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Pubbl. Ven, 29 Mag 2015

Misure cautelari personali: carcerazione preventiva più difficile a seguito della legge n. 47 del 2015.

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Stefano Perrotta


Con la riforma in esame, diventano più stringenti le condizioni necessarie ai fini dell’applicazione della misura di custodia cautelare in carcere, che potrà essere disposta, quindi, quale extrema ratio.


L'8 maggio 2015 è entrata in vigore la Legge n. 47 del 2015, recante "Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persona affetta da handicap in situazione di gravità."
La novella legislativa apporta una serie di modifiche al codice di procedura penale relativamente a quelli che sono i presupposti necessari sussistenti per l'applicazione di misure cautelari personali, nonchè modifiche relative alle valutazioni che il giudice competente all'applicazione della misura sarà chiamato ad effettuare.
 
Occorre, in primo luogo, fare luce sui (nuovi) presupposti che giustificano l'applicazione di misure cautelari personali: com'è noto, tali presupposti sono da individuare nel rischio di inquinamento delle prove, nel pericolo di fuga e nel rischio di reiterazione del reato. In riferimento al pericolo di fuga dell'imputato, la legge 47/2015 ha apportato delle modifiche: il nuovo articolo 274 c.p.p., infatti, al comma 1 lettera b), richiede, adesso, che il pericolo di fuga dell'imputato risulti non soltanto "concreto" (come già in passato), ma anche "attuale". Tale requisito dell'attualità dovrà sussistere, a seguito della riforma, anche in relazione al pericolo di reiterazione del reato (art. 274 c.p.p., comma 1 lettera c).
 
Il Legislatore ha poi avuto cura di specificare, sempre all'art. 274 c.p.p., comma 1 lettera c), che "le situazioni di concreto ed attuale pericolo, anche in relazione alla personalità dell'imputato, non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede". Il che significa, sostanzialmente, che non sarà sufficiente, per il giudice che procede, desumere il pericolo soltanto dalla gravità del delitto, ma sarà necessario valutare elementi ulteriori, tra i quali la personalità, i comportamenti e i precedenti penali dell'indagato (o dell'imputato).
 
La riforma in questa sede analizzata ha modificato anche il comma 3 del'art. 275 c.p.p., che adesso prevede che "la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultano inadeguate". Emerge, pertanto, dalla disposizione ultima citata, da un lato la conferma del principio della carcerazione preventiva quale extrema ratio, e dall'altro la novità relativa alla possibilità di applicare, anche congiuntamente, misure coercitive e interdittive, ipotesi non prevista prima dell'entrata in vigore della legge 47/2015.
 
Bisogna poi ricordare come il Legislatore, con tale intervento di riforma, abbia introdotto, in capo al giudice che procede all'applicazione della misura cautelare, un onere di motivazione articolata: l'art. 292 c.p.p., comma 2 lettera c), richiede, infatti, non più soltanto "l'esposizione" delle specifiche esigenze cautelari, ma anche "l'autonoma valutazione" di queste ultime, impedendo al giudice, in tal modo, di motivare l'applicazione della misura cautelare per relationem agli atti del pubblico ministero, prassi fino ad oggi ampiamente diffusa in sede cautelare.
 
Occorre sottolineare, infine, come per alcuni reati considerati dall'ordinamento particolarmente gravi (tra i quali i delitti di mafia e di associazione terroristica), vige in ogni caso la presunzione assoluta di idoneità della misura carceraria, per cui tali fattispecie di reati restano escluse dall'ambito di applicazione delle novità introdotte dalla legge 47/2015.