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Pubbl. Sab, 31 Ago 2019

Trasfusioni di sangue infetto e somministrazione di farmaci emoderivati infetti

Ettore Bruno


Evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di responsabilità per le patologie insorte e dei relativi rimedi risarcitori offerti alle vittime.


Sommario: 1. Introduzione; 2. Profili di (mancata) responsabilità penale: cenni sul processo penale e sulla sua tortuosa vicenda; 3. Tratti dell’evoluzione normativa in cui inquadrare i regimi di responsabilità per danni da trasfusioni di sangue ed emoderivati infetti; 4. I rimedi riparatori attivabili dalle vittime e i percorsi giurisprudenziali in merito; 5. Alcuni aspetti complessi e problematici: a. Il regime di prescrizione dell’azione per il risarcimento del danno; b. Il nesso causale tra condotta lesiva ed evento dannoso.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Profili di (mancata) responsabilità penale: cenni sul processo penale e sulla sua tortuosa vicenda; 3. Tratti dell’evoluzione normativa in cui inquadrare i regimi di responsabilità per danni da trasfusioni di sangue ed emoderivati infetti; 4. I rimedi riparatori attivabili dalle vittime e i percorsi giurisprudenziali in merito; 5. Alcuni aspetti complessi e problematici: a. Il regime di prescrizione dell’azione per il risarcimento del danno; b. Il nesso causale tra condotta lesiva ed evento dannoso.

Abstract - La responsabilità per la trasmissione di virus e per il conseguente insorgere di gravi patologie a seguito di trasfusioni di sangue e/o somministrazione di prodotti emoderivati infetti è materia dibattuta e regolata da una disciplina in continua evoluzione e non sempre univoca. Di seguito si cercherà di analizzare l’assetto normativo in cui inquadrare la disciplina che regola i rimedi approntati dall’ordinamento per le vittime, anche - e soprattutto - alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale e con sguardo rivolto alle ripercussioni penali che hanno fatalmente interessato la complessa vicenda.

1. Introduzione

Lo scandalo relativo alle trasfusioni di plasma infetto e alla somministrazione di emoderivati contaminati da virus inizia a prendere corpo già a partire dalla fine degli anni ottanta, quando numerosi “soggetti deboli” (specialmente talassemici ed emofiliaci politrasfusi, ma anche trasfusi “semplici” in occasione di interventi chirurgici o emorragie) subivano gravi contagi a seguito dell’utilizzo, da parte delle strutture sanitarie presso le quali erano in cura, di sangue e di emoderivati infettati da vari virus trasmissibili per via ematica (segnatamente, nei casi più frequenti, il virus dell’Aids e di due diverse forme di epatite virale, la B e la C).

In conseguenza di ciò, a migliaia di persone furono trasmesse patologie gravi – HIV ed epatite virale nella forma “C”, la più grave e insidiosa, nei casi più eclatanti e drammatici – che ne hanno drasticamente peggiorato la qualità di vita fino a provocarne, in un numero tutt’altro che trascurabile di casi, perfino il decesso[i].

Ne è conseguita - allo scopo di regolamentare il settore delle trasfusioni e rendere stringenti i controlli sul sangue donato e sugli emoderivati - l’emanazione di una serie di Circolari ministeriali e l’approvazione di vari provvedimenti legislativi (concepiti a tutela delle vittime ma che denotano, come vedremo, caratteri a volte ondivaghi e spesso lacunosi), migliaia di transazioni concluse tra le parti e di cause civili promosse contro il Ministero della Salute davanti alle Autorità giurisdizionali italiane[ii], centinaia di giudizi innanzi alla Corte EDU, con un numero imprecisato di indennizzi e risarcimenti a favore delle vittime.

E’ stato celebrato, inoltre, un lungo processo penale durato oltre vent’anni e conclusosi, tra molteplici eccezioni e rinvii, soltanto a marzo del 2019 con l’assoluzione di tutti gli imputati.[iii]

2. Profili di (mancata) responsabilità penale: cenni sul processo penale e sulla sua tortuosa vicenda.

I fatti risalgono al 1993: lo scandalo viene alla luce a margine di alcune indagini relative a una serie di fenomeni di corruzione che vedevano coinvolti alcuni funzionari e dirigenti tanto pubblici quanto alle dipendenze di aziende private.

Le indagini riguardanti il sangue infetto iniziarono a Trento e poi a Roma, per poi confluire a Napoli. All’esito di queste emerse una drammatica realtà che riguardava migliaia di pazienti asseritamente contagiati a causa di trasfusioni effettuate con plasma infetto proveniente da donatori  - la maggior parte dei quali stranieri - portatori di gravissime patologie, quali l’HIV e l’ epatite virale B e C.

La vicenda processuale, dunque, inizia a Trento­­­­­­­­­­­­: gli indagati saranno rinviati a giudizio per avere immesso in commercio sacche di plasma e altri prodotti derivati dal sangue non sottoposti ai dovuti controlli e che risulteranno infettati da diverse specie di virus.

Nel 2003 - per impossibilità oggettiva di stabilire il luogo del primo decesso causato da trasfusioni di sangue infetto - gli atti verranno trasmessi al Tribunale di Napoli, cioè del luogo dell’ufficio del Pubblico Ministero che per primo aveva provveduto a iscrivere la notizia di reato nell’apposito registro.

L’imputazione formulata ab origine dalla Procura di Trento era quella di epidemia colposa; nel 2005 cade l’ipotesi accusatoria originaria, i cui reati di riferimento erano stati colti, nel frattempo, da prescrizione, per arrivare a formulare, all’esito di nuove indagini, la rinnovata imputazione di omicidio colposo plurimo da parte del Gup di Napoli.

In sostanza, agli imputati venivano contestati i mancati controlli sulle sacche di plasma da destinare alle trasfusioni e alla lavorazione industriale per ottenerne farmaci, pur essendo a conoscenza del rischio - i cui effetti dannosi risultavano peraltro già verificati in altri Paesi e noti in Italia - che il sangue usato e trattato potesse contenere agenti virali altamente pericolosi. Da qui, secondo l’accusa, sarebbero derivate gravi responsabilità a carico degli imputati in relazione alle migliaia di contagi avvenuti in Italia.

Intervenuta, come già accennato, la prescrizione per la gran parte dei casi, rimase la nuova ipotesi accusatoria di omicidio colposo plurimo, in riferimento, però, ad un numero molto limitato di decessi. 

Il processo si è concluso, dopo oltre vent’anni dall’inizio delle indagini, con l’assoluzione di tutti gli imputati. E’ stato lo stesso Pubblico Ministero a chiedere la loro assoluzione, sul rilievo che in dibattimento non era emersa la prova del nesso causale tra l’evento (il decesso delle persone contagiate) e la somministrazione di emoderivati. In altre parole, non si è ritenuta provata la circostanza che la morte dei soggetti contagiati fosse imputabile alle condotte degli imputati; assume rilievo ai fini dell’assoluzione, inoltre, sempre secondo l’accusa, il principio in base al quale non possono pagare solo alcune persone “per falle dell’intero sistema sanitario[iv].

Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 25 marzo 2019 (data dell’udienza) così assolve tutti gli imputati “perché il fatto non sussiste[v].

3. Tratti dell’evoluzione normativa in cui inquadrare i regimi di responsabilità per danni da trasfusioni di sangue ed emoderivati infetti.  

La disciplina giuridica in tema di ristoro dei danni alla salute subiti dalle vittime a causa di trasfusioni o assunzioni di emoderivati contaminati risulta complessa e presenta tratti di notevole problematicità

Infatti, la natura della responsabilità - che, di volta in volta, può assumere, come vedremo, profili differenziati - va inquadrata tenendo nella giusta considerazione molteplici varianti: in primis, occorre individuare il soggetto responsabile cui avanzare la richiesta di risarcimento (da individuare tra Ministero della salute, Aziende ospedaliere/Presidi sanitari, Azienda farmaceutica che ha fornito il plasma o prodotto gli emoderivati); occorre, poi, districarsi tra diversi regimi di prescrizione a seconda del rimedio che si pretenderà di invocare e agganciarne i relativi termini a parametri di natura sia penale che civile; occorrerà stabilire, infine, il ruolo e i caratteri del nesso eziologico intercorrente tra le trasfusione “incriminate” e l’insorgere della patologia.

La Legge n. 592 del 1967 attribuisce al Ministero della Sanità funzioni di direzione e vigilanza sulle attività di raccolta, conservazione e distribuzione di sangue e su quelle inerenti la preparazione e il commercio di emoderivati; essa affida al Ministero, inoltre, compiti attinenti all’organizzazione a al funzionamento dei Servizi trasfusionali e alla disciplina relativa alla lavorazione e all’impiego degli emoderivati. Tra i compiti in capo al Ministero, la legge individua, infine, quello di autorizzare l’istituzione dei Centri trasfusionali e l’attività di importazione ed esportazione del plasma.

La Legge n. 531 del 29 dicembre 1987 - di pari passo con la scoperta del virus dell’Aids e della presa d’atto, da parte della Comunità scientifica, della diffusione dei contagi che cominciarono da subito ad assumere contorni di preoccupante drammaticità - prevede l’obbligo, in capo alle strutture preposte, di eseguire i controlli necessari per “isolare” eventuali donatori con infezione e le sacche di plasma infettato dal virus appena scoperto.

Parimenti, una serie corposa di Circolari Miniseriali prescrivono, di volta in volta, verifiche periodiche, a carico dei servizi trasfusionali, su tutti i donatori e su ogni singola donazione di sangue, con conseguente sottoposizione a ulteriori e specifici controlli e accertamenti su donatori il cui sangue presenti valori non rientranti nella norma. La Circolare ministeriale n. 50 del 1966 è la prima di una lunga serie di circolari emanate all’uopo dal Ministero della Sanità e dirette anche a rideterminare i requisiti del sangue e degli emoderivati, nonché  l’idoneità dei donatori, sulla base delle indicazione fornite via via dalla ricerca medico-scientifica.

Intanto, sul fronte della azioni latu sansu riparatorio, veniva emanata la Legge 210 del 1992, che prevede uno speciale indennizzo[vi] a favore dei soggetti irreversibilmente danneggiati da trasfusioni e somministrazione di medicinali emoderivati infetti.

Bisognerà attendere la Legge 219 del 2005[vii] per assistere ad una regolamentazione più dettagliata relativa al sistema delle attività trasfusionali. Essa prevede, fra l’altro, organismi di coordinamento Stato/Regioni (quali la Consulta tecnica permanente per il sistema trasfusionale, il Centro Nazionale Sangue e le Strutture regionali di coordinamento per le attività trasfusionali) e detta precise linee guida per la qualità e sicurezza dei servizi trasfusionali.

Seguiranno i Decreti legislativi 207/2007 e 208/2007 (in recepimento delle Direttive europee 2005/61/CE e 2005/62/CE) e gli accordi Stato - Regioni del 16 dicembre 2010 e del 25 luglio 2012, attraverso i quali si individuano i requisiti di natura strutturale e tecnologica dei servizi trasfusionali e si prevede un sistema di autorizzazione e accreditamento regionale riferito a tali servizi, in un’ottica di riqualificazione complessiva dell’intero sistema trasfusionale e in funzione della qualità e sicurezza del sangue destinato a trasfusioni e di quello trattato per la produzione di farmaci emoderivati.

Il Decreto ministeriale del 2 novembre 2015[viii]aggiorna e revisiona i criteri e le modalità da seguire nelle diverse fasi del percorso trasfusionale, che va dalla selezione del donatore fino alla trasfusione, introducendo nuove misure sia per garantire la sicurezza degli emocomponenti prodotti, sia per incrementare il livello di sicurezza della trasfusione, con riferimento alla prevenzione delle reazioni da incompatibilità e per la sicurezza della trasfusione a letto del paziente”[ix].

Seguiranno un Decreto legislativo, un Decreto ministeriale  e altri due Accordi Stato-Regioni, rispettivamente emanati e conclusi nel 2018, tesi a disciplinare nel dettaglio e a ridefinire la materia che qui ci occupa alla luce dell’evoluzione scientifica e delle linee direttrici europee c.d. di “buona prassi” [x].

4. I rimedi riparatori attivabili dalle vittime e i percorsi giurisprudenziali in merito.

Prima di addentrarci nel vivo dell’ argomento, occorre preliminarmente osservare come sul tema sia più volte intervenuta la Suprema Corte, la cui copiosa giurisprudenza riveste un ruolo di fondamentale importanza per aver contribuito a far luce sui molti aspetti poco chiari e problematici dell’intero sistema rimediale (eventuale interconnessione tra i rimedi esperibili, individuazione del soggetto responsabile, controversi regimi inerenti la prescrizione delle azioni e il nesso causale).

L’indennizzo ex  Legge 210 del 1992 trova la sua giustificazione in ragioni di natura extragiuridica: si tratta, infatti, di un beneficio economico, quantificato ex ante in base a parametri definiti a priori dalla legge, concesso dallo Stato per ragioni di solidarietà sociale, e non anche a titolo di risarcimento per fatti che hanno determinato il sorgere di una responsabilità prevista e regolata dal Diritto.

La procedura di indennizzo, in sintesi, va attivata con una domanda da inoltrare all’Asl territorialmente competente, corredata dai certificati medici comprovanti lo stato patologico e la sua derivazione da trasfusioni o emoderivati infetti. La richiesta finirà al Ministero della salute che, effettuate le verifiche previste in ordine alla regolarità della stessa e alla presenza dei requisiti richiesti, provvederà ad erogare l’indennizzo in parola.

All’esito della procedura, se la vittima è ancora in vita riceverà, a titolo di indennizzo per la malattia contratta, un assegno bimestrale il cui importo è graduato in base alla gravità della patologia accertata e calcolato alla stregua di parametri previsti in apposite tabelle. In caso di decesso della vittima, invece, l’assegno spetterà agli eredi per un periodo della durata di 15 anni; qualora il decesso sia avvenuto prima del riconoscimento dell’indennizzo, o prima che ne sia fatta richiesta, agli eredi spetterà, una tantum, un assegno di importo fisso, quantificato in euro 77.000 circa.

Quanto al risarcimento dei danni patiti dai soggetti portatori di gravi patologie post trasfusionali o successive all’assunzioni di prodotti emoderivati contenenti agenti virali - o dai loro eredi in caso di decesso - occorre partire dalle necessarie considerazioni riguardo alla natura della responsabilità sottesa e all’individuazione dei soggetti cui riferirla.

La responsabilità per danni alla salute è, per consolidato orientamento giurisprudenziale, di natura extracontrattuale[xi].

La Suprema Corte, infatti, in una pronuncia delle SS.UU, ha stabilito che la responsabilità “per i danni conseguenti ad infezione da HIV ed apatite, contratti da soggetti emotrasfusi per omessa vigilanza da parte dell’Amministrazione sulla sostanza ematica e sugli emoderivati è inquadrabile nella violazione della clausola generale di cui all’art. 2043 del cod. civ.”.[xii]

Quanto al soggetto su cui grava tale responsabilità, abbiamo già visto come la Legge 592/67 attribuisca al Ministero della sanità (ora della salute) funzioni di vigilanza sulle attività di raccolta e distribuzione del sangue e su quelle inerenti la preparazione e il commercio di emoderivati[xiii]. La responsabilità in parola, dunque, è ascrivibile, in mancanza di indicazioni legislative che vadano in direzioni diverse, al Ministero della salute, come peraltro ribadito più volte dalla giurisprudenza.

Può incorrere, invece, come indicato della stessa Corte di cassazione, in una responsabilità di natura contrattualeimputabile anche alla struttura sanitaria, il medico che – in mancanza di una situazione di reale emergenza e senza informare adeguatamente il paziente del rischio obiettivo che tale pratica terapeutica presentava – abbia eseguito una trasfusione di sangue, non testato almeno per il virus dell’epatite B, a causa della quale il paziente abbia contratto il virus dell’AIDS” [xiv]. Nell’ordinanza in parola la Suprema Corte richiama esplicitamente, ad essa adeguandosi, una precedente pronuncia in cui essa stessa statuiva che il personale sanitario della struttura presso cui è effettuata la trasfusione deve “assumere la relativa decisione con attenzione e prudenza, scegliendo tra il fare ed il non fare in base all’esistenza o meno della necessità per le condizioni della paziente e non della mera opportunità discrezionale. Inoltre, e tanto più in mancanza di una situazione di stringente emergenza [ … ] sussisteva, già nel 1984, l’obbligo del medico di non effettuare trasfusioni non testate. Pertanto […] si configura grave inadempimento contrattuale del medico per condotta commissiva ed omissiva imputabile anche alla struttura sanitaria ai sensi dell’art. 1228, cod. civ.”. [xv]

Qualora non si possa lamentare, dunque, alcuna inadempienza a carico della struttura sanitaria, da ravvisare, secondo i dettami della giurisprudenza di legittimità, nella mancata prudenza del personale in situazioni di assenza di “stringente emergenza trasfusionale”, la responsabilità ex articolo 2043, cod. civ., è da ricondurre in via esclusiva al Ministero della salute.

La vittima, così, può agire in via amministrativa, ai sensi della legge 210 del 1992 per la richiesta di indennizzo, oppure adire il Giudice civile per ottenere il risarcimento dei danni ex art. 2043 del codice civile.

Bisogna a tal punto chiedersi quale sia il rapporto intercorrente tra le due azioni, se l’una escluda l’altra, o se l’intrapresa di una delle due nulla precluda ai fini dell’esperimento dell’altra.

Sulla questione, la Suprema Corte ha avuto modo di statuire che i due rimedi possono concorrere, e ciò sul rilievo che il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio ha natura diversa rispetto alla liquidazione indennitaria di cui alla Legge 210 del 1992. Si richiede, tuttavia, che tale concorso sottostia, come stabilito dalle Sezioni Unite della Cassazione, alla seguente condizione: le somme già eventualmente percepite a titolo di indennizzo andranno scomputate dalle somme liquidate o liquidabili a titolo di risarcimento del danno[xvi]Si configura, quindi, la possibilità di cumulo a livello formale, nel senso che si può attivare sia l’uno che l’altro rimedio, anche se, in concreto, si assisterà ad una sorta di compensazione tra somma ricevuta a titolo di indennizzo e l’ammontare dell’importo che si andrà a percepire, all’esito di un procedimento giurisdizionale, a titolo di risarcimento per danni.

5. Alcuni aspetti complessi e problematici: a. il regime di prescrizione dell’azione per il risarcimento del danno; b. il nesso causale tra condotta lesiva ed evento dannoso.

 a.  Il regime di prescrizione dell’azione di risarcimento del danno.

Ai fini dell’ottenimento del risarcimento ex art. 2043 del Codice civile, il termine di prescrizione è quinquennale, termine ordinario  previsto per la responsabilità di tipo extracontrattuale, nella cui categoria rientra, come visto, la responsabilità discendente da trasfusioni di sangue infetto o da somministrazione di farmaci emoderivati (“ […] la responsabilità del ministero della salute per i danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi è di natura extracontrattuale, né sono ipotizzabili, al riguardo, figure di reato tali da innalzare i termini di prescrizione (epidemie colpose o lesioni colpose plurime); ne consegue che il diritto al risarcimento nel danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma dell'art. 2935 c.c., e art. 2947 c.c., comma 1, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche, da ritenersi coincidente non con la comunicazione del responso della commissione medica ospedaliera di cui all'articolo quattro della L. 25 febbraio 1992, n. 210, ma con la proposizione della relativa domanda amministrativa, che attesta l'esistenza in capo all'interessato, di una sufficiente ed adeguata percezione della malattia”[xvii]).

La pretesa risarcitoria della vittima va azionata, dunque, entro cinque anni; quanto al momento in riferimento al quale individuare l’inizio del decorso del termine di prescrizione, i Giudici di legittimità hanno avuto modo di fissarlo nel momento il cui la malattia comincia ad essere percepita usando l’ordinaria diligenza, coincidente, nella fattispecie concreta esaminata nella sentenza appena riportata, nel momento in cui viene proposta la domanda di indennizzo. A nulla rileva, quindi, a tali fini, il giorno della trasfusione o della somministrazione dell’emoderivato.

Nel caso, invece, in cui il soggetto esperisca l’azione di risarcimento per responsabilità della struttura sanitaria o del medico che ha effettuato la trasfusione (responsabilità inquadrabile, come già visto, nella categoria contrattuale) i termini di prescrizioni saranno decennali. Quanto all’inizio del decorso di essi, in mancanza di riferimenti giurisprudenziali specifici al riguardo, deve ritenersi che il dies a quo vada individuato, per relationem, nello stesso momento da cui iniziano a decorrere i termini di prescrizione per la responsabilità extracontrattuale.

  b. Il nesso causale tra condotta illecita ed evento lesivo.

Quanto al nesso di causalità tra la condotta lesiva – nel nostro caso di natura omissiva e consistente, come già visto, nei mancati controlli e nella mancata vigilanza da parte del Ministero della salute - e il danno arrecato tramite emotrasfusioni o somministrazioni di emoderivati infetti, la Suprema Corte si è pronunciata nel senso della sussistenza del collegamento causale in parola, facendo peraltro leva su un ragionamento logico-deduttivo che pare abbastanza semplice, ma intriso, nelle parole degli Ermellini, di implicazioni teoriche di non molto agevole comprensione.

Appare opportuno, all’uopo, partire dalla già citata sentenza delle SS. UU del 2008[xviii], in cui i Giudici di legittimità, correggendo in parte l’indirizzo precedente[xix], rinvenivano “un unico evento lesivo, cioè la lesione dell’integrità fisica […] per cui unico è il nesso causale: trasfusione con sangue infetto – contagio infettivo – lesione dell’integrità”. Continua la Suprema Corte: “essendo questi i principi che regolano il procedimento logico-giuridico ai fini della ricostruzione del nesso causale, ciò che muta sostanzialmente tra il processo penale e quello civile è la regola probatoria, in quanto nel primo vige la regola della prova oltre il ragionevole dubbio, mentre nel secondo vige la regola della preponderanza del’evidenza o del più probabile che non”, rifacendosi, con un richiamo esplicito, anche all’indirizzo della Corte di giustizia CE, “indirizzata ad accettare che la causalità non possa che poggiarsi su logiche di tipo probabilistico”.

In sostanza, nella sentenza in parola, il nesso causale è fondato su principi quali quello del sufficientemente probabile o della probabilità come relazione logica, principi che si concretano nel seguente iter logico – deduttivo: “Premesso che sul Ministero gravava un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di impiego di sangue umano per uso terapeutico (emotrasfusioni o preparazioni di emoderivati) anche strumentali alle funzioni di programmazione e coordinamento in materia sanitaria, affinchè fosse utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli standars di esclusione di rischi, il Giudice, accertata l’omissione di tali attività, accertata, altresì, con riferimento all’epoca di produzione del preparato, la conoscenza oggettiva ai più alti livelli scientifici della possibile veicolazione di virus attraverso sangue infetto ed accertata – infine – l’esistenza di una patologia da virus HIV o HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell’insorgenza della malattia, e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito la versificazione dell’evento”[xx].

La giurisprudenza di legittimità successiva chiarisce che “il problema del nesso causale si risolve in quello della derivazione probabilistica dell’infezione dalla trasfusione operata nella struttura sanitaria”, rilevando a tali fini “il fatto dell’infezione e la sua riconducibilità sul piano eziologico alla trasfusione”[xxi].  O, più semplicemente, “ciò che rileva ai fini del giudizio sul nesso causale è l’evento obiettivo dell’infezione e la sua derivazione probabilistica dalla trasfusione”[xxii].

In realtà, il discorso relativo al nesso causale, contrariamente a quanto potrebbe apparire leggendo, di volta in volta,  le argomentazione dei Giudici della Suprema Corte nelle varie pronunce, sembrerebbe apparire, come già detto, abbastanza semplice. Segnatamente: mancato controllo (condotta di carattere omissivo); danno all’integrità fisica (evento lesivo, nella sua unicità); riconducibilità sul piano causale del danno alla condotta, e ciò sulla scorta di criteri probabilistici (la giurisprudenza di merito enuncia il criterio del più probabile che si, invece che no)[xxiii]; conseguente collegamento eziologico tra i due elementi;  responsabilità risarcitoria, infine, in capo al soggetto che ha posto in essere la condotta omissiva, ovvero a carico del Ministero della salute.

Note e riferimenti bibliografici

[i] Anche se risulta difficile reperire cifre univoche ed aggiornate, si riportano alcune fonti in base alle quali i morti a causa di infezioni da HIV ed epatite C contratte tramite trasfusioni infette sarebbero oltre 3.600 (LA STAMPA, ed. cartacea del 26 maggio 2013, pag. 53); per quel che riguarda il numero complessivo dei contagi, i casi sarebbero addirittura oltre 120.000, in risarcimentosalute.it.

[ii] Va precisato che ancora molti dei numerosi contenziosi risultano pendenti.

[iii]  Al proposito, il silenzio mediatico di oggi sulla vicenda fa da contraltare al grande clamore suscitato ai tempi in cui l’inchiesta nacque, tanto che in alcuni quotidiani e settimanali dell’epoca si gridò allo scandalo e si parlò di una vera e propria strage: “L’inchiesta era partita cinque anni fa e si riferisce all’infezione di centinaia di emofiliaci che negli anni tra il 1980 e il 1998 sono venuti a contatto con il virus dell’aids e delle epatiti, utilizzando farmaci indispensabili per la loro sopravvivenza. Una vera e propria strage per cui il Procuratore di Trento Francantonio Granero ha chiesto il rinvio a giudizio di 27 persone”, in La Repubblica.

[iv] Le conclusioni del P.M. sono tratte da Il Fatto Quotidiano, ed. online del 25 marzo 2019, Il Fatto Quotidiano.

[v] La Sentenza, ad oggi, non risulta ancora pubblicata. Per conoscere le motivazioni bisognerà quindi attendere; è possibile visualizzare il video della lettura del dispositivo, in Il Messaggero.

[vi] Occorre specificare che l’indennizzo spetta, in forza della legge in parola e delle successive modifiche e integrazioni di essa, solo a chi è portatore di malattie conclamate susseguenti al contagio e non anche ai “meri” contagiati tout court il cui decorso virale non sia sfociato in una condizione patologica vera e propria.

[vii] Si tratta della Legge 21 ottobre 2005, n. 219, “Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati". Detta legge, nell’ottica di garantire la qualità dei prodotti e dei servizi trasfusionali, “stabilisce che l’autosufficienza nazionale e regionale del sangue e dei suoi prodotti rappresenta un interesse nazionale sovraregionale e sovraziendale non frazionabile, a cui concorrono le Regioni e le Aziende sanitarie. L'autosufficienza è finalizzata a garantire a tutti i cittadini la disponibilità quantitativa e qualitativa dei prodotti e delle prestazioni trasfusionali necessari per la erogazione dei Livelli essenziali di assistenza. Si fonda sul principio etico della donazione volontaria, periodica, responsabile e non remunerata. Al raggiungimento di questo obiettivo partecipano le Associazioni e Federazioni di donatori volontari di sangue attraverso la promozione e lo sviluppo della donazione di sangue”, Ministero della salute, Quadro normativo, a cura della Direzione generale della prevenzione sanitaria, 22 marzo 2012, in Salute.gov, cui si rimanda anche per un exursus completo delle fonti normative e degli accordi Stato-Regioni in materia di trasfusioni di sangue e produzione di emoderivati dal 2005 ad oggi.

[viii] Decreto del Ministero della saluta 2 novembre 2015, "Disposizioni relative ai requisiti di qualità e sicurezza del sangue e degli emocomponenti", in Gazzetta uff. n. 300 del 28 dicembre 2015.

[ix] Donazioni sangue. Ecco il decreto con i requisiti di qualità e sicurezza, in Quotidiano Sanità, a cui si rimanda per una disamina completa del Decreto e relativi Allegati.

[x] “Le linee direttrici di buone prassi (GPGs), consentono l’attuazione delle norme e delle specifiche di cui all’allegato della direttiva 2005/62/CE. Sono il parametro per la verifica del livello di qualità che i servizi trasfusionali devono garantire nelle loro prestazioni, attraverso la fissazione di requisiti regolatori, determinati sulla base della valutazione del rischio, finalizzati all’implementazione dei sistemi di gestione delle risorse e dei  sistemi di convalida delle stesse attività gestionali”, Ministero della salute, Sicurezza e qualità trasfusionale a cura della Direzione generale della prevenzione sanitaria, 22 marzo 2012.

[xi] La responsabilità extracontrattuale è prevista dall’art. 2043 del codice civile: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

[xii] Cass., SS UU., Sent. n. 576 dell’11 gennaio 2008. Nella stessa pronuncia, la Suprema Corte ha esplicitamente escluso il configurarsi di una responsabilità discendente dall’articolo 2050, c. c.. L’orientamento delle Sezioni Unite sarà ripreso, più di recente, da Cass., Sez. III, Sent. n. 1355 del 23 gennaio 2014, in cui si ribadisce che “la responsabilità del Ministero della salute per i danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV, HCV contratti da soggetti emotrasfusi è di natura extracontrattuale” e dalla giurisprudenza di merito: Trib. di Roma, Sez. II, sentenza n. 19130 dell’11 ottobre 2017.

[xiii] Vedi retro, par. 3, “Tratti dell’evoluzione normativa e della disciplina vigente in cui inquadrare i regimi di responsabilità per danni da trasfusioni di sangue ed emoderivati infetti”.

[xiv] Cass., Sez. III, Ordinanza n. 1567 del 22 gennaio 2019.

[xv] Cass.,  Sez. III, Sent. n. 9315 del 20 aprile 2010.

[xvi] In tal senso, Cass., SS. UU., Sent. n. 12564 del 22 maggio 2018, in cui si giustifica la detraibilità in parola sull’argomento che “il risarcimento non deve impoverire il danneggiato, ma neppure arricchirlo, sicchè non può creare in favore di quest’ultimo una situazione migliore di quella in cui si sarebbe trovato se il fatto dannoso non fosse avvenuto, immettendo nel suo patrimonio un valore economico maggiore della differenza patrimoniale negativa indotta dall’illecito”. In senso conforme: Cass., Sez. III, Sent. n. 15537 del 13 giugno 2014.

Nel senso, invece, della non detraibilità dell’ammontare: Cass., Sez III, Sent. n. 3391 del 20 febbraio 2015; Cass., Sez. III, Sent. n. 20548 del 30 settembre 2014; Cass., Sez. III, Sent. n. 3357 dell’11 febbraio 2019.

[xvii] Cass., Sez. III, Sent. n. 4029 del 20 febbraio 2018. In senso conforme: Cass., Sez. III, Sent. n. 6213 del 31 marzo 2016; Cass., Sez. III, Sent. n. 28464 del 19 dicembre 2016; Cass., Sez. III, Ordinanza del 16 febbraio 2017.

[xviii] Cass., SS. UU., Sent. n. 576 dell’11 gennaio 2008, in cui si richiamano concetti quali standard di certezza probabilistica, probabilità logica o baconiana, c.d. evidence and inference nei sistemi anglosassoni.

[xix] Cass., Sez. III,  Sent. n. 11609 del 31 maggio 2005, in cui, pur riconoscendosi la responsabilità del Ministero per condotta omissiva, ovvero per “inadeguatezza colposa dei doveri istituzionali di sorveglianza, di direttive e di autorizzazione in materia di produzione e commercializzazione del sangue umano ed emoderivati”, la si escludeva, d’altro canto, relativamente ai contagi avvenuti prima del 1978, quando, cioè, i virus dell’HIV e dell’epatite C, e le rispettive analisi volte alla loro identificazione non erano ancora conosciuti dalla scienza medica.

[xx] Ancora in Cass., SS. UU, Sent. n. 56 dell’11 gennaio 2008.

[xxi] Cass., Sez. III, Sent. n. 17084 del’11 luglio 2017.

[xxii] Cass., Sez. III, Sent. n. 2337 del 31 gennaio 2018

[xxiii] Corte d’Appello di Catania, Sez. I, Sent. del 20 marzo 2018, in cui la Corte territoriale afferma che “è decisamente quasi certo e comunque più probabile che si, invece che no, che […] abbia contratto l’infezione oggetto del contendere a seguito di una delle emotrasfusione alle quali si è sottoposta nel 1976, quando erano disponibili gli accertamenti sierologici sul virus HCV, ma lo Stato non aveva ancora dettato i protocolli per l’accertamento dell’idoneità dei donatori di sangue ed emoderivati per garantire i riceventi […] considerato peraltro che non risulta che la donna fosse soggetto a rischio tossicodipendenza o altro”.