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Pubbl. Lun, 21 Ott 2019

Non è nullo il patto traslativo degli oneri fiscali in un contratto di locazione

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Marco De Pascalis


Con la sentenza n. 6882/2019 le Sezioni Unite, pronunciandosi sul contrasto in materia di traslazione d´imposta, hanno confermato la portata imperativa dell´art. 53 Cost. stabilendo che non contrasta con tale principio una clausola con cui i privati prevedono che il locatario tenga manlevato il locatore dalle imposte relative all´immobile locato.


AbstractLe Sezioni Unite, con sentenza dell’8 marzo 2019 n. 6882, intervengono nell’ampia tematica della traslazione d’imposta attraverso un esame della validità di un patto traslativo degli oneri fiscali e, fornita la coerente ricostruzione dell’indirizzo giurisprudenziale dominante affermano che «la clausola di un contratto di locazione (nella specie, ad uso diverso), che attribuisca al conduttore l'obbligo di farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere relativo ai beni locati ed al contratto, manlevando conseguentemente il locatore, non è affetta da nullità per contrasto con l'art. 53 Cost. - configurabile quando l'imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito ma da un soggetto diverso, obbligatosi a pagarla in vece e conto del primo - qualora essa sia stata prevista dalle parti come componente integrante la misura del canone locativo complessivamente dovuto dal conduttore e non implichi che il tributo debba essere pagato da un soggetto diverso dal contribuente, trattandosi in tal caso di pattuizione da ritenersi in via generale consentita in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge»[1].

Sommario: 1. Il fatto; 2. La necessità di raggiungere una «uniformità ermeneutica»; 3. I precedenti di legittimità; 4. Sezioni Unite n. 6882 del 2019.

1. Il fatto

La vicenda in esame origina da un contratto di locazione (ad uso non abitativo), intercorso tra due società, rispettivamente conduttore e locatore, recante all’art. 7.2 specifica clausola secondo cui «Nel corso dell'intera durata del contratto: (i) Il Conduttore si farà carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai Beni Locati ed al presente Contratto tenendo conseguentemente manlevato il Locatore relativamente agli stessi, (ii) il Locatore sarà tenuto al pagamento delle tasse, imposte e oneri relativi al proprio reddito».

Asserendo la nullità di tale clausola il conduttore agiva in giudizio al fine di ottenerne l’accertamento in via giudiziale, con conseguente declaratoria del vantato diritto alla restituzione degli importi versati al Locatore.

L’impianto difensivo della società conduttrice sosteneva in particolare che non fossero dovuti gli importi relativi alle voci “tasse, imposte e oneri relativi”, fondando tale assunto su due considerazioni:

- una clausola di tal specie sarebbe stata in contrasto con il principio, sancito dall’art. 53 Cost., secondo cui ognuno è tenuto a concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, finendo per «riversare l'onere tributario relativo all'ICI e all'IMU gravanti sull'immobile locato, su un soggetto diverso da quello passivo tenuto per legge a subire il relativo sacrificio patrimoniale»

- l’art. 89 della legge n.392/78, nell’elencare tassativamente gli oneri accessori a carico del conduttore, non fa menzione alcuna delle imposte patrimoniali relative ai beni locati.

Il Tribunale di Prato rigettava la domanda. Proposto gravame, lo stesso veniva respinto dalla Corte d'Appello di Firenze con sentenza del 29/10/2015. Avverso tale pronuncia la società conduttrice ha proposto ricorso per Cassazione, affidando le proprie doglianze a quattro motivi.

2. La necessità di raggiungere una «uniformità ermeneutica»

Con ordinanza interlocutoria n. 28437 del 2017 la Terza Sezione della Corte di Cassazione, dopo avere messo in rilievo le argomentazioni che hanno sostenuto la pronuncia di rigetto del gravame, con conseguente affermazione di validità di una clausola quale quella in esame, nonché le doglianze sollevate da parte ricorrente, ha sottolineato come una discussione circa la liceità del patto di traslazione dell'imposta importi necessariamente una più ampia riflessione in ordine alla portata della art. 53 Cost. In altre parole, sostiene la Sezione rimettente, è opportuno affrontare in termini più generali la problematica se l'obbligo costituzionalmente rilevante di concorrere alle spese pubbliche in ragione della rispettiva capacità contributiva abbia un significato anche soggettivo, ovvero esclusivamente oggettivo. In caso di risposta affermativa nel primo senso, la conseguenza logica sarebbe che l’adempimento dell’imposta dovrebbe essere compiuto non solo in modo oggettivamente completo, ma anche ed esclusivamente dal soggetto in capo al quale la legge pone il relativo obbligo, con esclusione della possibilità di trasferire il debito tributario ad un soggetto diverso da quello normativamente individuato.

Superata la più risalente opinione che attribuiva all'art. 53 Cost. portata meramente programmatica[2], l’indirizzo più recente ha operato una rivalutazione del principio di capacità contributiva, rappresentante una norma di natura imperativa e pertanto direttamente precettiva[3]. Su tale premessa occorre dunque verificare, e in ciò si rinviene la valenza nomofilattica della sollecitata pronuncia, se essa possa costituire «un limite generale all'autonomia privata in tema di individuazione del soggetto passivo dell'imposta, impedendo alle parti private di neutralizzare pattiziamente gli effetti della capacità contributiva». In ipotesi affermativa, occorrerebbe poi ulteriormente appurare se la violazione di tale limite nell’esercizio dell’autonomia negoziale dei contraenti incontri come risposta sanzionatoria l’istituto della nullità, nel caso in cui le parti abbiano previsto un contratto a prestazioni corrispettive - qual è il contratto di locazione in oggetto - ed in esso venga cristallizzato un chiaro accordo di traslazione di imposta patrimoniale.

Rispetto a tali interrogativi la Terza Sezione, nell’ordinanza interlocutoria, da un lato evidenzia il nucleo della giurisprudenza, ormai risalente, formatasi intorno alla tematica discussa, che nel riconoscere la natura imperativa del precetto costituzionale in tema di capacità contributiva, vi ricollega un effetto preclusivo di patti negoziali che ne comportino l'esclusione, avvertendo che l'art. 53 Cost. «si pone come fonte immediata e imperativa la cui valutazione può comportare la sanzione della nullità delle manifestazioni di autonomia negoziale con esso confliggenti»[4]. Dall’altro lato tuttavia espone i propri dubbi circa «l'applicabilità dell'articolo 1418, primo comma, c.c. ai patti di traslazione dell'imposta per impossibilità di desumere dall'impianto costituzionale un divieto generalizzato al trasferimento dell'onere del tributo a terzi»[5].

3. I precedenti di legittimità

Come appena accennato, dunque, assurge a questione preliminare definire se, e in che misura, il precetto costituzionale contenuto nell’art. 53 costituisca un insormontabile limite all’esercizio dell’autonomia privata nella traslazione pattizia dell’imposta.

Sintomatico della difficoltà di tale operazione si rivela l’orientamento ondivago e contrastante della giurisprudenza di legittimità rispetto a tali fattispecie, che le Sezioni Unite in esame ripercorrono attraverso il richiamo a due precedenti giurisprudenziali, rappresentativi quanto risalenti.

La prima delle ricordate pronunce è netta nell’affermare la nullità di una pattuizione traslativa dell’imposta. Si trattava, nella specie, di una clausola inserita in un contratto di mutuo, con la quale veniva posto a carico del mutuatario l'obbligo del rimborso al mutuante dei tributi che quest’ultimo sarebbe tenuto a versare all’erario (IRPEG ed ILOR). Secondo questo primo orientamento la nullità, ex art. 1418, comma 1 c.c., è la sola possibile sanzione riconnessa alla contrarietà della clausola a norme imperative. Un simile risultato è raggiunto a partire dalla valorizzazione del principio del concorso di tutti i cittadini alle spese pubbliche alla stregua della rispettiva capacità contributiva, rimarcandone la portata imperativa. Tale chiusura, da più parti aspramente criticata, esula evidentemente  da una più approfondita valutazione circa la possibilità per il debitore d’imposta – diretta o indiretta – di concorrere a dette spese in ossequio al dettato costituzione, senza che dalla pattuizione derivino riflessi negativi per la collettività e rinviene la propria ragione nell’asserita circostanza per cui attraverso la traslazione del tributo «pur giovandosi dei vantaggi e dei benefici della vita associata, il soggetto obbligato ex lege (…) sottrae la propria ricchezza alle limitazioni sociali di solidarietà e di perequazione»[6].

La seconda delle pronunce in esame, intervenuta nello stesso anno, cioè la sentenza n. 6445 del 1985 delle Sezioni Unite ribalta tale conclusione affermando che il patto traslativo d'imposta «è nullo per illiceità della causa contraria all'ordine pubblico solo quando esso comporti che effettivamente l'imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito»[7]. In tale occasione era in oggetto la validità di una della clausola di un contratto di mutuo che comporti l’obbligo per il mutuatario di rimborsare al mutuante le imposte afferenti agli interessi convenuti, garantendo in tal modo un determinato ammontare netto degli interessi medesimi. La considerazione che sorregge il mutamento d’indirizzo consiste nell’evidenziare che una siffatta clausola «non implica che l'imposta afferente un reddito venga corrisposta al fisco da un soggetto diverso dal suo percettore, obbligatosi a pagarla in sua vece e conto, ma configura una mera traslazione convenzionale del carico d'imposta»[8]. Come nel caso precedente la portata precettiva dell’art. 53 Cost. viene misurata con riferimento alle imposte dirette (IRPEG e ILOR), ma in una lettura più ampia si giunge ad affermare che, ferma la portata immediatamente precettiva, la norma intende assicurare che la ricchezza venga colpita in capo al soggetto che presenta adeguata capacità contributiva, disinteressandosi tuttavia dei modi in cui il contribuente che ha pagato recupera ricchezza in misura corrispondente.

Alla luce ti tale rinnovato indirizzo quindi, formatosi intorno ad un contratto di mutuo e avente ad oggetto esclusivamente imposte dirette, è stato possibile stabilizzare (seppur con rare oscillazioni[9]) il principio per cui in assenza di espresse preclusioni normative e purché il patto non si traduca in un mezzo per l’esclusione della rivalsa, una soluzione contrattuale che importi una distribuzione dei costi del contratto interna ai rapporti tra le parti e che non importi effetti negativi per il fisco, non importa una lesione del principio della capacità contributiva[10].

4. Sezioni Unite n. 6882 del 2019

Con la sentenza n. 6882 del 2019 le Sezioni Unite, nel ricordare che anche le contrastanti pronunce appena menzionate trovavano fondamento nell’applicazione di medesimi principi, non rinviene alcuna ragione per mutare il pregresso orientamento, giungendo piuttosto alla conclusione che la sentenza gravata è l’esito di una corretta interpretazione ed applicazione del giudice di merito dei principi già noti in materia.

Non vi è, dunque, la forte necessità, lamentata dalla Terza Sezione rimettente, di giungere ad una uniformità ermeneutica ma piuttosto l’avvertita esigenza di aggiornare un indirizzo già consolidato verificandone la possibile estensione ad imposizioni patrimoniali diverse da quelle sulle quali era stato formato e cioè, nel caso di specie, ICI e IMU.

Tanto premesso le Sezioni Unite ribadiscono ancora una volta la portata imperativa e immediatamente precettiva dell’art. 53 Cost. (unitamente all’art. 2 Cost.) rinnovando la convinzione che «l’autonomia privata non può alterare i connotati dei tributi diretti, strutturati in modo che ad ogni capacità contributiva debba corrispondere inderogabilmente una riduzione del patrimonio del titolare della capacità contributiva stessa», dimostrando come nella pattuizione determinativa del canone di locazione in esame ciò non è avvenuto.

La Suprema Corte infatti, superando il cd. principio del gradualismo, sostiene l’operazione di ricerca della reale o effettiva volontà delle parti delle parti compiuta dal giudice di merito sottolineando i limiti del ricorso esclusivo al criterio letterale come regola ermeneutica, che deve piuttosto essere combinato con gli ulteriori criteri legali d'interpretazione; tali sono in particolare:

- l'interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c., che consente di salvaguardare la funzione economico-sociale dell’accordo accertandone il significato in coerenza con la relativa ragion pratica o causa concreta[11];

- l'interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c., che rinviene il proprio fondamento nell'esigenza di tutela della solidarietà contrattuale e rammenta il ruolo dell’interprete di ricercare quel significato della fattispecie contrattuale che sia conforme all’affidamento reciproco delle parti, presupponendo in esse un comportamento leale e corretto, tale da non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi[12].

Tale ricerca della ragion pratica ha correttamente portato il Giudice di secondo grado a statuire che «con il contratto di locazione qui in esame le parti, sia pure con due distinte clausole contrattuali, hanno voluto determinare il canone locativo in due diverse componenti, rappresentate l'una dalla parte espressamente qualificata come tale ed oggetto della pattuizione contenuta nell'art. 4 e l'altra come componente integrante tale misura, costituita dalla pattuizione specificamente oggetto della domanda di nullità qui azionata». La clausola contrattuale pattuita all'art. 7.2 viene dunque interpretata, alla luce dei ricordati criteri, come la previsione di un’ulteriore voce o componente del canone locativo e determinabile avendo riguardo alla somma corrispondente a quella degli oneri tributari assolti dal locatore. Tale somma costituisce integrazione del canone locativo e ne determina l'ammontare complessivo dovuto dalla conduttrice, senza che in essa possa ravvisarsi alcuna sostituzione del soggetto tenuto all’imposizione tributaria e pertanto alcuna violazione del principio della capacità contributiva.

Siffatto approdo è confortato dalla considerazione di due ulteriori circostanze:

(a) il contratto di locazione in oggetto rientrava in una più ampia operazione di sale and lease back nel cui quadro la clausola controversa veniva accettata in quanto tale proposta «era la più conveniente tra quelle pervenute»;

(b) la corretta interpretazione del termine manlevare, induce a soffermarsi sulla previsione della fatturazione del rimborso degli oneri per imposte di cui al citato art. 7.2. Una previsione di tal specie consente di individuare agevolmente la natura di rimborso di questa componente del canone: in tal senso le imposte vengono sempre sostenute dal proprietario dell’immobile nel quale l’ente impositore ha previamente individuato il soggetto che è tenuto a farvi fronte ma, coerentemente con quanto sopra sostenuto, questo si disinteressa se poi, per accordo privato, i contraenti scelgano di operare un rimborso nell’esercizio della propria autonomia.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Giustizia Civile Massimario, 2019.

[2]L. Einaudi, Miti e paradossi della giustizia tributaria, Einaudi, Torino, 1959, p.19;

[3] Vedi G. Tinelli, Istituzioni di diritto tributario, IV ed., CEDAM, Padova, 2013, p. 42 ss.;

[4] Cass., Sez. Un., 8/12/1985 n. 6445;

[5] Cass. Sez. III, Ord. Int. n. 28437/2017;

[6] V. Frattarolo e E. Iorio, Il mutuo nella giurisprudenza, Giuffrè, 2009, p.212.

Cfr. Cass., Sez. Un., 5/1/1985, n. 5

[7] Cfr. Cass. sez. Un., 18/12/1985, n.6445

[8] Vedi Riv. dir. fin. 1986, II, p. 119

[9] Tra queste la pronuncia in commento ricorda in particolare: «Cass., Sez. Un., 23/4/1987, n. 3935 e Cass., Sez. Un., 26/6/1987, n. 5652, con riferimento ad accordi che esentino il lavoratore dipendente dalle ritenute del datore di lavoro a titolo di IRPEF. Cfr. altresì Cass., 29/5/1993, n. 6037, ove si peraltro precisato che la clausola che obblighi il mutuatario a rimborsare al mutuante le imposte dell'I.R.P.E.G. ed I.L.O.R., gravanti sul secondo, in relazione agli interessi percepiti sulla somma mutuata, è nulla per violazione di norme imperative di cui agli artt. 26 e 64 d.p.r. n. 600 del 1973, nel caso in cui il mutuatario ( nell'ipotesi, società cooperativa ) rientri tra i soggetti che, quali "sostituti" d'imposta sono obbligati ad effettuare una ritenuta, a titolo di acconto e con obbligo di rivalsa, sui redditi da capitale corrisposti ( art. 23, 1° co., d.p.r. n. 600 del 1973 ), atteso che l'obbligo di rivalsa è espressione del principio che tutta l'imposta deve restare a carico del percettore del reddito ("sostituto" d'imposta) -principio applicabile, altresì, in tema di pagamento dell'I.L.O.R., trattandosi di imposta diretta, che non può ricadere su soggetto diverso dal possessore del patrimonio rappresentante la base per la determinazione della capacità contributiva-, e non può essere aggirato con la detta clausola, la quale obbliga il mutuatario a corrispondere al mutuante, sotto forma di rimborso dei tributi, un ulteriore reddito ( a sua volta imponibile, ma ignoto al fisco )».

[10] Cfr. V. Frattarolo e E. Iorio, op. cit.

[11] Cfr. Cass., 13/11/2018, n. 2901

[12] P. Milite, Interpretazione di buona fede, in rivistagiuridica.it; C. M. Bianca, Diritto civile, vol. III - Il contratto, Giuffrè, Milano, 2000, p. 420 ss.; Vedi: Cass., Sez. III, 6/5/2015 n. 9006; Cass., Sez. III, 23/10/2014, n. 22513; Cass., Sez. III, 25/5/2007, n. 12235; Cass., Sez. III, 20/5/2004, n. 9628).