disposizione, quindi, il legislatore parrebbe fissare la regola generale secondo cui il concordato è funzionale alla soddisfazione dei creditori, essendo la continuità aziendale o la liquidazione del patrimonio delle mere forme di esecuzione di tale finalità.
Ad avviso di chi scrive, quindi, le indicazioni fornite nell’art. 84, comma 1 C.C.I.I., anche alla luce degli altri riferimenti disseminati nelle disposizioni successive (quali, ad esempio, il richiamo all’interesse prioritario dei creditori nel comma 2 del medesimo articolo, ovvero la lett. f) dell’art. 87, comma 1, su cui si tornerà in seguito) fisserebbero un principio cardine dell’intera disciplina in esame, che è bene premettere all’analisi che seguirà: il nuovo concordato preventivo è essenzialmente volto alla soddisfazione dell’interesse dei creditori.
Si ritiene, di conseguenza, che le questioni di volta in volta emergenti nella pratica, anche con riferimento alla sua ammissibilità, dovranno essere risolte guardando a tale presupposto, poiché, come già osservato in dottrina (17), l’interesse dei creditori nel concordato preventivo parrebbe configurarsi come una sorta di stella polare nell’attività non solo del debitore, ma anche (e forse soprattutto) dei professionisti che l’assistono, e di tutti gli organi della procedura, in tutte le fasi in cui la stessa si articola (18).
5. L’essenza del concordato preventivo
Considerato in una prospettiva meramente privatistica, il concordato preventivo potrebbe essere definito come un contratto "speciale" di diritto concorsuale (19), ove l’accordo si raggiunge esclusivamente attraverso il compimento di un iter predeterminato dalla legge, che si compone a sua volta di almeno tre fasi essenziali: la fase dell’ammissione della proposta del debitore, la fase della discussione e accettazione della proposta, la fase finale di omologazione dell’accordo. In un’ottica privato-centrica, si potrebbe ritenere che le prime due fasi replicherebbero, con ovvie peculiarità, il meccanismo classico di conclusione del contratto ex art. 1326 c.c. (20), mentre la successiva fase di omologazione sarebbe volta a consolidare la produzione dei suoi effetti.
Tuttavia, tale ricostruzione sarebbe eccessivamente semplicistica e sconterebbe l’omessa considerazione del profilo pubblicistico (21) insito nel concordato preventivo che, rispetto ai normali contratti di rinegoziazione del debito, lo rende una procedura concorsuale in senso stretto (22).
In quanto procedura, il relativo atto introduttivo soggiace ad una serie di condizioni formali e sostanziali, oggetto d'analisi nel primissimo giudizio sull'ammissibilità della domanda che, già nella disciplina attualmente vigente, è stato plasmato dalla giurisprudenza in chiave di controllo (anche) sull'idoneità della proposta in concreto a perseguire la finalità e soddisfare gli interessi sottesi alla procedura stessa (c.d prospettiva funzionale) (23). Inevitabilmente, quindi, rispetto alla regola aurea della libertà contrattuale, secondo cui ciascun soggetto può liberamente scegliere se, quando, con chi, con quali modalità e a che condizioni contrarre, nel caso del concordato preventivo, il debitore che voglia farvi accesso lo dovrà fare nel rispetto tassativo delle disposizioni previste dalla legge di riferimento e delle finalità proprie della procedura, pena l'inammissibilità della domanda (24).
In questa stessa direzione parrebbe doversi ricostruire la volontà del legislatore della riforma: prima di ricorrere al concordato preventivo, quindi, il debitore dovrà valutare se esso rappresenta lo strumento giusto per raggiungere le finalità desiderate e, soprattutto, se queste siano compatibili con le finalità attribuite alla procedura dal legislatore (25). Valutata l’opportunità di ricorrere al concordato preventivo, il debitore potrà presentare la relativa domanda (proposta contrattuale) che, se ammessa, porterà all’apertura della procedura in senso stretto. L’apertura del procedimento tanto sarà possibile quanto la proposta si mostrerà idonea a realizzare l'interesse e le finalità sottese alla procedura. In quest'ottica funzionale, come si avrà modo di spiegare in seguito, parrebbe doversi interpretare l'intera disciplina del concordato preventivo (26).
È in questi termini, infatti, che si giustificherebbe il doppio controllo dell’autorità giudiziaria in fase di omologazione, ove per costante orientamento giurisprudenziale (27) il Tribunale è tenuto ad applicare "un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo" dovendo, all'uopo, rivalutare, in sede di omologazione, i profili già esaminati nella precedente fase di ammissione. Il debitore, pertanto, resta libero di confezionare la propria proposta nei limiti delle condizioni formali e sostanziali di ammissibilità della domanda che, ove non sussistenti, porteranno il Tribunale ad escludere, sin da subito, il tentativo d'accordo (28).
In definitiva, la nuova disciplina del concordato preventivo parrebbe recepire tale filone giurisprudenziale inglobandolo, come si vedrà più avanti, attraverso una serie di condizioni di ammissibilità della domanda che, se non rispettate, dovrebbero portare alla chiusura (più o meno anticipata) della procedura e che, in un’ottica sistematica, troverebbero ragione nella volontà di far proseguire le sole proposte che siano conformi alle finalità proprie della procedura iniziata.
6. L'accesso al nuovo concordato preventivo
Trattandosi di procedura concorsuale in senso stretto (pertanto officiosa, generale, universale e globale) (29) la procedura di concordato preventivo sconta le formalità proprie di un qualsiasi procedimento giurisdizionale.
Dal punto di vista formale, la domanda di accesso alla procedura di concordato preventivo (la proposta) deve presentarsi, in forza del combinato disposto degli artt. 11, 26, 27, 37 e 40 C.C.I.I., con ricorso del debitore (unico legittimato attivo) al Tribunale, che decide in composizione collegiale, nel cui circondario il debitore ha il centro dei propri interessi principali o una sua dipendenza.
Il ricorso deve indicare, ex art. 40, comma 2 C.C.I.I. (30), l’ufficio giudiziario, l’oggetto, le ragioni della domanda, le conclusioni e deve essere sottoscritto dal difensore munito di procura. Pertanto, diversamente da quanto previsto per la domanda di liquidazione giudiziale, il debitore non può attivare personalmente la procedura di concordato, essendo necessaria l’assistenza tecnica del difensore.
Quanto al contenuto, oltre a quanto previsto dall’art. 40 C.C.I.I., l’atto introduttivo deve contenere, ex art. 44 C.C.I.I. (31), la proposta di concordato preventivo con il piano, l’attestazione di veridicità dei dati aziendali su cui si fonda e di fattibilità economica dello stesso, nonché allegare le scritture contabili e fiscali obbligatorie, e tutti i documenti indicati all’art. 39 C.C.I.I. tra cui una relazione, anche in formato digitale, della situazione economica, patrimoniale e finanziaria aggiornata, e lo stato particolareggiato ed estimativo delle attività dell’impresa, oltre che un riepilogo degli atti di straordinaria amministrazione compiuti nel quinquennio anteriore. Con la previsione che, ai sensi dell’art. 44 comma 5 C.C.I.I., per le società, sarà necessario che la domanda venga approvata e sottoscritta a norma dell’articolo 265 C.C.I.I. (32)
7. Le modalità di presentazione della domanda di concordato preventivo
Quanto alle modalità di presentazione della domanda di concordato, il legislatore della riforma, in continuità con quanto previsto dall’odierna disciplina, ha preferito conservare un duplice canale d’accesso: l’art. 44 C.C.I.I., infatti, ha previsto tanto l’ipotesi in cui il debitore depositi, unitamente al ricorso, la proposta di concordato, il piano e la relazione attestatrice; quanto quella in cui il ricorso sia diretto ad ottenere unicamente l’assegnazione dei termini per il deposito di tali atti e dei documenti elencati dall’art. 39 C.C.I.I. (33).
In tal modo, anche sotto la vigenza del nuovo codice, il debitore potrà proporre una domanda c.d. in bianco (una manifestazione d’intenti in luogo della proposta), che gli permetta di fruire senza indugio degli effetti protettivi della domanda (su tutte, blocco delle azioni esecutive e cautelari, sempre a condizione che il debitore le richieda).
Tuttavia, il legislatore, nell’evidente intento di scoraggiare un utilizzo abusivo del concordato come mero strumento di difesa (e differimento) della liquidazione giudiziale ha previsto, rispetto all’attuale disciplina contenuta nell’art. 161, sesto comma L.F. (34), una serie di cautele.
Innanzitutto, si prevede una radicale riduzione del tempo concesso per l’integrazione della domanda, che viene dimezzato rispetto alla disciplina attuale. Con il nuovo Codice, infatti, il Tribunale potrà concedere un termine compreso fra 30 e 60 giorni. Si riconosce, inoltre, che tale periodo è prorogabile, su istanza del debitore, per un massimo di 60 giorni.
Tuttavia, a differenza del precedente regime, che condizionava la concessione della stessa alla prova di giustificati motivi, il legislatore ha previsto che, in ipotesi in cui sia già pendente la domanda (proposta da un creditore o dal pubblico ministero) per l’apertura della liquidazione giudiziale, la proroga non possa avere luogo. In tale ipotesi, pertanto, diversamente da quanto avviene nella disciplina attualmente vigente, il debitore che abbia fatto accesso al concordato, con riserva di integrazione della documentazione, non potrà beneficiare di ulteriore tempo, per preparare la proposta di concordato, anche in presenza di giustificati motivi. In ipotesi di contestuale pendenza della domanda di liquidazione giudiziale, la proposta completa dovrà, pertanto, essere presentata entro il termine fissato dal giudice, comunque non superiore a 60 giorni.
Si osserva, inoltre, come nell’ipotesi di domanda di concordato difensiva (perché spiegata in seguito alla notizia della domanda di liquidazione giudiziale depositata da altro soggetto legittimato), il debitore dovrà presentare non solo una proposta formalmente completa, che sia ammissibile dal punto di vista giuridico, ma che sia anche conveniente per i creditori e che la domanda non sia manifestamente inammissibile o infondata.
In presenza di più domande, infatti, in forza del principio della trattazione unitaria delle domande di regolazione della crisi o dell’insolvenza contenute all’art. 7 C.C.I.I., il Tribunale adito dovrà “trattare in via prioritaria quella diretta a regolare la crisi o l’insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale o dalla liquidazione controllata ma soltanto se “nel piano sia espressamente indicata la convenienza per i creditori e che la domanda medesima non sia manifestamente inammissibile o infondata”.
Con riferimento alla concessione del termine, infine, ci si è interrogati su quale sia il dies a quo da cui far decorrere i termini, se dal giorno di deposito del ricorso, dal giorno del decreto che li concede ovvero dal giorno dell’iscrizione del decreto nel registro delle imprese.
Rinviando ad illustre dottrina per più ampie considerazioni di stampo processual-civilistico sul procedimento unitario in generale e sugli aspetti relativi al nuovo concordato preventivo in particolare (35), si condivide l’opinione dottrinale secondo la quale, diversamente da quanto sostenuto tutt’oggi dalla giurisprudenza (il termine che il tribunale concede per il deposito della proposta e del piano decorre dalla presentazione della domanda), la lett. d) del comma 1 dell’art. 44 C.C.I.I., ai sensi della quale, il decreto di fissazione del termini deve essere immediatamente trascritto, a cura del cancelliere, nel registro delle imprese, farebbe oggi propendere per la soluzione secondo cui il termine decorrerà, anche nei confronti del debitore, dal momento della pubblicità ai terzi (36).
Si segnala, inoltre, che il termine per l’integrazione della domanda non è soggetto a sospensione nel periodo feriale, sempre nell’ottica di velocizzazione della procedura e dissuasione da usi abusivi.
Ulteriore indicatore dell’atteggiamento cautelativo del legislatore, si individua anche nella previsione contenute nella lett. b e c, comma 1 dell’art. 44 C.C.I.I., in forza del quale il giudice, col decreto di fissazione dei termini dovrà necessariamente (oggi è facoltativo) nominare il commissario giudiziale, con funzione di vigilanza rispetto agli obblighi e gli adempimenti che la legge (ed il giudice) pongono in capo al debitore.
Altra importantissima novità di matrice cautelativa si rinviene, poi, con riferimento al c.d. automatic stay connesso al deposito della domanda di concordato in bianco, con tale dicitura intendendosi la possibilità del debitore di beneficiare, sin dal deposito della domanda di concordato in bianco, in modo automatico, di un’immunità dalle azioni esecutivi e\o cautelari intraprese dai creditori sul suo patrimonio.
Sul punto, l’art. 54, comma 2 C.C.I.I. (37) ha confermato la regola per cui, se il debitore ne ha fatto richiesta nella domanda, dalla data della pubblicazione del provvedimento di concessione dei termini nel registro delle imprese, i creditori per titolo o causa anteriore alla domanda non potranno, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio, rimanendo altresì, dalla stessa data, sospese le prescrizioni e non verificate le decadenze.
Tuttavia, col successivo art. 55, comma 3 C.C.I.I. (38) è stata introdotta un’importante limitazione degli effetti della stessa. Infatti, si prevede che le misure protettive richieste con il ricorso per la concessione dei termini dovranno essere espressamente confermate dal tribunale con proprio decreto, entro il termine perentorio di trenta giorni dall’iscrizione della domanda nel registro delle imprese, pena l’inefficacia. In forza di tale disposizione, quindi, la protezione automatica opererà per solo 30 giorni, decorrenti dalla data di iscrizione della domanda nel registro delle imprese, entro i quali il giudice potrà, anche a seguito dell’assunzione di sommarie informazioni, confermare o revocare la protezione dalle azioni esecutive o cautelari, comunque fissando, con decreto, la durata delle stesse, che in forza dell’art. 8 C.C.I.I., non possono superare “il periodo, anche non continuativo, di dodici mesi, inclusi eventuali rinnovi o proroghe” (39).
Nel nuovo Codice, pertanto, si realizza un regime di automatic stay attenuato, ove l’automatismo protettivo viene relegato ai primi trenta giorni, sia che si tratti di domanda completa, sia che si tratti di domanda in bianco, decorsi i quali il Tribunale dovrà necessariamente prendere posizione sul punto, confermando o revocando la protezione dalle azioni esecutive individuali e cautelari. Si segnala, inoltre, la disposizione contenuta all’art. 40, comma 3 C.C.I.I., in cui si prevede che, se la domanda proposta dal debitore contiene la richiesta di misure protettive, il conservatore del registro dell’imprese, nell’eseguire l’iscrizione, ne farà espressamente menzione (40).
Nel complesso, dunque, l’insieme di cautele previste dal legislatore del nuovo Codice con riferimento al primissimo segmento della fase d’accesso alla domanda di concordato preventivo sembrerebbe realizzare, meglio della disciplina attualmente vigente, il giusto contemperamento fra gli interessi del debitore e quelli del creditore.
Si osserva, infatti, come nella fase di mera richiesta d’accesso alla procedura, gli interessi di creditori e debitori vengono sostanzialmente equiparati. Indicativo è il fatto che resta la possibilità di presentare la domanda in bianco beneficiando dell’automatic stay (a vantaggio del debitore) ma con concessioni meno laute rispetto al passato (tutela dei creditori); che possa beneficiarsi della proroga dei termini per l’integrazione della domanda (tutela del debitore) ma solo se non vi sia la pendenza della domanda di liquidazione giudiziale (tutela del creditore).
Si apprezza, in questo senso, la volontà del legislatore di creare un procedimento unico in cui la “concorsualità è tendenzialmente anticipata, a tutela crescente e a protezione progressiva della stessa procedura” (e, si aggiunge) dei creditori (41).
8. L'ammissibilità della domanda (profili generali)
Ricevuta la domanda, o comunque decorsi i termini concessi ex lett. a dell’art. 44 C.C.I.I., si apre la fase decisoria sull’ammissibilità della domanda, destinata a concludersi sempre con decreto, di accoglimento o di rigetto, emesso dal Tribunale adito.
Tuttavia, nelle more della pronuncia sull’ammissibilità della domanda, il debitore subisce, per il fatto stesso della presentazione della domanda, un’automatica (e ragionevole) limitazione delle proprie libertà, che trova giustificazione nell’esigenza di tutelare gli interessi dei creditori ed il buon esito della procedura. Pertanto, per il semplice fatto che abbia manifestato l’intenzione di ricorrere alla procedura in esame, il debitore viene sottoposto a vincoli, degradando il suo interesse a posizione subordinata rispetto a quello dei creditori.
In particolare, l’art. 46 C.C.I.I. sancisce che “dopo il deposito della domanda di accesso e fino al decreto di apertura di cui all’articolo 47, il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale”. Talché, presentata la domanda, il debitore verrà, di fatto, equiparato ad un soggetto parzialmente incapace, e potrà compiere in autonomia soltanto gli atti di ordinaria amministrazione. Per gli atti di straordinaria amministrazione, invece, pena l’inefficacia delle disposizioni e la revoca d’ufficio dell’eventuale decreto di concessione dei termini di cui all’articolo 44 comma 1, su evidente segnalazione del commissario giudiziale nominato, dovrà ottenere apposita autorizzazione del Tribunale (42).
Naturalmente, in queste disposizioni di natura straordinaria dovranno ricomprendersi tutte quelle in concreto idonee ad alterare la parcondicio creditorum, tra cui figurano, ipso iure, gli atti dispositivi di garanzie o concessivi di titoli di prelazione. A tal proposito, infatti, il legislatore tiene a precisare, al successivo comma 5 del medesimo articolo, che l’eventuale acquisto di garanzie da parte dei creditori si considereranno inefficaci nei confronti degli altri creditori concorrenti, se acquistate successivamente alla presentazione della domanda, ma in assenza di autorizzazione, ovvero se acquistate nei novanta giorni antecedenti alla data di pubblicazione della domanda di accesso nel registro delle imprese.
Tornando al giudizio sull’ammissibilità della domanda, ai sensi dell’art. 40, comma 3 C.C.I.I., ricevuta la domanda del debitore, nel giorno successivo al deposito, il cancelliere deve dare comunicazione della stessa al conservatore del registro delle imprese che, entro il giorno seguente, dovrà provvedere alla relativa iscrizione, dando menzione, se presente, della richiesta delle misure protettive, nonché trasmettere copia al pubblico ministero.
A tal proposito, è stato sapientemente osservato in dottrina che soltanto “la domanda proposta dal debitore (che sia di soluzione pattizia o liquidatoria della crisi) è soggetta alla pubblicità camerale, al fine di evitare che iniziative prese da soggetti diversi dal debitore e destinate a rivelarsi infondate vengano divulgate, causando danni anche irreversibili alla reputazione dell’impresa” (43).
Adempiute le formalità, recita l’art. 47, comma 1 C.C.I.I. (44), il Tribunale procede alla verifica dell’ammissibilità giuridica della proposta e della fattibilità economica del piano, all’esito delle quali provvede, con decreto, alla dichiarazione d’apertura del concordato ovvero alla dichiarazione di inammissibilità della proposta.
In forza della nuova disciplina, pertanto, a seguito della domanda depositata dal debitore, si apre un procedimento sommario di cognizione, che si svolge inaudita altera parte, in cui il collegio designato è chiamato a verificare non solo l’ammissibilità giuridica (con lo schema di decreto correttivo si prevede l'espunzione dell'aggettivo a favore della sola ammissibilità) della proposta (in conformità a quanto accade oggi), ma anche (probabile novità rispetto al presente) (45) la fattibilità economica del piano.
Il legislatore, però, nulla aggiunge circa il grado di pervasività dell’analisi di quest’ultimo aspetto: viene immediatamente da chiedersi, quindi, in che termini debba essere ricostruito questo (non così tanto) inedito sindacato, e se, in virtù dell’art. 7 C.C.I.I., il Tribunale debba anche valutare la convenienza della proposta (46).
Sul punto il dibattito è certamente vivace in dottrina; ad avviso di chi scrive, tuttavia, le soluzioni al quesito potrebbero ben ritrovarsi nel diritto vivente consolidatosi in seno alla disciplina vigente, nonché nella sistematica del codice, che degli arresti giurisprudenziali risente fortemente (esponendosi a non poche critiche) (47).
In particolare, si ritiene che la nuova disciplina del giudizio di ammissibilità debba essere letta alla luce delle forze e degli interessi (pubblici e privati) sottesi alla procedura concorsuale, inevitabilmente differenziando il giudizio, a seconda che si tratti, in concreto, di un concordato in continuità ovvero liquidatorio.
Proprio per queste ragioni, si ritiene opportuno dedicare alla questione un paragrafo apposito, che verrà trattato alla fine dello scritto, solo dopo aver analizzati altri aspetti sostanziali e rilevanti della procedura in esame.
Anticipando quanto si dirà in seguito, però, per ora, ci si può limitare a sostenere che, anche in vigenza del nuovo Codice “in tema di concordato preventivo, il tribunale è tenuto ad una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura, nel senso che, mentre il controllo di fattibilità giuridica non incontra particolari limiti, quello concernente la fattibilità economica, intesa come realizzabilità di esso nei fatti, può essere svolto nei limiti della verifica della sussistenza, o meno, di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi (con ciò ponendosi il giudice nella prospettiva funzionale, propria della causa concreta” (48).
Compiute le predette valutazioni, se ritiene sussistere le condizioni giuridico-economiche per l’ammissione della domanda, il giudice dichiara l’apertura della procedura con decreto con cui, ai sensi dell’art. 47 C.C.I.I.:
- nomina il giudice delegato, facente funzioni del Tribunale per tutta la fase organizzativa intermedia che porrà in rapporto diretto creditori e debitore sulle proposte di quest’ultimo e che porterà i primi ad esprimersi con voto favorevole o sfavorevole;
- nel caso di domanda completa, nomina il commissario giudiziale, ovvero nel caso di domanda in bianco, conferma quello già nominato con decreto di assegnazione termini ex l. a) comma 1 dell’art. 44 C.C.I.I.;
- stabilisce, in relazione al numero dei creditori, alla entità del passivo e alla necessità di assicurare la tempestività e l’efficacia della procedura, la data iniziale e finale per l’espressione del voto dei creditori, con modalità idonee a salvaguardare il contradditorio e l’effettiva partecipazione, anche utilizzando le strutture informatiche messe a disposizione da soggetti terzi e fissa il termine per la comunicazione del provvedimento ai creditori
- fissa il termine perentorio, non superiore a quindici giorni, entro il quale il debitore deve depositare nella cancelleria del tribunale la somma pari al 50 % delle spese che si presumono necessarie per l’intera procedura, ovvero, in caso di domanda in bianco, dispone l’integrazione di quanto già versato ex lett. d, comma 1 dell’art. 44 C.C.I.I.
Diversamente, ai sensi dell’art. 47, comma 3 C.C.I.I., quando il Tribunale accerta la “mancanza delle condizioni di ammissibilità e fattibilità di cui al comma 1, dichiara con decreto motivato, reclamabile dinanzi alla Corte d’Appello entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione, l’inammissibilità della proposta (49).
Quanto alla possibilità di riproporre la domanda, l’art. 47, comma 4 C.C.I.I. si esprime in senso favorevole, condizionando la possibilità alla duplice condizione della decorrenza dei termini per l’impugnazione, e del mutamento delle circostanze. Pertanto, pare ragionevole ritenere che, se nelle more della decisione sull’ammissibilità mutino le circostanze, il debitore che si vedesse negare l’apertura della procedura, potrebbe direttamente rilevare tali mutamenti nel reclamo.
Esemplificativa, poi, sia il profilo sistematico del rapporto di continenza fra liquidazione giudiziale e concordato preventivo, già declarato dall’art. 7 C.C.I.I., sia sul fronte del bilanciamento degli interessi in gioco nella procedura (debitore-creditori), si pone la disposizione contenuta al comma 3 dell’art. 47 C.C.I.I.
Con tale disposizione, infatti, il nuovo Codice prevede che, in presenza di una domanda di concordato ed una di liquidazione giudiziale, solo dopo aver appurato l’inammissibilità della prima, il giudice potrà procedere alla valutazione dell’ammissibilità della seconda. Tuttavia, in questo caso, la valutazione non potrà più essere svolta inaudita altera parte: il Collegio assegnatario dovrà instaurare il contradditorio e se, all’esito, riterrà sussistere le condizioni, dichiarare con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale.
Anche in tale scelta, dunque, potrebbe manifestarsi la volontà legislativa di tutela verso i creditori del debitore che decida (impropriamente) di accedere alla procedura concorsuale, abbreviando i tempi per la dichiarazione di liquidazione giudiziale, laddove non sussistano le condizioni per la prima procedura ma vi siano quelle per la seconda.
9. Il contenuto minimo della domanda di concordato preventivo: il piano di concordato
Nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, con il combinato degli artt. 84, 85 e 87, il legislatore si preoccupa di disciplinare il contenuto minimo della “proposta contrattuale” (rectius proposta di concordato), nonché le condizioni di ammissibilità sostanziale della proposta concordataria, specificando quanto previsto nella Sezione II Capo IV in materia di accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza.
In forza di tali disposizione, il legislatore della riforma stabilisce espressamente che la domanda di concordato preventivo (di qualunque tipologia esso sia) debba fondarsi su un piano fattibile (c.d. piano di concordato), che andrà redatto in modo preciso ed analitico, di modo che possa essere idoneo a rappresentare in modo esaustivo, prima di tutto al giudice, e successivamente ai creditori, le condizioni economiche in cui versa l’impresa, le cause della crisi, le strategie d’intervento per risolvere la situazione (mediante liquidazione o per il tramite della continuità aziendale), le modalità ed i tempi con cui si procederà alla liquidazione (con relativa indicazione della risorse esterne apportate) ovvero al risanamento aziendale.
Vale la pena anticipare come la triade summenzionata rappresenti un vero e proprio nocciolo duro della disciplina del concordato preventivo, che sicuramente non brilla per sistematicità e intellegibilità. Le predette disposizioni, infatti, possono essere intese come un catalogo di ulteriori condizioni di ammissibilità della domanda che, volta per volta, a seconda della tipologia di concordato richiesto, il giudice dovrà valutare in sede di sindacato sull’ammissibilità giuridica e fattibilità economica della proposta presentata.
Diviene allora imprescindibile analizzare le predette, segnalando volta per volta talune contraddizioni (finanche a vere e proprie aporie), precisando tuttavia, come le stesse possano essere ricondotte a sistema, tenendo conto degli interessi e delle finalità che sono rispettivamente sottesi alla procedura e perseguite dalla stessa (50).
10. Ambito d’applicazione, tipologie e finalità del nuovo concordato preventivo
L’art. 84 C.C.I.I. (51), con l’intenzione di risolvere aspetti controversi della precedente disciplina, descrive le due possibili forme di concordato preventivo, fra loro alternative: quella, indubbiamente favorita dal legislatore, del concordato in continuità aziendale, e quella del concordato liquidatorio, che trovano la loro distinzione fondamentale nella diversa modalità con cui il debitore propone di soddisfare gli interessi creditori.
Tuttavia, prima di procedere all’analisi delle singole tipologie di concordato preventivo, si ritiene opportuno segnalare una prima aporia sistematica: l’art. 85, comma 1 C.C.I.I. ha, infatti, sostanzialmente lasciato inalterati, rispetto alla normativa vigente, i presupposti soggettivi ed oggettivi per accedere alla procedura de quo.
Si i prevede, infatti, che possa farvi ricorso “l’imprenditore, soggetto a liquidazione giudiziale ai sensi dell’articolo 121 C.C.I.I., purché si trovi in stato di crisi o di insolvenza (52). Resta salva, inoltre, in forza di quanto previsto dall’art. 296 C.C.I.I., l’accesso al concordato preventivo anche alle imprese assoggettabili esclusivamente a liquidazione coatta amministrativa.
Tale scelta è stata ampiamente criticata dai primi commentatori, sia con riferimento al presupposto soggettivo, sia con riferimento al presupposto oggettivo.
Quanto al primo, si è fatta largo in dottrina la ricostruzione in termini di illogica occasione persa con riferimento all’esclusione dell’imprenditore agricolo non piccolo dal novero dei soggetti legittimati a ricorrere al concordato preventivo. Inoltre, è stato segnalato come tale scelta si parrebbe in apparenza illegittima, perché sarebbe stata adottata in violazione delle disposizioni previste sul punto dalla legge delega (53).
A tal proposito si osserva che se, come si è detto, lo strumento concordatario rappresenta la procedura più effettiva per la composizione della crisi d’impresa (avendo perso la connotazione di mera alternativa liquidatoria al fallimento, tipica del suo antenato del 1942), non si comprende perché il legislatore non abbia esteso l’ambito di applicazione del nuovo concordato preventivo anche alle imprese agricole sopra soglia, notoriamente dedite anche all’esercizio di attività connesse di natura commerciale.
Rispetto ad una ragionevole obiezione per cui il nuovo Codice abbia, in realtà, previsto per tali imprenditori altri strumenti di regolazione della crisi, fra cui il concordato minore, si ritiene che, per finalità e complessità, la disciplina del concordato maggiore parrebbe comunque più idonea a regolare, in virtù della sua maggiore complessità, situazioni di crisi relative ad imprese agricole di non piccola dimensione.
Quanto al presupposto oggettivo, parimenti, la scelta del legislatore della riforma, di confermare il ricorso al concordato preventivo anche alle imprese commerciali non piccole che versino in stato d’insolvenza, è stata accolta dalla dottrina con non poca perplessità (54).
Del resto, se la finalità precipua della riforma è da ravvisarsi nella volontà di sensibilizzare le imprese, strutturate in forma più o meno semplificata, ad una gestione più attenta ed analitica della loro situazione economica, patrimoniale e finanziaria, di modo che si possa tempestivamente rilevare e contrastare l’emersione della crisi, la possibilità di accedere a tale procedura, anche quando la crisi è ormai irreversibile, rischia di lasciare varchi ad usi impropri e fraudolenti dell’istituto in esame.
11. Il concordato liquidatorio
Passando alle diverse tipologie di concordato prevenivo, il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ha relegato l’antica figura del concordato liquidatorio a soluzione residuale rispetto a quello in continuità, prevedendo la possibilità di ricorrere all’accordo liquidatorio soltanto quando il maggior costo della procedura concordataria sia giustificato dalla maggior soddisfazione dei creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale.
In particolare, la possibilità di ricorrere al nuovo concordato liquidatorio soggiace all’accertamento di due condizioni: la prima, già esistente nell’odierna disciplina, per cui la soddisfazione dei creditori chirografari, attraverso la liquidazione del patrimonio, non può essere inferiore al venti per cento dell’ammontare complessivo del credito chirografario; la seconda, totalmente nuova e dall’innegabile effetto repellente per il debitore, in forza della quale, colui che voglia accedere a tale procedura dovrà apportare tante risorse esterne da incrementare, di almeno il 10%, il soddisfacimento dei creditori rispetto a quanto realizzabile attraverso la liquidazione giudiziale.
Taluni hanno osservato come il ridimensionamento operato dalla novella sia probabilmente eccessivo e ingiusto (55) perché non terrebbe conto delle raccomandazioni europee circa l’opportunità di incentivare soluzioni liquidatorie, laddove non sia possibile risanare l’impresa. Si condivide, in ogni caso, l’osservazione dottrinale, secondo la quale, la procedura in esame sarà destinata al dimenticatoio (56).
Invero, sebbene possa contestarsi l’opportunità di aver determinato in modo fisso la seconda condizione di ammissibilità, si ritiene che il legislatore abbia agito in maniera logica, ritenendo che, ogniqualvolta l’impresa è destinata ad estinguersi, la procedura più soddisfacente per i creditori sia quella della liquidazione giudiziale.
Non a caso, infatti, il legislatore ha chiarito, rispetto al passato, come il termine di paragone dell’ammissibilità del concordato con cessio bonorum sia unicamente il risultato prevedibile della liquidazione giudiziale, procedura più economica rispetto a quella concordataria.
12. Il concordato in continuità
Nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, il tema della continuità aziendale ha assunto rilievo primario, delineandosi come principio di portata trasversale e generalizzato, applicabile tanto alle grandi imprese, quanto a quelle piccole e medie.
Generalizzando, il presupposto della continuità aziendale si ravvisa nell’esistenza di una potenziale capacità reddituale dell’impresa, sia essa inespressa ovvero espressa soltanto parzialmente.
Con riferimento al concordato preventivo, in particolare, la continuità aziendale è stata qualificata dall’art. 84 C.C.I.I. come la modalità (alternativa alla liquidazione) per ottenere il soddisfacimento dei creditori concordatari. Tuttavia, è stato correttamente osservato come la continuità aziendale, più che a soddisfare l’interesse dei creditori, è idonea a soddisfare altri interessi, quali quello dell’imprenditore al prosieguo dell’attività, quello dei lavoratori alla conservazione dei posti di lavoro, quello dell’economia e del mercato alla non dispersione delle risorse (57).
La continuità aziendale, per come espressa nelle disposizioni in materia di concordato preventivo, però acquista connotati peculiari. A tal proposito, alcuni in dottrina (58) hanno osservato come nel nuovo concordato, la continuità aziendale sia finita per rappresentare un valore-mezzo, configurandosi in modo opposto rispetto al primo testo licenziato dalla Commissione Rordorf, in cui la stessa costituiva un valore-fine.
Per questo motivo, si ritiene di dover salutare con cautela gli entusiasmi che si registrano intorno alla figura del concordato preventivo in continuità quale strumento più efficace per risolvere la crisi d’impresa, almeno fino a quando le disposizioni che lo disciplinano non saranno al vaglio della giurisprudenza.
Possibili (e, per quanto si dirà, ragionevoli) interpretazioni restrittive delle norme, che interpretino la figura del concordato preventivo in continuità alla luce dell’interesse prevalente dei creditori potrebbero portare, infatti, a ridurre (e non di poco rispetto alla prassi attuale) l’ambito di applicazione di tale istituto, lasciando il campo, alternativamente, agli strumenti negoziali stragiudiziale ovvero alla liquidazione giudiziale.
Tornando al dato normativo, l’art. 84, comma 2 C.C.I.I. nel regolare il concordato in continuità, precisa che la stessa potrà realizzarsi in modo diretto ed indiretto, a seconda che l’attività d’impresa continui ad essere esercitata dal soggetto debitore, ovvero da un nuovo soggetto. Si afferma, quindi, in ottemperanza alle indicazioni contenute nella legge delega (ex lett. i) art. 6, comma 1) che la continuità debba essere intesa in senso oggettivo e non soggettivo. Ciò che rileva per la qualificazione del concordato e dell’individuazione della disciplina ad esso applicabile, infatti, è che l’attività d’impresa possa continuare anche dopo la conclusione della procedura, prescindendo dall’identità dell’imprenditore.
Tuttavia, la circostanza che l’esercizio dell’impresa continui in capo al debitore, ovvero venga trasferito ad un terzo, non è assolutamente irrilevante: il legislatore, infatti, ha diversificato la disciplina a seconda che si tratti dell’una ovvero dell’altra tipologia. Pertanto, i primi commentatori (59) hanno ritenuto di poter suddividere il concordato in continuità in due sotto-categorie, quella del concordato in continuità diretta, e quella del concordato in continuità indiretta, a cui fanno riferimento ipotesi peculiari di inammissibilità.
12.1 Continuità diretta
La scelta di optare per la continuità aziendale in chiave oggettiva ben si sposa con l’esigenza di soddisfare, in primo luogo, il preminente interesse dei creditori, e, soltanto in subordine, quello (anche emotivo) del debitore a proseguire la propria attività d’impresa. Oltre al fatto che permette una maggiore competitività e maggiori possibilità di ampliare il novero delle soluzioni possibili, a favore dei creditori, la decisione di preferire l’oggettività alla soggettività si giustifica anche in ragione del fatto che la continuità soggettiva porta con sé il rischio intrinseco di aggravamento del debito di un soggetto che già versa in stato di crisi.
Di ciò è certamente consapevole il legislatore della riforma che, proprio in ragione di tale aspetto, ha previsto disposizioni ad hoc per la sola ipotesi della continuità diretta, dall’impronta fortemente informativa-cautelativa.
Appartengono al tale gruppo, ad esempio, l’art. 84, comma 2 C.C.I.I., nella parte in cui stabilisce che, in caso di continuità diretta, il piano di concordato debba specificare in modo esplicito che l’attività d’impresa sarà funzionale ad assicurare il ripristino dell’equilibrio economico finanziario della stessa, nell’interesse prioritario dei creditori, oltre che dell’imprenditore e dei soci.
Stessa qualità si rivede nella lett. g) dell’art. 87, comma 1, per cui il piano di concordato deve contenere, in ipotesi di prosecuzione dell’attività d’impresa in forma diretta, pena l’inammissibilità (come chiarito, ad abundatiam, dalla relazione illustrativa), un’analitica individuazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura.
Tali disposizioni, si ribadisce, trovano la loro ragion d’essere nell’esigenza di costringere il debitore ad offrire un quadro analitico dei costi\benedici del proprio piano in continuità diretta, di modo che, il giudice prima, ed i creditori poi, possano decidere, in maniera consapevole, rispettivamente dell’opportunità di ammettere (il primo), e di accettare (i secondi) la proposta concordataria nonché successivamente di omologare l’accordo (di nuovo il primo).
In generale, dunque, con riferimento alla disciplina della continuità diretta, il legislatore sembrerebbe effettivamente aver apprestato una serie di cautele volte a salvaguardare gli interessi prioritari dei creditori, configurando la continuità in chiave strumentale rispetto al fine di cui all’art. 84, comma 1 C.C.I.I.
All’interno del nuovo Codice, in verità, è possibile rinvenire una disposizione che, in un certo senso, deroga a tale principio, prevedendo, al ricorrere di determinate situazioni, un favor per la prosecuzione dell’attività d’impresa in capo al debitore, anche quando non realizza la miglior soluzione per i creditori. Ci si riferisce all’art. 90, comma 5 C.C.I.I. ove dispone l’esclusione del diritto dei creditori a presentare, prima della votazione, una proposta di concordato concorrente a quella del debitore che, invece, il nuovo Codice riconosce, come regola generale, ai creditori che rappresentino almeno il 10 % dei creditii.
Invero, con tale disposizione si prevede che “le proposte di concordato concorrenti non sono ammissibili se nella relazione di cui all’articolo 87, comma 2 il professionista indipendente attesta che la proposta di concordato del debitore assicura il pagamento di almeno il trenta per cento dell’ammontare dei crediti chirografari”, percentuale ridotta al venti per cento nel caso in cui il debitore abbia agito rilevando tempestivamente la situazione di crisi ed attivandosi per la sua risoluzione.
Sotto il profilo dell’analisi degli interessi sottesi, con l’art. 90 C.C.I.I. il legislatore sembrerebbe dire che, generalmente, gli interessi creditori prevarranno su quelli debitori; tuttavia, tale regola può essere derogata e, conseguentemente, l’interesse debitorio alla conservazione dell’impresa prevalere, nelle ipotesi in cui la soluzione prospettata sia comunque idonea a soddisfare (in modo rilevante, con il 30 % dei crediti chirografari, la cui fattibilità è attestata dal professionista indipendente) le ragioni dei creditori, sebbene non necessariamente nel modo più conveniente in assoluto per quest’ultimi.
12.2 Il concordato in continuità indiretta
Diversamente da quella diretta, la continuità indiretta si caratterizza per una cesura netta con la precedente organizzazione dell’impresa, e può trovare luogo in molteplici forme. Valutata positivamente la possibilità che l’impresa sopravviva al precedente titolare, il legislatore si è trovato a scegliere fra l’opportunità di tipizzare o meno le diverse modalità di trasferimento della titolarità d’impresa.
Leggendo l’art. 84, comma 2 C.C.I.I. si comprende agevolmente come il legislatore abbia optato per la seconda soluzione, prevedendo un elenco non esaustivo di operazioni di trasferimento, quali la cessione, l’usufrutto, l’affitto, il conferimento d’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione.
Tale favor legislatoris verso la libertà delle forme di trasferimento trova la sua ragione d’essere nell’intento di stimolare la continuazione dell’attività d’impresa in capo a soggetti terzi che, per il tramite del loro intervento, permetterebbero di realizzare tre finalità care al legislatore della riforma: l’apporto di risorse per la soddisfazione dei creditori, evitare il rischio di aggravare lo stato di crisi del debitore, non disperdere le risorse positive possedute dall’impresa in termini di produttività e competitività sul mercato.
Tuttavia, come detto, nelle intenzioni del legislatore, con riferimento anche alla procedura di concordato preventivo in continuità indiretta, la salvaguardia delle utilità dell’impresa si pone in modo recessivo rispetto all’esigenza di tutela dei creditori.
In tal senso, si ritiene deponga la disposizione contenuta all’art. 84, comma 2 C.C.I.I., nella parte in cui stabilisce che, nel caso della continuità indiretta, il piano del concordato, deve prevedere che l’attività d’impresa sia funzionale ad assicurare il ripristino dell’equilibrio economico finanziario nell’interesse prioritario dei creditori, oltre che dell’imprenditore e dei soci, nei limiti della compatibilità.
Con tale dicitura, il legislatore parrebbe dire che, nel caso continuità indiretta, il piano deve dare conto della funzionalità della prosecuzione dell’attività ad assicurare il ripristino dell’equilibrio economico-finanziario dell’impresa soltanto quando, in considerazione della specifica modalità di attuazione del trasferimento (cessione d’azienda con pagamento rateale, cessione d’azienda con prezzo fisso a cui si aggiunge un bonus sugli utili conseguiti, cessione d’azienda a nuova società controllata dal debitore, affitto d’azienda), la soddisfazione dei creditori è comunque condizionata alle sorti dell’impresa gestita dal terzo.
Diversamente, tale valutazione potrà essere evitata in tutti quei casi in cui la soddisfazione dei creditori sia immediata (si pensi, ad esempio, alla cessione con pagamento contestuale dell’intero prezzo) (v. nota 59).
12.2.1 La clausola occupazionale nel concordato in continuità indiretta
Con riferimento alla figura del concordato preventivo in continuità indiretta, i primi commentatori sono stati particolarmente attratti dalla questione relativa all’introduzione, all’interno dell’art. 84, comma 2 C.C.I.I. della c.d. clausola occupazionale, che si palesa come una delle clausole necessarie all’interno della proposta di concordato in continuità indiretta.
Infatti, la predetta disposizione stabilisce che, nelle ipotesi di proposta di concordato preventivo in continuità indiretta, il contratto o il titolo per il tramite del quale si realizza il trasferimento della titolarità dell’impresa debba prevedere “la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso”, per un periodo di almeno un anno dall’omologazione.
Tralasciando le pur corrette osservazioni circa la presunta illegittimità della disposizione in esame che, salvo correzioni, entrerà in vigore nel settembre del 2021 (60) con alta probabilità che, nel breve tempo successivo all'entrata in vigore del Codice, il Giudice delle leggi venga chiamato a sindacarne la ragionevolezza (61), è intenzione di chi scrive soffermarsi sugli interessi sottesi a tale precetto normativo, avendo come riferimento il contenuto della relazione illustrativa al nuovo Codice.
Si rileva, infatti, come in quella sede il legislatore abbia tenuto a precisare che nelle ipotesi di trasferimento dell’impresa in capo a terzi, questi dovranno dimostrare serietà nell’impegno assunto alla continuazione dell’impresa garantendo, per almeno un anno dall’omologazione, di mantenere in forza quantomeno la metà della media dei lavoratori impiegati dal debitore. In tal modo, prosegue il legislatore, si “è voluto assicurare l’effettività della dimensione oggettiva della continuità, che costituisce il valore aggiunto in ragione del quale il concordato in continuità è privilegiato rispetto alle proposte meramente liquidatorie”.
In buona sostanza, con la disposizione in commento, il legislatore sembrerebbe individuare nel mantenimento di almeno la metà della forza lavoro precedentemente impiegata, e per un arco temporale di almeno un anno dall’omologa dell’accordo, una praesumptio iuris et de iure di garanzia della continuità aziendale.
In un certo senso se, come detto, il concordato preventivo in continuità diretta si ritiene rischioso nella misura in cui potrebbe aggravare la situazione debitoria, il rischio del concordato preventivo in continuità indiretta sembrerebbe ravvisarsi, per il legislatore, nell’insicurezza circa la serietà del terzo nel proseguire l’attività d’impresa rivelata. Tuttavia, la disposizione lascia seriamente perplessi, per lo meno per due ordini di ragioni.
Innanzitutto, si fa fatica a immaginare situazioni in cui il terzo decida di dismettere l’attività, entro l’anno dall’omologa, dopo aver offerto un importo comunque ragguardevole, che abbia incontrato il benestare degli organi della procedura e dei creditori.
In secondo luogo, ed è ciò che più rileva, si ritiene profondamente erronea la valutazione secondo cui al mantenimento di un certo numero di lavoratori corrisponda ex lege la sicurezza della continuità aziendale. Non può che condividersi in questa sede, pertanto, l’osservazione di illustre dottrina secondo cui “l’illogicità di questa disposizione è evidente, non sussistendo alcun nesso fra l’entità della forza lavoro e l’idoneità del ricavato dell’attività a cui tale forza è addetta a soddisfare i creditori in misura prevalente rispetto ad altre fonti di soddisfacimento.” L’adozione di un criterio meramente quantitativo si palesa, pertanto, illogica, ultronea ed inadeguata (69).
Nel concreto, poi, la predetta illogicità della disposizione rischia di scontare grossi problemi applicativi, soprattutto in termini di efficacia ed effettività della disposizione.
Quanto ai suoi effetti nella prima fase della procedura, non vi sono dubbi circa il fatto che la disposizione si porrà come un’ulteriore condizione d’ammissibilità del concordato in continuità aziendale indiretta: con l’effetto che, ogniqualvolta il giudice accerti la mancanza della clausola occupazionale nell’atto di trasferimento, dovrà dichiarare l’inammissibilità della proposta di concordato.
Più discussa in dottrina, invece, è l’efficacia che dovrà attribuirsi alla disposizione nelle ipotesi in cui, omologato il concordato, il terzo non rispetti la clausola occupazionale. Sul punto, le posizioni possono essere riassunte in due filoni (62): la prima configura l’ipotesi in esame come una circostanza giustificatrice della risoluzione del concordato; la seconda, invece, ritiene che non sia idonea a produrre tale effetti nei confronti dell’accordo omologato bensì soltanto nei rapporti interni fra debitore e terzo (in termini di risoluzione del solo accordo di cessione, previa trattenuta del prezzo a titolo di penale) o, al massimo, nei rapporti fra lavoratori insoddisfatti e terzo.
Certamente, anche alla luce della natura contrattuale del concordato e della sua efficacia rafforzata a seguito di omologa, la seconda soluzione è certamente più ragionevole e da preferirsi. Anche perché, è stato già chiarito come la norma abbia trovato luogo in questa sede non perché il legislatore desiderasse offrire maggior tutela ai rapporti privatistici intercorrenti fra debitore e terzo, o fra terzo e lavoratori, bensì per avere certezza circa la realizzazione della continuità aziendale, risultato che, di per sé, il rispetto di tale regola non è in grado di realizzare.
La disposizione in esame assume grande rilievo sotto il profilo della tecnica legislativa, ponendosi come un memento per il giurista: una norma costruita su presupposti contradditori rischia di essere più dannosa che utile, divenendo inefficace nel tempo, almeno con riferimento al risultato per il quale la stessa era stata pensata (n.d.r.).
Ed è proprio ciò che la vigenza della clausola occupazionale rischia di produrre in concreto: pensata per garantire la serietà della continuità nell’interesse dei creditori, la sua presenza determinerà un inevitabile ribasso dei prezzi che i terzi saranno disposti a pagare in cambio dell’esercizio d’attività d’impresa. Non può che concordarsi, pertanto, con chi, in dottrina, ha sottolineato come “il nuovo requisito occupazionale imposto dall’art. 84 CCII avrà l’effetto di deprimere i corrispettivi per il trasferimento delle aziende da parte dei debitori che avviano procedure di concordato preventivo, con conseguente sacrificio dei creditori, che vedranno di conseguenza ridotta la propria percentuale di soddisfazione” (63).
A questo punto, un’ultima considerazione merita di trovare luogo: se si analizza la norma sotto il profilo dell’interesse ad essa sotteso, si può individuare il soggetto che, in ipotesi di violazione, sarebbe astrattamente titolato a chiederne il rispetto (n.d.r.).
Se, come espresso dallo stesso legislatore, la norma in esame mira a garantire l’effettività della continuità aziendale, il beneficiario della stessa non potrà che essere individuato nello Stato (portatore dell’interesse pubblico a che le risorse economiche non vadano disperse). Pertanto, non si ritiene di potere accogliere l’opinione di chi, in dottrina, ha qualificato la disposizione come precetto formulato a sostegno del lavoratore: una tale interpretazione, sebbene in teoria possibile, sarebbe palesemente contraria alla sua stessa ratio (64).
12.2.2. Concordato preventivo in continuità indiretta mediante affitto
Altra condizione di ammissibilità del concordato preventivo in continuità indiretta è prevista dall’art. 84, comma 2 C.C.I.I. con riferimento all’affitto stipulato anteriormente alla data di presentazione della proposta di concordato.
In forza di tale disposizione, infatti, l’affitto di azienda stipulato in un momento antecedente al deposito del ricorso per l’ammissione al concordato preventivo è ammissibile soltanto se, nel piano di concordato, si dimostra che l’affitto è stato funzionale alla presentazione del ricorso stesso.
Anche in questa ipotesi, però, si è registrata una certa difficoltà a comprendere il significato della disposizione, con la conseguenza che, con molta probabilità, dovrà essere la giurisprudenza a risolvere la questione (con danno in termini di prevedibilità dell’esito del ricorso, della durata e dei costi della procedura).
Certamente, dal punto di vista pratico, il debitore dovrà dare atto dell’esistenza dell’affitto nel piano di concordato e dovrà dimostrare la sussistenza del requisito della strumentalità. Tuttavia, colorare di significato tale incombente non è affatto cosa facile. Ciò nonostante, prendendo a riferimento le indicazioni contenute nella relazione illustrativa del nuovo Codice, secondo cui la previsione della strumentalità si è resa necessaria per non incoraggiare condotte opportunistiche del debitore, si può ragionevolmente ritenere che, con tale locuzione, il legislatore abbia voluto intendere che l’affitto con data anteriore al deposito dovrà presentare caratteristiche tali da poterlo qualificare come un tassello necessario ai fini del raggiungimento delle finalità proprie della procedura (in primis, il soddisfacimento dell’interesse dei creditori e, in aggiunta, la continuità aziendale).
Si condivide, pertanto, quella posizione dottrinale secondo cui potrebbe ritenersi ammissibile il piano che preveda l’affitto al terzo, promissario acquirente dell’impresa che, per evitare la soluzione di continuità nella produzione, decida di affittare l’azienda, proponendo contestualmente un’offerta irrevocabile di acquisto subordinata all’omologa, ovvero l’affitto ad un soggetto interamente controllato dal debitore, con previsione del ritorno dell’azienda nella disponibilità del debitore successivamente all’omologa del concordato preventivo (65).
13. Concordato misto e prevalenza quantitativa
Altra importantissima novità è contenuta all’art. 84, comma 3 C.C.I.I., ove il legislatore prende definitivamente posizione sulla vexata quaestio della normativa applicabile al c.d. concordato misto.
Con tale espressione si riferisce alle ipotesi in cui il piano di concordato preveda, oltre che alla continuazione dell’azienda o di suoi rami, anche la cessio bonorum degli assets aziendali non funzionali alla prosecuzione dell’attività.
Di fronte a tali concordati, ci si chiedeva quali fossero le norme loro applicabili, se quelle previste per il concordato liquidatorio (con annessa operatività del limite minimo di soddisfacimento dei creditori chirografari fissato al 20 %) o quelle meno stringenti previste per il concordato in continuità, nonché quale fosse il criterio che avrebbe dovuto guidare la scelta.
Sul punto, con riferimento alla normativa attualmente vigente, dottrina e giurisprudenza non hanno raggiunto una conclusione unanime, talvolta sostenendo la teoria della c.d. combinazione (si applica sia la disciplina del concordato in continuità, sia quella del concordato liquidatorio), talvolta quella della c.d. prevalenza (si applica la normativa al contratto tipo di riferimento), a sua volta contesa fra i sostenitori della teoria qualitativa e quelli della teoria quantitativa (66).
Con riferimento alla questione, il legislatore della crisi ha inizialmente preso, chiarendo, innanzitutto, che i proventi derivanti dalla cessione del magazzino debbano considerarsi come derivanti dalla continuità aziendale (perché comunque prodotti dall’impresa). Tuttavia, si segnala come lo schema di decreto correttivo approvato in via preliminare il 13 febbraio 2020 preveda l'espunzione di tale regola.
In secondo luogo, nonostante le remore dottrinali secondo tale criterio si presterebbe ad abusi (in termini di elusione della soglia del 20% prevista per il concordato liquidatorio), di recente confermati dalla giurisprudenza (67), ha comunque optato per il criterio della prevalenza quantitativa come criterio di riferimento per la scelta della legge applicabile al concordato misto (68).
Si prevede, infatti, che il concordato sia da ritenersi in continuità quando i “i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta, ivi compresa la cessione del magazzino”.
E fin qui, potrebbe dirsi, nulla di strano sotto il sole, dal momento che la disposizione parrebbe tenere rispetto alla gerarchia degli interessi sottesi alla procedura concorsuale in esame: la continuità dell’impresa viene favorita nella misura in cui questa soddisfi, al contempo, l’interesse prioritario dei creditori e quello alla conservazione delle risorse aziendali, mediante la prosecuzione dell’attività d’impresa. Se non fosse che la disposizione prosegue, prevedendo una presunzione (iuris et de iure) di prevalenza (così la chiama il legislatore delegato) di cui, ancora una volta, si stenta a comprendere la ratio.
Il legislatore, dunque, una volta fissato il criterio generale della prevalenza quantitativa, prosegue prevedendo che “la prevalenza si considera sempre sussistente quando i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un’attività d’impresa alla quale sono addetti almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il momento del deposito del ricorso”.
Si ripropone, anche in questa disposizione, la stessa problematica emersa con riferimento alla c.d. clausola occupazionale nel concordato in continuità indiretta, ponendosi anch’essa nel solco delle aporie sistematiche (69).
Con la previsione in esame, infatti, il legislatore prevede una regola di giudizio in forza del quale, in presenza di un piano attestante l’impiego di un certo numero di lavoratori (50 % della media impiegata nei due esercizi antecedenti), per un dato periodo di tempo (i primi due anni di attuazione del piano), il Tribunale dovrà ritenere soddisfatto il requisito della prevalenza, senza necessità di procedere al confronto tra i flussi derivanti dalla prosecuzione dell’attività imprenditoriale e i flussi generati dalla liquidazione dei beni. Si finisce, pertanto, per considerare in continuità qualsiasi concordato si fondi su un piano che preveda l’impiego per due anni di metà della forza lavoro impiegata.
Anche con riferimento alla presunzione di prevalenza, si rinviene l’erronea valutazione legislativa secondo cui una proposta corredata dal mantenimento di un certo numero di lavoratori, per un periodo temporale relativamente lungo, sia idonea ad assicurare la continuità aziendale (70).
In questo caso, poi, il legislatore incappa nella duplice assurdità di equiparare la forza lavoro alla continuità aziendale e di collegare la produzione dei ricavi al numero di lavoratori impiegati. Per come strutturata, pertanto, la disposizione non può che ritenersi illogica, asistematica e contradditoria: a maggior ragione perché, non di rado, la letteratura e la storia aziendalistica hanno segnalato come lo stato di crisi di un’impresa possa dipendere anche dalla inadeguatezza o esuberanza della compagine dei lavoratori e come la sua capacità reddituale non sia necessariamente connessa al numero di lavoratori impiegati (71).
Sotto il profilo dei rischi sottesi alla presenza di tale disposizione nella disciplina del nuovo concordato preventivo, prima facie potrebbe sostenersi l’innocuità della stessa, che si palesa, al contempo, sia come cautela rispetto ad usi impropri del rimedio concordatario (in questi termini la ricostruisce il legislatore delegato), sia come agevolazione per il debitore/terzo che intenda proseguire l’attività imprenditoriale con una quantità considerevole di forza lavoro impiegata che, per l’effetto, si vedrà assoggettato alla disciplina più favorevole del concordato in continuità (cui, si ripete, non si applica il limite del 20% di soddisfacimento dei creditori chirografari previsto per il concordato liquidatorio).
Tuttavia, analizzata più nel dettaglio, la disposizione de qua, ad avviso di chi scrive, parrebbe presentare diverse criticità, che la porrebbero in contrasto con i principi ispiratori della riforma medesima, quali l’economicità e speditezza della procedura, ed il favor per la continuità nel rispetto dell’interesse preminente dei creditori.
Con riguardo al primo aspetto, parebbe ragionevole presumere che, nella prassi giudiziaria, la disposizione in esame potrebbe portare all’ammissione di proposte sconvenienti per i creditori chirografari, che sfocerebbero in un nulla di fatto, antieconomico, sia in termini di costi della procedura, sia di impatto sulla situazione di difficoltà dell’impresa e del relativo indotto (72), così come detto in precedenza con riferimento alla clausola occupazionale.
Quanto al secondo profilo, la disposizione in esame si mostrerebbe in contrasto col principio generale dell’interesse prioritario dei creditori, oltre che dell’imprenditore e dei soci, dal momento che, come è stato appena detto, l’applicazione automatica della disciplina del concordato in continuità potrebbe portare all'apertura di procedure destinate a produrre risultati sconvenienti rispetto all’alternativa liquidatoria (73).
Infine, la presunzione in esame potrebbe essere altresì qualificata come una regola a salvaguardia dell’occupazione, esplicativa della sussistenza di una qualche forma di attenzione, all’interno della disciplina del concordato preventivo in continuità, per gli interessi dei lavoratori di aziende in crisi (74).
Tuttavia, tale ricostruzione non è da condividersi per almeno tre motivi, riassumibili nell’assenza di riferimenti espliciti all’interesse dei lavoratori all'interno della disposizione, nell’adozione di un criterio meramente quantitativo e nell’assenza di rimedi per i lavoratori nell'ipotesi di inadempimento dell'obbligo biennale.
Con riferimento al primo punto, in ossequio a quanto espresso dalla relazione illustrativa al nuovo Codice, si osserva che la disposizione in esame mirerebbe a garantire esclusivamente l’effettività della continuità aziendale e, per l’effetto, la volontà pubblica di evitare la dispersione delle risorse aziendali, anche (ma non solo) in termini di capitale umano.
Quanto al secondo, si segnala come il legislatore faccia riferimento ad una mera quantità di lavoratori (e non alla loro qualità di dipendenti del debitore), pertanto la tutela, al massimo, riferirebbe alla forza lavoro in generale ma non a quella già in forza nella precedente gestione imprenditoriale.
In relazione al terzo ed ultimo punto, poi, si osserva come, in ipotesi di mancato rispetto della quota minima di lavoratori impiegati per i primi due anni di piano, quest'ultimi comunque non potrebbero in alcun modo far valere le proprie ragioni, non essendo previsto un rimedio ad hoc per gli stessi e non potendo loro aggredire il contratto di cui non sono parti. Parrebbe ragionevole prevedere, infatti, come il mancato rispetto del requisito occupazionale possa portare all'impugnazione dell'accordo da parte dei creditori soltanto ove gli stessi non vengano soddisfatti, altrimenti, in presenza di una corretta esecuzione dell'accordo, non si comprende perché gli stessi dovrebbero segnalare il mancato rispetto di una condizione per loro ininfluente.
Anche in questo caso, dunque, l’elemento della salvaguardia dell’occupazione viene inserito dal legislatore in maniera illogica e controproducente (75), rischiando seriamente di favorire, ad avviso di chi scrive, la realizzazione di quanto, invece, il legislatore avrebbe voluto evitare.
Difatti, la disposizione potrebbe giustificarsi soltanto attribuendo al concordato in continuità la finalità precipua della conservazione dei posti di lavoro (76): tuttavia, interpretando in questi termini, si finirebbe per attribuire al concordato compiti che, sia in forza della legge delega, sia delle altre disposizioni contenute nel nuovo Codice, la stessa procedura non è preposto a realizzare (77).
Sempre all’art 83, comma 3 C.C.I.I., poi, si prevede un’ulteriore condizione di ammissibilità della proposta di concordato in continuità, da ravvisarsi nell’obbligo per il debitore di indicare espressamente, all’interno del piano, quale sia l’utilità, espressa in termini economici, che si obbliga ad assicurare a ciascun creditore. In un’ottica di favor per la soluzione concordataria in continuità si prevede, tuttavia, che l’utilità possa anche essere ricavata dalla prosecuzione o rinnovazione dei rapporti contrattuali con il debitore che continui l’attività d’impresa (o con il terzo che gli subentri). Si tratta di una norma certamente positiva, attraverso il quale il legislatore prevede la possibilità di soddisfare i creditori non con denaro od altri beni ma con vantaggi certi ed economicamente valutabili. Naturalmente, giova ribadire, tali valori dovranno essere espressi in termini monetari all’interno del piano, pena la dichiarazione di inammissibilità.
15. Fattibilità giuridica ed economica del concordato preventivo: il nuovo Art. 47 C.C.I.I.
Esaurita la trattazione dei profili giuridici che il Tribunale è chiamato a valutare tutte le volte in cui si trova a sindacare l’ammissibilità del concordato, si ritiene necessario tornare su una delle questioni più discusse, con riferimento alle novità introdotte in materia di concordato preventivo dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
In particolare, si riferisce alla natura, all’entità e all’estensione del sindacato di ammissibilità della domanda di concordato, come disciplinato dal combinato disposto degli art. 7 e 47 C.C.I.I., ai sensi del quale il Giudice, prima di pronunciare il decreto d’apertura del concordato, accerta l’ammissibilità della proposta e la fattibilità economica del piano, sentito, se necessario e nella sola ipotesi di domanda in bianco ex lett. a comma 1 dell’art. 44, il parere del commissario giudiziale (che, si ricorda, in presenza di domanda senza riserva verrà nominato con il successivo decreto d’apertura). Tuttavia, lapalissianamente si rileva come, per rispondere al quesito, si debba anzitutto comprendere che cosa si intenda per ammissibilità giuridica, per fattibilità economica nonché per convenienza ai sensi dell’art. 7, comma 2 C.C.I.I.
Nonostante l’attenzione per le definizioni, cui il Codice ha dedicato l’intero art. 2, il legislatore della riforma non ha esplicitato il significato da attribuire ai predetti termini. Tuttavia, a seguito della riforma del 2005-2007 prima, e delle modifiche del 2012 poi, la giurisprudenza di legittimità si è frequentemente pronunciata sul punto (78).
In particolar modo, nell’aprile del 2017, con sentenza n. 9061, la I Sezione della Corte di Cassazione, focalizzata l’attenzione sul dovere\potere del Tribunale di sindacare la causa in concreto del contratto di concordato, fissava principi e definizioni destinate a far breccia non solo fra le maglie del diritto vivente, ma anche fra le intenzioni del legislatore (79).
Con la pronuncia appena citata si affermava che “il controllo di legittimità si realizza in applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo, esso deve attuarsi mediante la diretta verifica della effettiva realizzabilità della causa concreta”.
Laddove per causa concreta si intende l’obiettivo specifico perseguito dal procedimento, che è necessariamente diverso caso per caso, sicché esso dipenderà dal tipo di proposta formulata e dal contenuto del piano, benché quest’ultimo resti inserito nel generale quadro di riferimento finalizzato al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore e all’assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori.
Proprio in considerazione del fatto che per una corretta valutazione della legittimità, in virtù della peculiare natura del concordato preventivo (metà contratto\metà procedura), il giudice debba necessariamente accertare la legittimità della causa concreta del concordato, e per far ciò non potrà che finire per indagare l’assetto di interessi ipotizzato dal proponente in rapporto ai fini pratici che il concordato intende perseguire, la giurisprudenza ha sostenuto che non possa predicarsi il "controllo circa l'effettiva realizzabilità della causa concreta se non attraverso l'estensione al di là del mero riscontro di legalità degli atti in cui la procedura si articola, e al di là di quanto attestato da un generico riferimento all'attuabilità del programma”.
Dal punto di vista formale, poi, in quella sede, la Corte di legittimità chiariva il tenore dei concetti di fattibilità giuridica, fattibilità economica e convenienza.
Si affermava, quindi, che per fattibilità giuridica si dovesse intendere la verifica della non incompatibilità del piano di concordato con norme inderogabili previste dall’ordinamento italiano; per fattibilità economica dovesse intendersi la realizzabilità nei fatti del piano medesimo; per convenienza si riferisse, invece, alla valutazione personale (del creditore) sul merito della plausibilità della proposta nonché della specifica esistenza di un valore aggiunto rispetto alla prospettiva liquidatoria.
Dal punto di vista pratico, invece, si fissava la regola di giudizio, già timidamente espressa dalle Sezioni Unite del 2013 (80), secondo cui non era esatto porre a base del giudizio una summa divisio tra controllo di fattibilità giuridica astratta (sempre consentita) e un controllo di fattibilità economica (sempre vietata al giudice), dal momento che, il giudice, in verità, è tenuto ad una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano per poter ammettere il debitore al concordato. Talché, si diceva, nella prospettiva funzionale, anche sotto il fronte della fattibilità economica, la proposta concordataria è sempre sindacabile ove totalmente implausibile.
In tempi più recenti, poi, il diritto vivente ha frequentemente richiamato la pronuncia citata, riconoscendo come, ad oggi, la distinzione astratta tra verifica di fattibilità giuridica e verifica di fattibilità economica possa dirsi, nella sostanza, superata, in un’ottica da ultimo recepita anche dalla legge delega n. 155\2017 (81)
Si ritiene, pertanto, che le disposizioni in esame, proprio in virtù della tendenza codicistica alla normativizzazione dei più importanti arresti giurisprudenziali, prodottisi in seno all’attuale legge fallimentare con riferimento al concordato preventivo (specie in continuità), andrebbero necessariamente interpretate nel senso di una lettura sinergica fra i concetti di fattibilità giuridica e fattibilità economica, che potranno essere valutati congiuntamente dal giudice sin dalla fase di ammissione della domanda.
Per quanto sin qui espresso, sommessamente si ritiene che il Tribunale, in sede di valutazione sull’ammissibilità della proposta di concordato, in forza delle nuove disposizioni, dovrà effettuare un sindacato ampio e dinamico, che potrebbe esplicitarsi in questi termini: da una parte, dovrà svolgere la valutazione sull’ammissibilità della domanda, accertando che siano rispettate tutte le condizioni di ammissibilità indicate dal nuovo Codice, avendo cura di distinguere fra quelle operanti con riferimento al concordato preventivo liquidatorio e quelle relative al concordato preventivo in continuità aziendale diretta e\o indiretta, a cui dovrà necessariamente aggiungersi lo scrutinio sull’eventuale violazione di norme inderogabile dell’ordinamento ovvero di altre cause giuridiche che impediscano l’apertura della procedura; dall’altra dovrà valutare la fattibilità economica del piano, con ciò intendendosi la “non manifesta infattibilità economica” dello stesso (82), che già oggi i Tribunali valutano.
Pertanto, si ritiene che la nuova formulazione, con cui si prevede l’allargamento del sindacato giudiziale anche al profilo della fattibilità economica, vada intesa nel senso che, in sede di valutazione sull’ammissibilità della domanda, il giudice dovrà effettuare anche una sommaria valutazione sulla serietà economica della proposta, che porti a rilevare ipotesi di manifesta irrealizzabilità del piano prima facie.
In un certo senso, quindi, il sindacato del giudice dovrà essere pieno per quanto riguarda l’accertamento della sussistenza di tutte le condizioni giuridiche necessarie per giustificare l’apertura e gli effetti (soprattutto in termini di spese e di tutela del prioritario interesse dei creditori) derivanti dall’apertura della procedura, mentre sarà necessariamente sommario con riferimento al profilo della fattibilità economica, limitandosi il giudice ad un accertamento del fumus boni procedurae.
Correttamente, però, ci si starà chiedendo quali possano essere gli indicatori su cui il giudice dovrà fondare la valutazione ex ante sulla fattibilità (serietà) economica della proposta?
Per rispondere a tale quesito, bisogna innanzitutto ribadire come, ai sensi degli artt. 84, 85 e 87 C.C.I.I., indipendentemente dalla tipologia di concordato preventivo richiesta, il debitore dovrà presentare, pena l’inammissibilità (giuridica) della domanda, un piano fattibile nonché, ex art 87, comma 2 C.C.I.I., la relazione di un professionista indipendente, che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano (fattibilità economica del piano, essendo quella giuridica rimessa integralmente al giudice, iuris peritus peritorum).
Il Tribunale, quindi, non potrà che calibrare la propria valutazione sul tenore della relazione del professionista indipendente, che si pone come unico documento qualificato a disposizione del giudice, differentemente da quanto avverrà in sede di omologa, in cui lo stesso potrà contare anche sulla relazione particolareggiata del commissario giudiziale.
All’interno della stessa il professionista non potrà limitarsi ad attestare la veridicità dei dati aziendali ma dovrà anche motivare la fattibilità del piano, dando spiegazione delle ragioni per cui lo stesso si ritiene adeguato a realizzare la finalità propria del concordato, che è e non può non essere, ex art. 87, comma 1 C.C.I.I., il soddisfacimento dei creditori, qualunque sia la modalità per realizzarla.
Si ritiene che proprio su questo profilo ricadrà, almeno in sede di valutazione sull’ammissibilità del concordato, lo scrutinio del giudice sulla fattibilità economica: una domanda di concordato fondata su una valutazione non critica dei dati aziendali, sommaria e contradditoria verosimilmente non potrà che portare alla pronuncia di inammissibilità della domanda.
Ebbene, si comprenderà, come il profilo economico vada inevitabilmente a mescolarsi con quello giuridico, dal momento che, al di là dei requisiti prettamente formali, le condizioni di ammissibilità proprie del concordato preventivo si presentano come promiscue, nel senso che condizionano l’apertura della procedura all’analisi di aspetti meta-giuridici, che possono soltanto prevedersi ma che non si può aver certezza che si realizzeranno.
In particolare, tale aspetto si estremizza nell’ipotesi di concordato in continuità aziendale, dove gli elementi economici divengono indicatori imprescindibili per valutare, prima facie, l’ammissibilità giuridica della domanda, nel senso di un accertamento, rebus sic stantibus, dell’astratta idoneità della domanda a rientrare nella tipologia di procedura cui si sta chiedendo di accedere, e per l’effetto, a soddisfare tutti gli interessi cui la stessa intende dare tutela.
Tale aspetto, si estremizza ancor di più, con riferimento al concordato in continuità, dove all’interesse dei creditori si affianca quello al risanamento e alla prosecuzione dell’impresa. Talché, come precisato dallo stesso legislatore, l’attestatore indipendente, con riferimento al piano di concordato in continuità aziendale (sia essa diretta, sia essa indiretta) dovrà attestare anche le ragioni per le quali, in caso di continuità aziendale, questa sia funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori ex lett. f dell’art. 87, comma 1.
In definitiva, quindi, nonostante si concordi con chi sostiene che sarebbe stato meglio chiarire il tenore della disposizione in esame (82), si ritiene che la novità introdotta con l’art. 47 C.C.I.I. debba essere interpretata nel senso di un'analisi della fattibilità economica calibrata sul grado di riflessività delle argomentazioni contenute nel piano, nonché sulla completezza e serietà dei dati e delle argomentazioni contenute nello stesso e nell’attestazione del professionista indipendente, di modo che il Giudice possa rintracciare gli elementi per sostenere l’ammissibilità giuridica della proposta, da intendersi non solo come formalmente rispettosa di tutti i requisiti previsti dalle legge, ma anche come sostanzialmente conforme alle finalità e agli interessi sottesi alla procedura richiesta.
16. Note conclusive
Tirando le somme dell’indagine che ha interessato alcune delle nuove disposizioni in materia di concordato preventivo, in definitiva si conferma la valutazione di autorevolissima dottrina sulla presenza di una serie di contraddizioni, illogicità ed aporie all’interno della disciplina del nuovo concordato preventivo (83).
Tuttavia, per la struttura e per le finalità che espressamente il legislatore ha attribuito a tale procedura, l’ambito di applicazione del nuovo concordato preventivo non potrebbe che essere determinato alla luce del soddisfacimento dell’interesse dei creditori.
Pertanto, si ritiene che l’appesantimento della fase di ammissione della proposta (per lo meno sotto il profilo della tipologia di sindacato esperito dal giudice) trovi ragion d’essere nella volontà, forse ingiustamente taciuta del legislatore, di relegare il concordato preventivo alle sole ipotesi in cui lo stesso sia idoneo a realizzare le sue finalità precipue.
In questo senso, la nuova disciplina dell’art. 47 C.C.I.I. parrebbe colorarsi di un elemento reale di novità, che sia volto a bloccare all’ingresso proposte di concordato (soprattutto in continuità), che non siano idonee a soddisfare l’interesse dei creditori.
Del resto, la sensazione di un tendenziale irrigidimento della fase di ammissibilità rispetto a quanto non fosse indicato nella precedente disciplina (ma non negli orientamenti del diritto vivente), la regola di evitare l’apertura del concordato quando la domanda si presenti inidonea a perseguire le finalità sue proprie, si rafforza alla luce di almeno due indicatori.
Si riferisce, in primis, all’art. 87, comma 2 e 3 C.C.I.I., ai sensi del quale il professionista indipendente deve attestare la fattibilità del piano nonché, in caso di concordato in continuità, che la prosecuzione dell’attività dell’impresa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.
In secondo luogo, si fa riferimento alle disposizioni relative al nuovo procedimento unitario (artt. 7, 40, 44 e 47 del C.C.I.I.), in forza dei quali il legislatore mira a velocizzare lo smistamento delle domande nelle varie procedure che seguono alla comune decantazione iniziale.
Pensata in questi termini, la nuova fase di ammissione della domanda di concordato preventivo andrebbe intesa anche come fase di smistamento, in altri canali (se sussistono i requisiti) o di rigetto del ricorso delle procedure manifestamente inidonee a raggiungere il fine assegnato loro dal legislatore.
In forza di tale ricostruzione, sarà possibile, quindi, aprire al concordato preventivo soltanto quando, all’ammissibilità giuridica in senso formale della domanda, si accompagni anche quella della fattibilità giuridica (intesa non solo come assenza di violazione delle norme inderogabile, assenza di atti in frode ai creditori) ma anche come fattibilità economica, intesa come serietà della proposta.
Naturalmente il profilo della convenienza resta in capo ai soli creditori, dovendo il giudice, in sede di ammissione, “limitarsi” ad accertare che la domanda non si tramuti in un inutile spreco di tempo e di risorse essendo, almeno prima facie, potenzialmente idonea ad incontrare il benestare dei creditori. In questo senso, quindi, si ritiene debba leggersi anche il precetto contenuto nell’art. 7 C.C.I.I., sull'indicazione nel piano della convenienza per i creditori.
In definitiva, quindi, sembrerebbe potersi sostenere una sorta di re-introduzione nel concordato preventivo dell’antico requisito della meritevolezza, che da qualità soggettiva dell’imprenditore “onesto ma sfortunato” diviene connotato oggettivo della domanda, che verrà valutato dal Tribunale ex art. 47 C.C.I.I., e che può essere definita come l’astratta idoneità della domanda ad essere valutata dai creditori, in quanto connotata di una serietà e credibilità (economica e giuridica) tale da giustificare il rischio di un allungamento dei tempi di soddisfazione delle ragioni creditorie nonché l’aumento delle spese di procedura.
Letta nel prisma della degli interessi ad essa sottesi, la nuova disciplina del concordato preventivo, al netto delle aporie sistematiche presenti qua e là, sembrerebbe, così, davvero destinata a trovare applicazioni in ipotesi molto più limitate di quanto avvenga oggi. Del resto, se davvero dovesse funzionare il sistema, così come pensato dal legislatore, la presenza di strumenti di emersione anticipata della crisi dovrebbe stimolare la gestione anticipata della stessa mediante l’utilizzo di strumenti di composizione stragiudiziale, oggetto di ampia trattazione nel nuovo Codice. Al contempo, situazioni di insolvenza grave non potranno che portare alla liquidazione giudiziale.
(1) Le modifiche che hanno interessato la materia prima del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza sono state introdotte con il d.l. 14.3.2005, n. 35 (conv. con legge 14-5-2005, n. 80; con il d. lgs. 9.1.2006, n. 5; con il d.lgs. 12.9.2007, n. 169, con il d.l. 22.6.2012, n. 83 (conv. con legge 7.8.2012, n. 134); con il d.l. 27.6.2015, n. 83 (conv. con legge 6.8.2015 n. 132
(2) Relazione al R. D.16 marzo 1942-XX, n. 267. Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa.
(3) Da 1314 nel 2011 a 4901 nel 2013; Fonte Ministero della Giustizia – Direzione generale.
(4) A.Nigro, "I principi generali della nuova riforma organica delle procedure concorsuali" in Giustivia civile.com, ISSN 2420-9651, 3, 2020, pp. 1-14
(5) Ivi, p. 7
(6) Con L. 8 marzo 2019 n. 20 il Parlamento ha delegato il Governo di apportare correttivi al nuovo Codice della Crisi d'impresa e d'insolvenza, la cui entrata in vigore era prevista per il 15 agosto 2020, oggi prorogata al 1° settembre 2021. Il 13 febbraio 2020 il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo, rubricato “Disposizioni integrative e correttive a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 8 marzo 2019 n. 20, al decreto legislativo 12 gennaio 2019 n. 14, recante il “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza" in attuazione della legge 19 ottobre 2017 n. 155, rappresentante la prima procedura di revisione del nuovo Codice.
(7) A. Nigro, op. cit.
(8) Per un'analisi più accorta dei principi guida dell’opera di riforma si rinvia alla relazione illustrativa del 10 gennaio 2019, nonché alle riflessioni dottrinali di A.Nigro, op. cit.
(9) Per una panoramica complessiva dell’istituto si rinvia ad autorevole manualistica G.F. Campobasso, “Diritto Commerciale 3, Contratti Titoli di credito Procedure concorsuali”, V edizione, UTET Giuridica, 2014, p. 423 e ss; A. Nigro, D. Vattermoli, "Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali" IV edizione, Il Mulino, Bologna, 2017, p. 345 e ss.
(10) L. Simonetti, "La deliberazione concordataria nella crisi d’impresa", in Giustizia civile.com, ISSN 2420-9651, 1, 2020
(11) F. Macario, "Il contratto e gli “strumenti negoziali stragiudiziali” nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza" in I Contratti ISSN 1123-5047, 4, 2019
(12) L. Simonetti, op. cit., 2020; V. Zanichelli, "Il concordato come procedimento concorsuale negoziato" in Questione giustizia, ISSN 1972-5531, 2, 2019; L. A. Russo, "(Il concordato preventivo - Seminario di studi), Natura giuridica e finalità", in Fallimento, ISSN 0394-2740, 3, 1992, p. 228; A. M. Azzaro, "Le funzioni del concordato preventivo tra crisi e insolvenza", in Fallimento, ISSN 0394-2740, 7, 2007; A. M. Azzaro, "Causa illecita e accordi concorsuali", in Giust. civ., ISSN 0017-0631, 1, 2019
(13) A. Nigro, D. Vattermoli, op. cit.
(14) Il virgolettato che segue è tratto dalla relazione illustrativa al nuovo Codice della Crisi d'impresa e dell'insolvenza, fonte esclusiva del presente paragrafo.
(15) Per un primissimo inquadramento, si rinvia a A. Nigro, op. cit.
(16) Ivi, p. 6
(17) S. Ambrosini, "Il nuovo concordato preventivo: "finalità, "presupposti" e controllo sulla fattibilità del piano (con qualche considerazione di carattere generale)", in www.ilcaso.it, 25 febbraio 2019; in generale sul valore dell'interesse dei creditori nel concordato preventivo ante riforma, si rinvia a A. Patti, "Il miglior soddisfacimento dei creditori: una clausola generale per il concordato preventivo" in Fallimento, ISSN 0394-2740, 9, 2013
(18) A. Rossi, "Il miglior soddisfacimento dei creditori (quattro tesi)" in Fallimento, ISSN 0394-2740, 6, 2017; per un'analisi più sintetica, si veda anche V. Zanichelli, op. cit.
(19) L. A. Russo, op. cit. p. 228; A. M. Azzaro, "Le funzioni del concordato preventivo tra crisi e insolvenza", cit.; per una panoramica delle implicazioni privatistiche del concordato preventivo si rinvia a A. M. Azzaro, "Causa illecita e accordi concorsuali", cit.
(20) Art. 1326, comma 1 c.c.: "Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte".
(21) Sulla costante tensione fra matrice pubblicistica e matrice privatistica all'interno della disciplina del concordato preventivo si rimanda a G. Terranova, "Diritti soggettivi e attività d'impresa nelle procedure concorsuali", in Giur. Comm., ISSN 0390-2269, 6, 2017; M. Gaboiardi, "Spunti sulla legge delega per la riforma organica delle procedure concorsuali: profili processuali", in Riv. soc., 2499-2518, 1, 2018
(22) A. Nigro, D. Vattermoli, op. cit.
(23) In questi termini parrebbe esprimersi la giurisprudenza in seguito a Cass. Sez. un., 23/01/2013, n.1521 in Giust. Civ. 2013, 2, I, 314; sulla necessità che gli obiettivi dello specifico concordato siano rispondenti alla funzione della procedura: Cass. Sez. VI, 05/02/2018 n. 2729 in Giur. comm., con nota di C. Meo, "Fattibilità del piano concordatario che prevede il finanziamento bancario in mancanza di una dichiarazione della banca prescelta" in Giur. comm., ISSN 0390-2269, 2, 2019.
(24) Di recente, sull'abuso del diritto di iniziativa concordataria: Cass. sez. I, 12.3.2020, n. 7117 in Diritto&Giudtizia 2020, con nota di V. Papagni, "L'abuso del preconcordato: la finalità dilatatoria va dimostrata", ISSN 1590-9255, 2020; in precedenza: Cass. Sez. VI, 11/10/2018 n. 25210 in Giust. Civ. Massimario 2018; Cass. Sez. 07/03/2017 n. 5677
(25) Di recente, Trib. di Rimini, 02/05/2019 in Bancadati Dejure secondo cui: "in tema di fallimento, il giudice di fronte alla proposta concordataria, deve vagliare preventivamente la complessiva fattibilità giuridica della proposta di concordato, cioè il rispetto delle norme di legge, indipendentemente dalla sua fattibilità economica e dalla convenienza dei creditori: ciò all'evidente fine di non sottoporre al voto una proposta non conforme alla legge e che, per questa ragione ed indipendentemente dal consenso della maggioranza dei creditori, non potrebbe essere omologata"; per approfondimenti sulla prospettiva funzionale, aperta dal richiamo alla causa concreta effettuato dalle Sezioni Unite del 2013, si rinvia a I. Pagni, "Il controllo di fattibilita` del piano di concordato dopo la sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521: la prospettiva ‘‘funzionale’’ aperta dal richiamo alla ‘‘causa concreta’’", in Fallimento, 3, 2013; F. De Santis, "Causa «in concreto» della proposta di concordato preventivo e giudizio «permanente» di fattibilita` del piano" in Fallimento, 3, 2013; più di recente, si veda A. M. Azzaro, "Causa illecita e accordi concorsuali". cit.
(26) In tal senso si esprime, già oggi, la giurisprudenza prevalente, cui il legislatore della riforma si è ispirato: ex multis, Trib. Roma sez. fall. 6.5.2013 in banca dati Dejure con nota di G. Covino, L. Jeantet, "Il concordato con continuità aziendale: le linee guida e sindacato del Tribunale nella fase ammissiva" in IlFallimentarista.it, 3, 2013
(27) Cass. Sez. un. 23/01/2013 n. 1521 secondo cui "il controllo di leggittimità del giudice si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo"
(28) vd. nota 26
(29) A. Nigro, D. Vattermoli, op. cit.
(30) Art. 40, comma 2 C.C.I.I.: "Il ricorso deve indicare l'ufficio giudiziario, l'oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni ed è sottoscritto dal difensore munito di procura"
(31) Art. 44 C.C.I.I.: "1. Il debitore che chiede l'accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza deposita presso il tribunale le scritture contabili e fiscali obbligatorie, le dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi o anni precedenti ovvero l'intera esistenza dell'impresa o dell'attivita' economica o professionale, se questa ha avuto una minore durata, i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi. Deve inoltre depositare, anche in formato digitale, una relazione sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria aggiornata, uno stato particolareggiato ed estimativo delle sue attivita', l'elenco nominativo dei creditori e l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione, l'elenco nominativo di coloro che vantano diritti reali e personali su cose in suo possesso e l'indicazione delle cose stesse e del titolo da cui sorge il diritto, un'idonea certificazione sui debiti fiscali, contributivi e per premi assicurativi.
2. Il debitore deve depositare una relazione riepilogativa degli atti di straordinaria amministrazione compiuti nel quinquennio anteriore.
3. Quando la domanda ha ad oggetto l'assegnazione dei termini di cui all'articolo 44, comma 1, lettera a), il debitore deposita unitamente alla domanda unicamente i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi o, per le imprese non soggette all'obbligo di redazione del bilancio, le dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi precedenti, l'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione. L'ulteriore documentazione prevista dai commi 1 e 2 deve essere depositata nel termine assegnato dal tribunale ai sensi dell'art.44, comma 1, lettera a)." Si precisa, inoltre, come lo schema del d. lgs., approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 13 febbraio 2020, si sia limitato a mere correzioni formali.
(32) Art. 265 C.C.I.I.:"1. La proposta di concordato per la societa' sottoposta a liquidazione giudiziale e' sottoscritta da coloro che ne hanno la rappresentanza sociale.
2. La proposta e le condizioni del concordato, salva diversa disposizione dell'atto costitutivo o dello statuto:
a) nelle societa' di persone, sono approvate dai soci che rappresentano la maggioranza assoluta del capitale;
b) nelle societa' per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilita' limitata, nonche' nelle societa' cooperative, sono deliberate dagli amministratori.
3. In ogni caso, la decisione o la deliberazione di cui al comma 2, lettera b), deve risultare da verbale redatto da notaio ed e' depositata ed iscritta nel registro delle imprese a norma dell'articolo 2436 del codice civile."
(33) Art. 39 C.C.I.I.:"1. Il debitore che chiede l'accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza deposita presso il tribunale le scritture contabili e fiscali obbligatorie, le dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi o anni precedenti ovvero l'intera esistenza dell'impresa o dell'attivita' economica o professionale, se questa ha avuto una minore durata, i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi. Deve inoltre depositare, anche in formato digitale, una relazione sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria aggiornata, uno stato particolareggiato ed estimativo delle sue attivita', l'elenco nominativo dei creditori e l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione, l'elenco nominativo di coloro che vantano diritti reali e personali su cose in suo possesso e l'indicazione delle cose stesse e del titolo da cui sorge il diritto, un'idonea certificazione sui debiti fiscali, contributivi e per premi assicurativi.
2. Il debitore deve depositare una relazione riepilogativa degli atti di straordinaria amministrazione compiuti nel quinquennio anteriore.
3. Quando la domanda ha ad oggetto l'assegnazione dei termini di cui all'articolo 44, comma 1, lettera a), il debitore deposita unitamente alla domanda unicamente i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi o, per le imprese non soggette all'obbligo di redazione del bilancio, le dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi precedenti, l'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione. L'ulteriore documentazione prevista dai commi 1 e 2 deve essere depositata nel termine assegnato dal tribunale ai sensi dell'art.44, comma 1, lettera a)."
(34) Art. 161 L.F.: "L'imprenditore puo' depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e all'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice, compreso fra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni. Nello stesso termine, in alternativa e con conservazione sino all'omologazione degli effetti prodotti dal ricorso, il debitore puo' depositare domanda ai sensi dell'articolo 182-bis, primo comma. In mancanza, si applica l'articolo 162, commi secondo e terzo. Con decreto motivato che fissa il termine di cui al primo periodo, il tribunale puo' nominare il commissario giudiziale di cui all'articolo 163, secondo comma, n. 3,; si applica l'articolo 170, secondo comma. Il commissario giudiziale, quando accerta che il debitore ha posto in essere una delle condotte previste dall'articolo 173, deve riferirne immediatamente al tribunale che, nelle forme del procedimento di cui all'articolo 15 e verificata la sussistenza delle condotte stesse, puo', con decreto, dichiarare improcedibile la domanda e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza reclamabile a norma dell'articolo 18."
(35) Si rinvia, in materia, alle osservazioni di A. Carratta, "Il procedimento di apertura delle procedure concorsuali: dalla legge delega al Codice della crisi e dell'insolvenza" in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, ISSN 03915239, 5, 2019; F. De Santis, "Il processo c.d. unitario per la regolazione della crisi o dell’insolvenza: effetti virtuosi ed aporie sistematiche" in Fallimento, 2, 2020
(36) F. De Santis, op. cit. p. 163
(37) Art. 54, comma 2 C.C.I.I.: "2. Se il debitore ne ha fatto richiesta nella domanda di cui all'articolo 40, dalla data della pubblicazione della medesima domanda nel registro delle imprese, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullita', iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio. Dalla stessa data le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano.", non modificato dal decreto correttivo.
(38) Art. 55, comma 3 C.C.I.I.: "3. Nel caso previsto all’articolo 54, comma 2, il giudice, assunte, ove necessario, sommarie informazioni, conferma o revoca con decreto le misure protettive, stabilendone la durata, entro trenta giorni dall’iscrizione della domanda nel registro delle imprese. Il decreto è trasmesso al registro delle imprese per l’iscrizione ed è reclamabile ai sensi dell’articolo 124. Se il deposito del decreto non interviene nel termine prescritto cessano gli effetti protettivi prodottisi ai sensi dell’articolo 54, comma 2."; si segnala come la disciplina sia stata oggetto di modifica da parte dello schema corettivo del febbraio scorso, in virtù del quale, la durata delle misure protettive non può essere superiore a quattro mesi. Si aggiunge, poi, che il relativo decreto di conferma o revoca debba essere comunicato al debitore e se ne prevede la reclamabilità.
(39) Art. 8 C.C.I.I.: "La durata complessiva delle misure protettive non può superare il periodo, anche non continuativo, di dodici mesi, inclusi eventuali rinnovi o proroghe".
(40) Per approfondimenti si rinvia a F. De Santis, op. cit.; A. Crivelli, "Le misure cautelari e protettive nel procedimento unitario del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza" in Giustizia civile.com, 9, 2019
(41) In questi termini si esprime la relazione illustrativa al Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, d. lgs. 12 gennaio 2019, n. 14
(42) Si v. Cass. Sez. I, 21/06/2019 n. 16808 in Diritto & Giustizia.
(43) F. De Santis, op. cit. p. 162
(44) Art. 47 C.C.I.I.: "1. A seguito del deposito del piano e della proposta di concordato, il tribunale, verificata l'ammissibilita' giuridica della proposta e la fattibilita' economica del piano ed acquisito, se non disponga gia' di tutti gli elementi necessari, il parere del commissario giudiziale, se nominato ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera b), con decreto:
a) nomina il giudice delegato;
b) nomina ovvero conferma il commissario giudiziale;
c) stabilisce, in relazione al numero dei creditori, alla entita' del passivo e alla necessita' di assicurare la tempestivita' e l'efficacia della procedura, la data iniziale e finale per l'espressione del voto dei creditori, con modalita' idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione, anche utilizzando le strutture informatiche messe a disposizione da soggetti terzi e fissa il termine per la comunicazione del provvedimento ai creditori;
d) fissa il termine perentorio, non superiore a quindici giorni, entro il quale il debitore deve depositare nella cancelleria del tribunale la somma, ulteriore rispetto a quella versata ai sensi dell'articolo 44, comma 1, lettera d), pari al 50 per cento delle spese che si presumono necessarie per l'intera procedura ovvero la diversa minor somma, non inferiore al 20 per cento di tali spese, che sia determinata dal tribunale.
2. Il decreto e' comunicato e pubblicato ai sensi dell'articolo 45.
3. Il tribunale, quando accerta la mancanza delle condizioni di ammissibilita' e fattibilita' di cui al comma 1, sentiti il debitore, i creditori che hanno proposto domanda di apertura della liquidazione giudiziale ed il pubblico ministero, con decreto motivato dichiara inammissibile la proposta e, su ricorso di uno dei soggetti legittimati, dichiara con sentenza l'apertura della liquidazione giudiziale.
4. Il decreto di cui al comma 3 e' reclamabile dinanzi alla corte di appello nel termine di quindici giorni dalla comunicazione. La corte di appello, sentite le parti, provvede in camera di consiglio con decreto motivato. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 737 e 738 del codice di procedura civile.
5. La domanda puo' essere riproposta, decorso il termine per proporre reclamo, quando si verifichino mutamenti delle circostanze". Si segnala, come lo schema correttivo del 13 febbraio 2020 abbia espunto la dicitura giuridica riferiita alla valutazione di ammissibilità di cui al comma 1.
(45) Autorevole dottrina ha rilevato come un giudizio di fattibilità economica sia, in un certo senso, già diffuso nel diritto vivente, segnalando dubbi sulla legittimità dello scrutinio. Sul punto, F. De Santis, op. cit. p. 163;
(46) Si rinvia a A. Carratta, op. cit; F. De Santis, op. cit.
(47) A. Nigro, op. cit. p. 5
(48) Cass., Sez. I., 07/04/2017 n. 100, in Giust. civ. Mass. 2017; in senso conforme Cass., Sez. VI, 01/03/2018, n.4790, in Giust. civ. Mass., 2018)
(49) Per osservazioni sulle impugnazioni, si rinvia a A. Carratta, op. cit., F. De Santis, op. cit.
(50) A. Nigro op. cit; S. Ambrosini, op. cit.; F. Leonardi, "La continuità dell’impresa nel nuovo codice della crisi fra dimensione soggettiva dell’imprenditore e interesse alla conservazione dell’azienda, in Giusiziacivile.com,10, 2019.; M. Greggio, "Il concordato con continuità aziendale", in AA. VV.M Il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. La riforma del fallimento, supplemento a ItaliaOggi del 23 gennaio 2019
(51) Art. 84 C.C.I.I.: "1. Con il concordato preventivo il debitore realizza il soddisfacimento dei creditori mediante la continuita' aziendale o la liquidazione del patrimonio.
2. La continuita' puo' essere diretta, in capo all'imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, ovvero indiretta, in caso sia prevista la gestione dell'azienda in esercizio o la ripresa dell'attivita' da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, affitto, stipulato anche anteriormente, purche' in funzione della presentazione del ricorso, conferimento dell'azienda in una o piu' societa', anche di nuova costituzione, o a qualunque altro titolo, ed e' previsto dal contratto o dal titolo il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la meta' della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per un anno dall'omologazione. In caso di continuita' diretta il piano prevede che l'attivita' d'impresa e' funzionale ad assicurare il ripristino dell'equilibrio economico finanziario nell'interesse prioritario dei creditori, oltre che dell'imprenditore e dei soci. In caso di continuita' indiretta la disposizione di cui al periodo che precede, in quanto compatibile, si applica anche con riferimento all'attivita' aziendale proseguita dal soggetto diverso dal debitore.
3. Nel concordato in continuita' aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuita' aziendale diretta o indiretta, ivi compresa la cessione del magazzino. La prevalenza si considera sempre sussistente quando i ricavi attesi dalla continuita' per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un'attivita' d'impresa alla quale sono addetti almeno la meta' della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il momento del deposito del ricorso. A ciascun creditore deve essere assicurata un'utilita' specificamente individuata ed economicamente valutabile. Tale utilita' puo' anche essere rappresentata dalla prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa.
4. Nel concordato liquidatorio l'apporto di risorse esterne deve incrementare di almeno il dieci per cento, rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale, il soddisfacimento dei creditori chirografari, che non puo' essere in ogni caso inferiore al venti per cento dell'ammontare complessivo del credito chirografario." Si segnala come lo schema correttivo non abbia previsto modifiche rilevanti, ad eccezione dell'espunzione del riferimento dei ricavi derivanti dalla cessione del magazzino, di cui si dirà in seguito.
(52) Ex art. lett. a) dell’art. 2 C.C.I.I. per crisi si intende “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”. Il nuovo decreto correttivo del febbraio 2020 lo ha definito, invece, come “stato di squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate” mentre per insolvenza si intende "lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni".
(53) A. Nigro, op. cit., p. 6
(54) Ivi, p. 9
(55) M. Arrigo, "Il dogma della continuazione aziendale in materia di concordato preventivo: from a law of morality to a law of continuity, in www.ilcaso.it, 3 giugno 2018; S. Ambrosini, op. cit.
(56) A. Nigro, op. cit., p. 6 in cui l'autore riferisce di una "sostanziale soppressione del concordato liquidatorio e la drastica riduzione delle opzioni lasciate al debitore"
(57) Per un indagine sul punto si rinvia a F. Leonardi, op. cit.
(58) M. Greggio, op. cit.; M. Arato, "Il Concordato con continuità nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Fallimento, 7, 2019
(59) S. Ambrosini, op. cit. li definisce come “sottotipi” di concordato in continuità a seconda che l’attività d’impresa venga proseguita direttamente dal debitore, oppure da un soggetto diverso; M. Arato, op. cit.; R. Brogi, "Il concordato con continuità aziendale nel codice della crisi", in Fallimento, 7, 2019
(60) Ad oggi, neanche nello schema del d. lgs., approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 13 febbraio 2020, si prevendono modifiche.
(61) M. Arato, op. cit., p. 858
(62) Per osservazioni sugli effetti dell'inadempimento della clausola occupazionale di un accordo omologato si rinvia a M. Arato, op. cit., pp 856-859; S. Ambrosini, op. cit. p. 3
(63) M. Arato, op. cit., p. 858
(64) Ivi.
(65) Ivi p. 856
(66) F. Marotta, "Il concordato misto: prevalenza quantitativa o qualitativa? La soluzione legislativa e gli (opposti) orientamenti giurisprudenziali) in ilcaso.it., 24 luglio 2018; M. Arato, op. cit., p. 859 ss.
(67) Da ultimo, Cass., sez. I, 15/01/2020, n.734 secondo cui “Il concordato preventivo in cui alla liquidazione atomistica di una parte dei beni dell'impresa si accompagni una componente di qualsiasi consistenza di prosecuzione dell'attività aziendale rimane regolato nella sua interezza, salvi i casi di abuso dello strumento, dalla disciplina speciale prevista dall'art. 186-bis l.fall., che al comma 1 espressamente contempla anche detta ipotesi fra quelle ricomprese nel suo ambito; la norma in parola non prevede alcun giudizio di prevalenza fra le porzioni di beni a cui sia assegnata una diversa destinazione, ma una valutazione di idoneità dei beni sottratti alla liquidazione ad essere organizzati in funzione della continuazione, totale o parziale, della pregressa attività di impresa e ad assicurare, attraverso una siffatta organizzazione, il miglior soddisfacimento dei creditori”. In Giustizia Civile Massimario 2020
(68) Puntuali osservazioni sul concordato misto (ovvero atipico) del nuovo Codici della crisi e dell'insolvenza sono fornite da F. D'Angelo, Il concordato con continuità aziendale nel nuovo codice della crisi e dell’insolvenza, in Diritto fallimentare e delle società commerciali, ISSN 0391-5239, 1, 2020; M. Fabiani, I"l codice della crisi tra conflitti e aspettative nell’attesa di Ferragosto 2020", in www.ilCaso.it, 4 aprile 2019; sul concordato misto, invece, F. Lamanna, "Che cos’è e quando è configurabile il cd. concordato “misto”?, in Il Fallimentarista, ISSN 2421-4701, 2013; M. Arato, op. cit.; L. Stanghellini, La continuità aziendale anche alla luce della Direttiva europea. Storia e contorsioni di un’idea, relazione al Corso di perfezionamento La riforma del diritto fallimentare. Il dialogo tra la giurisprudenza e il legislatore e le novità di immediata applicazione, Firenze, 14 marzo 2019; L. Stanghellini, "Il codice della crisi di impresa: una primissima lettura (con qualche critica)", in Corr. giur., 4, 2019, pp. 453 ss.
(69) A. Nigro, op. cit, p. 10
(70) Ivi
(71) M. Arato, op. cit., p. 859 e ss.; A. Nigro, op. cit. p. 10 in cui l'A. definisce illogica la disposizione, "non sussistendo alcun nesso fra l’entità della forza lavoro e l’idoneità del ricavato dell’attività a cui tale forza è addetta a soddisfare i creditori in misura prevalente rispetto ad altre fonti di soddisfacimento".
(72) Osservazioni sulla clausola di prevalenza nel concordato in continuità sono state fornite da A. Zorzi, "Il concordato “atipico” nel Codice della crisi, tra concordato con continuità aziendale e concordato liquidatorio" in www.ilcaso.it, 04 novembre 2019; F. Marotta, "Il concordato misto: prevalenza quantitativa o qualitativa? La soluzione legislativa e gli (opposti) orientamenti giurisprudenziali) op. cit.
(73) In senso contrario, A. Zorzi, op. cit.
(74) Ibi; M. Arato, op. cit., p. 859 ss.
(75) A. Nigro, op. cit., p. 10
(76) In questo senso si esprime A. Zorzi, op. cit., secondo cui la presunzione di prevalenza si pone come "una definizione “alternativa” di prevalenza che dipende dal numero di occupati che ha una funzione, per così dire, social-democratica, o filo-lavoratori nella seconda parte"
(77) Per altre osservazioni sui temi trattati si rinvia a n. 68
(78) Cass. Sez. un., 23/01/2013, n.1521 in Giust. Civ. 2013, 2, I, 314; Cass. sez. I, 24/08/2018, n.21175 in Giust. Civ. Mass., 2018
(79) Si v. art. 6 della Legge delega 19 ottobre 2017, n. 155
(80) Cass. sez. un., 23/01/2013, n.1521 in Giust. Civ. 2013, 2, I, 314
(81) Argomenta in questo senso, con esplicito riferimento alla legge delega, Cass., Sez. I, 05\12\2018 n. 31478 in banca dati DeJure.it
(82) F. De Santis, op. cit.
(83) Ex multis, A. Nigro, op. cit.; S. Ambrosini, op. cit.; M. Arato, op. cit.