Utopia. Creare il mondo è meno impossibile che comprenderlo, per una visione di speranza sul futuro.
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Andrea Giovita
Dopo aver fatto alcune precisazioni intorno al tema, passeremo l’Utopia al vaglio della storia, facendo emergere i tratti che l’hanno caratterizzata. Trovata una definizione di Utopia, il più neutra possibile, andremo alla sua ricerca all’interno del Cristianesimo, azzardando una sua possibile presenza in istituzioni come il Diritto Canonico.
Abstract The term Utopia was coined, as is known, by Thomas More in 1516, in his famous work Utopia, however, the concept he expresses is much older. We find it already expressed quite clearly in the Republic of Plato, where the different conceptual elements of the term are indicated which will be coined by More some centuries later. The text tries to briefly present the essence of utopia and its dynamics. This will allow us to verify the elements, highlighted, along the historical path. By presenting the different utopias that have occurred alongside humanity in different eras, we will be able to reach a "neutral" definition of utopia, purified by the various meanings that it has interpreted over the centuries and which have often led it to misunderstanding. Found a definition of Utopia, as neutral as possible, we will go to his research within Christianity, jeopardizing its possible presence in institutions such as canon law.
Sommario: Introduzione. 1.Una definizione di utopia: 1.1 Creare il mondo è meno impossibile che comprenderlo; 1.1.1 Riflessione teoretica; 1.1.2 Mente utopica; 1.2 Livelli di discorso intorno all’Utopia; 1.2.1 Utopicità, livello antropologico; 1.2.2 Utopia: progetto della storia; 1.3 Punti chiave di Utopia. 2. Utopia nella storia; 2.1 L’Utopia delle origini; 2.1.1 La preistoria, il mito; 2.1.2 Mondo greco e latino; 2.1.3 Mondo ebraico e cristiano; 2.2 L’Utopia nell’umanesimo; 2.3 L’attesa del secolo aureo; 2.3.1 La città del sole di Campanella; 2.4 Scienza e immaginazione utopica; 2.5 Utopia e XVIII secolo; 2.6 Lo sviluppo delle utopie nella storia. 3. Utopia e cristianismo; 3.1 Il Cristo e l’Utopia; 3.2 Utopia e Diritto Canonico
Introduzione
Il termine Utopia è stato coniato, come noto, da Thomas More nel 1516, nella sua celebre opera Utopia[1] tuttavia il concetto che esso esprime è molto più antico. Lo troviamo già espresso in maniera abbastanza chiara nella Repubblica di Platone dove sono indicati i diversi elementi concettuali del termine che verrà coniato da More alcuni secoli dopo.
«Tu intendi nella città di cui abbiamo descritto la fondazione, ma che esiste solo nei nostri discorsi, poiché credo che non si trovi da nessuna parte al mondo». «Ma forse», aggiunsi, «se ne erge un modello su in cielo, per chi vuole vederlo e fondare se stesso su questa visione. Non importa però se esiste o esisterà da qualche parte: egli si occuperebbe solo di questa città, e di nessun'altra». «è naturale», disse.[2]
Dal testo Platonico emergono il carattere razionale e progettuale che sono propri dell’utopia, questi due caratteri emergono dove si parla esplicitamente di “modello” (paradeigma) ossia di un complesso di norme cui attingere non solo per fondare la città, ma l’uomo stesso. Un modello non relegato nel mondo delle idee, ma in cielo (en uorano) all’interno del mondo fisico, questo modello quindi non risulta essere impossibile, ma solo difficile da realizzare. La Repubblica di Platone proponendo un modello di società e volendo essere una guida per la prassi rappresenta un vero e proprio prototipo dei progetti utopici[3].
Thomas More, oltre a precisare il concetto espresso da Platone, ha il merito di legarlo a una parola nuova: utopia. In questo termine il significato è interamente racchiuso nel suo significante. Dove la “u” del termine utopia non deriva esclusivamente dalla particella negativa “ou” (non), ma anche da quella positiva “eu” (bene) in questo modo il termine coniato da More indica sia eu-topia[4] (luogo del bene o buon luogo) sia ou-topia (non-luogo o luogo che non c’è). Utopia, quindi, è ciò che “è buono” (cioè libero, giusto, solidale, fraterno, pacifico, virtuoso) e “non c’è”, nel senso inteso da Ernst Bloch[5], esprimibile con un “non ancora”, un apertura sul futuro. Il non essere utopico non è in linea di principio, ma solo in linea di fatto portando così l’uomo alla speranza. L’aver ridotto l’utopia solo alla forma letteraria è stato causa di molti equivoci. Ma l’utopia esisteva già prima di essere o diventare un’istanza solo letteraria, essa è facilmente individuabile nei miti dove troviamo le angosce più profonde e le speranze, che meglio andrebbero indicate come aspirazioni dell’umanità. In una classificazione superficiale dei miti li possiamo raggruppare in tre grandi gruppi: il mito edenico-aureo; il mito escatologico e il mito geografico. In questi miti il bene, come vita beata, società di giustizia, è posto in un altrove temporale (all’inizio o alla fine dei tempi) o in un altrove spaziale[6]. L’umanità ha da sempre manifestato un certo bisogno di utopia, che esprime nella storia, in diversi modi, attraverso processi sempre nuovi, ma animati sempre dalla speranza di poter “andare oltre”.
Dopo aver fatto alcune precisazioni intorno al tema e aver tentato una prima definizione di utopia, la passeremo al vaglio della storia, presentando l’utopia nel suo manifestarsi lungo i secoli, facendo emergere i tratti che l’hanno caratterizzata. Trovata una definizione di utopia, il più neutra possibile, andremo alla ricerca dell’utopia all’interno del Cristianesimo e della Chiesa, azzardiamo una possibile presenza di utopia in istituzioni come il Diritto Canonico.
1 Una definizione di Utopia
Qui cercheremo di presentare brevemente lo scheletro dell’utopia e la sua dinamica essenziale. Questo poi ci permetterà di verificare gli elementi, messi in evidenza, lungo il percorso storico. Presentando le diverse utopie intercorse a fianco dell’umanità, nelle diverse epoche, potremo giungere a una definizione “neutra” di utopia, purificata dalle varie accezioni che lungo i secoli ha interpretato e che l’hanno portata spesso a fraintendimenti.
1.1 Creare il mondo è meno impossibile che comprenderlo
Utopia è il tentativo di descrivere il migliore dei mondi possibili e non il fantasioso modo di descrivere il migliore dei mondi pensabili, per questo motivo prendiamo in seria considerazione utopia e andremo a tentare di purificare questo concetto da tante accezioni che nei secoli ne hanno in qualche modo deviato o annacquato il senso e significato. Utopia come possibile e non solo come pensabile poiché essa non è una moda, né una pura e semplice forma di espressione letteraria, o una satira della propria società, nemmeno un piacevole fantasticare, ma è una certezza per un futuro più o meno lontano. Nell’opera di More Utopia è una proposta, un metodo, un invito che accompagna la descrizione di una società aperta a uno sviluppo storico, le contraddizioni terminologiche contenute nell’opera di More[7] rispecchiano il conflitto dialettico tra il reale e il possibile. Utopia è una sfida semantica a cercare la verità possibile in una dimensione diversa da quella storicamente immaginabile, al di là delle stesse istituzioni utopiche che sono comunque presentate in movimento[8]. L’opera di More Utopia è la scrittura di un uomo di spirito austero e profondamente religioso, compartecipe dell’orientamento riformatore e irenico di Erasmo e di gran parte dell’umanesimo del primo ‘500[9]; ma anche di uomo politico consapevole dei mali del suo tempo e delle distorsioni sociali prodotte da un sistema economico e di potere profondamente irrazionale e ingiusto. La spietata analisi della società inglese costituisce il primo libro dell’opera, scritto però dopo la stesura del secondo libro che contiene la narrazione del viaggio di Raphael Hythloday nell’isola di Utopia[10].
Questa struttura, a due moduli, garantisce che non ci possano essere fraintendimenti nell’interpretare la descrizione del regime degli utopiani per un esercizio di mera letteratura. Sembra che More voglia riprendere con l’utopia l’esempio platonico della politeia en logois[11], che va comunque pensata per poter fare da modello, indipendentemente che si possa o meno realizzare. Utopia interpretava la sensazione di estraneità dell’umanista dal mondo del potere e del denaro e rappresentava anche l’ideale socratico dello studioso[12]. More denuncia con parole roventi l’avidità dei nobili che rubano ogni giorno qualcosa ai poveri operosi, senza i quali uno Stato non potrebbe nemmeno esistere.
Mi piacerebbe che qualcuno osasse mettere a raffronto questa equità con la giustizia che vige verso gli altri popoli, fra i quali mi venga un accidente se riesco a scovare una sia pur minima traccia di giustizia e di equità[13]. Il confronto tra modello ideale e realtà, da ora in poi si chiamerà utopia ed è ripreso, come vedremo, anche nelle forme letterarie antiche ma con un senso del tutto moderno. More utilizza lo stato ideale in funzione eminentemente critica. Egli confronta settore per settore le ingiustizie presenti con le alternative possibili, lungi dal costruire un freddo edificio teorico e idealista.
Presentiamo qui alcune definizioni di utopia che diversi utopisti nel corso della storia hanno dato, limitandoci ai maggiori esponenti per amor di brevità. Essere utopisti non è facile, occorre avere fede nella propria immaginazione, credendo che il migliore dei mondi non sia soltanto pensabile, ma anche possibile o addirittura certo, ineluttabile perché ad esso siamo spinti dalla forza delle cose, degli eventi. Inoltre la vastità e disparità di opinioni, sul tema utopia trova riscontro nella bibliografia sterminata un esempio tra tanti: A. Neususs compila una bibliografia di 695 titoli[14]. In italiano un’ampia bibliografia è curata da M. Baldini[15].
Non abbiamo una definizione univoca di utopia anche perché il problema per arrivare a una definizione non è di tipo filologico, ma di contenuto, per questo motivo le soluzioni proposte assumono sempre un valore soggettivo, che va a generare confusione e fraintendimenti se non si leggono alla luce delle premesse sulle quali si fondano. Superato il problema filologico accennato nei paragrafi precedenti vediamo due esempi di definizione di utopia prima di procedere a porre le nostre premesse e presentare un utopia purificata dagli accidenti che la deviano dal suo intento e senso originario.
La più celebre definizione di utopia è stata data da Karl Mannheim (1893-1947), per lui l’utopia ha come presupposti l’essere in contraddizione con la realtà presente e quello di spezzare i legami dell’ordine esistente. Utopia quindi è inattuabile soltanto da un punto di vista di un ordine già affermato[16] . Mannheim riconduce così il concetto di utopia sul terreno di quello di ideologia, per poi operare la separazione interna tra ideologie conservatrici e ideologie rivoluzionarie. Come afferma Giovanni Sartori[17] il risultato della definizione di Mannheim è semplicemente che “non possediamo più un vocabolo per indicare l’inattuabile”. Nella sua accezione generale l’utopia non pretende di distruggere la realtà attuale, che accetta in quanto essa possiede di meglio, per cui la proposta di utopia è una proiezione nella quale gli aspetti positivi vengono massimizzati, in questa direzione si muoveranno autori come il letterato H.G. Wells[18] (1886-1946) e il filosofo E. Bloch[19] (1885-1977). In piena coerenza Herbert Marcuse (1898-1979) può ritenere l’utopia conclusa poiché oggi qualsiasi trasformazione nella tecnica e nella natura è una possibilità reale. Egli propone che utopia indichi un progetto di trasformazione sociale che si trovi in contraddizione con leggi scientifiche realmente determinate e determinabili[20]. Il rapporto con la storia è incompatibile con l’utopia che è atemporale, l’utopia di Bloch, Wells[21] e Marcuse non ha le sue radici nei modelli classici di rigenerazione.
1.1.1 Riflessione teoretica
Autori come il già citato Mannheim e il filosofo Bloch ci aiutano a mettere in evidenza degli aspetti di utopia che nella loro riflessione hanno evidenziato, ma che poi non hanno sviluppato in linea di ricerca di una utopia pura. A questi aggiungiamo anche Martin Buber (1878-1965).
Mannheim compie il passo decisivo, presentando utopia non solo come fatto letterario ma come realtà storica. Utopia come fattore della storia. Il suo fondamentale errore sarà di concepire l’utopia come categoria della storia, con valenza creativa ed eversiva di rottura e avanzamento, in contrasto con quella conservativa dell’ideologia. Categoria e non evento o processo, non eticamente caratterizzata, eversiva ma non verso un ordinamento migliore, più umano o più giusto.
Bloch compirà il passaggio all’utopia come processo. Processo nel quale è coinvolta tutta la storia umana, verso il bene, il meglio. L’autore purtroppo si complica e confonde poiché intenderà il processo come mero processo della materia che in essa contiene latenti le forme che poi espliciterà. Preme sottolineare invece come Bloch individua l’utopia come processo storico-evolutivo dell’uomo, della società.
M. Buber, nel suo pensiero il processo storico è assunto nel dover essere, vincolo che impegna l’uomo nel compito da adempiere. L’uomo è dominato dall’ansia del giusto esprimendovi un’idea, e volontà, e impegno che diventa sentimento e passione[22].
L’utopia letteraria diventa esercizio mentale sui possibili laterali, cioè modelli che possono essere pensati e affiancati al modello storico in atto[23]. Anche se in realtà vale il contrario, utopia è il modello che il processo storico persegue e costruisce, i modelli in atto sono tanto più laterali e caduchi tanto più si allontanano dal progetto utopico[24]. L’utopia letteraria porta all’idea di una mente che nella sua creatività diverge dal reale verso un’alterità. Alterità che è sì trascendente, ma anche segnatamente altra, divergente, diversiva. Questa divergenza viene indicata nella ricerca scientifica come ipotesi, la quale è in primis “progetto”, poi “altro”, “diversivo”, “anomalo o falsificante”. L’ipotesi matematica, per esempio, di numeri altri, oltre gli interi, fino ai numeri immaginari; o come le geometrie non euclidee, la parallela che diverge dalla linea che le è parallela come dal postulato euclideo in cui si formula. Utopia è categoria della mente umana nella sua creatività in quanto la porta sempre a lato, o meglio oltre ciò che è noto.
1.1.2 Mente utopica
Mente utopica come mente della creatività e progettazione sempre trascendente e sempre diversiva, una mente sempre aperta e protesa verso tutte le alterità possibili, sempre intenta ad elaborarne di nuove. La mente utopica è protesa sul progetto, sul suo possibile configurarsi in raccordo con il passato e il presente, col processo che si è svolto, protesa al futuro.
Aperta al futuro nella speranza, non solo nella progettazione e nell’impegno costruttivo, nella fiduciosa certezza. La mente utopica non è quella che si esercita sui possibili laterali, ma quella che si infutura nella persistente progettazione e costruzione di una realtà che sta al centro della storia e del suo farsi.
Tensione sul futuro, progettualità, impegno costruttivo sono categorie universali della mente umana, quello che manca è la componente etica, che è essenziale, per non cadere nel suo rovescio perverso: la distopia[25].
1.2 Livelli di discorso intorno all’Utopia
Affrontare un tema come quello dell’utopia, oggi, ci impone, come abbiamo visto, alcune precisazioni. Innanzitutto per parlare di utopia dobbiamo tener presenti tre livelli di discorso: quello letterario[26], il livello storico[27] e il livello antropologico[28].
Analizzeremo brevemente gli ultimi due livelli poiché ritengo siano i meno conosciuti in riferimento al tema, tralascio volutamente di approfondire qui il livello letterario che ha visto l’utopia analizzata solo dal suo senso letterale, etimologico, cioè ou-topos arrivando quindi alla conclusione frettolosa che vede l’utopia come una finzione, illusione, chimera o una fantasia irraggiungibile e a volte irrealizzabile[29].
1.2.1 Utopicità, livello antropologico
L’uomo ha in sè la capacità di poter andare oltre il dato sensibile, di andare oltre la percezione immediata, cioè ha la capacità di poter pre-vedere, attitudine quest’ultima propria della ragione. La pre-visione implica la coscienza del tempo, della temporalità e se intendiamo questa temporalità in termini di avvenire, essa rende possibile il progetto.
Giungiamo qui allora a una prima timida definizione di utopia. L’utopia è progetto della storia, cioè impegno, pre-visione di costruire qualcosa che “è buono” (cioè libero, giusto, solidale, fraterno, pacifico, virtuoso). Nel livello antropologico possiamo evidenziare alcune caratteristiche dell’uomo in chiave utopica: la flessibilità, intesa come capacità di rispondere agli stimoli dell’ambiente non in maniera univoca e programmata; l’inquietudine forse meglio esprimibile con irrequietezza nel senso positivo dei termini cioè come un qualcosa che spinge avanti, a non accontentarsi, a superare[30]; la percezione di possibilità e la socialità, fattori correlati tra loro, essenziali per l’uomo, fungono da base o condizione di possibilità affinché l’uomo possa “auto-inventarsi”.
Possiamo allora affermare che l’utopia è una caratteristica essenziale dell’uomo, poiché esso è un essere che per sua natura si pro-getta e protende verso il suo dover essere. Senza il progetto, che contiene il dover essere inteso come un vincolo etico, che lo obbliga a realizzare l’umanità che è in lui, l’uomo decadrebbe a semplice natura bestiale. In questa sua continua riprogettazione l’uomo sperimenta e realizza la sua libertà, la sua natura specificatamente umana e, non lasciandosi determinare dalla sua finitudine, volge lo sguardo “oltre” per vivere meglio.
1.2.2 Utopia: progetto della storia
Utopia è il progetto che gli uomini, nel corso della storia, nel susseguirsi delle generazioni, elaborano e tentano di realizzare. Il progetto utopico non è da confondere in modo superficiale come un gioco letterario o frutto di una qualsivoglia fantasia. Esso nasce da una coscienza etica, da una volontà di bene (di pace, di libertà, di giustizia, ecc…) che spinge l’uomo a impegnarsi per cambiare lo stato delle cose nell’oggi, poiché le ritiene ingiuste e ormai insostenibili. Questo progetto assume valenza non solo teorica, ma in quanto è proteso alla realizzazione, assume valore anche nella prassi, cioè parliamo di un progetto che è realmente concreto, nasce in un preciso contesto ed esprime bisogni di una reale società, anche se tali bisogni risultano spesso immediatamente irrealizzabili.
L’utopia quindi potremmo vederla, non solo come progetto, ma anche come bisogno della storia, ogni progetto di per se contiene e getta le sue basi a partire da un bisogno, bisogno di trasformare una realtà. In questo senso l’utopia si rivela come motore della storia come afferma nel suo testo C. Quarta[31]. Senza utopia non avremmo progettazione, non avremmo l’immaginazione, non potremmo nutrire la speranza, cioè ci verrebbe a mancare quello spazio in cui la libertà umana si esprime al massimo delle sue capacità cioè il futuro.
Oggi purtroppo la tecnica prevale sull’uomo, da protesi necessaria e ineliminabile è diventata strumento potente che può portare anche a distruzione e morte, se manca o si smarrisce una via di salvezza l’utopia finisce, muore[32], muta in qualcosa d’altro dai contorni più tetri e pericolosi, la speranza si spegne in delusione e l’utopia muore nella distopia[33].
1.3 Punti chiave di Utopia
Ora cercheremo di individuare ed esporre i cardini dell’utopia, i punti focali, i pilastri su cui la dinamica utopica si poggia e si svolge. Quanto detto finora lo possiamo così riassumere: l’utopia è un progetto di bene dell’umanità che percorre e muove l’intera storia e la costruisce. Ma questo non basta. Come già anticipato nella breve introduzione il termine utopia nella sua accezione di “non ancora” esprime futuro, esprime libertà, esprime possibilità senza le quali non ci sarebbe progettualità. Accanto a ciò dobbiamo evidenziare che assume anche valenza critica. Infatti non possiamo parlare di coscienza utopica (progettuale) senza la coscienza critica. Essa è costitutiva della coscienza utopica.
La volontà di bene, coscienza etica, si scontra nel vivere umano con la realtà data ed è da questo scontro tra realtà e volontà di bene che sorge la coscienza critica. Ossia quella coscienza che l’uomo, così come è, risulta carente d’essere, poiché non realizza tutto il bene che vorrebbe[34]. Qui si evidenzia come questa dimensione critica sia strettamente legata a quella progettuale, inoltre come la realtà storica sia necessaria per sviluppare un pensiero pienamente utopico. Questa dimensione critica è ben palesata anche nel libro di More che contiene una vera e propria critica alle istituzioni e ai costumi dell’epoca, elementi questi non trascurabili. Nasce così una coscienza, che è sia critica che etica, della realtà storica e dei suoi mali, coscienza che nutre la volontà di superare questa realtà di male. Da questa volontà di bene si origina il progetto di bene verso una realtà che sia libera, giusta, ecc… .
Questa dinamica è la coscienza progettuale[35] alla quale si collega la tensione realizzativa. Possiamo allora affermare che i punti chiave dell’utopia sono: l’aspetto critico, progettuale e realizzativo, se viene a mancare uno di questi non si può parlare di utopia o di coscienza utopica. Privata dell’aspetto critico rischia di finire nella dimensione onirica dell’esistenza, senza l’aspetto progettuale l’umanità resterebbe in balia degli eventi, di una storia senza senso e senza fine, privata della tensione realizzativa il rischio sarebbe di sfociare in puro velleitarismo, incapace di produrre effetti positivi nella prassi storica.
L’impegno etico inteso come dovere di realizzare il progetto è parte essenziale dell’utopia, la quale conoscendo i propri limiti sa bene che tra pensiero e azione ci sarà sempre uno scarto, quindi una coscienza che sia sempre in guarda per evitare l’errore di scambiare per assoluto ciò che in realtà è relativo e finito, compreso il proprio progetto. La coscienza utopica esprimerà un progetto relativamente ottimo, ma aperto, poiché una coscienza matura è attenta ai cambiamenti dell’uomo, al mutare delle sue aspirazioni e quindi anche i suoi progetti devono adeguarsi a tali cambiamenti. Una coscienza aperta in quanto non solo protesa al futuro (sul “non ancora”), ma anche perché attenta a ciò che di buono è contenuto nel presente, spesso questa propensione sul “ora” e “altrove” sfugge ai critici che accusano gli utopisti di progettare solo società chiuse sacrificando il presente per il futuro[36].
Il More nella sua opera aveva più volte sottolineato la disponibilità degli utopiani a mettere in discussione i propri ordinamenti, soprattutto nel caso in cui altrove ne avessero trovati di migliori, questa apertura inoltre riguarda anche il piano religioso e non si ferma solo al piano politico, economico, sociale, culturale ed etico, toccando la sfera religiosa che solitamente è dogmatica (intoccabile e immutabile) per definizione. Se si riesce a purificare l’utopia dai secolari equivoci che la offuscano, riscoprendo il suo vero significato, portando alla luce il suo vero senso, possiamo affermare che l’utopia è guida e sostegno per l’umanità che da sempre si sforza di costruire una società pienamente e realmente umana, fondata sull’evangelico amore fraterno e sulla giustizia. L’utopia in More si configura come un vero e proprio elogio della sapienza[37], dove la realizzazione storica dei principi in essa contenuti costituisce la vittoria della speranza sulla disperazione umana. Non solo, ma lo sviluppo della coscienza utopica nella storia la potremmo interpretare come una vera e propria crescita sapienziale dell’umanità.
2 Utopia nella storia
Faremo un breve riassunto storico dell’evoluzione di utopia a partire dai miti primordiali fino al XVIII secolo. Il XIX e il XX secolo li possiamo rintracciare nelle definizioni di alcuni esponenti presentati nel paragrafo 1.1 e nel sotto-paragrafo 1.1.1. Presenteremo poi un elenco semplice e sintetico delle maggiori utopie.
2.1 L’Utopia delle origini
2.1.1 La preistoria, il mito
L’utopia intesa come progetto e processo storico è un fenomeno umano che precede il fatto letterario in senso stretto, proprio perché l’uomo fin dalle sue origini è un vivente che progetta, un elemento che contribuisce a proporre l’utopia come fatto storico è il mito. Il mito costituisce la forma di pensiero più arcaica e più originaria dell’umanità, anche se il mito è presente in ogni età della storia compresa la nostra.
Una prima tipologia di mito è il mito edenico-aureo, il ritorno alle origini che nel contesto greco e latino si esprime con la tensione verso il ritorno ad un’età dell’oro, mentre nel contesto ebraico-cristiano si esprime nel mito edenico. Il dinamismo rimane invariato, l’uomo insoddisfatto della realtà in cui vive, esprime tramite l’autocoscienza, il desiderio di volontà di giustizia, un inquietudine che lo spinge ad aspirare a una vita migliore, ad andare oltre, un’utopia appunto. Se il desiderio però diventa smodato, non riconosce i propri limiti (hybris) diventa distopia[38].
Una seconda tipologia di mito è quella del mito escatologico, una società buona proiettata nel futuro, un esempio lo troviamo nel millenarismo, un altrove collocato in un tempo futuro.
Un terzo tipo è il mito geografico, l’eutopia[39] di una società felice, collocata in un altrove spaziale, esiste ma è difficile da raggiungere. Su questo tema non ci soffermiamo ma molti esempi li possiamo trovare nella mitologia greca.
Nel mito, inteso come utopia, sono contenute le sofferenze di un popolo e le speranze, questo insieme lo possiamo definire come un vero e proprio progetto popolare implicito, qui si vede appunto il forte legame storico, con la storia, questo progetto è l’utopia del mito, che evidenzia e non può essere slegata dalla storia stessa.
2.1.2 Mondo greco e latino
Tutto il mondo greco si presenta come fortemente impregnato di spirito utopico. Un esempio su tutti è il principio di eguaglianza espresso in termini di: isonomia = uguaglianza di fronte alla legge, isomoiria = uguaglianza delle parti. Questo principio prima di comparire nelle Polis si presenta come concretamente realizzato nell’altrove delle colonie, espresso come principio della comunanza dei beni, oppure come principio di giustizia, ricordiamo un esempio i coloni di Samo che fondano l’odierna Pozzuoli chiamata città della giustizia. Un altro modo di esprimere l’uguaglianza lo troviamo in Platone dove nella sua opera La Repubblica tematizzerà l’uguaglianza dei sessi.
Anche nel mondo latino è presente l’utopia in stretto legame con la storia. Lo spirito utopico dei romani è sicuramente meno ricco e vario dello spirito greco. Tutto si riassume sotto l’idea o ideale di Roma come Civitas che ha un suo progresso verso la città utopica di uomini liberi e compartecipi della comunità. Questa partecipazione e libertà si evolverà nella idea di Roma incarnandosi nella storia come monarchia, poi consolato, passando per le proteste della plebe che portarono alla crisi che sfociò nella monarchia imperiale, questi passaggi sono pieni di fermenti utopici.
2.1.3 Mondo ebraico e cristiano
Nel mondo ebraico storia e utopia sono ancora più fortemente intrecciate se non addirittura coincidenti. La tensione utopica percorre tutta la storia di Israele. Abramo su invito di Dio si reca altrove, un nessun luogo ai suoi occhi, che Dio gli presenta al tempo stesso come buon luogo, come “terra promessa”. Anche dopo aver raggiunto la terra promessa, la tensione utopica resta forte, è evidente che in tutta la storia di Israele, da re Davide in poi, lo spirito utopico è caratterizzato dall’attesa del regno messianico.
Nel mondo cristiano il legame fede e utopia è molto stretto per il carattere salvifico che assume l’annuncio evangelico, come buona novella e avvento del regno di Dio. Che il messaggio cristiano non sia un’astratta teoria lo dimostra il fatto che le prime comunità cristiane cercheranno di attuarlo concretamente. La volontà dei cristiani di tradurre in pratica, meglio di incarnare, il messaggio evangelico è attestata anche da altri eventi come la nascita dei movimenti millenaristici e in seguito del monachesimo stesso.
Ma di questo tema utopia e cristianesimo ne parleremo in maniera più approfondita nei paragrafi successivi (cfr. 3 e 3.1).
2.2 L’Utopia nell’umanesimo
Gli umanisti sembrano aver colto, inizialmente, di utopia, non tanto lo spirito rivoluzionario, quanto piuttosto il suo aspetto festivus[40]. In questo periodo diversi autori si cimentano in opere utopiche riprendendo la vena di More alla meno peggio e aggiungendoci qualche “scandalosa” eco platonica, ambientando il tutto in una finta città felice[41], in cui spesso si riconosce la Città Stato dell’epoca come ne il mondo savio e pazzo di Anton Francesco Doni (1513-1574) in cui si riconosce abbastanza bene la Firenze delle arti e delle botteghe[42]. In questa epoca c’è anche grande fermento religioso e le minoranze vengono man mano isolate, dando vita a forme ed esperimenti di comunità di illuminati capaci di vivere il cristianesimo senza compromessi e di governarsi da soli nello spirito della fratellanza. Boemia e Moravia furono la culla delle comunità hussite e anabattiste, profetismo e millenarismo percorrono tutta l’Europa tra ‘400 e ‘500[43].
Profetismo e millenarismo finiscono per adottare l’utopia più come modello di scrittura, che come vera e propria istanza critica e progettuale, sotto un duplice profilo: il primo è l’attesa escatologica; il secondo è l’esperimento della comunità perfetta, in quanto realizza perfettamente il messaggio cristiano di eguaglianza e fraternità, escludendo da sé fenomeni come l’egoismo, il potere, la guerra. La predicazione di questi movimenti è rafforzata e completata da testi letterali affini all’utopia, ma non pienamente utopici, che propongono modelli tratti da paesi immaginari o da precedenti storici inesistenti[44]. Un esempio tra molti è il frate francescano Johann Eberlin (1465-1530), sostenitore della Riforma, è il primo autore a inserire in un testo, intitolato i Quindici confederati già di per sé originale la forma almeno esteriore di utopia. Egli potremmo definirlo un compromesso tra utopia e Riforma[45]. Questo elemento di matrice religiosa e popolare sarà di nuovo molto forte nella pubblicistica di altri contesti rivoluzionari europei e in formali utopie come quella presentata da Tommaso Campanella (1568-1639).
Nella proposta utopica della Controriforma viene idealizzata e descritta la comunità di tipo urbano con il suo contado, chiusa, regolata e autosufficiente. Comunità senza disparità sociali, senza le attività finanziarie e senza l’individualismo egoistico che apparivano intollerabili allo spirito della Controriforma[46]. La repubblica immaginaria è un perfetto specchio della disciplina promossa dalla Controriforma[47] non solo per l’osservanza e il rispetto dovuto a clero e chiese, ma per il programma educativo, vera chiave di volta dei disegni degli Stati ideali. Per Ludovico Agostini (1536-1612), nella sua opera La Repubblica immaginaria, sarà l’educazione ad estirpare il malcostume e creare nei cittadini l’abito e la consuetudine alle virtù cristiane, prima fra tutte la temperanza.
Non possiamo dimenticare un accenno alla campagna in relazione alla scrittura utopica, essa è sempre vista come luogo di fatica e di produzione, ma in questa epoca in contrapposizione alla città viene proposta una campagna utopica: il giardino, dove la natura, non è più solo fatica, ma si fa arte. L’età del tardo rinascimento e del barocco aggiunge a modelli classici, ed elabora fino al tramonto del modello arcadico, uno scenario in sé utopico, ma smorzato dalla illusione di poter cambiare il mondo.
2.3 L’attesa del secolo aureo
Il giungere del nuovo secolo pone interrogativi a profeti ed astrologi sul destino dell’umanità. L’attesa del secolo aureo era un sentire diffuso nel mondo cattolico, ma lo era anche da parte dei riformati che proiettavano sulla nuova età grandi attese, dettate dalla fervida speranza di una palingenesi sociale che era rimasta disattesa dal messaggio riformatore di Lutero[48].
Nel primo ventennio del XVII secolo si assiste a una rinascita dell’utopia[49], e forme in cui si manifesta sono associate[50] più o meno strettamente a un millenarismo con forti elementi pansofici ed ermetici. Potremmo dire che l’utopia riflette il clima filosofico del tramonto del Rinascimento. Prima dello scontro finale, tra l’idea di monarchia universale proposta dalla controriforma[51] e quella di matrice evangelica, un’umanista sassone come Tobias Adami (1581-1643) suggerisce che dietro i veli dell’utopismo si profila un nuovo programma di redenzione umana e sociale[52].
Per la storia dell’utopia è importante sottolineare anche il teatro come modello analogico del sapere universale, che essendo in origine uno strumento mnemotecnico, implica una struttura logica coerente nelle sue parti. Meno rigoroso è il procedimento fornito dall’emblematica cinquescentesca[53], in ogni modo si tratta comunque di efficaci elementi descrittivi, molto più sofistica degli strumenti simbolici fino ad ora incontrati, soprattutto perché si prestano alla polisemia[54]. In questo modo sembra designarsi una comunità utopica, o meglio poli-utopica, di soli illuminati, che propone un ideale di vita in società indeterminate.
2.3.1 La città del sole di Campanella
Il popolo immaginario dell’utopia proposta da Tommaso Campanella vive assistito dal solo lume della ragione in una Natura vitale. Nella sua opera alla funzione di paradigma filosofico, si intreccia la funzione sociale portatrice di un’immagine di comunità giusta, governata dai sapienti, dove non ci sono gli usurpatori delle ricchezze comuni.
La Città del Sole di Campanella[55] propone la radicale repulsione della prepotenza e l’anelito all’eguaglianza. La sua proposta di utopia riflettendo insieme determinismo astrale, profezia e rivolta sociale, può esser letta come l’annuncio di una società liberata dall’egoismo, ma soprattutto finalmente libera dal dominio feudale[56].
2.4 Scienza e immaginazione utopica
L’età moderna sembra rendere ancora più stretto il rapporto tra filosofia e utopia, in questa epoca filosofi e scienziati[57] tendono ad affidare all’utopia una funzione rappresentativa di sfere etiche e conoscitive sempre più vaste e sofisticate, col rischio di far perdere all’ utopia la sua funzione primaria di progetto istituzionale e sociale. Il mondo utopico inizia un suo itinerario polifunzionale, nel quale spesso il rinnovamento socio-politico è solo una componente di una generale insoddisfazione per la realtà[58].
L’irruzione della scienza[59], nel più classico dei modelli di viaggio cosmici, segna un taglio definitivo con l’archetipo antico e obbliga, gli utopisti, a usare nuovi parametri conoscitivi come strumento per stabilire la verosimiglianza del modello[60]. Proprio in questa circostanza possiamo osservare l’inizio della divisione, sempre passibile di coesistenza o di identificazione tra utopia e finzione scientifica[61].
2.5 Utopia e XVIII secolo
È difficile periodizzare la storia dell’utopia in questo secolo. Innanzitutto perché bisogna tener conto delle diverse eredità del secolo precedente. Abbiamo lasciato gli utopisti libertini parlare senza fine con i loro australi interlocutori sull’uso politico delle religioni che va orientandosi verso il deismo. Inoltre abbiamo parlato di polifunzionalità dell’utopia.
Gli utopisti di questa epoca mostrano scarso interesse politico poiché sembrano accettare quasi sempre il regime monarchico, dal mondo inglese però viene trasmesso all’utopia il forte impulso per la forma repubblicana, per la libertà religiosa e per l’uguaglianza sociale. L’altra eredità di utopia era il senso di compimento di un ciclo negativo e l’attesa di una redenzione che tramontò totalmente nel mondo inglese con la fine della rivoluzione.
Nel ‘700 le scritture di genere utopico si moltiplicano nell’editoria per la curiosità del lettore verso romanzi di viaggio[62] e le descrizioni di popoli immaginari[63] o lontanissimi dall’esperienza comune[64]. Nonostante lo scetticismo con cui i filosofi guardano alle utopie, soprattutto quelle dove girava più forte lo spirito millenaristico, utopia e riforme vanno considerate due modalità complementari dell’illuminismo, purchè le cogliamo nel loro aspetto fondamentale di progetto. Dobbiamo tener presente quanto si fosse abbreviato il tempo, per uno scrittore del ‘700, che separava un progetto dalla sua realizzazione[65].
Per quanto riguarda l’utopia nei secoli successivi ne abbiamo già fatto qualche accenno e descrizione nel paragrafo 1.1 e suoi sottoparagrafi.
2.6 Lo sviluppo delle utopie nella storia
- Platone (427-347 a.C.) La Repubblica, ma si veda anche le Leggi, Crizia e il Politico.
- Thomas More (1478-1535) Utopia, prima pubblicazione in latino nel 1516.
- Andreae, Johann Valentin (1586-1654) Christianopolis, pubblicata nel 1619. Con quest’opera, dove ipotizzò la nascita di una Nuova Gerusalemme, cristiana e solidale, il grande progetto della fratellanza.
- Francis Bacon (1561-1626) La nuova Atlantide, pubblicata nel 1627. La leggenda della misteriosa Atlantide ha ispirato a Francis Bacon questo romanzo utopico, l’opera rappresenta il suo pensiero in forma narrativa. A guidare il suo Stato ideale sono gli scienziati, portatori di un sapere pratico, capace di trasformare la realtà. Bacon assegna al metodo sperimentale il compito inedito, e per l'epoca rivoluzionario, di far progredire l'intera umanità verso il bene. Tra esperimenti e fratellanza universale, gli abitanti della misteriosa isola sono la prima raffigurazione letteraria della nuova epoca scientifica.
- Tommaso Campanella (1568-1639) La Città del Sole, pubblicata nel 1637 col titolo Civitas Solis Poetica: Idea Reipublicae Philosophiae. Nell'età della Controriforma, Campanella si assunse la missione di "debellare tre mali estremi: tirannide, sofismi, ipocrisia". La sua alta, solitaria, profetica personalità di scrittore e di riformatore politico-religioso "eretico" è in questa opera presentata alla luce di un penetrante storicismo, nella indissolubile unità dell'utopista e del poeta.
- Allais Denis Vairasse D’, L’Histoire des Sevarambes, scritto nel 1672.
- Simon Berington (1680-1755) the adventures of Gaudentio da Lucca, 1761
- Thomas Spence (1750-1814) Description of Spensonia. Constitution of Spensonia, Londra 1795.
- Etienne Cabet (1788-1855) Viaggio ad Icaria. Pubblicato nel 1845. Il "romanzo filosofico", come egli stesso definì il suo lavoro, gli procurò fama e benevolenza in quanto "apostolo del comunismo egualitario e pacifico". La "comunità dei beni e degli spiriti" avrebbe dovuto realizzarsi attraverso la pace sociale e soprattutto la convinzione degli altri ottenuta attraverso l'esempio pratico. Icaria, compagine umana comunista e quindi senza proprietà e differenze sociali, doveva attrarre come un potere magnetico elementi da tutte le classi con la sola forza dell'esempio, fornito da struttura e organizzazione.
- Edward Bulwer-Lytton (1803-1873) The Coming Race, or the new Utopia, ed. Italiana: La razza ventura, Torino 1980.
- Bulwer Lytton fece parte di varie confraternite iniziatiche e fu depositario di insegnamenti esoterici che trasfuse nei suoi libri, come questo. Massone, membro della Societas Rosicruciana in Anglia. La Razza Ventura è costituita da un insieme di uomini superiori e vive al centro della Terra. Fra loro si conosce l'arte di regolare la forza vitale, l'energia che tutto pervade, il "vril" e di servirsene nei modi più opportuni ed appropriati.
- Robert Pemberton, The Happy Colony, Londra 1854.
- William Morris, (1834-1896) News from Nowhere. Londra 1890.
- Ebenezer Howard (1850-1928) Gardens Cities of tomorrow, 1902. Unica fra tutte le teorie utopistiche in parte realizzata.
- Herbert G. Wells (1866-1946) A modern Utopia. 1905.
- Ralph A. Cram (1863-1942) Walled Towns, 1919. Cram non considera la sua opera un utopia, ma una onesta critica all’opera non può che definirla come utopia. Cram non vede una base per l’eutopia senza il sistema di valori e le tradizioni della Chiesa Cristiana, l’autore è un profondo studioso e critico di valori.
- Sir William Blake (1842-1921) Democracy: False or True? Londra 1920.
- Henry Morley (1822-1896) Ideal Commonwealths, Londra 1886. L’opera è un antologia sulle utopie.
Questo elenco in ordine cronologico serve a sottolineare come si sia evoluta l’attenzione all’utopia lungo la storia. Dall’opera di More in poi si cercò di definire o meglio racchiudere l’utopia dentro una definizione, dentro dei confini e limiti. Questi tentativi possiamo definirli vani nel loro insieme poiché sembra quasi impossibile per definizione racchiudere un “andare al di là” in un recinto finito, un “oltre” dentro i margini, una eccedenza dentro limiti chiari. A questo contribuisce l’aspetto della polifunzionalità che abbiamo visto nascere e svilupparsi in utopia soprattutto a partire dal XVII secolo. Certamente come abbiamo visto fino ad ora ogni tentativo ed ogni autore hanno contribuito a rendere più nitida una sfumatura, una parte dell’utopia. Inoltre è evidente come l’utopia non resta indifferente al cristianesimo e vice-versa.
3 Utopia e Cristianesimo
Il cristianesimo viene definito da alcuni autori come More e il Savonarola come una rivoluzione mancata: il suo principio spirituale non è diventato principio sociale[66]. In Simon Weil il cristianesimo è rigorosamente collocato nel dominio dell’interiorità, perché è al di là del male del mondo che ci si può amare, raggiungendo con l’amore quello che l’esteriorità ha separato. Potremmo parlare di cristianesimo in termini di rivoluzione mancata e compiuta se ci riferiamo ad esso a partire dall’escatologia; mancata perché gli uomini non hanno ancora creduto e accolto la libertà che il Cristo offre; compiuta, perché la sua realizzazione non dipende dalla fede degli uomini.
Andando alla ricerca dell’utopia cristiana il rischio è quello di fermarci a una lettura del cristianesimo superficiale e pre-concetta, dove per utopia cristiana si individuano virtù come la povertà incarnata e testimoniata da s. Francesco. L’utopia di Cristo non consiste nella sua proposta di povertà che poi Francesco abbracciò, ma ad una lettura più approfondita lasciandoci ispirare dallo Jeremias[67] la proposta utopica che l’Autore propone come “scandalo” di Gesù consiste nella sua pretesa messianica ed escatologica. La non fiducia nel possesso terreno (proposta della virtù della povertà) era la fiducia nel possesso escatologico. In Gesù l’elemento utopico-escatologico fondamentale è la sua pretesa messianica e divina (inviato dal Padre per la salvezza del mondo, Figlio del Padre), non certo quella della povertà. Quindi la proprietà per colui che ha raggiunto a livello di persona o di comunità, superando il proprio io individuale, la dimensione escatologica, non ha più senso.
More intuì che il problema del superamento della proprietà come istituto era urgente poiché vedeva crescere in quel tempo una forte disumanizzazione della proprietà volta all’individualismo. Inoltre la sua esperienza di cancelliere, di giudice e di avvocato davanti a questa realtà lo aveva spinto verso l’idea dell’assenza di proprietà privata per i suoi utopiani. L’intuizione era storicamente decisiva sotto due aspetti: primo il problema del superamento della proprietà privata veniva posto come un problema immanente nella coscienza stessa della società, come problema giunto a una situazione storica compiuta; secondo, la mancanza di proprietà privata veniva presentata come accolta e realizzata da un popolo che poteva dirsi a malapena cristiano poiché aveva raggiunto le sue istituzioni comunitarie prima di essere convertito alla fede.
Utopia quindi significava in nessun luogo: ma in nessun luogo perché veramente razionale, veramente universale, veramente umano. Legata quindi all’umanità e al suo processo. L’utopismo di Utopia[68] non può essere inteso che come una dissimulazione, tutta la personalità di More esclude che si possa trattare solo di una mera finzione.
Utopia, sotto forma di un discorso fantastico, era in realtà una critica cristiana al mondo cristiano, ed era allo stesso tempo rivelazione della maturità storica del cristianesimo verso l’escatologia. Il presupposto escatologico era nella coscienza di More, d’altronde ciò che egli voleva esprimere era che il problema di una umanità-comunione, cioè l’assimilazione storica del cristianesimo, era giunta ormai a livello dell’esperienza comune: non riguardava più gli stati di perfezione, cioè una minoranza, ma tutti e non poteva essere vissuta solo da una minoranza senza che essi cadessero in uno stato paradossale di privilegio sociale.
Il More nella sua opera Utopia non rivela i presupposti cristiani né tantomeno manifesta il suo significato escatologico, solo se leggiamo Utopia alla luce della vita del suo Autore vediamo come diventa chiaro che questa sia un opera cristiana. Inoltre ciò che More nella sua opera aveva risolto ricorrendo alla filosofia politica e alla fantasia creatrice, Lutero e Calvino lo risolsero in modo diverso cioè separando l’escatologia dalla storia. Il problema in questo modo era negato. L’escatologia collocata direttamente in Dio, la storia interamente nell’uomo. Aprendo con questa nuova prospettiva a una lettura strettamente razionalistica della realtà sociale. Il giusnaturalismo riprende l’idea pagana della fisica sociale. Autori come Spinoza creano un sistema totalmente pagano dove i rapporti etici divengono rapporti fisici e i fatti si mutano in principi. La rottura tra escatologia e storia ha reso possibile la nascita in una società cristiana, di un pensiero totalmente pagano, secondo il quale il fatto costituisce sempre il diritto. Sarà nell’inghilterra di More che nascerà l’idea di un diritto della persona, Locke tenterà di ripensare secondo questa intuizione il giusnaturalismo, la forma di cultura fondata sulla natura e sulla ragione come unico principio. La forza della realtà vince la coerenza del sistema; questa è la rivincita di utopia.
3.1 Il Cristo e l’Utopia
Gesù Cristo è indiscutibilmente il centro e fulcro del cristianesimo di ogni generazione, la storia cristiana, crescendo verso la pienezza escatologica, esprime sempre qualcosa di nuovo del Cristo. In Cristo conosciamo Dio come Padre e comprendiamo il Figlio come modello di figliolanza e umanità. Il tempo presente è un tempo di maturazione dell’utopia. Nel mondo attuale l’uomo è riconosciuto come persona costituita di relazioni; l’umanità, il mondo, lo spazio, il tempo sono relazioni all’uomo. Anche Dio grazie al suo Cristo è in relazione all’uomo, nella dinamica trinitaria che viene dischiusa all’uomo stesso tramite il sacrificio di Cristo. L’umanità entra a pieno titolo in quella relazione tra Dio-Padre e Cristo-Figlio nello Spirito Santo. Se Dio è perfetta umanità, la divinizzazione è perfetta umanizzazione, l’escatologia quindi possiamo definirla come utopia[69].
L’antropologia del futuro ci ha offerto un uomo perfetto per negazione di dio, oppure secondo altri filoni per assorbimento dell’idea di dio nella realtà umana. Il cristianesimo invece ci offre un’umanità perfetta per l’inclusione dell’uomo nell’umanità di Dio-Padre. L’utopia rivelando, come abbiamo cercato di sottolineare in queste pagine, all’uomo la sua umanità, diviene riflesso dell’umanità di Dio.
Vi è una dialettica tra storia e utopia da un lato, Chiesa ed escatologia dall’altro. Storia e utopia potremmo definirle semplicemente come l’autocoscienza umana dell’umanità e sarebbero irrealizzabili senza la Chiesa come coscienza dell’umanità di Dio e della divinizzazione dell’umanità[70]. Oggi l’umanità dell’uomo spesso è esaltata a discapito se non addirittura contro l’umanità di Dio, ciò significa che per ora né storia né utopia si realizzeranno, che il passato vince il futuro e il ricordo, a volte addirittura nostalgico, vince la prefigurazione e la speranza, si può notare come conseguenza di ciò che oggi materie come l’escatologia sono messe in disparte e quasi assenti dalle proposte di annuncio fatte dalla Chiesa[71]. La dialettica tra Chiesa e storia, tra escatologia e utopia, finisce nel momento in cui l’umanità riconosce l’umanità divina come la propria vera umanità. Fino ad allora teniamo viva l’utopia e ravviviamo l’escatologia come datori di speranza che ci stimolano a guardare ed andare oltre.
La dialettica tra Chiesa e utopia avviene all’interno delle istituzioni ecclesiali come delle istituzioni civili. Le istituzioni ecclesiali, rinnovate dal Concilio Vaticano II e in realtà in continuo rinnovamento, sono ancora cariche di alcuni limiti legati al passato. Infatti per un verso tendono a mantenere, conservare, staticamente il passato, dall’altro tendono invece ad accettare e accogliere l’utopia come slancio verso un altrove reale non ancora realizzato, secondo il famoso adagio teologico del “già e non ancora”. Cercando di essere realmente utopici e non idealisti, possiamo sottolineare lo slancio utopico anche all’interno della riforma della curia con la nascita del nuovo dicastero per lo sviluppo integrale dell’uomo, oppure in istituzioni come il diritto canonico.
3.2 Utopia e Diritto Canonico
L’utopia, per come abbiamo cercato di presentarla e delinearla fino ad ora, la possiamo ritrovare anche in istituzioni che apparentemente sembrano essere rigide e chiuse come può apparire un codice di leggi. Il CIC del 1983 si chiude con il canone 1752.
Can. 1752 - Nelle cause di trasferimento si applichino le disposizioni del can. 1747, attenendosi a princípi di equità canonica e avendo presente la salvezza delle anime, che deve sempre essere nella Chiesa legge suprema.
Che sottolinea come bisogna attenersi ai principi di equità canonica avendo sempre presente che la suprema legge della Chiesa è la salvezza delle anime. Ora potremmo ipotizzare che la salus animarum è quel già e non ancora teologico, quell’altrove, la società o meglio comunità di salvati del non c’è ancora utopico al quale tendere in un ottica di progetto utopico, di tensione alla volontà di bene. Possiamo qui ipotizzare, nonostante lo dimostreremo in un altro contesto, di individuare i caratteri essenzialmente utopici del Diritto Canonico. Per realizzare utopia occorrono sinteticamente tre premesse: una coscienza progettuale, un disagio/bisogno di mutare la realtà e una volontà di bene che metta in moto tutto questo. Utopia si metterà in moto con una progettazione (progetto della storia) e immaginazione (più che di immaginazione per non essere fraintesi possiamo parlare di creatività) di un futuro orientato verso il bene (coscienza etica); questa dinamica permette di realizzare il fine.
Facendo un parallelo grossolano e maldestro con il diritto canonico possiamo individuare il Codice come quell’elemento della progettazione della storia che è orientato verso un futuro di bene che è appunto la salus animarum. Ma non possiamo limitarci a questo, altrimenti verrebbe a mancare un elemento essenziale di utopia, correremmo quindi il rischio di non realizzare un utopia ma un sistema chiuso e idealizzato, fine a se stesso. A questo punto manca il secondo elemento della premessa cioè quel disagio/bisogno di mutare la realtà che diventa in utopia la immaginazione/creatività e che possiamo individuare nella norma missionis.
Norma missionis vista come criterio di creatività, come portatrice di eccedenza che con mezzi efficaci e buoni come l’equitas e la rationabilitas spinge l’uomo verso quel già e non ancora che è la sua salvezza nel Regno dei cieli.
Note e riferimenti bibliografici
[1] T. More, Utopia, Milano 2016.
[2] Platone, La Repubblica. Roma 2009.
[3] Per approfondimenti su questo tema suggerisco di C.Quarta, La Repubblica di Platone: utopia o stato ideale?, “Idee”, 8, 1993, pp. 103-115.
[4] Il termine eutopia è già presente nell’Hexastichon del poeta Anemolio, scritto prefatore dell’opera di More.
[5] E. Bloch, Spirito dell’utopia, Milano 2009.
[6] A. Colombo, Utopia e distopia, Bari 1993.
[7] I famosi controsensi della geografia utopiana.
[8] N. Matteucci et al., L’Utopia e le sue forme. Bologna, 1982.
[9] V.I. Comparato, Utopia. Bologna 2005.
[10] T. More, Utopia. Milano 2016.
[11] Platone, La Repubblica. Milano 2009.
[12] Una vita operosa e quieta, allietata da piaceri intellettuali e priva di ansie del vivere ordinario: quale ricchezza può essere maggiore del vivere con animo lieto e tranquillo, liberi da qualunque preoccupazione?
[13] T. More, Utopia. Milano 2016. p. 309.
[14] A. Neusüss, Utopie. Berlino, 1968.
[15] M. Baldini, Il pensiero utopico. Roma, 1974.
[16] K. Mannheim, Ideologia e utopia. Bologna 1999.
[17] Sartori, Democrazia e definizioni. Bologna 1987.
[18] Wells, A Modern Utopia. London 1994.
[19] E. Bloch, Spirito dell’utopia. Milano 2009.
[20] H. Marcuse, La fine dell’utopia. Bari 1968. p.11.
[21] Kumar, Utopia e antiutopia: Wells, Huxley, Orwell. Ravenna 1995.
[22] N. Minerva, Per una definizione dell’utopia: metodologie e discipline a confronto : atti del Convegno internazionale di Bagni di Lucca, 12-14 settembre 1990.
[23] A. Colombo, Trilogia della nuova utopia. 1,Milano 2014.
[24] A. Cocozza, Utopia e società. Una critica alle società chiuse. Roma 2004. F. E. MANUEL e F.P. MANUEL, Utopian Thought in the Western World. Harvard 2009.
[25] A. Colombo, Utopia e distopia. Bari 1993. Angeletti, Scienza, fantascienza - utopia, distopia forme, generi e linguaggi. Parma 2014. Baldini e Colombo, Utopia e distopia. Milano 1987.
[26] Il discorso letterario è quello più noto ed con il quale spesso l’utopia viene identificata.
[27] Alcuni autori come Quarta preferiscono parlare di storico-politico, comunque questo è il livello fondamentale senza il quale l’utopia rischierebbe di essere confinata nel regno dell’immaginario, o addirittura dell’illusorio e quindi dell’impossibile.
[28] Questo livello ci consente di comprendere perché il bisogno di utopia costituisca una costante della storia dell’umanità.
[29] J. Servier, Storia dell’utopia. Il sogno dell’Occidente da Platone ad Aldous Huxley, Roma 2002.p. 225.
[30] Per approfondire questo aspetto suggerisco il libro di F. Pessoa, Il libro dell’inquietudine: di Bernardo Soares, Milano 2013.
[31] C. Quarta, Homo utopicus, Bari 2015, p.57
[32] Cocozza, Utopia e società. Una critica alle società chiuse. Roma 2004.
[33] A. Colombo, Utopia e distopia. Bari 1993.
[34] More, Utopia. Milano 2016.
[35] C. Quarta, Homo utopicus, Bari 2015, p.124
[36] Cocozza, Utopia e società. Una critica alle società chiuse. Roma 2004.
[37] C. Quarta. Bari 2015, p.126
[38] E. Baldini e A. Colombo, Utopia e distopia. Milano 1987.
[39] Matteucci et al., L’Utopia e le sue forme. Bologna 1982.
[40] L. Firpo, L’utopismo del Rinascimento a l’età nuova. Bologna 1990.
[41] L. Mumford, Storia dell’utopia. Milano 2017.
[42] L. Firpo, L’utopismo del Rinascimento a l’età nuova. Bologna 1990. E anche Servier e De Turris, Storia dell’utopia. Il sogno dell’Occidente da Platone ad Aldous Huxley. Roma 2002.
[43] L. Firpo, L’utopismo del Rinascimento a l’età nuova. Bologna 1990.
[44] L. Firpo.
[45] M. Baldini, Utopia e riforma luterana: «Wolfaria» di J. Eberlin. Milano.
[46] L. Firpo, L’Utopia nell’eta’ della controriforma. Bologna 1977.
[47] Agostini e Montinaro, L’epistolario di Ludovico Agostini: riforma e utopia. Firenze 2006.
[48] E. De Mas, L’attesa del secolo aureo (1603-1625): saggio di storia delle idee del secolo XVII. Firenze 1982.
[49] E. De Mas.
[50] Baldini, La storia delle utopie. Roma 1994.
[51] L. Firpo, L’Utopia nell’eta’ della controriforma. Bologna 1977.
[52] E. De Mas, L’attesa del secolo aureo (1603-1625): saggio di storia delle idee del secolo XVII. Firenze 1982.
[53] Firpo, L’utopismo del Rinascimento a l’età nuova. Bologna 1990.
[54] MANUEL e MANUEL, Utopian Thought in the Western World. 2009.
[55] T. Campanella, La città del sole. Lugano 1836.
[56] V.I. Comparato, Utopia.
[57] Godwin e Butler, The Man in the Moon. Ottawa 1995.
[58] V.I. Comparato, Utopia.
[59] F. Bacon, Nuova Atlantide. Boreau 2013. Cfr. anche scienziati come Keplero e Galileo.
[60] E. Rostand e C. Bigliosi, Cyrano de Bergerac. Milano 2014.
[61] F. Bacon, Nuova Atlantide. Boreau 2013.
[62] Cfr. Verne, L’isola misteriosa. Milano 2015.
[63] Cfr. J. Swift, I viaggi di Gulliver. Milano 1997.
[64] Bartolommei, Illuminismo e utopia: temi e progetti utopici nella cultura francese (1676-1788).
[65] Venturi, Utopia e riforma nell’illuminismo. Torino 1978.
[66] G. Baget Bozzo, Chiesa e utopia. Bologna 1971
[67] J. Jeremias, Gerusalemme al tempo di Gesù. Bologna 2000
[68] More, Utopia.
[69] G. Baget Bozzo, Chiesa e utopia. Bologna, 1971
[70] Su queste tematiche sarebbero molti gli approfondimenti da fare e gli autori da prendere in esame, ma non è questa la sede.
[71] La dimensione di una speranza escatologica è quasi del tutto assente nella attuale catechesi e nella maggior parte delle omelie.