Pubbl. Gio, 11 Giu 2015
L’agente provocatore come falsus emptor nell’acquisto di stupefacenti
Modifica paginaLa punibilità del falsus emptor nell’ambito dei reati-contratto
Nella tematica più ampia dell'elemento soggettivo del dolo nel concorso di persone nel reato si inserisce la figura dell'agente provocatore. Con la nozione di agente provocatore si intende tradizionalmente il soggetto che, in veste di appartenente alle forze dell'ordine o anche di privato cittadino, fingendo di essere d'accordo con altra persona, la induce a commettere un reato spinto dal movente di denunciare o far cogliere in flagranza ovvero far scoprire il provocato da parte dell'autorità. Nell'ambito di questa nozione taluni ricomprendono anche la figura dell'infiltrato, vale a dire colui che si insinua nel tessuto associativo di un'organizzazione criminale per scoprirne i partecipanti, la struttura e le finalità perseguite; tuttavia, nuova ipotesi di agente provocatore coniata dalla legislazione più recente è quella del falsus emptor nell'ambito dei reati-contratto, in particolare il finto acquirente di sostenze stupefacenti.
Per questo soggetto sorge la questione della punibilità, che da tempo è dibattuta a livello dottrinale.
Secondo una prima, ormai isolata, tesi la non punibilità dell'agente provocatore andrebbe ancorata all'azione socialmente adeguata posta in essere da questo, non punibile perché conforme alle finalità sociali perseguite da una comunità in un determinato momento storico.
Altra tesi poggia la non punibilità dell'agente sulla scriminante dell'adempimento del dovere e sulla norma ex art. 55 c.p.p., secondo cui la polizia giudiziaria ha l'obbligo di assicurare le prove dei reati e di ricercare i colpevoli.
Tuttavia, la tesi che in dottrina pare oggi più convincente è quella che ancora la non punibilità dell'agente provocatore al difetto dell'elemento soggettivo, dunque, al difetto del dolo: lo stesso agisce con lo scopo principale di assicurare alla giustizia i responsabili, non accettando neanche il rischio dell'eventuale consumazione del reato, confidando nell'intervento di polizia prima della conclusione dell'iter criminis.
La giurisprudenza, sul punto, è molto esigente. in primo luogo distingue la figura dell'agente provocatore qualora questo sia funzionario di polizia o viceversa un soggetto privato; nel primo caso ritiene operante la scriminante dell'art. 51 c.p. (adempimento del dovere) che a sua volta si fonda sul citato art. 55 c.p.p.. Nel secondo caso pretende che l'intervento del privato cittadino sia giustificato da un ordine legittimo della pubblica autorità. Sia nell'un caso che nell'altro la giurisprudenza richiede che la condotta dell'agente provocatore si traduca in una forma di "indiretto e marginale" intervento nell'ideazione e nell'esecuzione del reato, dovendosi l'attività esaurire in "osservazione, controllo e contenimento delle azioni illecite altrui".
La figura dell'agente provocatore quale falsus emptor si inserisce nella disciplina di una particolare tipologia di reati plurisoggettivi, quali sono i reati-contratto, in cui viene incriminato il fatto stesso di aver stipulato un contratto, proprio come avviene nel caso dell'acquisto di sostanze stupefacenti. L'agente provocatore che agisce come falsus emptor finge di voler acquistare la droga, la cui vendita è vietata, senza averne effettivamente la volontà, ma mirando solo a raccogliere prove a carico dell'alienante. Per alcuni la responsabilità è esclusa, e dunque, la punibilità, sull'assunto che non verrebbe integrata, ab origine, la fattispecie incriminatrice: in capo a uno dei due contraenti difetta la volontà di acquistare, non realizzandosi così l'incontro delle volontà negoziali necessario per il perfezionamento del contratto, e quindi del reato. Per quelli che criticano questa impostazione in realtà vi è semplicemente divergenza tra volontà effettiva e volontà dichiarata, tuttavia l'interno volere del falso contraente assume semplicemente valenza di riserva mentale assolutamente inidonea ad incidere sulla validità del contratto, ma la responsabilità del falsus emptorn va esclusa, in ogni caso per difetto di dolo, non intendendo lo stesso acquistare realmente la sostanza illecita.
L'art. 97 del D.P.R. 309/90, meglio noto quale Testo Unico sugli stupefacenti, stabilisce la non punibilità delle attività degli agenti di polizia giudiziaria sotto copertura, coordinando la norma con quella dell'art. 51 c.p..
Dei rapporti che intercorrono tra le due norme si è occupata la Corte di Cassazione con sentenza 9188/2010, la quale si è espressa in merito all'acquisto simulato di droga da parte di un agente di Polizia Giudiziaria non appartenente alle unità specializzate antidroga. La quarta sezione della Suprema Corte, ritenendo il rapporto di sussidiarietà tra le due norme ha sostenuto che l'attività dell'agente di polizia che contatti i venditori, simuli di voler acquistare una quantità di droga e si rechi sul posto convenuto per la consegna di essa, pure nell'ipotesi di inapplicabilità del'art. 97 per carenza di requisiti soggettivi (in questo caso essere agente di polizia giudiziaria, ma non appartenente alle unità specializzate antidroga), non può ritenersi estranea all'ambito di operatività dell'art. 51 e, dunque, dell'adempimento di un dovere di polizia giudiziaria, poiché finalizzata alla ricerca di prove, all'individuazione dei responsabili e al contenimento di un'attività illecita, nota alla polizia e in corso di svolgimento.