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Pubbl. Mer, 27 Mag 2015

Decreti ministeriali di fissazione dei tassi d´interesse: possono entrare nel processo se la parte non li produce?

Arianna Gargione


I decreti ministeriali di fissazione del tasso d´interesse rientrano tra le normative che il giudice deve conoscere e applicare, oppure hanno natura provvedimentale e pertanto è necessario che la parte su cui grava l´onere probatorio li produca? Su tale tema, la giurisprudenza si sta interrogando da anni arrivando a sviluppare due linee di pensiero. La prima che li fa rientrare nella scienza comune ex art 115 cpc, la seconda invece, più rigoristica, esclude che siano da ricomprendere tra le norme che il giudice è tenuto ad applicare e conoscere ex art. 113 cpc.


Il processo civile si sviluppa su un principio cardine, ovvero la disponibilità delle prove ai sensi dell'art. 115 cpc.

Il processo civile si sviluppa su un principio cardine, ovvero la disponibilità delle prove ai sensi dell'art. 115 cpc.

In virtù del principio dispositivo sono le parti a proporre al giudice gli elementi di prova su cui basare il proprio convincimento. E' bene precisare che la legge prevede ipotesi eccezionali, in cui il giudice dispone ex officio mezzi di prova, come nel caso degli artt. 117 (interrogatorio non formale delle parti), 118 (ispezione di persone e di cose), 213 (richiesta di informazioni alla P.A.), 257 (assunzione di nuovi testimoni), 421, 442 (poteri istruttori del giudice in controversie di lavoro e di previdenza e di assistenza obbligatorie), 714 (poteri istruttori nei procedimenti di interdizione o inabilitazione).

Nell'ultimo comma dell'art. 115 cpc è stabilito anche che “il giudice può porre a fondamento della decisione nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”. Entra così in gioco il concetto di comune esperienza che la Cassazione con recenti sentenze ha definito come “ un fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo, senza necessità di ricorso a particolari informazioni o giudizi tecnici (Cass. 21.12.2012 n. 16165 ed anche Cass. 6.2.2013 n. 2808). Si è poi precisato che è un “fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile” (Cass. 26.5.2006 n.1701).

Il problema di tutti i principi a contenuto "aperto" è comprenderne la vastità dell'ambito applicativo. Quali nozioni possono sicuramente entrare nel processo e per quali invece operano le preclusioni processuali conseguenti la mancata allegazione della parte su cui grava l'onere probatorio. 

Ad esempio, i giudici di piazza Cavour (Cass. 31.5.2010 n. 13234) hanno valutato che un criterio per poter quantificare i danni a seguito della scorretta esecuzione dell'appalto possa essere individuato nei “prezzi di mercato”.

Ma uno dei problemi maggiormente discussi negli ultimi anni attiene alla modalità con cui gli indici che fissano i tassi d'interesse bancario possano entrare nel processo in corso di causa. Ricordiamo che il Ministero dell'economia ogni anno ai sensi della legge n.108/1996, fissa con Decreto gli indici a cui far riferimento, e li pubblica sulla Gazzetta Ufficiale, quali parametri per l'individuazione del tasso soglia. Ma tali Decreti possono rientrare nella scienza comune o è necessaria un'allegazione di parte attrice per fondare le pretese connesse alla domanda?

Nel 2005 la Suprema Corte ha tentato di chiarire la questione stabilendo che “i tassi d'interesse bancario in un dato periodo, costituiscono un fatto notorio, cui il giudice può fare, pertanto, legittimo ricorso ex art. 115 cpc., trattandosi d'un dato che rientra nel patrimonio di cognizioni comuni e generali in possesso della collettività nel tempo e nel luogo della decisione, anche in quanto oggetto di sistematiche forme di diffusione e pubblicità, e quindi, di ciascun individuo di media cultura ordinariamente partecipe delle attività socio- economiche della collettività stessa. (Cass. 2.8.2005 n.16132).

Tuttavia tale orientamento non trova seguito per altra parte della giurisprudenza che sviluppa un ragionamento differente.

Si parte, infatti, dalla natura giuridica di detti Decreti Ministeriali. Avendo gli stessi una natura provvedimentale non sarebbe applicabile il principio ex art. 113 cpc, di iura novit curia, in base al quale il giudice ha il dovere di seguire ed applicare tutte le norme del diritto vigente indipendentemente alle indicazioni fornitegli dalla parte. Detti decreti, ove non se ne riconosca la natura di atti normativi, non rientrano nelle norme che il giudice ha il dovere di conoscere ed applicare d'ufficio. La Suprema Corte (Cass. 29.4.2009 n. 9941), interpreta in maniera rigorosa l'artl 1 disp. Prel. Cc, con la conseguenza che in assenza di una qualsiasi loro produzione nel corso del giudizio di merito deve ritenersi inammissibile l'esibizione in sede di legittimità.

Questa linea di pensiero è stata applicata più volte dai giudici di merito di vari Tribunali italiani. Ricordiamo tra tutti il Tribunale di Salerno (sent. 5.9.2012 n.2212), ma anche il Tribunale di Novara (sent.29.11.2010 n.1116).

Da una riflessione che parte dai diversi indirizzi giurisprudenziali ma vuole svilupparsi anche su basi sistemiche degli istituti coinvolti, non può non rilevare che l'art. 644 cp, fa un richiamo espresso alla legge che fissa detti tassi d'interesse. L'art. 644, cp, così come riformato, disciplina il reato di usura e rinvia alla legge di riferimento quale la l n. 108/1996. Questa tuttavia a sua volta si riferisce a detti Decreti. Potrebbe pertanto configurarsi un terzo indirizzo, il quale supera le preclusioni processuali di cui  il brocardo “facta sunt probanda” , evidenziando il rinvio ex art. 644 cp, consideranto, pertanto anche detti Decreti quali norme che il giudice è tenuto a conoscere ed applicare nell'esercizio della sua attività.