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Pubbl. Gio, 21 Mag 2015

Versare in ritardo l´assegno di mantenimento è reato: analisi della sentenza della Corte di Cassazione n. 20133 del 31 marzo 2015

Eva Aurilia


Con sentenza n. 20133/2015 la Corte di Cassazione si pronuncia sull´assegno di mantenimento versato a "singhiozzo, stabilendo integri il reato di "violazione degli obblighi di assistenza familiare".


La centralità che la famiglia assume nel nostro ordinamento, quale formazione sociale nella quale si svolge la personalità di ciascuno (art. 2, Cost.), rende necessarie pronunce - sempre più severe da parte dei giudici della Corte di Cassazione - tese a garantire l'adempimento degli obblighi di assistenza familiare e, nel caso di specie, il versamento dell'assegno di mantenimento in favore dell'ex coniuge e dei figli, minorenni e non.

La centralità che la famiglia assume nel nostro ordinamento, quale formazione sociale nella quale si svolge la personalità di ciascuno (art. 2, Cost.), rende necessarie pronunce - sempre più severe da parte dei giudici della Corte di Cassazione - tese a garantire l'adempimento degli obblighi di assistenza familiare e, nel caso di specie, il versamento dell'assegno di mantenimento in favore dell'ex coniuge e dei figli, minorenni e non.

Come ben noto, gli obblighi di assistenza familiare non vengono meno con lo scioglimento del matrimonio, né con la "disgregazione", in senso fisico, del nucleo familiare. Gli obblighi di natura economica devono essere adempiuti in maniera puntuale, rispettando sia le prescrizioni temporali che quelle attinenti il "quantum". Non scrimina, infatti, la circostanza per la quale le inadempienze siano state soltanto sporadiche, estemporanee e legate alle possibilità economiche del momento, proprie del soggetto obbligato.

Questo è quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. VI Penale, con sentenza n. 20133/2015, depositata lo scorso 14 maggio.

In particolare, è stato precisato che il versamento saltuario e sporadico dell'assegno di mantenimento fa scattare il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all'art 570 c.p., a tenor del quale "Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all'ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti la potestà dei genitori, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032".
Ed ancora "le medesime pene si applicano congiuntemente a chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa" (art. 570, comma 2, n. 2).

L'impossibilità economica, nella quale può versare il soggetto obbligato, esclude la configurabilità del reato soltanto se la stessa si protrae per tutto il periodo in cui le inadempienze si protraggono, nel senso che a queste non devono corrispondere introiti, percepiti o meno in maniera regolare, e a condizione che non vi sia colpa dell'obbligato: in particolare, nel caso di specie, la conferma della condanna per il reato di cui all'articolo 570 del c.p. ha visto decisive le circostanze per le quali il soggetto obbligato percepiva la pensione di invalidità, sia pure nella misura esigua di euro 250 mensili, lavorava con il fratello e risultava, quindi, solo formalmente disoccupato, avendo oltretutto dato un aiuto economico al padre.

In tal senso si era già pronunciata la stessa sezione della Corte di Cassazione con sentenza n. 35612/2012, affermando che "in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la condizione di impossibilità economica dell'obbligato deve consistere in una situazione del tutto incolpevole di assoluta indisponibilità di introiti sufficienti a soddisfare le esigenze minime di vita degli aventi diritto, la cui prova, incombente sull'obbligato medesimo, non può ritenersi soddisfatta con la mera documentazione dello stato formale di disoccupato".

Lo stato formale di disoccupazione, quindi, non fa venire meno gli obblighi di assistenza familiare. Infatti "è necessario che, oltre a ciò, il soggetto obbligato al versamento dimostri che le sue difficoltà economiche si siano tradotte in uno stato di vera e propria indigenza economica e nell’impossibilità di adempiere, sia pure in parte, alla suddetta prestazione" (Cass. 35612/2011).

Tuttavia, per citare sempre la Suprema Corte, questa ha avuto modo di precisare in una sentenza del 2014, la n. 15898 che "in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, non vi è equiparazione tra il fatto penalmente sanzionato e l’inadempimento civilistico, poiché la previsione normativa di cui all’art. 570 c.p. non fa riferimento a singoli o ritardati pagamenti, ma ad una condotta di volontaria inottemperanza con la quale l’agente intende specificamente sottrarsi all’assolvimento degli obblighi imposti con la separazione. Sul piano oggettivo, in particolare, deve trattarsi di un inadempimento serio e sufficientemente protratto (o destinato a protrarsi) per un tempo tale da incidere apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che l’obbligato è tenuto a fornire. Ne consegue che il reato non può ritenersi automaticamente integrato con l’inadempimento della corrispondente normativa civile e, ancorché la violazione possa conseguire anche al ritardo, il Giudice penale deve valutarne in concreto la gravità, ossia l’attitudine oggettiva ad integrare la condizione che la norma tende ad evitare".

In particolare la Corte, con questa decisione, accoglieva un ricorso che metteva in luce come la Corte d'Appello avesse confuso il concetto penalistico di "mezzi di sussistenza" - cui fa riferimento la norma incriminatrice (570 c.p.) - con quello civilistico di "mantenimento" e come, invece, i giudici avessero prima dovuto definire e quantificare i suddetti mezzi di sussistenza e successivamente verificare se la condotte di inadempimento ascritte all'imputato avessero privato effettivamente di detti mezzi i soggetti indicati dalla norma, in quanto l'ipotesi di reato non può assumere carattere sanzionatorio del mero inadempimento del provvedimento del giudice civile.

E', invece, necessario che sia accertata una condotta di volontaria inottemperanza con la quale il soggetto agente intende specificamente sottrarsi all’assolvimento degli obblighi imposti con la separazione (v. Cass. Pen., Sez. VI, 4 ottobre 2012 – 9 novembre 2012, n. 43527). Se da un lato quindi non può ritenersi che la condotta delittuosa sia integrata da qualsiasi forma di inadempimento, dall’altro lato, trattandosi di reato doloso, la stessa deve essere accompagnata dal necessario elemento psicologico.
In particolare, sul piano oggettivo, deve trattarsi di un inadempimento serio e sufficientemente protratto (o destinato a protrarsi) per un tempo tale da incidere apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che il soggetto obbligato è tenuto a fornire.

Da ciò deriva che il reato non può ritenersi automaticamente integrato con l’inadempimento della corrispondente normativa civile e, ancorchè la violazione possa conseguire anche al ritardo, il giudice penale deve valutarne in concreto la “gravità“, ossia l’attitudine oggettiva ad integrare la condizione che la norma tende, invece, ad evitare.