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Pubbl. Mar, 20 Ago 2019

Le servitù prediali: una soluzione per la traccia di civile del concorso magistratura 2019

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Ilaria Taccola
AvvocatoUniversità di Pisa


Uno dei possibili svolgimenti della traccia: ”Modi di acquisto delle servitù prediali. Tratti in particolare il candidato della servitù di mantenere una costruzione a distanza illegale da altra costruzione o dal confine e della configurabilità della medesima servitù in caso di immobile costruito abusivamente”


Le servitù prediali sono definite dall’art. 1027 c.c. come il peso imposto a un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a un diverso proprietario.

Trattasi di un diritto reale di godimento su cosa altrui caratterizzato, come tutti i diritti reali, dall’immediatezza, dall’assolutezza e dall’inerenza. Come è noto, i diritti reali conferiscono un potere immediato e assoluto sulla cosa. Si distinguono in diritti reali di godimento e diritti reali di garanzia. Più precisamente, i diritti reali di godimento si suddividono a loro volta in proprietà e diritti reali su cosa altrui (ius in re aliena).

Per quanto riguarda i caratteri tipici dei diritti reali, l’immediatezza designa il potere del titolare del diritto di utilizzo e godimento della cosa senza l’intermediazione altrui. L’assolutezza esprime il potere di tutelare il proprio diritto reale nei confronti di chiunque lo contesti. Infine, l’inerenza indica l’opponibilità del vincolo a chiunque vanti un diritto sulla cosa.

Dalla definizione data dal codice, si deduce innanzitutto che la caratteristica principale delle servitù prediali è la presenza di un vincolo gravante su un fondo che può avere fonte legale, negoziale o giudiziale. Invero, il fondamento di questo vincolo è l’attribuzione di un’utilità a favore del fondo dominante, appartenente a un diverso proprietario, a carico del fondo servente.

In particolare, le servitù prediali hanno ad oggetto esclusivamente beni immobili e tale caratteristica si evince dal termine “prediale”. Infatti, il significato della locuzione prediale rimanda a terreni o fondi rustici. Inoltre, come è stato precedentemente osservato, la peculiarità di questo diritto reale minore consiste nel vincolo inerente due immobili, ossia il fondo servente gravato dal vincolo e il fondo dominante che riceve un’utilità. In generale, i due fondi sono vicini o contigui, ma tale requisito non è necessario ai fini della validità della servitù[1]. Infatti, il legislatore non indica la contiguità come requisito essenziale per la costituzione della servitù e, pertanto, è sufficiente che i due fondi siano vicini, ma non contigui.

In particolare, l’opinione è oramai unanime nel considerare valide le servitù reciproche, ossia quando un medesimo fondo è allo stesso tempo servente e dominante. Tuttavia, le servitù seppure reciproche devono essere distinte. In altri termini, ciascun fondo dovrà considerarsi servente o dominante in relazione a una specifica servitù esattamente delineata.

In merito all’utilità, si ritiene che questa consista nel vantaggio concreto, socialmente apprezzabile, che il fondo dominante riceve dal fondo servente. Inoltre, l’art. 1028 c.c. prevede che tale utilità possa derivare anche dalla maggiore comodità o amenità del fondo dominante. L’utilità deve essere valutata in senso oggettivo e non soggettivo, nel senso che il vantaggio deve andare a beneficio di qualunque soggetto abbia la proprietà del fondo e non di un singolo proprietario.[2]

A tale riguardo si deve rilevare che il titolare del fondo dominante riceve questa utilità, ma quest’ultima è a vantaggio del fondo e non della persona.

Invero, si ritengono inammissibili le cosiddette servitù irregolari[3], ossia quelle a favore non di un determinato fondo, ma di una persona. Tali servitù sono considerate nulle poiché contrarie al principio del numero chiuso dei diritti reali. Di conseguenza, le utilità costituite a favore di una persona possono essere costituite tramite la stipula di rapporti obbligatori.

In merito, al numero chiuso dei diritti reali si deve fare una precisazione importante. Come è noto, il principio del numero chiuso indica la tipicità legale dei diritti reali, ossia che all’autonomia privata non è concesso creare ulteriori diritti reali.

Tuttavia, si ritiene di dover distinguere la tipicità dal principio del numero chiuso, poiché quest’ultimo atterrebbe alla fonte che deve essere esclusivamente quella legale, al contrario la tipicità atterrebbe alla determinazione del contenuto del diritto.

Infatti, seguendo questa distinzione si ritiene ammissibile la costituzione di servitù atipiche in relazione al contenuto, ma non in riferimento alla struttura che deve essere quella tipizzata dal legislatore. Inoltre, si ammette la costituzione di servitù atipiche solo per quanto riguarda le servitù volontarie e non per quelle coattive, ossia quelle imposte per legge[4].

In aggiunta a ciò, si deve anche ricordare che i privati, nella costituzione di servitù atipiche, devono osservare il divieto ex art. 1030 c.c. di imporre prestazioni di alcun tipo al proprietario del fondo servente per rendere accessibile l’esercizio della servitù. Invero, il contenuto della servitù dal lato passivo non può consistere in un facere, ma solo nel tollerare o nell’astenersi dal fare.

Infatti, dal disposto dell’art. 1030 c.c. si deduce al contrario che al proprietario del fondo servente possano essere imposte solamente prestazioni di carattere accessorio, ossia quegli obblighi strumentali alla conservazione del fondo. Tali obblighi possono essere previsti dalla legge o dal titolo, configurano delle obbligazioni propter rem e ne è vietato l'acquisto per usucapione.

Ebbene, le obbligazioni assunte dal proprietario del fondo servente sono funzionali all’esercizio della servitù prediale e di conseguenza, essendo obblighi collegati al fondo, per liberarsene il titolare deve cederne la proprietà ad altri.

In merito al contenuto, si deve distinguere tra servitù apparenti e non apparenti. Infatti, le servitù apparenti sono quelle che consistono in opere visibili, viceversa quelle non apparenti non necessitano di opere visibili per il loro esercizio. Inoltre, un’ulteriore differenza è quella tra servitù continue e discontinue. Per l’esercizio delle servitù continue non è necessario l’opera umana, al contrario di quelle discontinue. A titolo esemplificativo, si può richiamare la servitù di presa d’acqua che necessita dei prelievi da parte dell’uomo. Infine, un’altra classificazione è quella tra servitù attive e negative. Infatti, quelle negative realizzano il vantaggio a favore del fondo dominante mediante l’imposizione di non facere al proprietario del fondo servente.

Tali classificazioni sono rilevanti ai fini dei modi di acquisto delle servitù prediali.

Per quanto riguarda il trasferimento delle servitù, si deve evidenziare che quest’ultime non possono essere cedute autonomamente, poiché si trasferiscono in maniera automatica con la cessione del fondo dominante. Infatti, tale incedibilità si argomenta con riferimento all’inerenza del vantaggio al fondo dominante.

In particolare, come è noto in base al principio di ambulatorietà delle servitù, l’alienazione del fondo dominante comporta anche il trasferimento della servitù anche se in merito a tale diritto reale nulla è stato previsto nel titolo di acquisto. Lo stesso principio si applica anche nel trasferimento del fondo servente, dove l’acquirente acquista oltre alla proprietà del fondo anche la titolarità passiva della servitù.

Venendo ai modi di acquisto delle servitù prediali, in base all’art. 1031 c.c. le servitù possono essere costituite coattivamente o volontariamente, oppure per usucapione o per destinazione del padre di famiglia.

Invero, le servitù coattive sono quelle che derivano da un atto autoritario, ossia un atto amministrativo o una sentenza. Al contrario, quelle volontarie sono quelle che originano da un regolamento negoziale o da un fatto idoneo a produrle. Infatti, i modi di costituzione per usucapione e per destinazione del buon padre di famiglia non rappresentano una categoria distinta, ma rientrano nella categoria delle servitù volontarie.

In merito alle servitù coattive, si deve ricordare che la loro coattività non deriva dall’atto di costituzione (atto amministrativo o sentenza), ma dalla legge che ne impone la costituzione. Infatti, le servitù coattive sono inderogabili dall’autonomia privata e, il venir meno dei presupposti previsti dalla legge, ne determina l’estinzione.

Pertanto, nel caso delle servitù coattive il proprietario del fondo dominante può imporre la costituzione della servitù al proprietario del fondo servente che ha diritto a un’indennità. Tale indennità non costituisce però un corrispettivo e di conseguenza non sono azionabili i rimedi contro l’inadempimento previsti nei contratti sinallagmatici[5]. Più precisamente, parte della dottrina ritiene che l’indennità avrebbe natura di corrispettivo e di conseguenza si configurerebbe un contratto sinallagmatico. Tuttavia, la dottrina maggioritaria[6], concorda nel considerare che tale indennità avrebbe al contrario natura risarcitoria e non di corrispettivo, di conseguenza non sono azionabili i rimedi previsti per i contratti sinallagmatici.

Inoltre, nel caso in cui il proprietario del fondo servente non voglia costituire la servitù, il proprietario del fondo dominante può adire il giudice per ottenere la costituzione coattiva della servitù mediante sentenza. Infatti, la sentenza - di natura costitutiva - è chiamata a stabilire il contenuto, la modalità di esercizio e l’indennità spettante al proprietario del fondo servente. Inoltre, si deve precisare che tale azione può essere esperita anche dall’usufruttuario, l’enfiteuta e il superficiario.

In merito alla costituzione delle servitù coattive mediante usucapione, la dottrina contraria[7] ritiene che l’acquisizione mediante usucapione comporti la realizzazione di una servitù che non trova fondamento in un potere autoritativo o in un dovere imposto per legge. Tale assunto è stato avvalorato dalla giurisprudenza[8] che ha sostenuto che dall’usucapione deriverebbe la natura volontaria della servitù. Diversamente, in base al disposto dell’art. 1058 c.c. le servitù volontarie possono essere costituite per contratto o per testamento.

In particolare, per quanto riguarda la costituzione delle servitù volontarie, esse possono configurarsi mediante un contratto consensuale ad effetti reali ex art. 1376 c.c., oppure mediante l’inserimento di una clausola in un differente regolamento negoziale.

Tuttavia, la costituzione delle servitù volontarie per testamento è controversa in dottrina. Un autorevole orientamento[9] sostiene che si possano costituire le servitù volontarie con atto unilaterale unicamente mortis causa e non mediante atto unilaterale inter vivos. Tale assunto sarebbe avvalorato dall’art. 1988 c.c. secondo cui il riconoscimento della promessa opererebbe solamente per i rapporti obbligatori. Più precisamente, l’opinione che ritiene ammissibile la configurazione delle servitù mediante negozio testamentario ritiene che il testatore possa costituire, mediante disposizione testamentaria, un legato di servitù. Infatti, il legato sarebbe l’unica disposizione testamentaria che potrebbe avere un contenuto atipico. Inoltre, tale legato di servitù sarebbe sia reale che obbligatorio.

Le servitù volontarie possono nascere anche da fatti idonei a costituirle in conformità della legge. Infatti, possono essere costituite mediante usucapione destinazione del padre di famiglia.

In merito alla destinazione del buon padre di famiglia, si ricava dalla normativa del Codice civile che occorre innanzitutto che i fondi siano stati di proprietà dello stesso soggetto e che successivamente siano stati alienati o divisi dall’unico proprietario che non ha compiuto atti dispostivi nei confronti della servitù prediale.

La particolarità di tale modo di acquisto della servitù consiste nel fatto che deriva direttamente dalla legge, poiché a nulla rileva la volontà o meno dell’originario proprietario.

Pertanto, ciò che rileva è l’originaria appartenenza del fondo a un unico proprietario, la sussistenza di opere visibili che determinino la costituzione della servitù, la successiva alienazione o divisione ad altri soggetti con contestuale assenza di atti dispositivi volti a rimuovere la servitù.

In particolare, è necessario che sussista la destinazione di un fondo al vantaggio dell’altro da parte dell’originario proprietario. Trattasi, infatti, di un atto giuridico in senso stretto che richiede la creazione di opere visibili tali da far rilevare la presenza di una servitù.

Infatti, le servitù non apparenti non possono essere acquisite mediante usucapione o destinazione del buon padre di famiglia.

In merito all’usucapione, si deve innanzitutto rilevare che si tratta di un modo di acquisto a titolo originario della proprietà che richiede per il suo perfezionamento il possesso non violento né clandestino del bene protratto per venti anni. Inoltre, nel caso in cui la servitù venga concessa da chi non è proprietario del fondo, è richiesto per l’usucapione decennale oltre al possesso del bene per dieci anni anche la buona fede e la trascrizione del titolo astrattamente idoneo.

Come è stato precedentemente precisato, possono essere acquisite per usucapione le servitù apparenti e oltre alle servitù continue anche le servitù discontinue purché apparenti.

Tuttavia, si deve precisare che per le servitù discontinue è necessario che il soggetto realizzi l’attività necessaria, viceversa per le servitù continue è sufficiente il mantenimento delle opere.

Più precisamente, oltre alla sussistenza delle opere visibili e permanenti è necessario che si realizzi un’attività corrispondente al contenuto della servitù per potersi compiere l’acquisto mediante l’usucapione. Inoltre, la relativa prova sull’esercizio dell’attività corrispondente spetta a chi fa valere in giudizio l’usucapione.

Prima di analizzare la servitù di mantenere una costruzione a distanza illegale da altra costruzione, è necessaria una breve premessa sulla normativa delle distanze tra costruzioni.

Infatti, l’art. 873 c.c. prevede la distanza minima di tre metri tra le costruzioni che non siano unite o aderenti, facendo salva la possibilità per i regolamenti locali di stabilire una distanza maggiore.

In particolare, al proprietario che costruisce per primo viene attribuito, in base al principio di prevenzione, il diritto potestativo di natura reale di scegliere se costruire sul confine o di distaccarsi dal confine osservando la metà della distanza minima tra le costruzioni oppure di distaccarsi dal confine a meno della metà della distanza minima.

Se il primo proprietario costruisce sul confine, il secondo proprietario può scegliere alternativamente se rispettare la distanza minima oppure costruire in aderenza o in appoggio al muro di confine. Se il secondo proprietario costruisce in appoggio al muro di confine, è necessario operare la comunione forzosa del muro. Al contrario, se il primo proprietario opta per la scelta di distaccarsi dal confine nella misura della metà della distanza minima, il secondo proprietario deve solamente rispettare la distanza minima. Infine, nell’ipotesi in cui il primo proprietario costruisca alla distanza dal confine inferiore alla metà, il secondo proprietario può scegliere se rispettare la distanza minima tra le costruzioni oppure costruire in aderenza o in appoggio al muro. Se il secondo proprietario opta per costruire in appoggio al muro di confine, dovrà chiedere la comunione forzosa del muro di confine e corrispondere la metà del valore del muro di confine e del suolo occupato.

Si discute sulla natura della norma ex art. 873 c.c., secondo una parte della dottrina[10] quest’ultima avrebbe natura imperativa e quindi inderogabile dai privati, come del resto anche i regolamenti locali sulle distanze e la normativa edilizia.

Pertanto, i privati non potrebbero derogare alla normativa sulle distanze costituendo delle servitù volontarie e, inoltre, sarebbe anche inammissibile l’acquisto mediante usucapione.

Un’ulteriore interpretazione, viceversa, ha ritenuto di operare una distinzione tra regolamenti pubblicistici inderogabili e normativa privatistica derogabile. Pertanto, alle parti sarebbe consentito derogare il limite della distanza prevista dalla disciplina civilistica, ma tale deroga non sarebbe consentita per quanto riguarda i regolamenti urbanistici.

Tali interpretazioni però non sono state avvalorate dalla giurisprudenza prevalente[11] che ha ritenuto al contrario che la costituzione della servitù di mantenere una costruzione a distanza illegale sia pienamente legittima.

Infatti, innanzitutto si è sostenuto che il rinvio contenuto nell’art. 873 c.c. ai regolamenti comporti una sorta di privatizzazione della disciplina pubblicistica. In altri termini, con tale rinvio la disciplina pubblicistica assume il rango di norma integrativa del Codice civile e di conseguenza sarebbe derogabile dai privati.

In aggiunta a ciò, si è precisato che anche ritenendo inderogabile la normativa pubblicistica, sarebbe ugualmente possibile la costituzione della servitù di mantenere una costruzione a distanza illegale mediante usucapione. Invero, si ritiene che l’usucapibilità del diritto non corrisponda a una deroga pattizia della disciplina, ma a un’esigenza di stabilità dei diritti nel corso nel tempo. Se non si ammettesse l’usucapione del diritto in questione, si assisterebbe a una instabilità dei rapporti giuridici, poiché il proprietario confinante potrebbe agire in giudizio senza limiti di tempo per far valere la violazione delle distanze.

Per quanto riguarda invece la configurazione della servitù di mantenere una costruzione a distanza illegale anche nel caso in cui si tratti di un immobile abusivo, la giurisprudenza prevalente[12] ritiene ammissibile la costituzione di tale diritto reale, poiché non vi sarebbe un’interferenza tra il diritto privato e il diritto amministrativo. Infatti, la pubblica amministrazione manterrebbe i suoi poteri di autotutela decisoria ex art. 21 nonies L. 241/90 per imporre la demolizione della costruzione abusiva o la rimessione in pristino per l’ipotesi della violazione delle norme sulle distanze a prescindere dalla disciplina privatistica e lo stesso si può dire per quanto riguarda l’effetto dell’usucapione.

Invero, si ricorda che la Pubblica Amministrazione può adottare un provvedimento di demolizione su immobili abusivi anche tardivamente, poiché l’immobile privo di un titolo legittimo non è in grado di generare in capo al proprietario un legittimo affidamento e di conseguenza sarà sufficiente una motivazione basata sul ripristino della legalità[13]. Infatti, si deve evidenziare che il superamento dei diciotto mesi al fine dell’esperimento dei poteri di autotutela ex art. 21 nonies L. 241/90, ossia l’annullamento di ufficio, è consentito sia nel caso in cui l’attestazione sia frutto di una condotta falsificatoria penalmente rilevante e sia nell’ipotesi in cui l’insussistenza dei presupposti richiesti risulti imputabile esclusivamente al dolo o alla colpa grave del privato e non all’Amministrazione.

In aggiunta a ciò, si deve ricordare per avvalorare l’autonomia della disciplina privatistica rispetto a quella pubblicistica, il recente orientamento sulla nullità dei trasferimenti di immobili abusivi.

Infatti, le Sezioni Unite[14] hanno recentemente statuito che la nullità prevista dagli artt. 17 e 40 L. n. 47/1985 e, attualmente, all’art. 46 D.P.R. n. 380/2001, sia da qualificarsi come testuale ex art. 1418, terzo comma c.c., e non come una nullità di tipo sostanziale.

In breve, il dibattito in merito al trasferimento degli immobili abusivi concerneva la qualificazione della nullità prevista ex artt. 17 e 40, L. n. 47/1985. La norma citata prevedeva la nullità del trasferimento immobiliare in mancanza dell’indicazione degli estremi del permesso di costruire oppure degli estremi del permesso di sanatoria (oggi inserita nell'art. 46 D.P.R. n. 380/2001).

Un particolare orientamento giurisprudenziale riteneva che si trattasse di una nullità di tipo formale, cosicché la mancata dichiarazione del permesso di costruire comportava la nullità ex art. 1418 c.c. rilevabile di ufficio; viceversa la sussistenza di tale permesso non consentiva un’indagine sulla conformità dell’immobile alla disciplina pubblicistica.

Al contrario secondo la tesi sostanzialistica, la sussistenza degli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria non impedirebbe un giudizio di conformità in merito alla disciplina pubblicistica, pertanto si tratterebbe di una nullità sostanziale che determinerebbe l’incommerciabilità del bene a prescindere dalla sussistenza della dichiarazione. Per tali motivi, l’immobile non conforme alla disciplina urbanistica e quindi abusivo, sarebbe res extra commercium.

Le Sezioni Unite hanno recentemente risolto il contrasto optando per la nullità testuale, ritenendo in primo luogo che l’interpretazione della nullità sostanziale andasse contro l’interpretazione letterale della normativa, in palese contrasto con l’art. 12 preleggi comma primo che prevede innanzitutto un’interpretazione secondo il significato proprio dei termini utilizzati dal legislatore. In secondo luogo, si sostiene che la nullità in questione sia stata prevista unicamente per una tipologia di atti inter vivos.

Pertanto, ne restano esclusi gli atti mortis causa, gli atti a effetti obbligatori, i diritti reali di garanzia, le servitù e gli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali. Di conseguenza, la nullità non può essere sussunta nell’ambito dell’art. 1418, primo comma c.c., ossia la nullità virtuale, non essendoci una norma imperativa che sanzioni la commerciabilità degli immobili. Al contrario, tale norma prevede una nullità testuale che sanziona esclusivamente la mancanza della dichiarazione degli estremi del permesso di costruire o del permesso di sanatoria in una tipologia di atti, ossia gli atti inter vivos a effetto reali.

In tale pronuncia, rilevante ai fini della presente trattazione, la Cassazione rileva senza alcun dubbio che gli immobili abusivi, essendo trasferibili mortis causa, oltre che costitutivi di diritti reali di garanzia e di servitù e idonei a essere oggetto di contratti a effetti obbligatori come la locazione, non possono integrare le varie ipotesi di illiceità del contratto, come la contrarietà a norme imperative o al buon costume. Infatti, si deve evidenziare che l’oggetto della compravendita è il trasferimento della proprietà e la conformità della res alla disciplina urbanistica è estranea alla causa del contratto di compravendita.

Pertanto, anche in questa pronuncia si ribadisce la differenza tra il rimedio civilistico della nullità che come è stato sottolineato, attiene unicamente a una tipologia di atti e il rimedio pubblicistico della demolizione ex art. 31, commi secondo e terzo D.P.R. 380/2001 nei confronti sia del costruttore che del proprietario in caso di interventi edilizi eseguiti in assenza di permesso o in totale difformità da quest’ultimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell'articolo 32.

Invero, la giurisprudenza amministrativa ha ribadito più volte che la sanzione prevista all’art. 31, commi secondo e terzo, D.P.R. 380/2001 ha natura reale e non incontra limiti per il decorso del tempo. Infatti, l'abuso configurerebbe un illecito permanente e l'eventuale inerzia dell'Amministrazione non sarebbe idonea a sanarlo o a ingenerare un legittimo affidamento in capo al privato o a privarla del potere di adottare il suddetto ordine di demolizione. Pertanto, si ribadisce l’autonomia dei rimedi delineati e la non interferenza tra la disciplina privatistica e quella pubblicistica.

Infine, si deve evidenziare che la domanda volta all’accertamento della violazione delle distanze legali e di riduzione in pristino ex art. 872, secondo comma c.c. può essere oggetto di trascrizione. Infatti, la giurisprudenza[15] ha ritenuto equiparabile l’azione ex art. 872, secondo comma, c.c. all’azione negatoria ex art. 949 c.c. poiché, in altri termini, nel caso in cui il proprietario faccia valere la violazione delle distanze legali, persegue il fine di far dichiarare l’inesistenza di un diritto reale minore, ossia una servitù, per impedire il decorso del tempo per far valere l’usucapione e di conseguenza si sta facendo valere l’azione negatoria di servitù.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Vedi ad esempio Cass. 5 febbraio 1983 n. 96 “L’elemento della contiguità o vicinanza dei fondi, non stabilito espressamente in nessuna norma come requisito essenziale della servitù prediale, è un elemento di fatto più che di diritto, discendente dall’intima essenza della servitù, ossia dal criterio dell’uso dell’utilità: esso non ha valore assoluto, né va inteso nel senso empirico di materiale contatto o aderenza immediata, ma nel senso di un rapporto tra due fondi che si trovino in tale reciproca situazione da rendere possibile la sussistenza di una relazione di servizio tra i medesimi. Pertanto, la circostanza che tra due fondi si trovi una striscia di terreno appartenente a un terzo non esclude affatto la possibilità che tra gli stesi nasca e si eserciti una servitù di passaggio, ove si accerti che detta striscia non è mai stata di concreto ostacolo all’esercizio del passaggio”

[2] Gazzoni, Manuale di Diritto Privato Edizioni Scientifiche Italiane 2017

[3] Vedi ad esempio Cass. 11 gennaio 1999 n. 190 “Il nostro sistema giuridico non prevede la facoltà, per i privati, di costituire servitù meramente personali (cosiddette servitù irregolari), intese come limitazioni del diritto di proprietà gravanti su di un fondo a vantaggio non del fondo finitimo, bensì del singolo proprietario di quest’ultimo, sì che siffatta convenzione negoziale, del tutto inidonea alla costituzione del diritto limitato di servitù, va inquadrata nell’ambito del diritto d’uso, ovvero nello schema del contratto di locazione o dei contratti affini, quali l’affitto o il comodato. In entrambi i casi, il diritto trasferito, attesane la natura personale e il carattere obbligatorio, non può ritenersi ipso facto trasmissibile, in assenza di un’ulteriore apposita convenzione stipulata dall’avente diritto con il nuovo proprietario del bene asservito” CONF. Cass. 20 novembre 2002, n. 16342

[4] Vedi Cass. 25 gennaio 1992 n. 820 “A differenza delle servitù volontarie che possono avere ad oggetto una qualsiasi utilitas, purché ricavata da un fondo a vantaggio di un altro fondo apparentemente a diverso proprietario, le servitù prediali coattive formano un numerus clausus, sono cioè atipiche, avendo ciascuna il contenuto predeterminato dalla legge, sicché non sono ammissibili altri tipi la di fuori di quelli espressamente previsti da una specifica norma per il soddisfacimento di necessità ritenute meritevoli di tutela.”

[5] Bianca, La proprietà Giuffrè 1999, Ristampa 2014

[6] Vedi ad esempio Bianca, La proprietà Giuffrè 1999, Ristampa 2014

[7] Bianca, La proprietà Giuffrè 1999, Ristampa 2014

[8] Vedi ad esempio Cass. 28 aprile 1994 n. 4036 “La servitù di passaggio costituita per usucapione ha natura di servitù volontaria, sicché è irrilevante l’assenza dei presupposti della costituzione e del mantenimento in vita della servitù di passaggio coattivo, non essendo applicabile la normativa riguardante detto istituto, quale risultante dagli artt. 1051, 1052 e 1055 c.c., alla servitù volontaria di passaggio.”

[9] Gazzoni, Manuale di diritto privato 2017 Edizioni scientifiche italiane

[10] Vedi Bianca, La Proprietà Giuffrè 1999, ristampa 2014

[11] Cass. 22 febbraio 2010 n. 4240 “In materia di violazioni delle distanze legali tra proprietà confinanti, deve ritenersi ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore di quella fissata dalle norme del codice civile o da quelle dei regolamenti e degli strumenti urbanistici locali” CONF. Cass. 8 settembre 2014, n. 18888

[12] Cass. Sez. II, 18 febbraio 2013 n. 3979 “è ammissibile l'acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell'ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso ad usucapionem”

[13] Ad. Plenaria 9/17

[14] SS.UU.,  22 marzo 2019 n. 8230“La nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, e dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, va ricondotta nell'ambito dell'art. 1418 c.c., comma 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità "testuale", con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un'unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell'immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell'immobile." "In presenza nell'atto della dichiarazione dell'alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all'immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato.”

[15] Sez. Un. 12 giugno 2006, n.13523