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Pubbl. Gio, 4 Lug 2019

Il Tribunale di Genova sulla commercializzazione della cannabis light

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Editoriale a cura di


In attesa delle motivazioni delle Sezioni Unite, il Tribunale di Genova afferma che in merito alla commercializzazione della cannabis sativa L., resta da delineare a quale percentuale di principio attivo THC si debba presumere che la sostanza sia munita di efficacia psicotropa.


Le Sezioni Unite con l’ordinanza Sez. IV, 8 febbraio 2019 n. 8654, sono state investite della questione in merito alla liceità della vendita a dettaglio della cannabis light a seguito di un contrasto.

In breve, la Legge n. 242/2016 ha disciplinato la coltivazione della canapa, ma non ha previsto nulla in merito alla commercializzazione dei prodotti derivati da essa. Infatti, la suddetta legge del 2016 ha previsto che alcune tipologie di piante siano sottratte alla disciplina in materia di stupefacenti D.P.R. 309/90 e pertanto possano essere coltivate senza autorizzazione se contengono un principio attivo di THC inferiore a 0.6%.

Il dibattito, infatti, attiene alla commercializzazione dei prodotti derivati dalla coltivazione della canapa, come ad esempio generi alimentari, prodotti cosmetici e il fumo. Secondo un’interpretazione restrittiva, i prodotti derivati dalla coltivazione della canapa dovrebbero essere ricompresi e quindi sanzionati ai sensi del Testo unico in materia di stupefacenti D.P.R. 309/90, poiché la normativa del 2016 non prevede niente in merito alla commercializzazione dei derivati.

Viceversa, secondo la tesi favorevole, la legge del 2016 non prevede niente in merito alla commercializzazione perché sarebbe proprio nella finalità della normativa che i prodotti derivati siano commercializzati, essendo infatti una disciplina rivolta alle aziende di trasformazione.

Alla luce di tale contrasto,  è stata rimessa la seguente questione “Se le condotte diverse dalla coltivazione di canapa delle varietà di cui al catalogo indicato nell'art. 1, comma 2, della legge 2 dicembre 2016, n. 242, e, in particolare, la commercializzazione di cannabis sativa L., rientrino o meno, e se sì, in quali eventuali limiti, nell'ambito di applicabilità della predetta legge e siano, pertanto, penalmente irrilevanti ai sensi di tale normativa” pubblichiamo un breve commento alla recente ordinanza del Tribunale di Genova 21 giugno 2019.

Tuttavia, in base all’informazione provvisoria delle Sezioni Unite si ritiene illecita la commercializzazione di cannabis light poiché non rientrante nell’ambito delle coltivazioni contemplate dalla legge n. 242/2016. Infatti, si legge che “La commercializzazione di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell'ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell'art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, e che elenca tassativamente i derivati della predetta coltivazione che possono essere commercializzati; pertanto, integrano il reato di cui all'art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/90, le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”. 

In attesa delle motivazioni, segnaliamo l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Genova 21 giugno 2019 che ha annullato il sequestro di prodotti di cannabis light, in particolare delle buste contenenti infiorescenze o hashish, delle confezioni di tisana e di foglie e dei flaconcini di olio, in un esercizio commerciale in Rapallo per l’omessa o carente motivazione del decreto di sequestro probatorio che, infatti, è necessaria anche quando il detto sequestro abbia ad oggetto il corpo del reato.

In particolare, nella motivazione si legge che in base all’informativa delle Sezioni Unite è scriminata la commercializzazione dei prodotti di cannabis light privi di capacità drogante, ma per l’appunto secondo il Tribunale del Riesame è carente il parametro in base al quale si possa qualificare una sostanza con capacità drogante o meno.

Infatti, si legge che “i vari limiti percentuali di principio attivo ipotizzati e utilizzati in materia ai più vari fini, quello dello 0,2% riguarda la fruibilità degli aiuti comunitari, quello dello 0.6% fa riferimento a un margine di errore nella semina di piante autorizzate che comporta la revoca di un finanziamento comunitario, ma esclude l’applicabilità della sanzione penale. Entrambi, peraltro, si misurano sulla produzione in pieno campo e hanno tutt’altri metodi di accertamento rispetto a quelli sottesi alla configurazione del reato di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90. Quello dello 0.5%, invece, è un limite indicato dall’Autorità amministrativa con disposizione subregolamentare, sprovvista di efficacia vincolante e non asseverata con la necessaria attendibilità scientifica: si tratta della circolare emessa dal Ministro dell’Interno in data 31/7/2018, interpretativa della legge 246/2016 con cui è stata dichiarata la liceità della coltivazione della “cannabis sativa L.”; vi si afferma che le infiorescenze della canapa con concentrazione superiore allo 0.5% rientrano tra le sostanze stupefacenti, pur dovendosi dare atto che, in mancanza di parametri normativi per determinare la soglia drogante, il Ministro dell’Interno sembra averla determinata sulla base di un parere tossicologico e di articoli di dottrina”.

Pertanto, secondo il Tribunale di Genova essendoci solamente un atto subregolamentare proveniente dal Ministero dell’Interno in data 31 Luglio 2018, allo stato attuale non ci sono parametri certi e predeterminati per individuare la percentuale di principio attivo (THC) dirimente per definire una sostanza drogante o meno e fissare così un discrimine tra le sostanze di cannabis lecite e commerciabili e quelle viceversa illecite.

L'ordinanza del tribunale del riesame è interessante anche sotto il profilo processuale poichè ha ritenuto che non si possa effettuare un sequestro sulla base di una semplice presunzione, ossia sulla base che la sola presenza del principio attivo THC ne comporti la capacità drogante. Invero, tale presunzione contrasterebbe con la già menzionata circolare del Ministero dell’Interno del 31 luglio 2018 che prevede la soglia della percentuale dello 0.6%. Nel caso specifico,l’imputato aveva allegato dei referti attestanti una percentuale di THC inferiore alla soglia dello 0.5%, ma non si può sostenere che sulla base dell'informativa delle Sezioni Unite, si sia affermato un onere di inversione della prova ricadente di conseguenza sull'imputato.

Pertanto, secondo il Tribunale del Riesame l’organo requirente avrebbe dovuto estrarre dei campioni e sottoporli ad accertamento tossicologico prima di predisporre il sequestro.

Per tali ragioni brevemente esposte, il Tribunale del riesame ha annullato il sequestro e ordinato l’immediata restituzione dei beni.