Pubbl. Mar, 17 Mar 2020
La rieducazione e la redenzione del condannato
Modifica paginaIl principio di rieducazione del condannato è una conquista della nostra civiltà giuridica e sociale e la normativa lo annovera tra quei diritti che attengono alla dignità umana. E’ un principio di umanizzazione quando non solo riesce a restituire dignità al condannato rieducandolo, ma quando riesce anche a redimerlo.
Sommario: 1. La funzione rieducativa della pena. Normativa nazionale e sovranazionale; 1.2. I diritti dei detenuti; 2 La realtà del volontariato in carcere; 2.1. Le associazioni di volontariato; 3. La redenzione del condannatao. Il caso di Frà Beppe Prioli, un francescano tra gli ergastolani; 3.1. Storie di conversione; 3.2. Storie di redenzione. Alfredo Bonazzi: una storia di grazia.
1. La funzione rieducativa della pena. Normativa nazionale e sovranazionale.
Ogni ordinamento giuridico riconosce ad ogni singolo soggetto una serie di diritti fondamentali di diversa natura e ambito applicativo. Alcuni di questi diritti sono posti a tutela della dignità umana e dell’integrità umana.
Nell’alveo di questa tipologia di diritti la nostra Carta Costituzionale riconosce il diritto di ogni individuo a non essere sottoposto né a torture, né a pene o trattamenti inumani, ed ogni pena deve avere come finalità la rieducazione del condannato. L’articolo 27 della Costituzione al terzo comma stabilisce quanto segue:
«Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».
La pena è quella conseguenza giuridica riguardante la violazione di un comando o un divieto contenuto in una norma penale. Una delle finalità cui tende la pena consiste nel predisporre quelle misure idonee perché il condannato possa successivamente reinserirsi nella società in modo dignitoso. L’articolo 27 della Costituzione racchiude due principi importanti di civiltà giuridica: il divieto di qualsiasi trattamento contrario al senso di umanità e quello di rieducazione del condannato. La rieducazione intesa in questo senso si collega con la finalità di prevenzione, cioè di impedire al condannato ritornato in libertà di commettere nuovi reati.
Il principio di rieducazione ha essenzialmente una finalità retributivo-generalpreventiva ma anche utilitaristica. Il nostro ordinamento giuridico nel prevenire la recidiva del reo tiene conto anche della sua personalità e tiene in maggiore considerazione quei soggetti bisognosi di un trattamento specifico (1). Il nostro ordinamento tende a differenziare il sistema sanzionatorio, al fine, di impedire al soggetto di commettere gli stessi delitti e quindi di precludergli quella rieducazione e reinserimento previsti dal nostro sistema.
1.2 I diritti dei detenuti
Lo stato detentivo priva in tutto od in parte il reo della sua libertà. La nostra Carta Costituzionale e l’ordinamento giudiziario prevedono una serie di diritti in capo ad ogni soggetto che si trova a scontare una pena detentiva in carcere.
La legge sull’ordinamento penitenziario all’articolo 1 afferma (2):
«Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto delle dignità della persona».
All’interna della struttura penitenziaria ad ogni singolo detenuto vengono riconosciuti una serie di diritti che vanno dal diritto alle relazioni familiari, al diritto alla salute, al diritto allo studio ed anche al diritto di culto.
La complessa ed articolata tematica dei rapporti familiari riguarda soprattutto il rapporto madre-fanciullo. Lo stato offre una serie di interventi e strumenti concreti per impedire qualsiasi distacco netto e definitivo tra la madre ed il proprio bambino.
Le Nazioni Unite con le Regole di Bangkok (3) relative al trattamento delle donne detenute hanno inciso positivamente su questo tema così delicato, anche se ancora molta strada rimane da fare.
La normativa prevede per le donne incinte o con bambini piccoli di accedere a misure alternative alla detenzione. Sono previste anche specifiche cure mediche per la mamma ed il bambino,al fine di tutelarne la salute ma anche per offrire le medesime cure che possono ricevere all’esterno.
Il diritto alle relazioni familiari è un diritto contenuto e disciplinato dalla normativa riguardante l’ordinamento penitenziario. I legami con la famiglia non devono essere interrotti e viene tutelato il diritto di visita e la possibilità di ricevere ed inviare posta. I colloqui visivi vengono favoriti non solo con i propri congiunti ma anche con soggetti terzi al fine di compiere atti giuridici. Tra i diversi strumenti orientati al fine di favorire il contatto con la propria famiglia viene previsto il diritto il criterio di scelta dell’istituto penitenziario più vicino al luogo di residenza della famiglia.
La salute ed il diritto di culto sono altri diritti tutelati e riconosciuti in capo al soggetto detenuto. La presenza operante del Servizio Sanitario Nazionale è resa fruibile all’interno di ogni istituto penitenziario. Il diritto alla salute è in primis un diritto di natura costituzionale e come tale mira a garantire a tutti i cittadini la tutela del proprio equilibrio psico-fisico.
Nelle carceri viene fornito un servizio medico e farmaceutico rispondente al relativo stato di salute e se necessario viene disposto il trasferimento del detenuto in un ospedale civile affinchè si possano ricevere le cure adeguate.
Il diritto allo studio permette ad ogni singolo detenuto se lo desidera di poter studiare e conseguire un diploma od una laurea. In ogni istituto penitenziario la formazione culturale è fruibile attraverso dei corsi appositamente organizzati, al fine di poter imparare un mestiere che possa permettere un facile reinserimento nel tessuto sociale.
L’articolo 26 dell’ordinamento giudiziario riconosce quanto segue (4):
«I detenuti e gli internati hanno libertà di professare la propria fede religiosa, di istruirsi in essa e di praticarne il culto. Negli istituti è assicurata la celebrazione dei riti del culto cattolico».
All'interno di ogni carcere è presente almeno un cappellano e la domenica viene garantita la partecipazione alla messa domenicale. Altresì, viene assicurata la presenza di un religioso e di tanti volontariati che in diversi modi riescono a portare conforto religioso ed umano ad ogni detenuto.
I diritti dei detenuti riconosciuti dalla legge non riguardano solamente i bisogni primari e fondamentali ma anche quei diritti che sono necessari per un cambiamento radicale. In questa direzione lo Stato non impone ma propone ad ogni detenuto quei percorsi e strumenti necessari per cambiamento totale e radicale di vita.
2. La realtà del volontariato in carcere
Il volontariato in carcere è regolato dalla legge quadro sul volontariato n. 266/91 (5). La legge definisce i caratteri del volontariato che deve essere improntato ai principi di gratuità e solidarietà. Questa forma di assistenza all’interno delle carceri è caratterizzato dallo spirito di carità proprio della Chiesa Cattolica (6).
L’esperienza di volontariato all’interno delle carceri diventa una palestra di vita che concorre a creare quei presupposti di convivenza democratica determinanti per la rieducazione del condannato.
In Italia, il volontariato può articolarsi nella forma tradizionale, cioè quella del singolo, oppure il volontariato per il tramite di un’ associazione.
Le attività svolte dal volontario sono di diversa tipologia. Può venire richiesto un supporto di tipo informativo o collaborativo, dal disbrigo di pratiche di natura burocratica oppure fornire indicazioni circa il funzionamento del sistema giudiziario. La domanda per diventare assistente volontario viene redatta su un apposito modulo e corredata da una serie di documenti. In base a quanto disposto dall’articolo 78 dell’Ordinamento penitenziario:
«L'amministrazione penitenziaria può, su proposta del magistrato di sorveglianza, autorizzare persone idonee all'assistenza e all'educazione a frequentare gli istituti penitenziari allo scopo di partecipare all'opera rivolta al sostegno morale dei detenuti e degli internati, e al futuro reinserimento nella vita sociale».
L’iter burocratico per diventare volontario non è semplice. La domanda è soggetta ad un triplice parere favorevole, non solo da parte del direttore dell’istituto penitenziario, del Magistrato di sorveglianza ma anche del Ministero.
Le aree di intervento del volontario sono diverse e di varia natura. Una prima area di intervento consiste in una serie di attività individuali di sostegno ed ascolto. Spesso il volontario è per il detenuto l’unico punto di contatto con l’esterno e riesce a farsi carico di bisogni personali e materiali del detenuto. Un’altra area di intervento consiste in attività di gruppo con finalità ricreative e culturali.
Il mondo del volontariato è estremamente articolato ed i volontari sono persone di diversa esperienza personale e professionale che decidono di donare parte del proprio tempo all'interno di questo mondo dove il tempo sembra essersi fermato.
2.1. Le associazioni di volontariato
Il mondo del volontariato associativo è una presenza operante in tutto il territorio nazionale. Le associazioni forniscono assistenza di diversa natura e tipologia ma fondamentalmente sono per il detenuto un ponte tra il carcere e l’esterno. Ogni gruppo associativo e’ presenza di un tipo di società che si spende a favore di una realtà, come quella penitenziaria, spesso dimenticata. La nostra Costituzione riconosce e tutela il fenomeno associativo in ogni sua forma ed anzi ne favorisce la promozione.
Le associazioni possono operare autonomamente oppure, per un migliore coordinamento possono riunirsi in organizzazioni più ampie, come la Conferenza nazionale volontariato giustizia (7).
La Conferenza fondata nel 1998 e con sede a Roma ha lo scopo di rappresentare tutte quelle associazioni e gruppi che operano nel mondo del volontariato penitenziario e di promuoverne il confronto e dialogo a livello nazionale.
Ogni singola associazione ha un proprio organigramma e cerca di stare vicino al singolo detenuto durante il periodo di espiazione della pena. Il lavoro che viene svolto consiste nel quotidiano ascolto, nella distribuzione di indumenti, in aiuti materiali e nel favorire il contatto con le famiglie. Altre associazioni, invece, si occupano di organizzare corsi di formazione al fine di un possibile sbocco lavorativo.
Il singolo volontario all’interno di ogni associazione svolge con spirito di carità e di dono il proprio servizio e porta all’interno del carcere quella carità ed umanità che stentano ad esserci e che ogni detenuto cerca, e spesso per il volontario questa esperienza di dono dievnta formativa (8):
«Per me entrare in carcere è stato importante: ora che conosco meglio questa realtà sono più fiduciosa verso tante persone che mi sembravano così lontane e diverse da me».
Questa presenza capillare di ogni singola associazione e di ogni volontariato all’interno delle carceri permette al principio di rieducazione del condannato di trovare applicazione e realizzazione, anche se ancora molta strada rimane da percorrere.
3. La redenzione del condannatao. Il caso di Frà Beppe Prioli, un francescano tra gli ergastolani.
Nel mondo complicato delle carceri, un volontario di nome Frà Beppe Prioli ha dedicato la sua intera vita al servizio di questi fratelli lupi.
Frà Beppe nasce nel 1943 in provincia di Verona ed il 13 novembre del 1964 diventa frate minore francescano (9). La vocazione di passare tutta la sua vita al servizio di questi fratelli nacque per caso leggendo un articolo su Famiglia Cristiana. Lui aveva vent’anni e quel ragazzo citato nell’articolo veniva condannato all’ergastolo.
Obbediente al Vangelo ed al servizio del prossimo, in tantissimi anni di servizio, non si è mai stancato, passando la maggior parte della sua vita nelle carceri piuttosto che in convento.
Verso la fine degli anni sessanta, in Frà Beppe nasce l’idea di cercare dei volontari che in qualche modo potessero aiutarlo nel suo servizio e nella sua attività di volontariato. Nasce l’associazione “La Fraternità” (10) che da oltre 50 anni opera all’interno delle carceri per dare sostegno ai detenuti in vista di un reinserimento sociale.
Frà Beppe in oltre mezzo secolo di attività è riuscito ed ancora riesce ad abitare il cuore dell’uomo (11):
«Un abitare difficile e scomodo. Vissuto con discrezione e passione. Scendendo nelle pieghe più nascoste del cuore umano: dove bene e male si incontrano e si confondono; dove sofferenza e speranza si mettono a dura prova, quasi l’una contro l’altra».
Questo frate francescano insieme alla sua associazione sono riusciti a portare il Vangelo oltre le sbarre del carcere, riuscendo ad attraversare le sbarre dei cuori di molti ergastolani, riuscendo in alcuni casi, non solo in quel delicato percorso di reinserimento sociale auspicato dall’articolo 27 della Costituzione ma convertendo molti lupi in agnelli.
Molte storie di umana condanna sono diventate testimonianze di divina redenzione.
3.1. Storie di conversione
L’uomo riesce a cambiare e convertirsi perché qualcuno riesce a redimerlo ed a perdonarlo. Ogni uomo è responsabile umanamente e personalmente dei propri errori ed orrori, ma alle volte, dietro quell’uomo si nasconde qualcuno che ha bisogno di essere salvato.
Il reo è un uomo che all’interno del sistema carcere viene il più delle volte abbandonato a se stesso. Se qualcuno riesce a salvarsi e perché qualcuno lo accoglie.
Un uomo riesce a convertirsi ed a cambiare vita perché trova nel suo cammino qualcuno che lo accoglie, qualcuno che costruisce un ponte e riesce a raggiungere il suo cuore (12):
«E’ possibile costruire ponti culturali efficaci se ogni uomo cerca di offrire un contributo alla realizzazione dell’altro uomo, secondo l’espressione di Spinoza: homo homini deus».
Nella dinamica dell’accoglienza e della carità si creano quei presupposti determinanti per salvare l’altro. Nell’incontro non giudicante e nello scambio reciproco vi sono le fondamenta del riscatto umano e sociale.
Nei suoi 50’anni di servizio all’interno delle carceri Frà Beppe si è limitato a donare quel carico traboccante di carità ed umanita che ad ogni fratello lupo mancava.
Pietro Cavallero è un uomo in cui il lupo e l’agnello hanno sempre dimorato. Durante gli anni sessanta, insieme alla sua banda seminò terrore e morte tra Torino e Milano.
Il bandito Cavallero incontra per la prima volta Frà Beppe durante la sua detenzione a Porto Azzurro (13) . Il frate inizia ad ascoltarlo ed accoglierlo rimanendo colpito dalla sua dialettica e cultura. In quel periodo storico in carcere non entrava quasi nessuno e Frà Beppe rimaneva tantissimo tempo con loro e non si presentava come il buon frate che deve redimere il cattivo omicida. Pietro iniziava a capire che una persona se viene etichettata come criminale, senza possibilità di conversione, alla fine rimane criminale tutta la vita. La filosofia e la teologia riescono a suscitargli grandi interrogativi esistenziali. A poco a poco, inizia la sua conversione, il personaggio che anche lui stesso aveva contribuito a costruirsi scompare.
Nella sua esperienza Pietro è convinto che la scuola e la società civile possono in qualche modo aiutarti,invece, la religione si basa sul presupposto che tu possa cambiare. Parte della sua vita la passa in carcere, più di 20’anni, e durante il periodo della semilibertà, la sua seconda casa diventa il Sermig di Torino (14).
Il Sermig nasce nel 1964 da un’idea di Ernesto Olivero. Nasce come servizio missionario giovani ma nel corso del tempo diventa un centro di pace ed accoglienza. La stessa struttura è un ex arsenale di guerra diventa all’occorrenza un arsenale di Pace.
In questo centro Pietro Cavallero trova pace e riesce a continuare, fuori dal carcere, quel percorso di riscatto e reinserimento sociale che la società è riuscito ad offrigli.
Pietro è stato definito, il buon ladrone di fine millennio. Muore nel gennaio del 1997 e pochi giorni prima di morire scrive ad Ernesto Olivero(15):
«Desidero che tutti i proventi del libro siano devoluti alla fondazione Sermig (…) Sono contento che dopo tanti anni di carcere la mia vita travagliata abbia trovato l’Arsenale della pace dove ho capito, senza bisogno di tante parole, i miei sbagli. Ti voglio bene. Tuo Cavallero».
Sono state persone come Frà Beppe ed Ernesto Olivero che hanno permesso a Pietro non solo di essere rieducato ma anche salvato, ma quella salvezza alla fine è arrivata perché anche questo buon ladrone di fine millennio ha deciso di lasciarsi aiutare ed amare.
3.2. Storie di redenzione. Alfredo Bonazzi: una storia di grazia.
In tantissimi anni di servizio Frà Beppe ha incontrato tanti visi e tante storie. Alcune sono storie di rieducazione e redenzione, in alcuni casi, anche storie di autentica grazia.
Alfredo Bonazzi è uno che la grazia la riceve veramente nel 1973 dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone, dopo aver trascorso parte della sua vita in carcere.
La storia di Alfredo la si può trovare anche su wikipedia (16). Questo poeta redento nasce nel 1929 in provincia di Avellino e la sua vita non è stata per niente facile (17). La sua famiglia non era ricca ed il padre durante la prima guerra mondiale perse un braccio ed una gamba. La madre con una misera pensione di invalidità non riusciva a mantenere sei figli e decise di mandare Alfredo in collegio. Dopo qualche anno Alfredo ritorna a casa, siamo in piena seconda guerra mondiale. Per uno scherzo del destino assiste assiste alla violenza e conseguente uccisione della sorella, aveva 14 anni. Alfredo lascia il suo paese, torna a Napoli e gira per la penisola e si ferma a Milano. Diventa un ladro rispettato dalla mala. Una notte, mentre stava rubando in una tabaccheria uccide il proprietario in preda ad un raptus di follia. Lo psichiatra Catabeni incaricato di studiare la sua personalità affermò che quel raptus di follia era dovuto ad stato una fonte di catarsi.
Durante gli anni della sua detenzione incontrò Frà Beppe che lo ascoltava e non lo giudicava. In carcere scopre la poesia e conosce tante persone che riescono a riconvertire la sua vita e la sua storia. Ma la vera svolta arriva il 26 agosto del 1967. Bonazzi stava accompagnando un ergastolano francese all’ambulatorio comunale, a fare da scorta c’erano due agenti. All’improvviso un commando di marsigliesi piomba dentro l’ambulatorio per far evadere l’ergastolano ed anche Alfredo. Nonostante la possibilità di evadere e scappare, Bonazzi decise di non scappare ed aiutare la guardia che a causa di un cerotto stava morendo soffocato. Finalemente decise di essere libero e di liberare quell’uomo dalla morte. Era finalmente libero di amare.
La libertà fisica arrivò il 1 febbraio del 1973 quando il Presidente della Repubblica firmò la grazia. Alfredo lo seppe da Sandro Pertini che tanto si era battuto per la sua scarcerazione anticipata. Alfredo era un uomo cambiato, rieducato e risorto, poeta che aveva ricevuto non solo la grazia ma anche tantissimi premi letterari. Questo poeta rendento cnonostante la grazia ricevuta era un’altra la grazia che cercava. Il perdono della figlia del tabaccaio che per un caso fortuito non aveva uccisa. E quel perdono non tardò ad arrivare (18):
«Se il martirio di mio padre, perché di martirio si è trattato, è servito alla redenzione e alla poesia di Alfredo Bonazzi, io sono ben felice di perdonarlo».
Quella fu la vera grazia che Alfredo Bonazzi aveva aspettato per tutta la sua vita!
Note e riferimenti bibliografici
1. F. MANTOVANI, Manuale di diritto penale, CEDAM, Padova 2013.
2. https://www.normattiva.it
3. https://www.giustizia.it
4. Codice di procedura penale esplicato, SIMONE, Napoli 2014.
5. https://www.lavoro.gov.it
6 Cf a cura di Vincenzo Giammello, Alessandra Mercurio e Gaetano Quattrocchi, Il lavoro nel carcere che cambia, editore FrancoAngeli, Milano 2013.
7. http://www.volontariatogiustizia.it/
8. Teresa Michiara, Viaggio in un carcere italiano, Paoline, Milano 2003.
9. Fabio Finazzi, Fratello lupo, Un francescano tra gli ergastolani, Paoline, Milano 1996.
10. http://www.lafraternita.it
11. Daniela Zuccalà, Risvegliato dai lupi, Paoline, Milano 2004.
12. S. Natoli, Rivista fos, Ponti: uomini e culture nell'era della globalizzazione, pagina 68.
13. Fabio Finazzi, Fratello Lupo, pag 100 a 113.
14. https://www.sermig.org.
15. http://www.unannoinpiemonte.com.
16. https://it.wikipedia.org/wiki/Alfredo.
17. Fabio Finazzi, Fratello Lupo, pag. 87-99.
18. http://www.luigiaccattoli.it