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Pubbl. Mer, 27 Nov 2019

Concorso di persone nel reato o connivenza non punibile: una questione pratica in materia di stupefacenti

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Francesco Martin


La tematica del concorso di persone nel reato e il rapporto con la connivenza non punibile è stato oggetto di numerose pronunce che hanno delineato, soprattutto in materia di stupefacenti, i tratti distintivi attraverso i quali un soggetto potrà essere chiamato a rispondere a titolo di concorso nel reato ovvero sarà esente da qualsivoglia addebito.


Sommario: 1. Il concorso di persone nel reato: brevi cenni. - 2. La connivenza e il concorso: differenze tra tolleranza e agevolazione. - 3. Un caso pratico e reale: un parere per l’esame di avvocato. - 4. Svolgimento e risoluzione del parere.

1. Il concorso di persone nel reato: brevi cenni.

La tematica del concorso di persone nel reato viene disciplinata, nell’ordinamento italiano, dall’art. 110 e ss. c.p.  e si manifesta - tradizionalmente - quando più soggetti insieme realizzano un reato. La ratio che ha spinto il legislatore a prevedere e a configurare tale norma risiede nella volontà di estendere la punibilità di quelle fattispecie incriminatrici, ordinariamente tipizzate in chiave monosoggettiva-, sino a ricomprendervi tutti quei casi in cui tale illecito sia commesso da una pluralità di soggetti.

Il fenomeno di cui all’art. 110 c.p. viene definito anche come “concorso eventuale”, con ciò, per un verso, evidenziandosi proprio la circostanza per cui il reato può essere realizzato anche da un solo autore e, per altro verso, che l’istituto in esame si contrappone ai casi di c.d. “concorso necessario”, in cui la pluralità di agenti è conditio sine qua non per l’esistenza stessa del reato (ad. es. la rissa). 

Il concorso di persone nel reato è costituito da un elemento oggettivo ed uno soggettivo. 

Per quanto concerne l’elemento oggettivo devono sussistere tre requisiti fondamentali: la pluralità di agenti, la realizzazione di un reato e il contributo di ciascun partecipante alla realizzazione. La dottrina si è interrogata se tutti i concorrenti dovessero essere necessariamente punibili, giungendosi ad affermare che può rivestire la qualifica di concorrente anche il soggetto non punibile ma che abbia partecipato alla commissione di un reato[1].

In merito al secondo requisito – quello della commissione di un reato – si deve evidenziare come il legislatore abbia richiesto la realizzazione di tutti i requisiti necessari perché sussista una fattispecie penalmente rilevante non rilevando, ad esempio, il mero accordo o l’istigazione di cui all’art. 115 c.p. Sul contributo dato da ciascuno dei concorrenti è necessario soffermarsi con più attenzione ed effettuare una prima distinzione. 

La condotta del concorrente può esplicarsi attraverso il vero e proprio compimento materiale degli atti che costituiscono il reato, ovvero essere un mero impulso psicologico: si parla nel primo caso di concorso materiale e nel secondo di concorso morale. Di particolare rilevanza, soprattutto nella prassi quotidiana, è il concorso morale che, non sempre di agevole riconoscimento, necessità che il soggetto concorrente abbia rafforzato il proposito criminoso dell’agente ovvero lo abbia fatto sorgere. 

La fattispecie del concorso morale mira a punire quindi colui che, pur non compiendo materialmente alcun atto, supporta psicologicamente l’autore e ne fomenta la volontà criminale. Al fine di accertare la sussistenza di tale particolare forma di concorso dottrina e giurisprudenza hanno affermato che deve accertarsi in concreto l’effettivo contributo morale rispetto al reato realizzato[2]; se difatti operasse un meccanismo automatico potrebbero essere penalmente perseguibili anche quelle condotte che si limitano solamente a tollerare il fatto illecito, senza apportare alcun contributo.

Dunque il criterio fondamentale per individuare quali siano, nel singolo caso materialmente realizzato dal soggetto agente, i contributi veramente concorsuali è rappresentato dalla loro incidenza eziologica o causalerispetto alla realizzazione dell’illecito. Si suole infine distinguere tra concorso nel reato omissivo, da cui discende naturalmente il concorso attivo nel reato omissivo[3] e il concorso omissivo nel reato commissivo. 

Il primo - sempre nella prospettiva di ampliare l’ambito di operatività della fattispecie  incriminatrice monosoggettiva di base - garantisce che i soggetti concorrenti, i quali non sarebbero astrattamente punibili, siano perseguiti penalmente. 

Il secondo, riguarda solamente i soggetti in capo ai quali l’ordinamento ha espressamente posto un obbligo di agire e richiede due requisiti quali l’obbligo giuridico di impedire l’evento e che il reato commesso sia conseguenza o sia agevolato dall’omissione. 

Per concludere l’introduzione sul concorso di persone nel reato, è opportuno analizzare anche l’elemento soggettivo dato dal c.d. dolo di concorso che richiede la coscienza e volontà di realizzare un reato e la volontà di concorrere con altri alla sua realizzazione, che deve sussistere anche solo in capo ad uno dei concorrenti.

La dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate circa la possibilità che vi siano dei diversi atteggiamenti psicologici dei concorrenti, ossia se possa esserci concorso doloso nel delitto colposo e concorso colposo nel delitto doloso. 

Dopo una vivace querelle, la dottrina maggioritaria si è espressa positivamente circa la possibilità del concorso doloso nel reato colposo, ma ha categoricamente escluso la sussistenza del concorso colposo nel reato doloso alla luce delle disposizioni di cui agli artt. 42, 113 c.p. e delle espresse previsioni colpose di cui agli artt. 254 e 259 c.p.[4].

2. La connivenza e il concorso: differenze tra tolleranza e agevolazione

Come in precedenza illustrato, il legislatore ha richiesto, affinché si possa parlare di concorso nel reato, che il contributo presenti, quantomeno da un punto di vista morale, una idoneità agevolatrice. Vi sono tuttavia delle “situazioni grigie”, in cui il discrimen tra agevolazione e mera tolleranza o connivenza non è sempre di facile individuazione. 

La connivenza, non punita nel nostro ordinamento, si ha quando un soggetto, su cui non grava l’obbligo di impedire l’evento, assiste passivamente alla commissione di un reato. In sostanza il semplice cittadino non ha (quasi mai) l’obbligo, proprio invece delle forze dell’ordine, di attivarsi al fine di impedire un reato, ma può limitare ad assistervi. 

L’unica eccezione è data da alcuni reati, in presenza dei quali anche il cittadino è tenuto ad attivarsi (determinati delitti contro la personalità dello Stato). 

Se pochi dubbi possono sussistere circa la differenza tra la connivenza e il concorso di persone nel reato in situazioni generali, così non è in situazioni particolari come il caso in cui l’autore e il terzo siano ad esempio conoscenti oppure vivano all’interno della stessa abitazione ovvero se il soggetto sia presente nel luogo e al momento in cu si realizza il reato. 

Per dirimere tale questione, che comporta, a seconda di come la si voglia qualificare, differenze notevoli in quanto, in un caso, il terzo non sarà punibile, mentre nell’altro sarà chiamato a rispondere a titolo di concorso, è intervenuta più volte la Corte di Cassazione[5] che ha da ultimo affermato che “In ordine al reato di detenzione di sostanze stupefacenti rinvenute in un immobile nella proprietà o nel possesso in comune con chi è incontrovertibilmente dedito al traffico di stupefacenti, per poter affermare il concorso del comproprietario/codetentore è necessario distinguere da tale ipotesi quella della connivenza non punibile, e, a tal fine, occorre individuare il limite che il godimento comune dell'immobile comporta rispetto al concorso nella detenzione  della droga, non essendo configurabile a carico del comproprietario o codetentore alcun obbligo giuridico di impedire l'evento ex articolo 40 del c.p.”. 

In sostanza il Supremo collegio[6] ha più volte precisato che non deve operare un meccanismo automatico di distinzione tra connivenza e concorso di persone nel reato, ma deve essere valutato ogni singolo caso in relazione alle modalità della condotta realizzata dai soggetti. Inoltre, consapevoli della difficoltà insita nell’individuare il solco distintivo tra le due ipotesi che, è opportuno ricordarlo, comportano risultati estremamente diversi l’uno dall’altro, i giudici di legittimità hanno stabilito che “Ai fini della configurabilità della fattispecie del concorso di persone nel reato, il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell'evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. (In applicazione di questo principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità, a titolo di concorso nel reato di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, dell'imputato che aveva svolto la funzione di "vedetta", con il compito di avvisare i concorrenti, dediti all'attività di spaccio, dell'arrivo della polizia giudiziaria)”. 

In definitiva la vera differenza tra la connivenza non punibile e il concorso di persona nel reato si coglie proprio in punto di sussistenza o meno di una agevolazione, intesa anche dal punto di vista morale, all’attività criminosa del soggetto agente da parte del terzo. Se quest’ultimo si limita ad una mera tolleranza o assiste passivamente, a nulla rilevando la sua presenza ai fini della perpetrazione del reato, lo stesso non sarà punibile mancando appunto l’obbligo giuridico di impedire l’evento.

3. Un caso pratico e reale: un parere per l’esame di avvocato.

Tizio, fratello di Filano, a seguito di alcune vicissitudini familiari si trasferisce dallo Stato di origine in Italia, dimorando in via esclusiva presso l’abitazione del fratello.

Non riuscendo a trovare un lavoro stabile e remunerativo, dopo qualche tempo entra in contatto con alcuni membri della locale criminalità organizzata che, una volta avuta conferma dallo stesso Tizio circa la possibilità di tenere presso l’abitazione del fratello - il quale rientra solo in tarda serata a causa della propria professione - la sostanza stupefacente, lo arruolano come spacciatore dotandolo di un apposito telefono cellulare. Una sera Filano sorprende il fratello intento a confezionare una dose di cocaina, ma decide di non denunciarlo limitandosi ad ignorarne la condotta criminale.

Dopo qualche mese, a seguito di attività d’indagine, la Polizia giudiziaria effettua - nottetempo - una perquisizione presso l’abitazione di Filano alla ricerca della sostanza stupefacente rinvenendo due etti di cocaina pronta per la distribuzione all’interno di un sacco nero posto in un armadietto sito nel bagno.

Gli agenti altresì rinvengono, nella stanza in uso a Tizio, un bilancino di precisione, una rubrica con i vari contatti dei clienti e svariate Sim card.

Tizio e Filano vengono arrestati e condotti preso la locale Casa Circondariale in attesa di giudizio, per violazione dell’art. 73 DPR 309/90 e 110 c.p. “per avere in concorso tra di loro, detenuto e successivamente distribuito, a fronte di corrispettivo economico, sostanza stupefacente di tipo cocaina senza le necessarie autorizzazioni di cui all’art. 17 T.U. Stup.” Entrambi i soggetti risultano incensurati e lo stesso Tizio, provato dal regime carcerario, decide di fornire elementi utili per le attività di indagini collaborando con gli inquirenti.

Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio e Filano, rediga motivato parere circa la posizione giuridica di entrambi, individuando anche i rimedi processuali immediatamente esperibili.

4. Svolgimento e risoluzione del parere.

Il caso in esame presuppone di analizzare la posizione giuridica di entrambi gli indagati con particolare riferimento alla condotta di Filano.

Entrambi i fratelli sono accusati di avere, in concorso tra di loro, detenuto e successivamente immesso nel mercato sostanza stupefacente di tipo cocaina a fronte di un guadagno personale.

In primo luogo, è opportuno soffermarsi sulla disciplina contenuta negli artt. 110 e ss. c.p. che regolano il concorso di persone nel reato. 

L’istituto in esame è stato concepito dal legislatore come estensione della responsabilità penale nei confronti di quei soggetti che, pur non avendo posto in essere la condotta tipica violatrice della norma penale, abbiano comunque partecipato apportando un contributo causalmente funzionale alla sua realizzazione. Il concorso di cui all’art. 110 c.p.- detto appunto concorso eventuale di persone - concerne i reati monosoggettivi, cioè quelli illeciti che necessitano, per la loro realizzazione, di un solo soggetto agente (si pensi al delitto di omicidio) e che si contrappongono ai reati plurisoggettivi necessari (come, ad esempio, il delitto di rissa).

Per quanto concerne gli elementi costituitivi, il concorso presuppone una serie di requisiti, sia di carattere oggettivo (pluralità di agenti, realizzazione di un fatto reato e contributo di ciascuno alla realizzazione) che di tipo soggettivo (coscienza e volontà del fatto criminoso e consapevolezza di contribuire alla realizzazione plurisoggettiva del reato).

Il concorso poi può esplicarsi in due forme: concorso morale e concorso materiale.

Nel primo caso il soggetto concorrente si limita a rafforzare o a determinare il proposito criminoso del soggetto agente, senza pur compiere alcuna azione.

Nel concorso materiale invece il concorrente pone in essere una o più azioni che contribuiscono alla realizzazione del reato (si pensi a chi faccia il palo nel corso di una rapina).

Orbene nel caso sottoposto all’attenzione del candidato l’elemento d’interesse è dato appunto dal rapporto del concorso - eventualmente morale - con la mera connivenza non punibile.

Questa ultima fattispecie consiste nel comportamento di chi, senza fornire alcun tipo di contributo eziologicamente rilevante, assiste alla perpetrazione di un reato senza intervenire, non avendo però alcun obbligo giuridico di impedirne la commissione.

In questo caso nessuna responsabilità penale può sorgere in capo al soggetto rimasto inerte, poiché nel nostro ordinamento non incombe sui cittadini un obbligo di impedire i reati, ad eccezione che in rapporto alla consumazione di taluni reati gravi contro la personalità dello Stato e salvo che non si tratti di persone che rivestono determinate qualifiche, quali appartenenti alle Forze dell’ordine che, a mente dell’art. 361 c.p., sono gravati di specifici obblighi di denuncia.

Nel corso della sua evoluzione la giurisprudenza è arrivata a tracciare, specialmente in tema di sostanze stupefacenti, il solco distintivo tra il concorso e la connivenza affermando che “In tema di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso di persone nel reato va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persona punibile è richiesto, invece, un contributo partecipativo - morale o materiale - alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell'evento illecito”.

Bisogna dunque, alla luce di quanto in precedenza esposto, analizzare la condotta dei due indagati con particolare riferimento a quella di Filano per comprendere se l’ipotesi della concorsualità ex art. 110 c.p. possa ritenersi fondata.

Dalla lettura della traccia emerge come Filano ospiti nella propria abitazione il fratello Tizio, che egli sia assente dalla medesima abitazione per tutto il giorno a causa del suo lavoro e che solo casualmente scopra i traffici illeciti del fratello.

Filano decide di non denunciare all’autorità giudiziaria il fratello e si limita a tollerarne la condotta senza agevolarla o senza portare un rilevante contributo sia morale che materiale, non rafforzando o aiutando Tizio nella sua attività di spaccio.

Su Filano poi non grava alcun obbligo giuridico di impedire l’evento, essendo lui un privato cittadino e non, ad esempio, un appartenente alle Forze dell’ordine. Inoltre, il reato contestato non rientra nel novero degli illeciti penali che determinano l’attivazione, anche in capo al privato cittadino, di specifici obblighi di segnalazione all’Autorità giudiziaria.

In tema di connivenza del soggetto che convive con l’autore del reato, la Corte di Cassazione ha affermato “In ordine al reato di detenzione di sostanze stupefacenti rinvenute in un immobile nella proprietà  o  nel  possesso   in   comune  con   chi   è   incontrovertibilmente   dedito   al   traffico di stupefacenti, per poter affermare il concorso del comproprietario/codetentore è necessario distinguere da tale ipotesi quella della connivenza non punibile, e, a tal fine, occorre individuare il limite che il godimento comune dell'immobile comporta rispetto al concorso nella detenzione della droga, non essendo configurabile a carico del comproprietario o codetentore alcun obbligo giuridico di impedire l'evento ex art. 40 c.p.”. 

Di conseguenza non si può che concludere che la condotta di Filano vada ricondotta all’interno della connivenza non punibile, per essersi lo stesso limitato a tollerare - senza apportare alcun contributo causale - la condotta del fratelloTizio.

Al contrario invece, Tizio sarà chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90 per avere detenuto a fini di spaccio una determinata quantità di sostanza stupefacente e sarà quindi opportuno prospettare al cliente la possibilità di esperire riti alternativi (giudizio abbreviato o applicazione pena su richiesta delle parti) al fine di ottenere i benefici, in caso di condanna, previsti dalla norma.

Sarà poi opportuno, entro il termine di dieci giorni dall’esecuzione del provvedimento, depositare nella competente cancelleria richiesta di riesame personale per entrambi gli indaganti evidenziando - nel caso di Filano - la condotta non punibile e connivente, tale da legittimare una richiesta di annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare, mentre nel caso di Tizio può avanzarsi una richiesta di modifica, in senso meno afflittivo, della misura applicata stante l’incesuratezza e la collaborazione con gli inquirenti. 

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] F.Mantovani, Diritto penale pt. gen., ult. ed., Cedam, Padova.

[2] Cass. pen., sez.I, 19.02.15, n. 7643. 

[3] Sul punto si distingue anche il reato omissivo nel reato omissivo che assoggetta tutti i concorrenti alla medesima disciplina del concorso di persone quando sia posto in capo ai soggetti un preciso obbligo di agire.

[4] Sul punto si veda F.Mantovani, Op. cit., p. 530 ss.

[5] Cass. pen., sez. III, 05.02.19, n.18015; Cass. pen., sez. VI, 25.01.18, n.40343

[6] Cass. pen., sez. IV, 08.11.18, n. 52791; Cass. pen., sez. IV, 07.06.18, n.33455