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Pubbl. Sab, 18 Apr 2020

L´incapacità di rapportarsi responsabilmente alla genitorialità mette a rischio l´equilibrio e lo sviluppo dei figli.

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Rosa Guarini



Il presente contributo esamina le condizioni ostative all'applicazione del regime preferenziale dell’affido condiviso, elaborate dalle recenti pronunce giurisprudenziali.


Sommario: 1. Le fondamenta costituzionali della responsabilità genitoriale ed il concetto di bigenitorialità; 2. Le condizioni ostative all’affido condiviso, art. 337-ter c.c.; 3. Opposizione all’affido condiviso, art. 337-quater c.c.

1. Le fondamenta costituzionali della responsabilità genitoriale ed il concetto di bigenitorialità

L’art. 30 comma 1 della nostra Carta Costituzionale sancisce che “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”.

A seguito dell’imponente “Riforma del diritto di famiglia” L. 21 maggio 1975, n. 151, dottrina[i] e giurisprudenza costituzionale[ii] sono concordi ad individuare nel precetto suesposto il principio di responsabilità genitoriale ovvero di responsabilità per il fatto della procreazione.

In virtù del valore immediatamente precettivo, e non meramente programmatico, la disposizione in commento deve essere interpretata nel senso che il diritto e il dovere dei genitori di mantenere, istruire, ed educare i figli sussiste per il fatto in sé della generazione, la quale assume rilevanza giuridica, ed a nulla rileva l’accertamento dello status di figlio in ossequio alle norme civilistiche.

In altri termini, l’evento nascita è la condizione dell’esistenza della responsabilità genitoriale posta a criterio guida nella relazione intercorrente tra genitori e figli, nell’esclusivo interesse di quest’ultimi.

Pertanto, in attuazione del principio costituzionale della responsabilità genitoriale, il legislatore italiano ha avviato le seguenti importanti riforme nell’ambito del diritto di famiglia.

Con la L. 8 febbraio 2006, n.54 recante “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affido condiviso” si introducono nuove disposizioni nel codice civile, mediante la riforma dell’art. 155 c.c. e la contemporanea introduzione degli artt. 155-bis, 155-ter, 155-quater, 155-quinquies e 155-sexies nonché nel codice di procedura civile con la modifica dell’art. 708 c.p.c. e l’inserimento dell’art. 709-ter c.p.c.

Il legislatore della suesposta riforma, mediante una visione figlio centrica, introduce nel nostro ordinamento giuridico il principio di bigenitorialità inteso quale diritto soggettivo del minore a conservare e valorizzare un rapporto equilibrato, armonioso e continuativo con entrambe le figure genitoriali, anche in concomitanza ed a seguito della rottura del nucleo familiare.[iii]

Nonostante le importanti novità, la riforma causa dei problemi interpretativi e di coordinamento con la L.  01 dicembre 1970, n. 898, recante le disposizioni in tema di divorzio, pertanto, da ultimo, interviene il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 – attuativo della riforma sulla filiazione - al fine di predisporre una disciplina univoca stante l’impellente esigenza di dirimere in modo unitario le problematiche che si ripercuotono sui figli, senza discriminazione tra legittimi e naturali, a seguito della distruzione del vincolo affettivo tra i genitori, a prescindere dalle modalità pratiche con cui tale vincolo si dissolve.

Ed invero, il suddetto testo normativo, con le opportune modifiche, unifica ed introduce tale disciplina nell’impianto civilistico, precisamente nel Libro Primo Titolo IX, al Capo I “Dei diritti e doveri del figlio” – artt. 315 ss. c.c. – ed al Capo II in materia di “Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio” - artt. 337-bis ss. c.c.-.

Quindi, i Capi I e II presentano in modo sistematico la disciplina dei rapporti tra genitori e figli sia nella fase fisiologica che, soprattutto, nella fase patologica del vincolo affettivo matrimoniale o di fatto, ove il giudice, in sede di adozione di provvedimenti di affidamento e mantenimento dei figli, svolge un’importante e delicata funzione di garante del diritto soggettivo alla bigenitorialità.

2. Le condizioni ostative all’affido condiviso, art. 337-ter c.c.

A norma dell’art. 337-ter comma 1 c.c. il figlio minore, nella fase di dissoluzione del rapporto affettivo dei genitori, è titolare del “diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.

La disposizione, al comma 2, affida al giudicante il compito di realizzare concretamente il principio di bigenitorialità mediante l’adozione di provvedimenti diretti al soddisfacimento dell’esclusivo “interesse morale e materiale” del minore.

Pertanto, nella fase patologica del rapporto di coppia, il giudice deve valutare “prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori”.

L’affidamento condiviso si pone come la regola rispetto alla soluzione alternativa e residuale dell’affidamento esclusivo il quale, oggi, presenta carattere eccezionale e residuale, confinato a ipotesi paradigmatiche[iv].

Preme puntualizzare che l’istituto dell’affido condiviso del minore è stato inserito nel nostro ordinamento giuridico dalla L. 8 febbraio 2006, n.54 mediante la modifica dell’art. 155 c.c., coniando lo strumento principe per l’attuazione del concetto di bigenitorialità, a dispetto della normativa precedente che privilegiava l’affidamento monogenitoriale, in virtù del quale il giudice per prassi individuava nella figura materna il genitore più idoneo per all’affidamento del minore, mentre i rapporti con la figura paterna, non affidatario, si limitavano a visite periodiche, destinate a diminuire radicalmente fino a divenire poi sporadiche[v].

Nell’attuale unica disciplina, quindi, improntata alla tutela del diritto del minore[vi] ed alla bigenitorialità, l’affidamento condiviso comporta l’esercizio della responsabilità genitoriale da parte di entrambi i genitori i quali sono chiamati ad assumere di comune accordo “le decisioni di maggior interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore[…] tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e della aspirazioni dei figli”, mentre solo “in caso di disaccordo la scelta è rimessa al giudice”.

Dall’attenta lettura dell’articolo in commento si comprende che il legislatore della riforma, implicitamente, ha sancito il principio ad onore del quale l’affidamento condiviso del minore è di regola applicabile, a condizione che tale modalità sortisca effetti positivi nella sfera giuridica del minore.

Dall’altro canto, lo stesso legislatore non ha tipizzato, espressamente, le circostanze ostative all’affidamento condiviso, infatti, la loro individuazione è di competenza del giudice di merito che, con provvedimento motivato, espone le peculiarità sottese al caso concreto giustificatrici dell’applicazione, in via eccezionale, dell’affidamento esclusivo.

Pertanto, il giudizio prognostico che il giudice compie, nell’esclusivo interesse morale e materiale del minore, al fine di verificare l’effettiva convenienza del regime preferenziale, deve avere ad oggetto la “capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione” e deve essere formulato sulla base di elementi attinenti alla situazione concreta ossia “del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché dalla personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dall’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore”[vii].

Sulla scorta di tale indirizzo la giurisprudenza ha statuito, di recente, che la scelta per l’affido esclusivo non può basarsi solo ed esclusivamente sulle conclusioni della consulenza tecnica che abbia accertato in capo al minore la sindrome da alienazione genitoriale (PAS[viii], sigla dal termine inglese Parental Alienation Syndrome), in quanto è opportuno che il giudizio di inadeguatezza dei genitori, giustificatore dell’affido esclusivo, sia stato ottenuto a seguito della valutazione complessiva della condotta genitoriale[ix].

L’ampio, e non ben delineato, concetto di inadeguatezza genitoriale è stato al vaglio di innumerevoli pronunce giurisprudenziali che, al contempo, hanno contribuito alla creazione di un vero e proprio ventaglio di condizioni ostative all’applicazione dell’affidamento condiviso.

In particolare, si considera ragione sufficiente ad escludere l’affido condiviso l’eccessiva e soffocante premura di un genitore nei confronti di una minore tale causare “uno stress continuo non funzionale al suo sviluppo armonico e sereno”, la cui la tutela coincide con la “necessità di evitarle il turbamento procuratole dalle attenzioni del padre, col quale il rapporto affettivo può essere garantito con la previsione di adeguate modalità di visita ed incontro”[x].

Inoltre, l’affido condiviso si ritiene pregiudizievole per il minore quando tale sia alternato da aspetti positivi e negativi suscettibili di incidere sul corretto ed equilibrato sviluppo psicologico.

Nel caso di specie, infatti, l’affido condiviso sortiva effetti positivi “riguardo alla capacità genitoriale riscontrata nella madre” ed effetti negativi “riguardo al particolare rapporto del padre con la sua famiglia di origine e in tale contesto al comportamento gravemente denigratorio assunto dallo stesso e dalla di lui famiglia nei confronti della madre”[xi] traducendosi in un potenziale ed irreparabile danno piscologico a carico del minore.

Altresì, merita un approfondimento il valore che assume la conflittualità tra i genitori, spesso presente nella fase dissolutiva del rapporto di coppia.

In dottrina si ritiene che la preclusione all’affido condiviso non è giustificata nel contrasto in sé, ovvero nella conflittualità fra i genitori, bensì nelle ripercussioni negative di tale contrasto sul minore, amplificate in caso di co-affidamento[xii].

Pertanto, in accoglimento al pensiero dottrinale, si tende a escludere l’affidamento condiviso quando il dissidio tra i genitori si tale da sfociare in atteggiamenti che possano alterare la stabilità emotiva del minore.

In tal senso la Suprema Corte[xiii], in continuità ai precedenti orientamenti[xiv], ha espresso un criterio guida in materia di affido condiviso in base al quale “la mera conflittualità [...]non preclude, in via di principio, il ricorso al regime preferenziale […] ove si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole”.

Pertanto è compito del giudice individuare, caso per caso, il limite di tollerabilità del minore al conflitto genitoriale, oltrepassato il quale l’affido condiviso è precluso.

La Suprema Corte riconosce superato quel limite di tollerabilità quando i genitori si mostrano, a seguito dello sfaldamento del rapporto di coppia, totalmente incapaci di rivestire il ruolo genitoriale e di assumere scelte, mediante un dialogo costruttivo, nell’esclusivo interesse del minore.

La conflittualità, quindi, assume connotati ostativi all’applicazione del regime preferenziale “ove si traduca in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli, e, dunque, tali da pregiudicare il loro interesse”.

3. Opposizione all’affido condiviso, art. 337-quater c.c.

La tutela del minore è garantita anche in sede di affido condiviso, infatti, l’art. 337-quater c.c. al comma 2 dispone che “ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo” quando l’affidamento anche all’altro genitore risulti pregiudizievole per l’interesse del minore.

Il genitore istante deve addure, a sostegno della domanda di affido esclusivo, la propria capacità educativa nonché l’effettiva inidoneità dell’altro genitore alla condivisione della responsabilità genitoriale e gli effetti pregiudizievoli, anche potenziali, a danno del minore.

Infatti, in virtù del comma 3 dell’articolo in commento, in caso di manifesta infondatezza della domanda promossa, il giudice considera il comportamento del genitore istante inidoneo allo svolgimento della funzione educativa e ben potrebbe optare per l’affido esclusivo del minore all’altro genitore e disporre, inoltre, la condanna, oltre alle spese di giudizio, al risarcimento del danno per lite temeraria, a norma dell’art. 96 c.p.c.

 

 

Note e riferimenti bibliografici

[i] M. Bessone, “Valore precettivo dell’art. 30, comma 1° Cost. e responsabilità dei genitori per il solo fatto della procreazione”, nota a Corte Cost., 8 maggio 1974, n. 118, in Foro pad., 1975, XXX, 3, 51.

[ii] Corte Cost., 24 luglio 2000, n. 332; Corte Cost., 16 aprile 1999, n. 125; Corte Cost., 13 maggio 1998, n. 166.

[iii] In tal senso G. Cassano, “La tutela del padre nell’affidamento condiviso”, Maggioli Editore, 2014, p.24.

[iv] C. Irti, “L’affidamento dei figli minori ad un solo genitore nell’applicazione giurisprudenziale”, in Fam. pers. succ., 2008, p. 1016 ss..

[v] A. Fasano e S. Martone, “I conflitti della responsabilità genitoriale”, Milano, 2013, p. 289 ss..

[vi] Consacrato nella convenzione sui diritti del fanciullo, New York 20 novembre 1989, ratificata con L. 27 maggio 1991, n. 176.

[vii] In tal senso Cass. Civ., Sez. I, 10 dicembre 2018, n. 31902; Cass. Civ., Sez. VI, 19 luglio 2016, n. 14728.

[viii] Richard Gardner definisce la PAS come un disturbo che insorge normalmente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli, definito in tre gradi, in ordine crescente di influenza, ciascuno da trattare con uno specifico approccio sia psicologico sia legale. Ancora, secondo Gardner, la PAS sarebbe frutto di una supposta «programmazione» dei figli da parte di un genitore patologico (genitore cosiddetto «alienante»), sorta di lavaggio del cervello che porterebbe i figli a perdere il contatto con la realtà degli affetti, e a esibire astio e disprezzo ingiustificato e continuo verso l'altro genitore (genitore cosiddetto «alienato»).

Le tecniche di «programmazione» del genitore «alienante» comprenderebbero l'uso di espressioni denigratorie riferite all'altro genitore, false accuse di trascuratezza nei confronti del figlio, violenza o abuso (nei casi peggiori, anche abuso sessuale), la costruzione di una «realtà virtuale familiare» di terrore e vessazione che genererebbe, nei figli, profondi sentimenti di paura, diffidenza e odio verso il genitore «alienato». I figli, quindi, si alleerebbero con il genitore «sofferente»; si mostrerebbero come contagiati da tale sofferenza e inizierebbero ad appoggiare la visione del genitore «alienante», mostrando ― in modo apparentemente autonomo ― astio, disprezzo e denigrazione verso il genitore «alienato».

Gardner sosteneva che tale «programmazione» distruggerebbe la relazione fra figli e genitore «alienato» in quanto i primi giungerebbero a rifiutare qualunque contatto, anche solamente telefonico, con quest'ultimo. Perché si possa parlare di PAS è necessario tuttavia che detti sentimenti di astio, disprezzo o rifiuto non siano giustificati, giustificabili, o rintracciabili in reali mancanze, trascuratezze o addirittura violenze del genitore «alienato», cit., in www.wikipedia.org.

[ix] Cass. Civ., Sez. I, 16 maggio 2019, n.13274.

[x] Cass.Civ., Sez. I.,19 maggio 2011, n. 11068.

[xi] Cass. Civ., Sez. I, 26 settembre 2011, n.19594.

[xii] L. Balestra, “Brevi notazioni sulla recente legge in tema di affidamento condiviso”, in Familia, 2006, I, p. 657.

[xiii] Cass. Civ., Sez. I, 28 febbraio 2020, n.5604.

[xiv] Cass. Civ., Sez. I, 6 marzo 2019, n. 6535; Cass. Civ., Sez. I, 29 marzo 2012, n. 5108.