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Pubbl. Mar, 22 Ott 2019

Mafia e giustizia: il confine tra diffamazione e diritto di cronaca

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Mariangela Miceli
AvvocatoUniversità degli Studi di Palermo



La sentenza della Corte di Cassazione in esame punta sulla differenza tra libertà di informazione e diritto di critica.


Sommario: Premessa; 1. Diritto di espressione; 2. Il fatto; 3. Tra diritto e libertà; 4. Libertà dei media e Corte EDU;5. Conclusioni.

Premessa

Quando il diritto di critica valica i confini della legalità fino a sfociare nell’antigiuridicità della diffamazione? Il limite è veramente sottile, ma suscettibile ad integrare la questione circa il diritto di esprimere legittimamente un pensiero critico, rispetto al contrapposto dovere di tutelare la dignità dell’individuo di cui all’art. 2 della nostra Carta costituzionale. L’art. 21 della Costituzione, infatti, riconosce e garantisce il diritto fondamentale di manifestare liberamente il proprio pensiero, indipendentemente dal mezzo utilizzato, e di divulgarlo ad un numero indeterminato di destinatari. 

1. Il diritto di espressione

L’espressione delle proprie idee è il presupposto della democrazia, e la libera esposizione delle stesse, è da sempre ritenuta, dalla stessa giurisprudenza costituzionale, la ‘pietra angolare’ dell’intero apparato democratico. Tuttavia ne consegue che al fondamentale diritto di espressione, nella particolare accezione del diritto di critica, sembra essere preclusa la possibilità di sormontare determinati confini tracciati dalla stessa giurisprudenza. Da qui la domanda: l’accostare la figura di un apicale esponente della mafia, a quella del “gran pezzo di merda”, può configurarsi quale libera espressione di un pensiero non esaurito a se stesso?

Tutti ricordiamo la famosa frase di Peppino Impastato “la mafia è una montagna di merda”riferendosi proprio ad un’intera organizzazione criminale: Cosa Nostra.

L’umana volontà di esprimersi con ferma condanna e ragion critica circa l’associazione criminale per eccellenza, può o non può spingersi fino al punto da giustificare espressioni capaci di ledere quel principio fondamentale basato sulla dignità cui la Costituzione riconosce ad ogni individuo, indipendentemente dall’appartenenza di quest’ultimo ad organizzazioni criminali e funeste, tenuto conto del carattere meramente rieducativo cui è proteso l’intero assetto penale (art.27, c.3, Cost.). [1]

2. Il fatto

Il punto focale è riconoscere nel concreto il “quid” volgare all’interno di un’espressione, ovvero, tutti quei caratteri suscettibili di danneggiare l’onore dell’individuo, accostandolo a figure: un escremento per l’appunto. A tal proposito si registra l’ennesimo intervento dei giudici Ermellini, i quali son tornati a esprimersi sui confini legati al rapporto tra reato di diffamazione, e libero esercizio del diritto di critica.

La stessa Corte ha sottolineato che la scelta giornalistica di diffondere attraverso l’offesa del singolo, la propria condanna circa l’intera associazione mafiosa, non discolpa il suo autore dalla responsabilità di aver leso la dignità di quest’ultimo, dacché la stessa Costituzione, ne garantisce il diritto, indipendentemente dalla colpevolezza di reati atroci. Nella fattispecie i fatti che giustificano l’intervento dei giudici di legittimità, sono ascrivibili alla vicenda del giornalista Rino Giacalone, cui è stato formalizzato atto di querela per diffamazione ai danni di M. A., per lungo tempo capo mandamento dell’affluente mafioso di Mazara del Vallo, condannato oltre che per il reato di associazione di tipo mafioso come all’art.416 bis, anche per il coinvolgimento dello stesso in molteplici reati di omicidio.

La notizia circa la dipartita di quest’ultimo, avvenuta il 3 aprile 2013, fu riportata all’interno del blog del giornalista in questione, il quale, dopo un excursus dell’intera carriera criminale dell’ormai defunto, concludeva come la morte del boss, avesse sottratto alla Sicilia “un gran bel pezzo di merda”, la famiglia di M.A. così presentava denuncia querela per diffamazione a mezzo stampa, ai danni dello stesso giornalista. Quest’ultimo fu assolto con formula piena “perché il fatto non sussiste”, per il Tribunale di Trapani, il quale ritenne che l’espressione oggetto del dibattito, rientrasse a pieno titolo nel concetto stesso di diritto di critica, costituendo “uno strumento retorico”. Sebbene le ragioni maturate dal giudice di primo grado palesassero una propria intrinseca logicità e ragionevolezza, avverso tale sentenza formalizzava ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani, proponendo un immediato ricorso in Cassazione a seguito di una paventata erronea applicazione del codice penale. Al ricorso fa seguito l’accoglienza della Corte, la quale annulla la decisione assolutoria di primo grado, rinviando al secondo grado di giudizio presso la Corte d’appello di Palermo. Tale conclusione si giustifica attraverso una disamina che abbraccia molteplici profili, tra i quali quello di carattere prettamente sociale riguardante la comune sensibilità, oltre quello di natura meramente giurisprudenziale, basato sul rispetto dei diritti fondamentali della persona, unitamente al carattere prettamente rieducativo, che, nell’ottica costituzionale, deve contraddistinguere il nostro sistema punitivo. La sentenza assume interesse non solo per lo scalpore mediatico e della pubblica opinione, ma anche perché risolleva la questione circa i limiti imposti alla libertà di espressione per effetto del bilanciamento con altri beni costituzionalmente rilevanti, quali, ad esempio, quelli circa l’onore dell’individuo.[2]

3. Tra diritto e libertà

Il tentativo di far luce sul dualismo in questione, non può prescindere da una disamina circa il carattere generale del delitto di diffamazione, con particolare riferimento al legame con le scriminanti dell’esercizio dei diritti di cronaca e di critica, quali puntuali estrinsecazioni della libertà di pensiero riconosciuta e tutelata dalla Costituzione di cui all’art.21.

In generale il reato di diffamazione sanziona colui che, comunicando con più persone, offende la reputazione di un’altra persona non presente al momento in cui l’offesa viene pronunciata. L’assenza del soggetto offeso, è l’elemento di distinguo tra il delitto di diffamazione, e l’illecito civile di ingiuria. Recentemente infatti, l’ingiuria, e cioè l’insulto proferito direttamente al destinatario, non è più considerato reato, ma una situazione soggetto soltanto a sanzioni di tipo economico. Tornando alla diffamazione, il nostro codice penale prevede tre aggravanti: 1) quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato; 2) quando, nel caso di cui sopra, è arrecato ricorrendo a mezzo della stampa, o con altro mezzo pubblicitario, ovvero in un atto pubblico; 3) quando l’offesa è arrecata ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio (sempre chiaramente in assenza dei soggetti diffamati, altrimenti ricorrerà in questo caso, il più grave reato di oltraggio). La diffamazione arrecata a mezzo stampa, o con altro mezzo pubblicitario, merita un approfondimento a sé: l’applicazione di tale aggravante, si estende anche alle ipotesi di offesa con lo strumento radiotelevisivo. In tali casistiche la comunicazione con più persone, è automatica per il solo fatto che la diffusione del mezzo è molto più ampia. Per lo stesso motivo, oggi, si ritiene che possa rientrare in questa categoria, anche la diffamazione avvenuta mediante piattaforme virtuali, infatti queste, hanno la capacità di raggiungere un numero molto ampio di destinatari. Vi è poi da sottolineare, che il confine tra la diffamazione, specie on line, e la libertà di pensiero, è spesso travalicato erroneamente. La libertà di pensiero, sebbene riconosciuta e tutelata sul piano costituzionale, trova il suo limite naturale, tra gli altri, nel rispetto del diritto di ogni persona, all’integrità del suo onore. Affinché a fronte di affermazioni diffamatorie, per esempio, come nel caso in esame , riportate su un blog piuttosto che su un post di altri social network, possa essere correttamente invocato il diritto alla libera manifestazione del pensiero, sarà necessario che il contenuto dello scritto presenti caratteri precisi quali: quelli circa il diritto di cronaca, invocabile quando l’argomento trattato è di interesse pubblico, e quando la narrazione corrisponda al vero; quando abbia i caratteri del diritto di critica, che consente l’utilizzo di termini un po' più aspri del normale; ma che comunque potrà essere esercitato solo a fronte di affermazioni vere. Ed ancora il diritto di satira che sottratto al parametro della verità del fatto, essendo espressivo di un giudizio ironico, tramite esasperazione dei contenuti, ma facendo attenzione a non farlo mai sfociare in un’aggressione gratuita rivolta al soggetto interessato.[3]

4. Libertà dei media e Corte EDU

Tra i motivi legittimi delle limitazioni alla libertà di espressione, vi è la tutela dei diritti e delle libertà altrui. Uno di questi diritti individuali è il diritto al rispetto della vita privata e familiare, protetto anche da fonti giuridiche nazionali e sovranazionali, come l'art. 7 CDF e il corrispondente art. 8 CEDU. Analogamente, anche il diritto alla privacy e/o alla vita familiare può consentire limitazioni basate sulla protezione dei diritti altrui.

A causa dei loro diversi obiettivi, l'esercizio della libertà di espressione potrebbe essere in conflitto con il diritto alla privacy e/o alla vita familiare in diverse occasioni. Le disposizioni in materia di diffamazione, infatti, hanno lo scopo di proteggere la reputazione delle persone dai danni causati dalla diffusione a terzi di informazioni o opinioni false e offensive su di esse. I procedimenti possono essere sia penali che civili e possono riguardare sia la diffamazione orale che scritta .

Data la competenza limitata dell'UE in questo campo, il punto di riferimento per quanto riguarda l'interpretazione e l'equilibrio tra libertà di espressione e diritto alla reputazione è la giurisprudenza della Corte EDU, che fornisce utili orientamenti.

Secondo la Corte EDU, la reputazione di un individuo è protetta dall'art. 8 CEDU. [4] Tuttavia, per far scattare l'applicazione delle garanzie dell'art. 8 CEDU, “l'attacco all'onore e alla reputazione personale deve raggiungere un certo livello di gravità e in modo tale da pregiudicare il godimento personale del diritto al rispetto della vita privata” .

Pertanto, è possibile che l'esercizio dell'equilibrio tra libertà di espressione e diritto alla vita privata non si verifichi, se l'espressione non ha una natura così gravemente offensiva da far scattare l'applicazione dell'art. 8 CEDU.

Nel caso in cui si applichi l'art. 8 CEDU, l'equilibrio tra libertà di espressione e diritto al rispetto della vita privata dovrebbe godere dello stesso margine di discrezionalità. I criteri pertinenti definiti dalla giurisprudenza sono i seguenti:

  • contributo ad un dibattito di interesse pubblico;
  • il grado di notorietà della persona interessata;
  • l'oggetto del notiziario;
  • il comportamento preliminare dell'interessato;
  • il contenuto, la forma e le conseguenze della pubblicazione, e,
  • le circostanze in cui le fotografie sono state scattate (se del caso),
  • la sanzione inflitta.[5]

Per quanto riguarda il regime di responsabilità, la Corte EDU ha esaminato in dettaglio la natura e la severità delle sanzioni imposte dalla legislazione nazionale al fine di valutare la proporzionalità dell'interferenza con la libertà di espressione. Nei casi di sanzioni penali e civili riguardanti i giornalisti, l'analisi comprende un'ulteriore fase, in cui si presta attenzione agli effetti delle sanzioni sul singolo richiedente e sull'attività giornalistica nel suo complesso. In particolare, dopo una nota decisione , la Corte ha introdotto il cosiddetto chilling effect nell'analisi di proporzionalità della sanzione. La Corte ha ritenuto che una sanzione di natura penale comporta un effetto di auto-censura sproporzionato.[6]

Una sanzione penale con restrizione della libertà è a fortiori con restrizione della libertà di espressione. Di conseguenza, la Corte non ha mai riconosciuto che l'imposizione di una pena detentiva possa essere fondata o accettabile nei casi di diffamazione.

5. Conclusioni

La libertà di espressione di ogni cittadino e dei media svolge un ruolo fondamentale nella società.[7] Già prima dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona e dell'integrazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea nel diritto primario dell'UE,[8] la Corte di Giustizia dell’Unione Europea considerava la libertà di espressione come uno dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico europeo. Dopo il riconoscimento dello status giuridicamente vincolante della Carta, le istituzioni dell'UE sono tenute a rispettare questo diritto anche nell'esercizio dei loro poteri e delle loro competenze.

La sentenza della Corte di Cassazione se appare corretta in punto di diritto - a parere della scrivente – non appare obbligata. Il ragionamento del giudice di primo grado, infatti, sembra avere una propria intrinseca logicità che si presenta condivisibile: senza negare l’offensività dell’espressione questa non è meramente gratuita ma in concreto utilizzata a conclusione di un preciso iter argomentativo e lì ben inserito.

Ma è evidente che il carattere ondivago delle pronunce in tema di diffamazione abbia comportato risultati applicativi differenti in relazione al caso concreto, ciò in netto contrasto al principio di legalità e di sufficiente determinatezza della norma penale.

A conclusione di questa seppur breve disamina, ad oggi - relativamente alla citato caso - pende un giudizio di legittimità costituzionale in riferimento proprio al sopracitato art. 595 c.p. in relazione agli artt. 7 e 8 CDF.

Attesa la rilevanza della questione, soprattutto in ragione della libertà di espressione e della proporzionalità della pena che più volte la Corte EDU ha valutato come spropozionata, seguiremo il giudizio di legittimità e la relativa decisione sul conflitto sollevato.

Note e bibliografia

[1] Libertà di espressione e discorsi d’odio, di F. Casarosa, European Fundamental Rights and Citizenship Programme.
[2] Cass. Sez. V n.50187/2017
[3] Reati contro la persona , Palazzo – Paliero. 189 e ss.
[4] Corte EDU, Axel Springer AG c. Germany [GC], § 83; Chauvy e altri c. France, § 70; Pfeifer c. Austria, § 35; Petrina c. Romania, § 28; Polanco Torres e Movilla Polanco c. Spain, § 40
[5] Guide on Article 8 of the European Convention on Human Rights - Right to respect for private and family life, 2017.
[6] Cumpǎnǎ e Mazǎre c. Romania, e Azevedo c. Portugal.
[7] Corte EDU, Handyside c. Regno Unito, par. 48 – 50.
[8] Mastroianni, R. (2010), ‘I diritti fondamentali dopo Lisbona tra conferme europee e malintesi nazionali’, Diritto pubblico comparato ed europeo, IV.