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Pubbl. Gio, 16 Gen 2020

Cessione del contratto di locazione: cedente responsabile se il nuovo inquilino non paga

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Luca Collura


La Cassazione, con la sentenza n. 28809 del 08.11.2019, ha chiarito la portata applicativa dell’art. 36 l. 392/1978 nella particolare fattispecie delle cessioni c.d. “a catena”, riconfermando la tesi per cui, nel caso di specie, sorgerebbe una responsabilità solidale tra tutti i cedenti.


Sommario: 1. La quaestio iuris – 2. Il casus decisus – 3. La decisione della Cassazione

1. La quaestio iuris

La dottrina e la giurisprudenza si sono a lungo interrogate circa il rapporto tra quanto disposto dagli artt. 1406 ss. c.c. in tema di cessione del contratto in generale e quanto previsto dall’art. 36 l. 27 luglio 1978, n. 392, in tema di cessione del contratto di locazione di immobile ad uso commerciale in particolare.

Giovi premettere come si possa parlare di cessione del contratto quando un contraente (detto cedente), con il consenso dell’altro (detto ceduto), sostituisce a sé un terzo (detto cessionario) nei rapporti derivanti da un contratto a prestazioni corrispettive non ancora eseguite[1].

La regola codicistica prevede che una parte non possa cedere il contratto a terzi, salvo che l’altra parte non vi acconsenta. La ratio della disposizione è da individuare nella volontà del legislatore di bilanciare l’interesse del cedente a liberarsi dagli obblighi derivanti da un certo negozio con quello del ceduto a non vedere modificata la propria controparte contrattuale senza il suo preventivo consenso, atteso che da ciò potrebbe derivargli un pregiudizio (ad es., il cessionario potrebbe risultare insolvente o comunque dare meno garanzie circa l’adempimento degli obblighi derivanti dal contratto). Inoltre, ai sensi dell’art. 1407 c.c., il cedente è liberato dalle sue obbligazioni nei confronti del contraente ceduto dal momento in cui il contratto diviene efficace, salvo che il ceduto non dichiari espressamente di non liberarlo[2].

Nel caso del contratto di locazione a uso commerciale, invece, l’art. 36 l. 392/1978 fissa una regola diversa, prevedendo la possibilità per il conduttore di cedere liberamente il contratto, ferma la sua responsabilità verso il locatore per gli obblighi nascenti da esso, a meno che il locatore medesimo non dichiari espressamente di liberarlo[3]. Secondo la tesi prevalente in giurisprudenza, l’articolo de quo è stato pensato dal legislatore come una deroga alla disciplina codicistica della cessione del contratto per garantire una più rapida e facile circolazione dell’azienda che sia esercitata in un immobile condotto in locazione, assicurando al suo titolare la possibilità di cedere unitamente ad essa il contratto di locazione dell’immobile aziendale senza il consenso del locatore e al contempo controbilanciando tale facoltà con la responsabilità di quest’ultimo nei confronti del locatore in caso di inadempimento del cessionario, salvo che il locatore lo abbia espressamente liberato[4].

Ulteriori questioni che spesso la giurisprudenza è stata chiamata a risolvere sono: a) cosa succede in caso di plurime cessioni del medesimo contratto; b) se la responsabilità del cedente si estenda anche alle obbligazioni derivanti dal contratto che costituisca proroga dell’originario rapporto ai sensi degli articoli 28 e 29 l. 392/1978.

Con la sentenza oggetto del presente lavoro, la Suprema Corte ha avuto modo di pronunciarsi su tutti i punti sopra richiamati.

2. Il casus decisus

Il 01.08.1997, “A S.p.A.” concedeva in locazione un immobile di sua proprietà alla “B S.p.A.”, perché lo utilizzasse per condurvi la propria attività commerciale.

Vigente il contratto di locazione, la conduttrice, a seguito di fusione per incorporazione, pur mantenendo invariata la propria forma societaria, veniva incorporata da “C S.p.A.”, che, circa due anni dopo la stipula del contratto de quo, ai sensi dell’art. 36 l. 392/1978, lo cedeva a “D S.n.c.”.

A sua volta, la S.n.c. cessionaria cambiava denominazione e, dopo aver ceduto il contratto di locazione a “E S.r.l.”, si scioglieva senza liquidazione e veniva cancellata dal Registro delle Imprese in data 09.01.2019.

Nel 2013 la proprietaria dell’immobile locato, intimava sfratto per morosità a “C S.p.A.”, ai soci dell’ormai sciolta S.n.c. personalmente e a “E S.r.l.”.

In primo grado i convenuti eccepivano il proprio difetto di legittimazione passiva, sostenendo la non sussistenza della loro responsabilità ex art. 36, l. 392/1978, in quanto il contratto tra la locatrice e la (prima) conduttrice cedente era scaduto il 30 luglio 2009. Con ordinanza del 27 marzo 2013, il Tribunale di Modena ordinava il rilascio dell’immobile e disponeva il mutamento del rito. Il Tribunale di Modena riteneva che nella fattispecie: a) fosse decorso il periodo di dodici anni minimo previsto dalla l. 392/ 1978, con conseguente assoggettamento del contratto alla disciplina codicistica della locazione posta dall’art. 1597 c.c.; b) la rinnovazione tacita del contratto (prevista dall’art. 28 della legge in commento) si concretasse nella conclusione di un nuovo contratto distinto dal precedente, ormai estinto per scadenza del termine finale, e al quale subentrava un nuovo negozio, con conseguente autonoma disciplina delle garanzie annesse al contratto estinto rispetto a quelle annesse al nuovo negozio, ai sensi dell’art. 1598 c.c.[5]

Sulla base di tale iter argomentativo, il Tribunale di Modena dichiarava risolti i contratti di locazione per grave inadempimento del conduttore, condannava la conduttrice a pagare i canoni non corrisposti, rigettava le domande proposte nei confronti delle altre società.

Avverso tale sentenza la “A S.p.A.” proponeva appello sostenendo che il Tribunale avesse errato nel ritenere che, a seguito della rinnovazione di cui al combinato disposto degli artt. 28 e 29 l. 392/1978, il “nuovo” contratto non avesse più alcun effetto giuridico nei confronti dei precedenti conduttori-cedenti, anche rispetto alla responsabilità prevista dall’art. 36 l. cit.

La Corte di appello di Bologna rigettava l’appello e avverso tale decisione la “A S.p.A.” proponeva ricorso per cassazione basato su due motivi: a) l’art. 36 l. 392/1978 non limita la responsabilità del cedente all’inadempimento del cessionario-conduttore che avvenga nell’ambito del contratto originario, per cui sarebbe del tutto arbitraria un’interpretazione in tal senso; b) la rinnovazione di cui parla l’art. 28 l. 392/1978 è più tecnicamente una proroga, per cui, in mancanza della disdetta di cui all’art. 29 della medesima legge, il contratto “rinnovato” non è un contratto nuovo, indipendente e distinto dal precedente bensì lo stesso contratto, la cui durata è stata prolungata.

3. La decisione della Cassazione

La Suprema Corte, richiamata la ratio dell’art. 36 l. 392/1978, passa a spiegare come la disposizione in parola si applichi alla cessioni c.dd. “a catena”, vale a dire a quei casi in cui il medesimo contratto di locazione sia stato fatto oggetto di plurime cessioni caratterizzate dalla mancata liberazione del cedente ad opera del locatore: in questi casi «si viene a configurare, tra tutti i cedenti ‘intermedi’ del contratto stesso (compreso il primo), un vincolo di corresponsabilità, rispetto al quale, in assenza di qualsivoglia limitazione ex lege, deve ritenersi normalmente applicabile la regola generale della presunzione di solidarietà […], in virtù della quale tutti i cedenti […] risponderanno […] in solido tra loro[6]».

A ciò la Cassazione aggiunge che la rinnovazione del contratto, e quindi la dilatazione della sua durata, non è circostanza idonea a limitare la responsabilità del cedente impedendo l’operare del disposto dell’art. 36 in commento[7]. Questo perché, come non manca di precisare la Corte, la rinnovazione tacita del contratto ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 28 e 29 l. 392/1978 non comporta il sorgere di un nuovo vincolo che si sostituisce a quello originariamente esistente tra le parti bensì la prosecuzione dell’originario negozio: il termine “rinnovazione” utilizzato dal conditor legis all’art. 28 della legge in commento, infatti, è frutto di un’imprecisione lessicale e all’istituto in questione deve essere riconosciuta più tecnicamente la natura di “proroga”[8].

Tuttavia il giudice della nomofilachia aggiunge che, nonostante la rinnovazione cui fa riferimento la legge vada intesa come proroga, mai potrà aversi una responsabilità solidale sine die del cedente, in quanto la durata massima del contratto di locazione è sempre e comunque limitata a quella stabilita dall’art. 1573 c.c., id est un trentennio[9].

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Secondo la tesi preferibile (in dottrina, tra gli altri, F. CARINGELLA e L. BUFFONI, Manuale di Diritto Civile, VI ed., Roma, 2016, 819; C. CARBONE, Formulario Notarile Commentato. Notariato e atti notarili, atti mortis causa e atti tra vivi, Milano, 2016, 2172; in giurisprudenza, Cass., 29 novembre 1993, n. 11847; Cass., 9 marzo 2006, n. 5122; Cass., 14 marzo 2006, n. 5439; Cass., 16 marzo 2007, n. 6157), la cessione del contratto è negozio trilaterale, in quanto il consenso del contraente ceduto non si pone come mera condicio iuris di efficacia del contratto ma come elemento essenziale dello stesso, indispensabile per il suo perfezionamento.

[2] L’automatica liberazione del cedente, salva la contraria volontà del ceduto, trova la propria ratio nella circostanza che, al fine della valida conclusione del contratto, la legge richiede il consenso del contraente ceduto, il quale avrà quindi  già potuto adeguatamente valutare se la nuova controparte contrattuale offra adeguate garanzie di adempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto.

[3] Come ribadito da Cass., 23 marzo 2017, n. 7430, in IlSole24Ore – Norme & Tributi, 30 marzo 2017, pag. https://st.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2017-03-29/il-locatore-che-cede-contratto-e-responsabile-se-chi-subentra-non-paga-205506.shtml, con nota di E. VALENTINO, Il locatore che cede il contratto è responsabile se chi subentra non paga, «nel caso di cessione del contratto di locazione d’immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione è onere del conduttore cedente provare l’esistenza della dichiarazione con cui il locatore lo abbia liberato dalla responsabilità sussidiaria per l’ipotesi in cui il cessionario non adempia alle obbligazioni assunte», per cui la stessa non può desumersi, nemmeno iuris tantum, dal mero silenzio del locatore ceduto.

[4] Cass., 20 aprile 2007,  n. 9486; Cass., 8 novembre 2019, n. 28809.

[5] La disposizione in commento prevede che le garanzie prestate da terzi non si estendono alle obbligazioni derivanti da proroghe della durata del contratto e la dottrina (per tutti P. BELLONI PERESSUTTI, sub Art. 1598, in G. CIAN e A. TRABUCCHI, Commentario Breve al Codice Civile, XII ed., a cura di G. Cian, Milano, 2016, 1716) la interpreta come riferita sia alla proroga legale che alla rinnovazione tacita.

[6] Cass., 8 novembre 2019, n. 28809. Contra Cass., 20 aprile 2007, n. 9486, per la quale va considerata la circostanza per cui «la stessa norma di legge subordini la facoltà di agire del locatore nei confronti del cedente non liberato all’inadempimento dell’attuale conduttore/cessionario, introducendo un meccanismo legale secondo il quale, richiesto il pagamento del canone a quest’ultimo, e verificatone l’inadempimento (che è, come noto, cosa altra rispetto ad un semplice ritardo), viene ad attivarsi il circuito della corresponsabilità sussidiaria (intesa, va ribadito, in termini di mero beneficium ordinis) del cedente».

[7] Conformi Cass., 30 settembre 2015, n. 19531; Cass., 20 marzo 2018, n. 6864.

[8] La differenza sotto il profilo degli effetti giuridici è evidente: nel caso di rinnovazione, il contratto originario si estingue allo scadere del termine e ad esso, magari anche senza soluzione di continuità – i.e. a far data dalla scadenza dello stesso –, se ne sostituisce un altro, dal primo del tutto distinto ed indipendente, che, appunto, “rinnova” gli effetti del precedente, ma solo tra il locatore e colui che risulti conduttore al tempo della rinnovazione, senza che esista più alcun vincolo tra il locatore ed i precedenti conduttori-cessionari; nel caso di proroga, invece, assistendosi ad un prolungamento della durata del contratto originariamente stabilita dalle parti, i rapporti tra le medesime continueranno ad essere disciplinati sempre dal medesimo negozio.

[9] Così anche Cass., 26 aprile 2004, n. 7927; Cass., 31 gennaio 2006, n. 2137.