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Pubbl. Ven, 21 Giu 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

È valida la vendita di immobili sostanzialmente difformi dal titolo edilizio

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Maria Avossa
Università degli Studi di Salerno


Cassazione Civile, Sez. Unite, 22 marzo 2019 n. 8230. A soluzione del contrasto giurisprudenziale, è affermato il principio di diritto per cui la nullità comminata dall´art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L. n. 47 del 1985 va ricondotta nell´ambito del comma 3 dell´art 1418 c.c..


Sommario: Introduzione. –  1. Le nullità del contratto alla luce del codice civile. –  1.1 Le nullità virtuali e testuali. -  1.2 l'interpretazione della sanzione di nullità prevista dagli artt.17 e 40 della L. n. 47 del 1985 e 46 del TU n. 380 del 2001.- 2. Il Contrasto giurisprudenziale. - 2.1 La sentenza Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 22 marzo 2019 n. 8230 e la nullità testuale - 3. Osservazioni e conclusioni.  

Introduzione

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con pronuncia del 22 marzo 2019 n. 8230[1], sono intervenute in tema di nullità dei contratti aventi ad oggetto immobili abusivi.  Con tale sentenza, più in particolare, è dato apprendere l’orientamento odierno della Corte in relazione alle conseguenze della nullità urbanistica sugli atti inter vivos ad effetti reali nell’ ipotesi di difformità della costruzione rispetto al titolo abilitativo.

I principi espressi dalla Corte Suprema costituiscono il punto di arresto di un contrasto giurisprudenziale insorto in materia, generato dal regime della nullità di cui agli articoli 46 del D.p.r. n. 380/2001 e 17 e 40 della legge n.47/1985. Il nodo gordiano è sciolto riconducendoli all'ambito della nullità testuale[2] del comma 3° dell'articolo 1418 del C.c..

Ciò detto, volendo analizzare l’approdo giurisprudenziale cui giunge la Corte di legittimità, risulta ineludibile la comprensione dell’iter logico-argomentativo seguìto in sentenza per giungere alla pronuncia solutoria.  Tale analisi presuppone l’inquadramento degli istituti giuridici principalmente coinvolti in cui si innestano le specifiche norme sopra cennate. Opportuna è, anche, la disamina del contrasto insorto in seno alla Suprema Corte, oltre che - ça va sans dire – l’esame del caso concreto oggetto della sentenza del 22 marzo 2019 n. 8230, letti alla luce i dettami normativi direttamente applicati dalla Corte.

L’obiettivo della disamina è di vagliare le implicazioni tra tali disposizioni e gli effetti giuridici discendenti della loro applicazione sinergica in tema di contratti applicati ai casi di nullità urbanistica nella prospettiva dello stato dell’arte della recente evoluzione della giurisprudenza di legittimità.

1. Le nullità del contratto alla luce del codice civile.

Dalla lettura del dato testuale dell’art. 1418 C.c.[3] si ricava una disciplina della nullità contrattuale articolata in una serie di fattori causali generatori della patologia negoziale. Il primo comma contempla una norma di chiusura riferendosi al concetto di la nullità del contratto correlato alla contrarietà a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente. Il secondo comma elenca, invece, ipotesi tipiche.  Producono, infatti, la nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'articolo 1325 C.c., l'illiceità della causa (art.1343 C.c.), l'illiceità dei motivi nel caso indicato dall'articolo 1345 C.c. e la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'articolo 1346 C.c.. Nel terzo comma, il contratto è definito nullo negli altri casi stabiliti dalla legge, con ciò prevedendo un rinvio ad ipotesi positivamente previste[4]. La norma, in sostanza, delinea la natura tipica della nullità contrattuale. La prima definizione che è possibile attribuirle discende dallo stesso dato codicistico ed è quella di una situazione di invalidità del negozio giuridico, generata da un vizio che rende lo stesso inidoneo a produrre i suoi effetti e, quindi, inefficace[5]. Ciò è ricollegabile alla caratteristica stessa delle nullità contrattuale[6], ossia, l’essere considerata la forma più grave d’invalidità negoziale. Qui, il giudizio normativo espresso dal legislatore è di disvalore dell’operazione negoziale, appuntato sul grado deficitario della struttura negoziale[7] o sulla dannosità sociale del contratto stesso per illiceità della sua causa o dei suoi motivi, tanto da sancirne l’inefficacia originaria del medesimo[8].  

La nullità di cui all’1418 c.c. è stata accostata dal legislatore del 1942 a posizioni giuridiche soggettive quali legittimazione all’azione a far valere il vizio da parte di chiunque vi abbia interesse (art. 1421 c.c.) ed all’imprescrittibilità della relativa azione (art. 1422 c.c.).  Si lega allo stesso criterio, inoltre, la posizione giuridica di potere di rilievo ufficioso della nullità del contratto da parte del giudice (art. 1421 c.c. e 112 c.p.c.)[9] e, infine, la regola dell’inammissibilità della convalida del contratto nullo, salvo diversa previsione di legge.

1.1. Le nullità virtuali e testuali.

In dottrina, la particolare gravità del vizio ha assunto connotazione particolare nei casi di nullità per contrarietà del contratto a norme imperative, intorno al cui significato (proprio della locuzione norma imperativa), non si è riusciti a pervenire a risultati univoci né stabili.

Il dato rilevabile dal codice del 1942 consente la differenziazione delle fattispecie a seconda che la norma imperativa preveda espressamente la nullità del contratto posto in essere dalle parti o che il contratto realizzi (o concorra a realizzare) la fattispecie vietata dalla norma. Si parla di nullità “virtuale”, allorquando, la nullità non sia espressamente prevista - ma sia ricavabile dall’interprete - e dovuta al contrasto tra una norma imperativa ed il contratto (art. 1418 co. 1 c.c.)[10]. Si parla, invece, di nullità “testuale” in tutti quei casi in cui la nullità sia stabilita direttamente dalla legge (art. 1418 co.3 c.c.);

Discorso a parte merita la c.d.“nullità urbanistica” che richiede un momento di maggiore riflessione data la complessa e attuale questione legata alla specifica natura della sanzione. La connotazione della nullità, normativamente e testualmente prevista, trova una manifestazione peculiare nel caso di abusivismo edilizio legato alla vigenza degli artt. 17 e 40 della L. n. 47 del 1985[11] e 46 del T.U. n. 380 del 2001[12], i quali sono al centro di un vivace dibattito teorico, proprio in merito alla riconducibilità all’alveo dell’art. 1418 C.c. con i suoi relativi effetti sui contratti.

Partendo dalla nullità “virtuale”, il primo punto d’indagine è rappresentato dal concetto di inderogabilità della norma: imperativa è quella disposizione normativa che i privati non hanno il potere di derogare[13].E’ stato fatto presente da autorevole dottrina che dallo stesso tenore letterale dell’art. 1418 co.1° c. c. si ricava  che “Il grado di imperatività richiesto dalla norma è più elevato di quello che si esprime nella constatazione della non derogabilità per volontà delle parti, postulandosi [ciò] dalla riserva finale dell’art. 1418 c.1, salvo che la Legge disponga diversamente[14].

Altra dottrina ha prospettato che l’individuazione di tale elemento aggiuntivo non sia limitato alla sola operazione di identificazione del carattere imperativo rilevabile attraverso l’indagine sulla ratio della norma, ma richieda all’interprete di doversi spingere fino alla valutazione circa la congruità dell’effetto-nullità rispetto al fine perseguito dal legislatore.

Ciò vale a dire che, nel caso di una norma imperativa che preveda non già l’invalidità dell’atto ma un diverso effetto, allora l’interprete sarà chiamato ad effettuare una valutazione teleologica. Il criterio richiamato, denominato da De Nova “del minimo mezzo[15] è stato accolto varie pronunce della Suprema Corte[16] . La tesi, però, parrebbe attribuire all’inciso finale della disposizione un significato lontano dal suo tenore letterale. E’ il testo stesso del comma 3° che, per talune ipotesi, prevede normativamente la facoltà per il legislatore di eliminare gli effetti tipici della nullità in taluni casi ed ipotesi specifiche previsti dalla legge stessa, così, da un lato, eliminando in radice ogni possibilità di contrasto tra il contratto e norma e, dall’altro, bypassando la sede applicativa di ogni valutazione tra la regola (nullità per contrarietà alla norma imperativa) e l’eventuale deroga di legge (esclusione della nullità).

Un ragionamento così impostato potrebbe risultare, però, incoerente rispetto a quanto contenuto al 3° comma che prevede le ipotesi di esclusione testuale della nullità, che, in tal modo, verrebbe scompensato da una interpretazione estensiva del 1° comma dell’art. 1418 c.c., circostanza che non è, di certo, sfuggita ad altra parte di dottrina[17].  Del resto, la prerogativa del legislatore - già espressa (come si vedrà ai paragrafi successivi) nella relazione al codice civile del 1942 - risulta espressamente riservatagli per dirimere, sul nascere, le questioni insorgenti a causa degli effetti della violazione di una norma imperativa in cui non sia espressamente comminata la sanzione della nullità del vincolo negoziale[18] [19].

Per ciò che concerne le nullità cc.dd. testuali, qui, la nullità è comminata per contrarietà ad una specifica norma di legge, che la preveda espressamente. Valgano come esempi -tra le tante ipotesi codicistiche previste- l’art. 458 C. c. (divieto di patti successori), artt. 606 e 619 C.c. in merito alla nullità del testamento per difetti formali, art. 771 C. c. disponente la nullità della cosa futura. Si può, anche, citare la norma di cui all’art 1472 C.c.  vendita di cosa futura quando la cosa non venga ad esistenza e non risulti che le parti volessero porre in essere un contratto aleatorio. Numerose, poi, sono altre norme dislocate nel codice civile che contemplano la sanzione di nullità del negozio[20].

L’ambito della legislazione speciale, poi, è prodigo di comminatorie di nullità. A cagione della particolare rilevanza per il tema trattato, si fa subìto riferimento all’art. 46 del T.U. in materia urbanistica D.P.R 380/2001, sostanzialmente reiterativo del modo di disporre dell’art 17 della legge 28/025/1985 n. 47. La norma sopra citata prescrive la nullità degli atti traslativi o costitutivi di diritti reali su edifici, o loro parti, la cui costruzione sia stata iniziata dopo il 17 marzo 1985, ove nell’atto non siano indicati, per dichiarazione dell’alienante gli estremi del permesso di costruire, del permesso in sanatoria (o della denuncia di inizio attività), ovvero quella di cui all’art 30 del medesimo T.U. (anch’esso reiterativo dell’abrogato art. 18 L. 47/1985 n. 47) ai sensi del quale gli atti tra vivi, sia in forma pubblica sia in forma privata , aventi ad oggetto il trasferimento o la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni sono nulli e non possono essere stipulati né trascritti nei pubblici registri immobiliari allorquando agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica  contenenti le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata.  

1.2. L'interpretazione della sanzione di nullità prevista dagli artt.17 e 40 della L. n. 47 del 1985 e 46 del T.U. n. 380 del 2001.

La disciplina relativa alla commercializzazione degli immobili abusivi, trattato dagli artt. 17 e 40 l. n. 47/1985 (c.d. “legge sul condono edilizio”) completa la sua configurazione normativa ad opera dell'art. 46, comma 1, T. U.. Le norme citate contengono la previsione della nullità degli atti tra vivi, pubblici o privati, aventi ad oggetto il trasferimento o la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali (escluse le servitù e i diritti reali di garanzia) su edifici o loro parti (cioè singole unità edilizie) se da essi non risultano le cc.dd. “dichiarazioni (o menzioni) urbanistiche”. La definizione a mezzo della quale è possibile identificare tali ultime è riconducibile all’indicazione degli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. La normativa, per vero, appare formalizzare un'ipotesi speciale di atto di “conferma del negozio nullo”, ricorrente nei casi in cui  le menzioni previste siano state omesse, ma, nella sostanza, al tempo dell'atto, i titoli abilitativi richiesti per la circolazione giuridica dell'immobile fossero, di fatto, esistenti oppure quando la mancanza delle indicazioni degli stessi non fosse stata motivata dalla insussistenza della concessione o dalla inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati rogati[21].

La categoria dalla c.d. nullità urbanistica ha varcato il corso degli anni in un clima di crescente incertezza qualificatoria. Se si presta attenzione alla ratio disegnata dal legislatore del 1942, per l’art 1418 C.c., ne emerge che, l’intento chiaro e lineare di questa norma, non risulta di pari grado per le cc.dd. nullità urbanistiche, quanto meno negli effetti prodotti sull’atto negoziale.

Per l’art 1418 C.c., l’intento del legislatore era quello di prevedere un rimedio giuridico per sottrarre dal commercio di beni che si presentassero in difformità rispetto agli interessi economici perseguiti dall’ordinamento giuridico[22], sanzionandone il negozio traslativo o costitutivo con l’impossibilità di produrre effetti validi data, la gravità del vizio (nullità). La relazione del Ministro Guardasigilli Grandi al Codice Civile del 1942 già, illo tempore, evidenziava che la violazione delle norme imperative della legge veniva ricordata nell’art 1418 C.c. quale ragione autonoma di nullità del contratto al fine di ricomprenderla nella categoria delle di nullità, anche in ipotesi in cui sarebbero potute non rientrare nel concetto di causa illecita. La precisazione contenuta al punto capo n. 649 della relazione al Codice del 1942 era stata, infatti, deputata a risolvere la questione circa gli effetti della violazione di una norma in cui non fosse espressamente comminata la sanzione della nullità del contratto, con ciò comportando un uguale effetto dirimente, ma, sempre e soltanto, quando la volontà della legge non potesse essere indirizzata a conseguenze diverse.

Se, prendendo le mosse da tali premesse lineari si ponesse lo sguardo all’art. 1418 (co. 1° nullità “virtuale” e co. 3° nullità “testuale”) e, poi ci si dedicasse all’esame degli artt. 17 e 40 della L. n. 47 del 1985 e 46 del T.U. n. 380/2001 sarebbe facile notare la diversa consistenza del concetto di nullità, ragion per cui le cc.dd. nullità urbanistiche sono divenute oggetto di un alacre dibattito - sia in dottrina sia in giurisprudenza- volto a superare l’incertezza del regime sanzionatorio disegnato.

Il combinato disposto degli artt. 17 e 40 l. n. 47/1985 (c.d. "legge sul condono edilizio"), contiene la previsione della nullità degli atti tra vivi, pubblici o privati, aventi ad oggetto il trasferimento o la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali (escluse le servitù e io diritti reali di garanzia) su edifici o loro parti (cioè singole unità edilizie) se da essi non risultano le cc.dd. dichiarazioni (o menzioni) urbanistiche, consistenti nella indicazione degli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria (art. 46, comma 1°, T.U.).

A differenza delle norme dell’impianto codicistico civile, le disposizioni in tema di abuso edilizio muovono da un evidente dissonanza tra una nullità assoluta degli atti, diretta da sottrarre al commercio manufatti abusivi, ed un'ipotesi espressa di conferma del negozio nullo per effetto della sopravvenienza ovvero del rilascio (anche tramite formazione del silenzio-assenso) della concessione in sanatoria. Volendo indagare intorno alla ratio legis di queste norme (come si è prima fatto per l’art. 1418 C.c.) si appunta che, fin da principio, vi è stata sostanziale unanimità di vedute su un doppio parametro funzionale in ragione del quale possa essere irrogata la sanzione della nullità “urbanistica” del contratto. Il primo parametro risiederebbe nella sua funzione informativa. Senz’altro, la prima necessità -che qui si va a salvaguardare- è di garantire l’interesse privato della parte acquirente affinché questa venga resa edotta sulla regolarità urbanistica o meno dell'immobile. Il secondo parametro assolverebbe ad una funzione preventiva, cioè di tutelare l'interesse pubblico di ostacolare l’abusivismo edilizio. Chiare sono le motivazioni. Se, infatti, non è possibile indicare in atto gli estremi di un titolo abilitativo perché mancante, ne discende l’ovvio risultato dell’irregolarità dell’immobile e la nullità del negozio dispositivo. La funzione mediata di tale secondo parametro è - ça va sans dire - impedire a chi realizzi l’opera abusiva di ottenere un vantaggio dalla propria condotta illecita.

Ciò che, invece, ha subito una scissione è la costruzione dottrinaria in merito alla natura giuridica della c.d. nullità urbanistica ed alla ratio della sanzione, proprio in ragione di tale doppio parametro funzionale della ratio legis. Si sono profilate, fin dall'entrata in vigore della legge sul condono edilizio, due diverse correnti dottrinarie connotate in due contrapposte teorie aderenti ciascuna ad una delle due funzioni ritenuta maggiormente caratterizzante per la ratio legislativa della sanzione[23].

La prima posizione prevalente in dottrina propugna la natura "sostanziale", legata alla funzione preventiva. Essa si basa sull'assunto che la legge dispone, a pena di nullità, la dicitura in atto della “menzione” del titolo di legittimità urbanistica dell'edificio. Per tale teoria, però, è sostanziale la conformità alla disciplina urbanistica dell’immobile negoziato[24].

La seconda delle due concezioni, fatta propria da gran parte della giurisprudenza[25], è quella “formale”, elaborata in tema di nullità urbanistica. Diversamente dalla prima, la teoria valorizza la (mera) natura formale della nullità urbanistica. Centrale, qui è la funzione più, segnatamente, informativa circoscritta alla sanzione. La validità della negoziazione è legata, soltanto, alle “menzioni” contenute nel documento negoziale. La loro eventuale mendacità non può, in alcuna maniera, inficiare la validità dell'atto negoziale. Il motivo è palese.  Gli artt. 17 e 40 l. n. 47/1985, in quest’ottica tenderebbero ad assolvere ad una funzione di tutela dell’affidamento della parte acquirente, per cui avrebbero solo funzione informativa[26].  

Orbene, ciò detto - seguendo le impostazioni teoriche della dottrina sostanzialistica- andando ad analizzare i casi di nullità urbanistiche, ci si troverà di fronte a tre ipotesi specifiche.

La prima si ha nel caso in cui nell’atto di trasferimento o di costituzione di immobili non siano state riprodotte le menzioni urbanistiche ma esista un titolo abilitativo edilizio sussista. In tal caso l'atto sarebbe affetto dalla mera nullità documentale del comma 1°: qui opera senza dubbio la nullità, soltanto, formale di cui al comma 1° dell'art. 46 T.U., a tutela del diritto dell’acquirente di ricevere una adeguata informazione sulla situazione urbanistica dell'edificio acquistato. In tale ipotesi, il contratto sarà suscettibile di sanatoria, ai sensi dell’46, co. 4° T.U. Gli atti affetti dal vizio formale possono essere confermati, anche, da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa.

La seconda ipotesi si verifica nel caso di reale mancanza del titolo edilizio abilitativo. In questo caso non è ammissibile una conferma e ciò, non perché il vizio discenda da una presunta natura (anche) sostanziale della nullità, ma perché costituisce la diretta applicazione della nullità che ha base nella disciplina degli artt. 1418, comma 2° e 1346 C.c.. L’atto verrebbe a presentarsi con un oggetto illecito per contrarietà alle norme imperative che impongono come condizione di negoziabilità dell'opera la presenza di un valido titolo edilizio.

Infine, la terza ipotesi ricorre nel caso in cui in cui, nonostante il carattere abusivo, in tutto o in parte, dell'immobile, il dante causa abbia dichiarato l'esistenza del titolo abilitativo. In questo caso la disciplina sarebbe quella generale del codice civile, in quanto l’atto sarebbe affetto da nullità sostanziale. In tale circostanza l’atto è insuscettibile di sanatoria per effetto dell'art. 1423 cod. civ.. Parte della dottrina ha evidenziato come l’ipotesi delle cd. “nullità sostanziali” della legge artt. 17 e 40 l. n. 47/1985 (ora art. 46 T.U.) siano riconducibili sia alla categoria dell’illiceità quanto a quella della impossibilità giuridica[27].

2.  Il Contrasto giurisprudenziale.

La dissertazione dei paragrafi precedenti consente di approcciare una disamina lucida per contesto in cui si colloca la pronuncia in esame. Alla Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 22 marzo 2019 n. 8230 viene deferita una specifica questione di diritto incardinata con atto di citazione notificato nelle date 27.7.2005 e 9.9.2005, promossa da un coniuge (marito), il quale in costanza di matrimonio aveva comprato due terreni e, su uno di questi, dopo l'acquisto, aveva provveduto alla ristrutturazione totale di un vecchio fabbricato rurale, intestato fittiziamente, per ragioni fiscali, in nuda proprietà alla moglie e per l'usufrutto alla di lei madre. Il marito sosteneva, a proprio esclusivo carico, la spesa di euro 90.000,00 per l'esecuzione di opere edilizie di ristrutturazione. Successivamente, interveniva separazione coniugale giudiziale ed il marito proponeva contro la moglie e la suocera una domanda giudiziale di simulazione dell'intestazione dei suddetti cespiti e di condanna delle convenute alla refusione in suo favore della somma di euro 90,000,00, da lui spesa per la ristrutturazione del fabbricato.

Nella pendenza del giudizio di simulazione egli aveva appreso che le signore avevano venduto i suddetti immobili ad altri soggetti. Pertanto, questi conveniva in giudizio la moglie, la suocera, gli acquirenti dei cespiti ed il notaio rogante per ottenere declaratoria di nullità dell'atto di compravendita (perché l'immobile compravenduto era stato interessato da vari lavori di natura abusiva, non regolarmente assentiti) e, in ipotesi, inefficace nei suoi confronti, ai sensi dell'articolo 2901 c.c., in quanto compiuto in pregiudizio delle sue ragioni creditorie.

Il Tribunale ordinario di Nola, investito della causa come giudice di prime cure, rigettava la domanda del marito. La Corte di appello di Napoli, adita dal medesimo in sede di gravame, con la sentenza n. 3253/2013 confermava la pronuncia di primo grado.

Incardinato ricorso innanzi alla Corte di Cassazione Sez. 2° Civile, esaminata la questione, si rimetteva la questione alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 20061 Anno 2018.

La Suprema Corte viene chiamata a comporre un contrasto giurisprudenziale in ordine alle sorti dell’atto di compravendita di un immobile privo degli estremi del titolo abilitativo, necessario, altresì, a provare la sua regolarità urbanistica.

La questione di cui era investita la 2° Sezione deferente atteneva alla violazione e falsa applicazione degli artt. 17 e 40 della legge n. 47/1985 (ora art. 46 d.p.r. 380/2001) in cui la Corte d'appello sarebbe incorsa escludendo la nullità contratto di compravendita sulla base del solo rilievo che l'atto rogato contenesse le dichiarazioni rese dalle venditrici in conformità alla legge 47/1985 (art. 40) ed al DPR 380/2001. Ciò per la Corte di gravame escludeva la sanzione di nullità "formale" del testo negoziale, mentre, sotto il profilo "sostanziale", lasciava immutata la validità dell’alienazione dell’immobile a terzi, nonostante la difformità tra quanto autorizzato e quanto edificato. In sede di gravame fu sostenuto che, contrariamente, a quanto affermato dalla corte partenopea, la nullità di cui agli articoli 17 e 40 della legge 47/1985 avrebbe avuto natura sostanziale e non meramente formale, derivata non soltanto dall'assenza, nel contratto, delle dichiarazioni del venditore previste da tali disposizioni, ma anche dalla difformità tra il bene venduto ed il progetto assentito.

Il, così, sottoposto caso, induce la Corte Suprema nella composizione a Sezioni unite di risolvere il contrasto giurisprudenziale evidenziato nel testo del provvedimento di remissione. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità si presenta divisa in due filoni preminenti, frutto dell’evoluzioni dell’interpretazione della disciplina introdotta dalla legge n. 47/1985 e ripresa dal D.p.r. 380/2001[28].

In seno alla Suprema Corte si è sviluppato, infatti, un primo filone volto ad interpretare il concetto di nullità urbanistica che -sull’impronta un più risalente orientamento- interpreta il dato letterale degli artt. 17 e 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 comminando la nullità degli atti tra vivi di trasferimento di diritti reali su immobili allorquando ricorra il caso in cui tali atti siano privi della  menzione degli estremi della concessione edilizia dell'immobile oggetto di compravendita, ovvero degli estremi della domanda di concessione in sanatoria, senza però prendere in considerazione l'ipotesi della irregolarità sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico, cioè il dato della conformità o meno della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione, che sicuramente assume rilevanza sul piano dell'adempimento del venditore ma non su quello della validità dell'atto di trasferimento. Quindi, ciò che rileva al fine dell’operativa applicazione della sanzione della nullità del negozio è solo la mancanza di tale indicazione (cc.dd. menzioni urbanistiche) e non, anche, la difformità dell'immobile[29].

La teoria della natura formale delle nullità urbanistiche (si confronti § 1.1), recepita inizialmente dalla Corte di legittimità, aveva condotto ad aderire alla posizione interpretativa (formalistica) secondo cui la mancanza del requisito di cui sopra, comportava appunto una nullità formale, ai sensi dell’art.1418, ultimo comma, c.c. perché le dichiarazioni da fornire, costituivano requisito formale del contratto, a prescindere dalla regolarità della costruzione oggetto dello stesso[30]. Esplicativa in tal senso è la pronuncia Cassazione. civ., Sez. II, 22 maggio 2008, n. 13225[31], dove si sostiene che la nullità prevista dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47, di cui all'art. 40, comma 2, per omessa dichiarazione degli estremi della concessione edilizia dell'immobile oggetto della compravendita, ovvero degli estremi della domanda di concessione in sanatoria, assolva la sua funzione di tutela dell'affidamento sanzionando, specificamente, la sola violazione di un obbligo formale, imposto al venditore al fine di porre l'acquirente di un immobile in condizione di conoscere lo stato del bene acquistato e di effettuare gli accertamenti sulla regolarità del bene attraverso il confronto tra la sua consistenza reale e quella risultante dalla concessione edilizia ovvero dalla domanda di concessione in sanatoria. Da tale presupposto i giudici di legittimità traggono la conseguenza che in presenza della dichiarazione, nessuna invalidità deriva al contratto dalla concreta difformità della realizzazione edilizia dalla concessione o dalla sanatoria e, in generale, dal difetto di regolarità sostanziale del bene sotto il profilo del rispetto delle norme urbanistiche. La tesi della rilevanza solo formale delle c.d. menzioni urbanistiche è, anche, confermata da una più recente pronuncia della Suprema Corte (Cass., 5 luglio 2013, n. 16876) avente ad oggetto la veridicità della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà circa l’anteriorità al 1° settembre 1967 dell’inizio della costruzione dell’immobile dedotto in contratto.

A seguire, si è sviluppata la teoria sostanziale, la quale, mossa dallo scopo di arrestare la commerciabilità di immobili abusivi, ha forzato la lettera della norma, interpretando estensivamente gli artt. 40, L. 47/1985 e 46, L. 380/2001. La giurisprudenza più recente, pur condividendo in prevalenza la tesi della nullità soltanto documentale (formale), in caso di omissione delle menzioni urbanistiche, ha comunque cercato di attribuire alla nullità in esame anche una valenza sostanzialistica,  facendo leva sulla norma di cui al comma 4° dell'art. 46 T. U. edilizia[32] - che derogando a quanto previsto dall'art. 1423 c.c.- consente la possibilità di sanare la nullità degli atti privi delle menzioni urbanistiche, anche se, tale facoltà è prevista  solo nei casi in cui tale omissione non sia dipesa dall'insussistenza del permesso di costruire al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati[33]

Nelle sentenze nn. 23591/13 e 28194/13 della Suprema Corte (alla base di questo più recente orientamento)  vi è il rilievo che la tesi della nullità formale tenda a produrre il risultato - contrastante con la ratio di impedire il trasferimento degli immobili abusivi - di far giudicare nullo un contratto avente ad oggetto un immobile urbanisticamente regolare (per il vizio formale della mancata menzione nell'atto del titolo concessorio) e valido un contratto avente ad oggetto un immobile, anche, totalmente difforme dallo strumento concessorio menzionato nel contratto. D’altro canto, dall'art. 40, comma 2, I. n. 47/1985 sarebbe possibile desumere la previsione di due differenti ipotesi di nullità: una, di carattere sostanziale, che colpisce "gli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica" e una, di carattere formale, che colpisce "gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi”[34].

Si è, altresì, affermato il principio che la nullità «sebbene riferita agli atti di trasferimento con immediata efficacia reale, si estenda al preliminare, con efficacia meramente obbligatoria, in quanto avente ad oggetto la stipulazione di un contratto definitivo nullo per contrarietà a norma imperativa». Questa seconda affermazione non ha trovato seguito nella successiva giurisprudenza di legittimità, salvo che, tra le pronunce massimate, nella sentenza n. 18261/2015[35]. Tale orientamento, in sostanza, riconduce la nullità urbanistica al disposto del primo comma dell'articolo 1418 c.c., ossia nell'ambito delle nullità c.d. "virtuali", laddove l'orientamento precedente considerava tale nullità come una nullità "testuale" ai sensi dell'ultimo comma del medesimo articolo 1418 c.c..

Questo orientamento ha creato, così, un doppio binario: una nullità sostanziale per gli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica ed una nullità formale per gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi. Ad avviso del Collegio decidente della sentenza SS. UU. 22 marzo 2019 n. 8230 -qui in esame-, l'orientamento inaugurato dalle sentenze nn. 23591/13 e 28194/13 merita una riconsiderazione da parte delle Sezioni Unite.

2.1.  La sentenza  Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 22 marzo 2019 n. 8230 e la nullità testuale.

Per la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, la nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito dell’art 1418 c.c. comma 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione, in detti atti, degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. In presenza (nell’atto) della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto, dalla lettura del combinato disposto del primo e quarto comma dell’art. 46 cit., in linea con i criteri interpretativi previsti dall’art. 12 delle Preleggi, è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato. Ciò per la decisiva ragione che tale profilo esula dal perimetro della nullità, in quanto non è previsto dalle disposizioni che la comminano, e tenuto conto del condivisibile principio generale, secondo cui le norme che, ponendo limiti all’autonomia privata e divieti alla libera circolazione dei beni, sanciscono la nullità degli atti, debbono ritenersi di stretta interpretazione, sicché esse non possono essere applicate, estensivamente o per analogia, ad ipotesi diverse da quelle espressamente previste.

La Suprema Corte compone, così, il contrasto giurisprudenziale in ordine alle sorti dell’atto di compravendita di un immobile privo degli estremi del titolo abilitativo, necessario, altresì, a provare la sua regolarità urbanistica.

La circostanza che le  Sezioni Unite, partano  dai criteri interpretativi espressi dall’art. 12, primo comma, delle Preleggi  gli consente di ricavare dalla lettura del combinato disposto del primo e quarto comma dell’art. 46 cit., il principio di diritto in forza del quale si deduce  che la nullità sia comminata soltanto nell’ipotesi che nei negozi giuridici stipulati manchino, per omessa dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria (menzioni urbanistiche). Nel qual caso è ammissibile la convalida dell’atto nel caso in cui la mancata indicazione dei prescritti elementi non sia dipesa dalla insussistenza del titolo abilitativo. La Suprema Corte con l’espresso riferimento all’art 12 delle preleggi, attraverso i canoni normativi dell'interpretazione della legge, attribuisce al testo normativo un significato aderente al dettato previsto, senza prescindere o superare le espressioni formali in cui si articola. Con ciò si tende a precisare che i casi di nullità previsti dalla norma di cui all'art. 40, ossia la mancata indicazione degli estremi della licenza edilizia, ovvero dell'inizio della costruzione prima del 1967, siano ipotesi tassative e non estensibili per analogia.

Quanto alla natura della nullità in oggetto, consegue che -così come è prevista dalle disposizioni in esame- non può esser ricondotta all’alveo della nullità c.d. virtuale, di cui al comma 1° dell'art. 1418 c.c., che presupporrebbe l'esistenza di una norma imperativa contenente il generale divieto di stipulazione di atti aventi ad oggetto immobili abusivi ma, tanto, non trova riscontro in seno allo jus positum, che, piuttosto, enuncia specifiche ipotesi di nullità. Aggiunge la Suprema Corte che, la previsione di conferma degli atti nulli, eseguibile mediante la redazione di un atto aggiuntivo, è in realtà una ipotesi specifica contemplata per l'ipotesi in cui la mancata indicazione dei prescritti elementi non sia dipesa dalla insussistenza del permesso di costruire al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati. 

L’inconfigurabilità di una nullità virtuale che necessiterebbe di una norma imperativa che sanzionasse la stipulazione di atti aventi ad oggetto immobili abusivi, va di pari passo con l’inconfigurabilità della nullità di cui, anche, al 2° comma dell’art. 1418 c.c.. La ragione risiede nella circostanza che il carattere abusivo dell’immobile non incide né sull’oggetto né la causa del contratto. In conclusione, la nullità di cui all’oggetto, viene riferita all’ultimo comma dell’art. 1418, e, così, qualificata come nullità testuale poiché riconnessa al dato letterale presente nella disposizione che la prescrive e, come tale, rivolta a colpire gli atti menzionati nella stessa disposizione. La composizione del contrasto si risolve in favore della nullità testuale. Il dettato normativo indica, quindi, che il titolo deve realmente esistere e -quale corollario a valle- che l'informazione che lo riguarda, oggetto della dichiarazione, deve esser veritiera. Pertanto, in presenza di una dichiarazione reale e riferibile all'immobile, “il contratto sarà in conclusione valido, e tanto a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo in esso menzionato, e ciò per la decisiva ragione che tale profilo esula dal perimetro della nullità[36].

Quanto alla diversa questione della negoziabilità di immobili affetti da irregolarità urbanistiche, non sanate o non sanabili, essa viene risolta sul piano dell'inadempimento[37].

3. Osservazioni e conclusioni.

Il principio affermato dalla Corte Regolatrice è di estrema importanza e risolve uno dei temi più delicati relativo alle operazioni commerciali sui beni immobile ed in tema di contratti aventi ad oggetto diritti reali su immobili. A soluzione del contrasto, la Corte di Cassazione, Sezioni Unite in pronuncia del 22 marzo 2019 n. 8230 afferma i seguenti principi di diritto:

"La nullità comminata dall'art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L n. 47 del 1985 va ricondotta nell'ambito del comma 3 dell'art 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità «testuale», con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un'unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell'immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell'immobile."

"In presenza nell'atto della dichiarazione dell'alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all'immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato".

In estrema sintesi si può concludere, alla luce della esaminata sentenza di legittimità, che laddove sussista il requisito di forma normativamente richiesto - ossia la indicazione degli estremi del permesso di costruire o dell’istanza di sanatoria- l’eventuale difformità sostanziale dell’immobile rispetto al titolo abilitativo non determina l’applicazione della sanzione di nullità del contratto, ma rileva in termini di inadempimento e giustifica la risoluzione del negozio. L’approdo ermeneutico della Suprema Corte nella sentenza, in parola, ha senza dubbio il pregio di render chiaro il confine normativo dell'area della non negoziabilità degli immobili, così predisponendo un mezzo di tutela, non soltanto dell'interesse alla certezza ed alla sicurezza della loro circolazione, ma anche dell'acquirente. L’ipotetica difformità sostanziale tra titolo abilitativo enunciato nell'atto e l’immobile, in tal maniera non esporrà l'acquirente all'azione di nullità, con conseguente perdita di proprietà dell'immobile ed onere di adoperarsi al recupero di quanto pagato, anche se, al ricorrerne dei presupposti, potrà soggiacere alle sanzioni previste a tutela dell'interesse generale connesso alle prescrizioni della disciplina urbanistica.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Si veda Cassazione Civile, Sez. Unite, 22 marzo 2019 n. 8230- Pres. Vivaldi, Rel. Sambito, in testo esteso in http://www.italgiure.giustizia.it

[2] Con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile.

[3]  Articolo 1418 C. c. :

“Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente.

Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'articolo 1325, l'illiceità della causa, l'illiceità dei motivi nel caso indicato dall'articolo 1345 e la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'articolo 1346.

Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge“.

[4] Ne siano esempio gli articoli del codice civile di seguito enumerati: artt. 458, 778, 785, 788, 794, 1350, 1354, 1355, 1472, 1895, 1904, 1963, 1972, 2103, 2115, 2265, 2744 C.c.

[5] Dalla enucleazione della norma ( art. 1418 C.c. ) si acquisisce il dato che i vizi dai quali è determinata la nullità sono: a) la contrarietà a norme imperative; b) la mancanza di uno dei requisiti essenziali (accordo delle parti, causa, oggetto, forma quando è prescritta); c) la illiceità della causa (che si verifica quando è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume, o quando si ha frode alla legge, per cui il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa); d) la mancanza nell’oggetto dei requisiti di possibilità, liceità, determinatezza o determinabilità.

[6] Senza pretesa di esaustività di enumerazione di opere e scritti giuridici, si confrontino in argomento, BIANCA C.M., Il contratto, Diritto civile-3, Milano, 2000; CARINGELLA F., Gioia V., Compendio Superiore di diritto Civile, V edizione, 2018, Dike Giuridica Editrice; CARINGELLA F., Manuale di diritto civile, VI Edizione, 2016; CARRARO L., Il negozio in frode alla legge, Padova, 1943; DI MAJO A., La nullità, in AA. VV., Il contratto in generale, VII, in Trattato di Diritto Privato a cura di M. BESSONE, Torino, 2002.; FEDELE A., La invalidità del negozio giuridico di diritto privato, Torino, 1943; ALLARA M., Teoria generale del contratto, Torino, 1955; GALGANO F., Simulazione. Nullità del contratto. Annullabilità del contratto, in Commentario del Codice Civile SCIALOJA-BRANCA, Roma, 1998; GAZZONI  F., Manuale di diritto privato XVIII edizione, 2017/2018, Edizioni Scientifiche Italiane; GENTILI A., LE invalidità, in Trattato dei contratti (P.RESCIGNO e E.GABRIELLI), I contratti in generale, IV, 1, a cura di E.GABRIELLI, Torino, 2006; M.MANTOVANI, La nullità ed il contratto nullo, in  D'AMICO G., Nullità non testuale, in Enciclopedia del diritto Annali, IV, Milano, 2011; MASTROPASQUA G., Art. 1418 C.1. C.c.: la norma imperativa come norma inderogabile, in Jus Civile, 2013, 12; MIRIELLO C., La nullità virtuale, 2011 CEDAM; MOSCARDI V., La nullità del contratto per violazioni delle norme penali, in Riv. Cammino Diritto, n. 12/2017 – ISSN 2532-9871; NAVARRETTA E.- ORESTANO A., diretto da E. GABRIELLI, Torino, 2012; ROPPO V.,Il Contratto in Trattato di diritto privato a cura di Giovanni Iudica e Paolo Zatti, II Edizione,  2011, Giuffré, Napoli; TOMMASINI R., Nullità (diritto privato), in Enc. Dir., XXVIII, Milano, 1978; RABITTI M., Art. 1418 - Cause di nullità del contratto, in Commentario al Codice Civile, Vol. III, SCALISI V., Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, in Europa e Diritto privato, 2001, etc.

[7] Nella classificazione delle nullità si è soliti, in dottrina fare capo a varie categorizzazioni delle classi di nullità. Si parla tipologie di  nullità individuabili in: 1) virtuale ( riferibile all’art. 1418 co.1 c.c.), 2) testuale (art. 1418 co 3 c.c.), 3) strutturale ( art 1418 co 2 c.c., 4) di protezione ( ad esempio, art. 36 cod. cons.), 5) parziale, cosi, suddivisa in parziale oggettiva ( art 1419 c.c.) e soggettiva( art 1420 c.c.)  . Si noti che nel caso di nullità parziale oggettiva restano escluse dalla nullità due ipotesi , ossia : 5.1) se le parti avrebbero concluso il contratto anche in assenza della parte colpita da nullità (art. 1419 co 1 c.c.) - 5.2 se le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative ( co. 2 art 1419 c.c. e cfr, art 1339 c.c.)

[8] Per una impostazione classica si veda Gazzoni F., Manuale di diritto privato XVIII edizione, 2017/2018, Edizioni Scientifiche Italiane, 994 e ss.. L’autore dà conto della complessa configurazione della nullità evidenziando che secondo una certa impostazione, la nullità esprime una “qualificazione  negativa” del contratto da parte dell’ordinamento o a causa di una sua deficienza strutturale, quale mancanza di uno dei suoi elementi essenziali, o a causa della sua dannosità sociale, per illiceità della sua causa o dei suoi motivi. Secondo questa impostazione (teoria della qualificazione negativa), seguita anche nella giurisprudenza di legittimità, il negozio nullo non è un “quid facti” né una vuota apparenza. Con ciò si vuole significare che la nullità va intesa come forza negativa che si oppone alla forza positiva rappresentata dalla rilevanza del negozio sul piano sociale, non permettendo allo stesso di produrre effetti dal punto di vista giuridico. Gazzoni F. non manca di annotare che se la conseguente impostazione della “ inqualificazione”

[9] Si veda in tal senso Cass. 14818/2012 in   http://www.italgiure.giustizia.it ;  in tema di rilievo officioso della nullità del contratto in presenza di una domanda risolutoria si veda De Giovanni C. , Nullità del contratto : rilievo officioso e domanda risolutoria  - Cass. 14818/2012 – in Riv. Persona e danno, 09/09/2012, url: www.personaedanno.it . L’autore esamina la sentenza della Suprema corte la quale interviene a Sezioni Unite n.14818/2012 con tale pronuncia per risolvere un annoso contrasto in ordine ai poteri esercitabili ex officio dal giudice a fronte di un contratto per il quale è stata formulata domanda di risoluzione e sia accertata la sussistenza di vizi attinenti la forma patologiaca più grave che può affligere l"operazione negoziale e cioè la nullità. Si legge in articolo che: “Nel principio di diritto enunciato nella sentenza si afferma, infatti, che: "Il giudice di merito ha il potere di rilevare, dai fatti allegati e provati o emergenti ex actis, ogni forma di nullità non soggetta a regime speciale e, provocato il contraddittorio sulla questione, deve rigettare la domanda di risoluzione, volta ad invocare la forza del contratto. Pronuncerà con efficacia idonea al giudicato sulla questione di nullità ove, anche a seguito di rimessione in termini, sia stata proposta la relativa domanda. Nell"uno e nell"altro caso dovrà disporre, se richiesto, le restituzioni". Il fulcro della questione si risolve nella possibilità di ricondurre nell"ambito del potere officioso del giudice la rilevabilità della nullità che affligge un elemento costitutivo del contratto quando questo ultimo è fatto valere non tanto per ottenerne l"accertamento e/o l"esecuzione quanto piuttosto quando si faccia valere il venire meno degli effetti del "vinculum iuris" mediante la proposizione di una domanda risolutoria”.

[10] Per approfondimento delle classificazioni di nullità testuale e virtuale, in termini di attuale sviluppo degli orientamenti dottrinali,  si veda Miriello C., La nullità virtuale, 2011,CEDAM. L'autore affronta il tema della nullità contrattuale in ragione dell’arricchimento di numerose previsioni di nullità testuale con funzione protettiva, rilevando, però, che la giurisprudenza di merito ha operato vari tentativi di ampliare l’operatività della nullità virtuale fino a farvi ricomprendere anche la violazione di obblighi comportamentali delle parti del contratto. E’, altresì, da segnalare che la dottrina ha cercato di restituirne l’obiettiva complessità e la ricaduta sulla disciplina generale del contratto dando conto dello stato dell’arte con riferimento all’istituto della nullità virtuale, spesso trascurato per la ritenuta sua intrinseca inattualità, che oggi invece è smentita dall’interesse che gli operatori giuridico-economici gli stanno progressivamente attribuendo.

Si veda, anche, in tema di nullità virtuale del contratto, Mastropasqua G., Art. 1418 C.1. C.c.: la norma imperativa come norma inderogabile, in Jus Civile, 2013, 12

Si veda, anche, Moscardi V., La nullità del contratto per violazioni delle norme penali, in Riv. Cammino Diritto, n. 12/2017 – ISSN 2532-9871. L’autore si sofferma sugli aspetti ontologico-giuridici della norma imperativa, dalla

qualificazione della norma penale quale norma imperativa e sulla nullità virtuale ex art. 1418 I co. c.c. del negozio posto in essere in violazione di norma penale.

[11] Legge del 28/02/1985 - n. 47 in Gazzetta Uff. 02/03/1985 n. 53

Art. 17 - Nullità degli atti giuridici relativi ad edifici.

Testo vigente dal 30/06/2003 :

“Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo l'entrata in vigore della presente legge, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria rilasciata ai sensi dell'articolo 13. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù.

Nel caso in cui sia prevista, ai sensi del presente art. 11, l'irrogazione di una sanzione soltanto pecuniaria, ma non il rilascio della concessione in sanatoria, agli atti di cui al primo comma deve essere allegata la prova dell'integrale pagamento della sanzione medesima (1).

La sentenza che accerta la nullità degli atti di cui al primo comma non pregiudica i diritti di garanzia o di servitù acquisiti in base ad un atto iscritto o trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda diretta a far accertare la nullità degli atti.

Se la mancata indicazione in atto degli estremi non sia dipesa dalla insussistenza della concessione al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa.

Le nullità di cui al presente articolo non si applicano agli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali. L'aggiudicatario, qualora l'immobile si trovi nelle condizioni di cui all'articolo 13 della presente legge, dovrà presentare domanda di concessione in sanatoria entro 120 giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria (2).] (3)”

(1) Comma modificato dall'art. 8, d.l. 23 aprile 1985, n. 146, conv. in l. 21 giugno 1985, n. 298.

(2) Comma aggiunto dall'art. 8, d.l. 23 aprile 1985, n. 146, conv. in l. 21 giugno 1985, n. 298.

(3) Articolo abrogato dall’articolo 136, comma 2, lettera f) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 a decorrere dal 1° gennaio 2002 ai sensi dell’articolo 138 del medesimo decreto. Successivamente, il termine di entrata in vigore del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 è prorogato al 30 giugno 2002 dall’articolo 5-bis, comma 1, del D.L. 23 novembre 2001, n. 411, convertito con modificazioni dalla L.31 dicembre 2001, n. 463 e, da ultimo, è stato ulteriormente prorogato al 30 giugno 2003 dall’articolo 2, comma 1, del D.L. 20 giugno 2002, n. 122, convertito con L. 1 agosto 2002, n. 185.

Art. 40 - Mancata presentazione dell'istanza

Testo vigente dal 14/01/1988

“Se nel termine prescritto non viene presentata la domanda di cui all'art. 31 per opere abusive realizzate in totale difformità o in assenza della licenza o concessione, ovvero se la domanda presentata, per la rilevanza delle omissioni o delle inesattezze riscontrate, deve ritenersi dolosamente infedele, si applicano le sanzioni di cui al capo I. Le stesse sanzioni si applicano se, presentata la domanda, non viene effettuata l'oblazione dovuta. In ogni altra ipotesi di abusivismo, la presentazione della domanda dopo il termine del 30 settembre 1986, e comunque non oltre il 31 marzo 1987, comporta il pagamento di una somma pari al doppio dell'oblazione (1).

Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell'art. 31 ovvero se agli stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell'avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell'avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell'avvenuto versamento delle prime due rate dell'oblazione cui al sesto comma dell'art. 35. Per le opere iniziate anteriormente al 2 settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti dell'art. 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l'opera risulti iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967. Tale dichiarazione può essere ricevuta e inserita nello stesso atto, ovvero in documento separato da allegarsi all'atto medesimo (2).

Se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti, rispettivamente da indicarsi o da allegarsi, non sia dipesa dall'insussistenza della licenza o della concessione o dalla inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata successivamente al 1° settembre 1967, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa o al quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio o la copia della domanda indicate al comma precedente (3).

Si applica in ogni caso il disposto del terzo comma dell'art. 17 e del primo comma dell'art. 21 (4).

Le nullità di cui al secondo comma del presente articolo non si applicano ai trasferimenti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali nonchè a quelli derivanti da procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa (5).

Nella ipotesi in cui l'immobile rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo IV della presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile purchè le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all'entrata in vigore della presente legge (6) (7) “.

(1) Comma modificato dall’articolo 8-bis, comma 1, del D.L. 23 aprile 1985, n. 146, convertito con modificazioni dalla L. 21 giugno 1985, n. 298 e, successivamente dall’articolo 1, comma 2 del D.L. 20 novembre 1985, n. 656.

(2) Comma modificato dagli articoli 8, comma 5 quater, e 8-bis, comma 2 del D.L. 23 aprile 1985, n. 146, convertito con modificazioni dalla L. 21 giugno 1985, n. 298 e, successivamente, dall’articolo 7, comma 1, del D.L. 12 gennaio 1988, n. 2, convertito con modificazioni dalla L. 13 marzo 1988, n. 68.

(3) Comma sostituito dall’articolo 8-bis, comma 3, del D.L. 23 aprile 1985, n. 146, convertito con modificazioni dalla L. 21 giugno 1985, n. 298 .

(4) Comma modificato dall’articolo 8, comma 5 quinquies, del D.L. 23 aprile 1985, n. 146, convertito con modificazioni dalla L. 21 giugno 1985, n. 298.

(5) Comma aggiunto dall’articolo 8-bis, comma 4, del D.L. 23 aprile 1985, n. 146, convertito con modificazioni dalla L. 21 giugno 1985, n. 298 .

(6) Comma aggiunto dall’articolo 8-bis, comma 4, del D.L. 23 aprile 1985, n. 146, convertito con modificazioni dalla L. 21 giugno 1985, n. 298 e, successivamente, sostituito dall’articolo 7, comma 2, del D.L. 12 gennaio 1988, n. 2, convertito con modificazioni dalla L. 13 marzo 1988, n. 68.

(7) A norma dell'articolo 3, comma 1, del D.L. 30 novembre 2013, n. 133, le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche alle alienazioni di immobili di cui all'articolo 11-quinquies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito in legge 2 dicembre 2005, n. 248; per esse la domanda di sanatoria di cui al presente comma puo' essere presentata entro un anno dall'atto di trasferimento dell'immobile.

[12] Il T.U. n. 380 del 2001 è entrato in vigore il 30.6.2003. L'originaria data del 30.6.2001, disposta dall'art.138 del TU, è stata prorogata di un anno dall'art. 5-bis, co 1, del D.L. 411 del 2001, convertito con modificazioni dalla L. n. 463 del 2001, e di un ulteriore anno dall'art. 2, co 1, del D.L. n. 122 del 2002, convertito con modificazioni dalla L. n. 185 del 2002.

Art. 46 -  Nullità degli atti giuridici relativi ad edifici la cui costruzione abusiva sia iniziata dopo il 17 marzo 1985

Testo vigente dal 11/12/2016:

1. Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù.

2. Nel caso in cui sia prevista, ai sensi dell'articolo 38, l'irrogazione di una sanzione soltanto pecuniaria, ma non il rilascio del permesso in sanatoria, agli atti di cui al comma 1 deve essere allegata la prova dell'integrale pagamento della sanzione medesima.

3. La sentenza che accerta la nullità degli atti di cui al comma 1 non pregiudica i diritti di garanzia o di servitù acquisiti in base ad un atto iscritto o trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda diretta a far accertare la nullità degli atti.

4. Se la mancata indicazione in atto degli estremi non sia dipesa dalla insussistenza del permesso di costruire al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa.

5. Le nullità di cui al presente articolo non si applicano agli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali. L'aggiudicatario, qualora l'immobile si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, dovrà presentare domanda di permesso in sanatoria entro centoventi giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria.

5-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi realizzati mediante segnalazione certificata di inizio attivita' ai sensi dell'articolo 23, comma 01, qualora nell'atto non siano indicati gli estremi della stessa (1) .

(1) Comma aggiunto dall'articolo 1 del D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 301 e successivamente modificato dall' articolo 17, comma 2, del D.L. 12 settembre 2014, n. 133 , convertito con modificazioni dalla Legge 11 novembre 2014 n. 164 e dall'articolo 3, comma 1, lettera u), del D.Lgs. 25 novembre 2016, n. 222.

[13] Ad opinione di una parte della dottrina la derogabilità pattizia di una disposizione di legge potrà essere desunta - pur mancando una espressa attribuzione, in capo ai contraenti, del potere di autoregolazione - anche dal contesto

sistematico entro cui la stessa opera, si veda in tal senso GALGANO F., Simulazione. Nullità del contratto. Annullabilità del contratto, in Commentario del Codice Civile SCIALOJA-BRANCA, Roma, 1998, p. 233

[14] GALGANO F. - Peccenini F. - Franzoni M. - Memmo D. - Cavallo Borgia R., Simulazione. Nullità del contratto. Annullabilità del contratto, 1998, Zanichelli.

[15] G. DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, cit, p. 446: “la nullità deve essere esclusa se l’esigenza perseguita dal legislatore mediante la previsione della specifica sanzione… sia compiutamente realizzata con la relativa irrogazione, mentre deve essere ammessa in caso contrario”

[16] Cass. Civ., 11 Dicembre 1991, n. 13393, in Massimario foro italiano, 1991, p. 1172; Cass. Civ., 5 aprile 2003, n.5372; in Massimario foro italiano, 2003, p. 460; Cass. Civ., 24 maggio 2003, n. 8236, in Massimario foro italiano, 2003, p. 749.

[17] G.VILLA, Contratto e violazione di norme imperative,1993,Giuffrè; A. ALBANESE, Violazione di norme imperative e nullità del contratto,2003, Jovene; A.BARBA, La nullità del contratto per violazione di norma imperativa, cit.

[18] Per ogni approfondimento sulle posizioni teoriche dottrinarie in merito alle norme imperative e norme inderogabili si rimanda all’approfondito contributo di MASTROPASQUA G., Art. 1418 C.1. C.c.: la norma imperativa come norma inderogabile, in Jus Civile, 2013, 12

[19] Il carattere “imperativo” di una norma si può, altresì, desumersi mediante una valutazione di carattere oggettivo, ovvero sia , se essa sia funzionale  alla affermazione e tutela di un interesse pubblico o di un principio fondamentale dell’ordinamento, tali da consentire, per il carattere imperativo, l’applicazione applicabile, in caso di violazione, la normativa sulle “nullità non dichiarate” di cui all’art. 1418 co. 1 c.c. In tal senso si veda Cassazione n. 9219/1995, , Cass. 3 agosto 2005, n 16281; orientamento più recente a Cassazione n.26672/2013. Per un saggio di approfondimento si veda SCHILLACI A., La nullità “virtuale” dei contratti alla luce della più recente giurisprudenza di merito e di legittimità, in Riv. Cammino Diritto, 6/2015.

[20] La nullità può scaturire sia dalla violazione di una norma del codice civile sia dalla violazione di norme contenute in leggi speciali. La nullità può colpire l'intero negozio o una sua parte oppure, ancora, singole clausole. Si parla in tutti questi casi di nullità totale quando investe l'intero negozio e di nullità parziale quando investe parti o clausole del negozio. In questo caso il negozio è nullo solo se i contraenti non l'avrebbero concluso senza quella parte o clausola colpita da nullità (art. 1419 c.c.). Non si verifica la nullità quando le singole clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative. Per stabilire quando la nullità di singole clausole (o parti del) negozio comporti la nullità dell'intero negozio sarà quindi necessario andare a ricercare l'intenzione delle parti, l'intenzione comune nel caso di contratti.  Tale intenzione sarà desunta dal loro comportamento e non certo da sottili indagini psicologiche; in altre parole bisognerà verificare se dal contegno delle parti sarà oggettivamente possibile risalire alla loro intenzione secondo i principi della buona fede e dell'affidamento. Inoltre, nel caso in cui vi sia nullità parziale, comunque residuerà un negozio giuridico perfetto del tipo voluto dalle parti, e non un altro tipo di negozio come invece accade nell'ipotesi apparentemente simile relativa alla conversione del negozio nullo.

[21] Si veda Caccavale C., Parere, in  Riv. del Notariato, fasc.2, 2015, pag. 244. La scritto chiarifica la posizione del notaio  in tema di mancata o falsa dichiarazione circa i titoli autorizzativi di un immobile trasferito . Lo scritto riguarda la vexata quaestio della simultanea vigenza e i profili problematici applicativi dell'art. 27 legge notarile, in forza del quale questi non può esimersi dal prestare il suo ministero allorquando richiesto, e dell'art. 28 legge notarile, che gli impedisce di ricevere atti manifestamente vietati dalla legge. La prima previsione ricava la sua ratio legis nell’intento di garantire, per mezzo del notaio, un controllo di legalità nella circolazione dei beni giuridici. La seconda norma citata ha il fine di spiegare una forma di tutela delle ragioni ed interessi espressi dai soggetti nell’esercito dell'autonomia contrattuale.  Il controllo di legalità esercitato dal notaio viene coincide con il suo compito di impedire l'ingresso nell'ordinamento di atti in ordine alla cui contrarietà alla legge vi sia assoluta certezza, mentre tale potere selettivo non può spingersi al punto di precludere la conclusione di atti che, soltanto in via ipotetica, integrino tale contrarietà. Conseguenza diretta di ciò è che il notaio non può rifiutarsi, proditoriamente, di ricevere atti, non solo quando vi sia incertezza in ordine all'astratta previsione del divieto, ma anche quando vi siano incertezze in ordine alla riconducibilità della fattispecie concreta a quella vietata dalla legge.  La tematica acquisisce profili emblematici di questo tipo di approccio mostra i suoi effetti nel caso in cui  al notaio si richieda , ad esempio, il rispetto della normativa urbanistico-edilizia, dove viene in rilievo un primario interesse di natura pubblicistica (quello dell'assetto del territorio), dove pure il notaio – per un certo verso -  deve contribuire a garantire in ragione del suo ministero. Con la legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 17 e 40, e ora anche ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U. dell'edilizia), art. 46, la commercializzazione degli immobili dipende in parte anche dalla loro regolarità urbanistico-edilizia, talché occorre che gli atti di trasferimento, costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi ad edifici o loro parti rechino, per la loro validità, l'indicazione dei titoli abilitativi della costruzione o la dichiarazione che la costruzione è iniziata in data anteriore al 1º settembre 1967 ovvero l'indicazione del titolo in sanatoria oppure, in mancanza, gli estremi della domanda di condono in corso. Si legge in estratto del parere di cui qui si accenna che: “ si afferma in proposito che il notaio debba attenersi ai dati comunicati a lui dalle parti (e segnatamente il venditore): ciò sia in relazione alla regolarità formale dell'atto, sia in relazione alla sua regolarità sostanziale (nella misura in cui rilevi anch'essa sulla validità dell'atto oltre quella formale). All’uopo puntualizzandosi che un supplemento di informazioni debba essere da lui preteso soltanto quando quegli stessi elementi appaiano incongrui, contraddittori o in contrasto con altri dati dei quali abbia conoscenza: si pensi, ad esempio, al caso in cui il venditore dichiari che l'immobile è stato costruito in data anteriore al 1º settembre 1967, quando l'atto di provenienza stipulato in epoca di molto successiva abbia ad oggetto non l'immobile medesimo ma il nudo terreno sul quale esso insiste. Epperò, salve ipotesi di tal specie, quando le informazioni messegli a disposizione appaiano ragionevolmente attendibili, il notaio non può fare altro che, tali informazioni, tenere per buone”. Si rimanda per ogni altro aspetto al citato parere Caccavale C., op.cit..

Per ciò che concerne l’ approfondimento dottrinale sull’argomento dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di immobili abusivi e loro circolazione  si veda Longobucco F., Circolazione di immobili abusivi e giusto rimedio, in Riv. Giuridica dell'Edilizia, fasc.5, 2015, pag. 243

[22] Relazione del Ministro guardasigilli al Codice civile preceduta dalla relazione al Disegno di legge sul valore giuridico della Carta del lavoro. - Roma : Istituto poligrafico dello Stato, 1942. - 282 p. ; 30 cm. ((Ediz. straord. della Gazzetta ufficiale del Regno d'Italia, Pt. 1., sabato 4 aprile 1942 (a. 83.), n. 79 bis.

Si veda anche per approfondimento di lettura copia anastatica della Relazione del Ministro Guardasigilli Grandi al Codice Civile del 1942 -Testo e Relazione Ministeriale-Biblioteca - Camera dei Deputati- Istituto Poligrafico dello  Stato Roma 1943 - ANNO XXI visionabile on line al sito www.consiglionazionaleforense.it- sezione collana-studi-storici-e-giuridici.

[23] Per una disamina degli orientamenti sulla materia si confrontino gli scritti di  LA MARCA G., Nullità urbanistiche e preliminare di vendita di immobili abusivi: inammissibile l’esecuzione ex art. 2932 cod. civ., nota a Cass. Civ., II sez., 30.11.2007, n. 25050, in NGCC, 2008, I, 699,3 ed altri scritti.

[24] L’impostazione “sostanzialistica” è stata condivisa anche dal Consiglio Nazionale del Notariato nella circolare esplicativa formulata all’entrata in vigore della legge n. 47 del 28 febbraio 1985. Fu sottolineato come non possa ritener si che tale dichiarazione sia di per sé sufficiente a reggere la validità dell'atto pure in presenza di falsa od erronea enunciazione degli estremi di concessione, potendo l'atto essere ugualmente nullo una volta accertata la falsità dell'enunciazione. La tesi è stata poi ripresa e sviluppata dallo stesso Consiglio Nazionale del Notariato in un ulteriore intervento sul punto CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, La legge 28 febbraio 1985, n. 47. Criteri applicativi, in Consiglio Nazionale del Notariato, Condono edilizio Circolari, studi e riflessioni del notariato, Milano, 1999, 3 ss;

Per approfondimenti si veda Marrese A., qualità del bene immobile e validità del contratto, in Riv. del Notariato, fasc.4, 2014, pag. 809; G. Alpa, Questioni relative alla nozione di nullità nella legge sul condono edilizio, in Riv. giur. edil., 1986, II, 89 ss.; A. Catautella, Nullità «formali» e nullità «sostanziali» nella normativa sul condono edilizio, in Quadrimestre, 1986, 487 ss.; Si veda Caccavale C., Parere, op.cit..

[25]Cfr. Cass., 8 febbraio 1997 n. 1199; Cass., 15 giugno 2000 n. 8147; Cass., 22 maggio 2008 n. 13225, in Imm. propr., 2012, 734 ss.; Cons. Stato, 10 gennaio 2014 n. 46, (Cass., 5 luglio 2013, n. 16876 in testo esteso in http://www.italgiure.giustizia.it.

[26] L’ottica di tale prospettiva si allinea a quella assunta in relazione alla nullità  dall'art. 15, comma

7°, della legge Bucalossi (l. 28.1.1977, n. 10 - Norme per la edificabilità dei suoli), secondo il quale "gli atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione sono nulli ove da essi non risulti che l'acquirente era a conoscenza della mancanza della concessione".

[27] La Marca G, op. cit.;

[28] Tali norme mirano sanzionare l'abusivismo edilizio precludendo la possibilità che immobili abusivi possano essere venduti in forza di accordi fra le parti. Al contempo esprimono una sensibilità nel garantire una qualche forma di tutela del traffico giuridico e dell'interesse dell'acquirente di evitare la nullità dell'atto di trasferimento.

[29] Ciò comporta, quindi, la nullità, giacché impedisce il suddetto controllo all'acquirente (cfr. sentt. nn. 14025/1999, 8147/2000, 5068/01, 5898/2004, 26970/05) ; si veda anche, per l'affermazione dell'irrilevanza della non veridicità della dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante l'inizio dell'opera in data anteriore al 2 settembre 1967, sent. n. 16876/13. La tesi della rilevanza solo formale delle c.d. menzioni urbanistiche è anche confermata da una recente pronuncia della Suprema Corte avente ad oggetto la veridicità della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà circa l’anteriorità al 1° settembre 1967 dell’inizio della costruzione dell’immobile dedotto in contratto (Cass., 5 luglio 2013, n. 16876). In tale sede la Corte di Cassazione ha sostenuto che l'art. 40, 2° comma, della legge n. 47 del 28 febbraio 1985, preveda un’ipotesi di nullità. Si interessa sviluppa la questione  Marrese A., op. cit., 167

[30] fatta propria da molta giurisprudenza anche di legittimità: cfr. per tutte Cass., 8 febbraio 1997, n. 1199; Cass., 15 giugno 2000, n. 8147.

[31] Cassazione. civ., Sez. II, 22 maggio 2008, n. 13225, in Imm. E propr., 2012, 12, 734.

[32] già comma 4 dell'art. 17 l. n. 47/1985

[33] Si ndividua nell'art. 40 l. n. 47/1985 una “norma imperativa”, (cfr Cass., 17 ottobre 2013 n. 23951; Cass., 17 dicembre 2013 n. 28194. La giurisprudenza di legittimità testé richiamata trova negli artt. 17 e 40 l. n. 47/1985 (ora art. 46 t.u. edilizia)  che, in quelle disposizioni sarebbe sanzionata la negoziazione sia di un bene in mancanza della menzione dei titoli edilizi abilitativi sia dell'immobile sostanzialmente privo del titolo abilitativo richiesto. La dottrina ha però obiettato che anche il regime sanzionatorio dei manufatti abusivi debba essere letto in chiave sistematica alla luce dello ius generalis e in particolare che il fondamento della nullità (urbanistica) sostanziale debba essere ricercato nella disciplina degli artt. 1418, comma 2 e 1346 c.c. . ( in tal senso si veda  A. MARRESE, Qualità del bene, cit., 168 ss.).  Alla luce di tale impostazione ne discende che l’atto, conterrebbe un oggetto illecito (cioè un trasferimento illecito) per contrarietà alle norme imperative che impongono come condizione di negoziabilità dell'opera la sussistenza del titolo abilitativo richiesto (cfr. Cass., 25 gennaio 2007 n. 1626), ovvero un oggetto giuridicamente impossibile, in quanto relativo ad una cosa incommerciabile perché urbanisticamente irregolare (in tal senso si veda C. DONISI, Sulla circolazione giuridica dei fabbricati abusivi, in Ricerche di diritto civile, Napoli, 1979, 98 ss.).  In conclusione seguendo tale impostazione l'atto è viziato da una nullità sostanziale e, perciò insuscettibile di sanatoria ai sensi dell'art. 1423 c.c.. In tal senso si veda LONGOBUCCO F., Circolazione di immobili abusivi e giusto rimedio, op. cit.  

[34]  i virgolettati sono tratti da Cass. 23591/13, pagina 14, primo capoverso.

[35] l'esclusione dei contratti obbligatori dall'ambito di operatività della nullità ex art. 40 I. 47/1985 - costantemente affermata nella giurisprudenza anteriore alle citate sentenze nn. 23591/13 e 28194/13 (cfr., tra le tante, le sentenze nn. 6018/99, 14489/05, 9849/07, 15734/11)-è stata infatti ribadita, pur dopo le sentenze nn. 23591/13 e 28194/13, nelle sentenze della terza sezione nn. 28456/2013 e 21942/2017 e nelle sentenze della seconda sezione nn. 9318/16 e 11659/18.

[36] Confronta nota successiva per excursus giurisprudenziale.

[37] Ancora più esplicitamente Cass. civ., 24 marzo 2004, n. 5898, ha affermato che il difetto di regolarità sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico non rileva di per sé ai fini della validità dell'atto di trasferimento, trovando rimedio nella disciplina dell'inadempimento contrattuale. Nella stessa ottica, è stata esclusa la nullità dei contratti aventi ad oggetto immobili, nel caso in cui le dichiarazioni previste dalla l. n. 47/1985, artt. 17 o 40, siano state rese ma non siano conformi al vero. In termini, v., infatti, ex multis, Cass. civ., 5 luglio 2013, n. 16876.

Cass. civ., 7 dicembre 2005, n. 26970, ha affermato che la nullità prevista dalla l. n. 47/1985 (e ora l. n. 380/2001) assolve la sua funzione di tutela dell'affidamento, sanzionando specificamente la sola violazione di un obbligo formale, imposto al venditore al fine di porre l'acquirente di un immobile in condizione di conoscere le condizioni del bene acquistato e di effettuare gli accertamenti sulla regolarità del bene attraverso il confronto tra la sua consistenza reale e quella risultante dalla concessione edilizia ovvero dalla domanda di concessione in sanatoria. Alla rigidità della previsione consegue che, come non può essere attribuita alcuna efficacia sanante all'esistenza della concessione o sanatoria che non siano state dichiarate nel contratto di compravendita di un immobile, così, in presenza della dichiarazione, nessuna invalidità deriva al contratto dalla concreta difformità della realizzazione edilizia dalla concessione o dalla sanatoria e, in generale, dal difetto di regolarità sostanziale del bene sotto il profilo del rispetto delle norme urbanistiche. Con la pronuncia in epigrafe, le Sezioni Unite ribadiscono, pertanto, tale orientamento.

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