Pubbl. Sab, 22 Giu 2019
Il promissario acquirente può recedere dal preliminare anche se non ha versato la caparra
Modifica paginaNota a ordinanza della Cassazione 27 febbraio – 16 maggio 2019, n. 13241
Sommario: 1. Il caso; 2. La caparra confirmatoria; 3. Il recesso di cui all'art. 1385, comma 2, c.c.
1. Il caso
Tizio e Caio stipulavano con la società immobiliare Alfa un contratto preliminare di vendita di un terreno destinato a civile abitazione, con l’espressa pattuizione che il bene era ricompreso in un lotto edificabile già approvato dall’Amministrazione comunale locale e che sullo stesso potevano essere costruiti immobili per superfici, altezze e volumetrie prestabilite.
A seguito del versamento di una caparra confirmatoria del valore di € 87.797,67, i promissari acquirenti avevano sottoposto i progetti edilizi elaborati all’approvazione dell’ufficio del Comune, per poi apprendere che il terreno oggetto del contratto non possedeva la capacità edificatoria promessa.
Sicché, i promissari acquirenti adivano il Tribunale di Bergamo al fine di far accertare l’inadempimento della promittente venditrice, nonché la legittimità del recesso comunicato alla controparte ai sensi dell’art. 1385, comma 2, c.c. e la condanna dell’altro contraente alla restituzione del doppio della caparra versata.
Il giudice adìto, nell’accogliere le domande attoree, dichiarava dunque il contratto risolto e condannava la società immobiliare convenuta al pagamento della somma richiesta.
La promittente venditrice, soccombente, proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Bergamo sostenendo l’illegittimità del recesso esercitato dai promissari acquirenti. Secondo l’appellante, questi ultimi, prima di venire a conoscenza della circostanza che il bene fosse privo della capacità edificatoria promessa, avevano omesso di versare la somma dovuta a titolo di caparra confirmatoria, ponendo in essere a loro volta un grave inadempimento contrattuale; pertanto, a fronte del predetto inadempimento, era loro preclusa la facoltà di avvalersi del diritto di recesso ex art. 1385, comma 2, c.c., il cui esercizio è riservato alla parte non inadempiente.
La Corte d’Appello di Bergamo accoglieva l’impugnazione proposta in punto di legittimità del recesso, non ritenendo sussistente una giustificazione causale con riguardo all’omesso versamento della caparra. Difatti, dall’istruttoria era emerso che i promissari acquirenti avevano avuto conoscenza della circostanza che il terreno oggetto del contratto fosse privo della capacità edificatoria promessa in data successiva rispetto a quella prevista per il versamento della caparra.
Con riferimento, invece, alla domanda di risoluzione del preliminare, la Corte precisava che, in ipotesi di inadempimento reciproco, si sarebbe dovuto operare un giudizio di comparazione sul comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire a quale di esse — tenuto conto dei rispettivi interessi e dell’entità oggettiva degli inadempimenti — fossero imputabili le violazioni maggiormente rilevanti. Ciò posto, ad avviso della Corte era da ritenersi prevalente l’inadempimento della società promittente venditrice riguardo alla garanzia concernente la capacità edificatoria del terreno promesso in vendita.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bergamo proponevano ricorso per cassazione i promissari acquirenti, al fine di sentir dichiarata la legittimità del recesso esercitato ai sensi dell’art. 1385, comma 2, c.c.
Ad avviso della Cassazione, l’elemento dirimente per la soluzione della questione è stabilire se il promissario acquirente che abbia omesso di versare l’acconto previsto nel contratto preliminare possa esercitare il diritto di recesso a fronte dell’inadempimento del promittente venditore circa le qualità promesse del bene.
Anzitutto, la Corte ha rilevato come il termine individuato dalle parti per il pagamento dell’acconto sul prezzo non potesse ritenersi essenziale e, come tale, inderogabile.
Inoltre, la Cassazione ha affermato la sostanziale irrilevanza del profilo soggettivo al momento del mancato versamento dell’acconto, dovendo l’inadempimento essere valutato solamente alla stregua di una valutazione complessiva del comportamento delle parti e del rapporto contrattuale.
Infatti, la disciplina dell’art. 1385, comma 2, c.c. consente l’esercizio del diritto di recesso quando l’inadempimento della controparte sia colpevole e non di scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse della parte non inadempiente. Pertanto, in presenza di reciproci inadempimenti, occorre — similmente a quanto accade ove sia proposta, da ambedue le parti, la domanda di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. — una valutazione comparativa del comportamento di entrambi i contraenti in relazione al contratto, in modo da stabilire quale di essi abbia determinato, con il proprio contegno, il venir meno dell’interesse dell’altro al mantenimento del rapporto contrattuale.
In altri termini, e ad avviso della Corte, la parte che intenda valersi del diritto di recesso ex art. 1385, comma 2, c.c. non deve essere a sua volta inadempiente; tuttavia, l’indagine circa l’inadempimento della parte recedente deve avvenire tenendo conto del valore della parte dell’obbligazione non adempiuta rispetto al rapporto complessivo, sulla base di un criterio di proporzionalità. Sicché, una volta operata una valutazione complessiva e globale del comportamento delle parti, è necessario accertare se, per effetto dell’inadempimento del recedente, si sia verificata ai danni della controparte una sensibile alterazione dell’equilibrio contrattuale o se, invece, tale alterazione non dipenda dall’inadempimento della controparte.
Sulla base di tale principio di diritto, la Corte ha dunque accolto il ricorso proposto dai promissari acquirenti, rinviando la causa per la nuova decisione nel merito alla Corte d’appello di Brescia.
2. La caparra confirmatoria.
L’ordinanza che qui si annota consente di esaminare l’istituto della caparra confirmatoria (1), con particolare riferimento al diritto di recesso di cui all’art. 1385, comma 2, c.c.
La caparra confirmatoria, la quale trova il suo antecedente storico nell’arrha di diritto romano (2), consiste in una somma di denaro o in una quantità di altre cose fungibili che una parte consegna all’altra a garanzia della serietà dell’impegno assunto (art. 1383 c.c.) (3).
La prevalente dottrina qualifica la caparra confirmatoria come patto accessorio (4) ad effetti reali (5). Essa può avere ad oggetto una somma di denaro o altre cose fungibili (6) e può essere perfezionata (7) in un momento antecedente o successivo rispetto alla conclusione del contratto principale (8).
È frequente in letteratura l’affermazione secondo cui la caparra assolverebbe ad una triplice funzione (9): a) di prova dell’avvenuta conclusione del contratto cui accede; b) di anticipazione dell’esecuzione della prestazione principale convenuta tra le parti (10); c) di preventiva liquidazione del danno subito dalla parte recedente a causa dell’inadempimento della controparte (11). Sotto questo profilo, essa si distingue dalla caparra penitenziale, la quale, ai sensi dell’art. 1386 c.c., costituisce il corrispettivo del diritto di recesso che le parti abbiano eventualmente stabilito (12).
In caso di adempimento, la caparra dev’essere restituita o imputata alla prestazione dovuta dall’accipiens (13). In ipotesi di inadempimento, invece, la parte fedele al contratto può esercitare il diritto di recesso previsto dall’art. 1385, comma 2, c.c., oppure agire in giudizio per l’esecuzione del contratto o per la risoluzione del medesimo, salvo - ove non decida di avvalersi del recesso - il diritto al risarcimento del danno (14).
Qualora la parte in bonis si avvalga del diritto di recedere dal contratto, l’accipiens ha il diritto di incamerare la caparra ricevuta, mentre il dans ha il diritto di ricevere il doppio della caparra versata. L’esercizio del diritto di recesso si esercita mediante dichiarazione da comunicarsi all’altra parte e non richiede particolari formalità; in particolare non è necessaria la proposizione di apposita domanda giudiziale o la formulazione di una diffida (15).
3. Il recesso di cui all'art. 1385, comma 2, c.c.
L’opinione prevalente qualifica il recesso ex art. 1385, comma 2, c.c. come una particolare forma di risoluzione per inadempimento ex lege, subordinata al ricorrere dei presupposti di cui agli artt. 1453 ss. c.c.: l’inadempimento imputabile e la sua gravità, avuto riguardo all’interesse del creditore (art. 1455 c.c.) (16). Si tratterebbe, in definitiva, di una forma di risoluzione di diritto, «da affiancare (piuttosto che contrapporre) a quelle di cui agli artt. 1454, 1456, 1457 c.c.» e «destinata ad operare, indipendentemente dall’esistenza di un termine essenziale o di una diffida ad adempiere, attraverso la semplice comunicazione all’altra parte di una volontà ‘‘caducatoria’’ degli effetti negoziali» (17).
Al quesito se la parte non inadempiente possa convertire, nel corso del giudizio, la domanda di risoluzione con la domanda volta ad ottenere il pagamento della somma dovuta a titolo di caparra, la giurisprudenza ha dato risposte contrastanti.
Secondo una prima tesi, attesa la mancanza di una norma, analoga a quella dell'art. 1453 c.c., che stabilisca preclusioni processuali, «anche dopo aver proposto la domanda di risarcimento, e fino al passaggio in giudicato della relativa sentenza, la parte non inadempiente può decidere di esercitare il recesso, in tal caso peraltro, implicitamente, rinunciando al risarcimento integrale e tornando ad accontentarsi della somma convenzionalmente predeterminata al riguardo. Ne consegue che ben può, pertanto, il diritto alla caparra essere fatto valere anche nella domanda di risoluzione» (18).
Per un altro orientamento, invece, la facoltà di recedere dal contratto (ritenendo la caparra ricevuta o esigendo il doppio di quella versata) sarebbe incompatibile con i rimedi ordinari, giacché in tal caso la caparra perderebbe la sua funzione di liquidazione anticipata e convenzionale del danno (19).
A dirimere il contrasto testé richiamato sono intervenute le Sezioni Unite, le quali hanno precisato che «i rapporti tra azione di risoluzione e di risarcimento integrale da una parte, e azione di recesso e di ritenzione della caparra dall’altro si pongono in termini di assoluta incompatibilità strutturale e funzionale, sicchè, proposta la domanda di risoluzione volta al riconoscimento del diritto al risarcimento integrale dei danni asseritamente subiti, non può ritenersene consentita la trasformazione in domanda di recesso con ritenzione della caparra» (20).
Come si è anticipato, la legittimità dell’esercizio del recesso di cui all’art. 1385, comma 2, c.c. è subordinata al ricorrere dei presupposti previsti in tema di risoluzione giudiziale dall’art. 1455 c.c., a tenore del quale «Il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra» (21). Ai fini dell’esercizio del diritto di recesso, occorre dunque che l’inadempimento sia imputabile al debitore (22) e che non abbia scarsa importanza (23). Inoltre, per costante orientamento giurisprudenziale, è necessario che la parte recedente non sia a sua volta inadempiente (24).
Tale principio di diritto trova un temperamento nell’ipotesi di c.d. inadempimento reciproco (25). Sul punto, l'ordinanza in commento non si discosta dalla ricorrente massima giurisprudenziale secondo la quale, nei contratti con prestazioni corrispettive ed in presenza di un inadempimento reciproco, occorre procedere ad una valutazione globale e comparativa dei rispettivi inadempimenti e comportamenti delle parti, al cui esito «l’inadempimento deve essere addebitato esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comportamento colpevole prevalente, abbia alterato il nesso di reciprocità che lega le obbligazioni assunte con il contratto, dando causa al giustificato inadempimento dell’altra parte» (26).
Nel caso in esame, la Corte, sul presupposto che il mancato versamento della somma dovuta dai promissari acquirenti a titolo di caparra confirmatoria dovesse ritenersi giustificato dall’accertato inadempimento della promittente venditrice rispetto alle qualità promesse del bene oggetto del preliminare, ha censurato la decisione del giudice dell’impugnazione, nella parte in cui, valutato come prevalente l’inadempimento della promittente venditrice, ha rigettato l’appello principale anziché condannare quest’ultima al pagamento del doppio della caparra ricevuta.
Note e riferimenti bibliografici
(1) La letteratura sull’argomento è sterminata. V., oltre agli Autori citati nel prosieguo e senza pretesa di esaustività, W. D’Avanzo, voce Caparra, in Noviss. Dig. it., II, UTET, Torino 1958, p. 893 ss.; V.M. Trimarchi, voce Caparra, in Enc. dir., VI, Giuffrè, Milano 1960, p. 191 ss.; G. Bavetta, La caparra, Giuffrè, Milano 1963; A. Marini, voce Caparra, I) Diritto civile, in Enc. giur. Treccani, V, Roma 1988, p. 1 ss.; G. De Nova, voce Caparra, in Dig. disc. priv., Sez. civ., II, UTET, Torino 1988, p. 240 ss.; M. Franzoni, La caparra, in Diritto civile, diretto da N. Lipari e P. Rescigno, III, 2, Il contratto in generale, Giuffrè, Milano 2009, p. 689; C.M. Bianca, Diritto civile, 5, La responsabilità, II ed., Giuffrè, Milano 2012, p. 387 ss.
(2) L'arrha, già conosciuta ai Greci, si configurava nel diritto romano classico quale clausola del contratto di compravendita, consistente nel pagamento da parte del compratore di un acconto sul prezzo. Al riguardo, testimonia Gaio (Gai. 3.139) che l’istituto aveva nel diritto classico una funzione sia confirmatoria, sia probatoria (argumentum est emptionis et venditionis contractae); solo in epoca postclassica si affermò l’idea di un’arrha poenitentialis, prevista cioè come corrispettivo per l’esercizio del diritto di recesso: il compratore, successivamente pentitosi, poteva rinunciare all’acquisto perdendo la caparra versata, così come il venditore, pentitosi, poteva non trasferire la cosa pagando il duplum della caparra ricevuta. Sul tema, v., tra gli altri, M. Talamanca, L’arra della compravendita in diritto greco e in diritto romano, Giuffrè, Milano 1953, e A. Pezzana, voce Caparra (diritto romano), in Enc. dir., VI, Giuffrè, Milano 1960, p. 183.
(3) La costante giurisprudenza richiede che le cose fungibili siano date espressamente a titolo di caparra, dovendosi, nel dubbio, propendere per la natura di acconto: cfr. Cass., 23 dicembre 2005, n. 28697; Cass., 7 luglio 2004, n. 12472; Cass., 17 dicembre 1994, n. 1087; Cass., 17 maggio 1985, n. 3014; Cass., 22 agosto 1977, n. 3833.
(4) Con riferimento ai rapporti tra il patto di caparra e il contratto principale, prevale in dottrina la tesi secondo cui la caparra ha carattere accessorio, in quanto presuppone un contratto principale da rafforzare: così, F. Messineo, Dottrina generale del contratto, Giuffrè, Milano 1952, p. 134; A. Cataudella, Sul contenuto del contratto, Giuffrè, Milano 1966, p. 220 s.; G. Mirabelli, Dei contratti in generale, in Comm. cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, IV, 2, UTET, Torino 1980, p. 348; G. De Nova, Le clausole penali e la caparra confirmatoria, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, Obbligazioni e contratti, II, X, UTET, Torino 1997, p. 422; C.M. Bianca, Diritto civile, 5, cit., p. 395. L’opinione secondo la quale il patto di caparra andrebbe inquadrato nell’ambito dei negozi collegati è stata sostenuta da A. Marini, voce Caparra, I) Diritto civile, cit., p. 2 e V.M. Trimarchi, voce Caparra, cit., p. 201, nonché ripresa da F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, ESI, Napoli 2003, p. 633.
(5) V.M. Trimarchi, voce Caparra, cit., p. 195; G. Mirabelli, Dei contratti in generale, cit., p. 348; F. Carresi, Il contratto, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da A. Cicu e F. Messineo, I, Giuffrè, Milano 1987, p. 256. Ne consegue che il patto non produce effetti giuridici fino alla consegna della somma pattuita: in giurisprudenza, v. Cass., 15 aprile 2002, n. 5424; Cass., 7 giugno 1978, n. 2870. L’efficacia reale del patto di caparra non esclude la possibilità di configurare una promessa di caparra avente effetti meramente obbligatori: C.M. Bianca, Diritto civile, 5, cit., p. 396.
(6) Secondo la giurisprudenza, possono costituire oggetto di caparra i titoli di Stato e gli assegni bancari, purché assimilati per volontà delle parti al denaro: così, Cass., 9 agosto 2011, n. 17127, in Giust. civ., 2011, I, p. 2275; Trib. Monza, 10 settembre 1994, in Giur. comm., 1995, I, p. 1102. Viceversa, la nozione di caparra non comprende la dazione di cose determinate, di cose infungibili o di cambiali: sul punto, v. Cass., 15 marzo 1976, n. 750, in Giust. civ., 1976, I, p. 1670; Trib. Cagliari, 11 novembre 1984, in Riv. giur. sarda, 1986, p. 103.
(7) Si ritiene ammissibile la stipulazione del patto di caparra anche soltanto da talune parti del contratto principale che sia plurilaterale o con parti soggettivamente complesse: cfr., sul punto, V.M. Trimarchi, voce Caparra (dir. civ.), cit., p. 193; A. Marini, voce Caparra, I) Diritto civile, cit., p. 2. È dubbio, invece, se nel patto possano intervenire soggetti terzi rispetto alle parti del contratto principale: per la soluzione positiva, cfr. G. Bavetta, La caparra, cit., p. 37; contra, W. D’Avanzo, voce Caparra, cit., p. 895; V.M. Trimarchi, voce Caparra (dir. civ.), cit., p. 194.
(8) In dottrina, v. Bianca, Diritto civile, 5, cit., p. 396; in giurisprudenza, v. Cass., 13 febbraio 2006, n. 3071; Cass., 23 gennaio 2004, n. 1168; Cass., 14 aprile 2002, n. 5424.
(9) Distingue la funzione della caparra a seconda delle vicende del rapporto principale G. De Nova, voce Caparra, cit., p. 241, ad avviso del quale la caparra potrebbe assolvere ad una funzione di anticipo della prestazione (in caso di esecuzione del contratto principale) o di risarcimento (nel caso di inadempimento, qualora il contraente in bonis eserciti il recesso) oppure, infine, di garanzia (qualora la parte fedele chieda l’adempimento o la risoluzione e la caparra sia stata versata dalla parte inadempiente); è rimasta isolata, invece, l’opinione di V.M. Trimarchi, voce Caparra, cit., p. 201, secondo cui la caparra assolverebbe ad una funzione punitiva e risarcitoria.
(10) Cass., 13 giugno 1975, n. 2380.
(11) Di generica funzione di autotutela discorre V. Roppo, Il contratto, in Tratt. dir. priv., diretto da G. Iudica e P. Zatti, II ed., Giuffrè, Milano 2011, p. 522.
(12) Di regola, la caparra pattuita convenzionalmente ha carattere confirmatorio (di là del nomen iurius attribuito alla stessa dalle parti: Cass., 2 dicembre 1993, n. 11946), salvo che dall’accertamento della volontà contrattuale, affidato alla valutazione insindacabile del giudice di merito, non risulti che le parti abbiano voluto riservarsi, mediante la previsione della caparra medesima, un diritto di recesso unilaterale ad nutum e svincolato dall’altrui inadempimento: così, Cass., 5 dicembre 1988, n. 6577; Cass., 15 maggio 1982, n. 3027.
(13) A. Marini, voce Caparra, I) Diritto civile, cit., p. 43; osserva V.M. Trimarchi, voce Caparra (dir. civ.), cit., p. 198, che, mancando una pluralità di debiti ed essendo il tradens tenuto ad eseguire unicamente la prestazione principale, non si tratterebbe di un’imputazione in senso tecnico, bensì di una semplice computazione, da far valere prima dell’integrale attuazione dell’adempimento.
(14) La possibilità di agire per il risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 1385, comma 3, c.c., costituisce un’innovazione della codificazione vigente, là ove il codice del 1985 si limitava a prevedere (art. 1217) che “La parte che non è in colpa, se non preferisce di ottenere l’adempimento della convenzione, può tenersi la caparra ricevuta o domandare il doppio di quella che ha data”.
(15) In dottrina, v. G. Mirabelli, Dei contratti in generale, cit., p. 343; A. Luminoso, Della risoluzione per inadempimento, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Zanichelli-Il Foro Italiano Editore, Bologna-Roma 1993, p. 351 s.; in giurisprudenza, v. Cass., 14 marzo 1988, n. 2435; Cass., 13 novembre 1982, n. 6047.
(16) V.M. Trimarchi, voce Caparra (dir. civ.), cit., p. 190; W. D'Avanzo, voce Caparra, cit., p. 896; A. Marini, voce Caparra, I) Diritto civile, cit., p. 3; C.M. Bianca, Diritto civile, 5, cit., p. 362. Cfr., in senso critico, N. Distaso, I contratti in genere, in Giur. sist., diretta da W. Bigiavi, UTET, Torino 1966, p. 802, secondo cui risoluzione e recesso «sono istituti aventi ciascuno una propria autonomia giuridica. In caso di risoluzione del contratto, la caparra conserva soltanto funzione di garanzia per il risarcimento del danno, che viene accertato e liquidato secondo le regole generali, mentre nel caso di recesso la caparra esercita la funzione di preventiva liquidazione del danno; la risoluzione ha carattere giudiziale (salvo i casi in cui opera di diritto), mentre il recesso opera per volontà della parte; la prima è retroattiva, il secondo, invece, opera ex nunc».
(17) Così, Cass., 6 settembre 2011, n. 18266; conformi pure Cass., 14 marzo 1988, n. 2435, Cass., 13 novembre 1982, n. 6047, Cass., 2 settembre 1978, n. 4023. In dottrina, cfr. V. Roppo, Il contratto, cit., p. 551.
(18) Cass., 16 maggio 2006, n. 11356.
(19) Cass. 3 luglio 2000, n. 8881.
(20) Cass., SS.UU., 14 gennaio 2009, n. 533.
(21) In termini non dissimili si esprime la Convenzione di Vienna, ai sensi della quale il contratto di vendita può essere risolto per inadempimento del venditore o del compratore quando si tratti di inadempimento essenziale (fundamental breach of contract). L’art. 25 della Convenzione definisce essenziale l’inadempimento di una parte che «causa all’altra un pregiudizio tale da privarla sostanzialmente di ciò che essa aveva diritto di aspettarsi dal contratto».
(22) V., in dottrina, C.M. Bianca, Diritto civile, 5, cit., p. 303; V. Roppo, Il contratto, cit., p. 899; A. Luminoso, Della risoluzione per inadempimento, cit., p. 27; in giurisprudenza, Cass., 11 febbraio 2005, n. 2853; Cass., 22 maggio 1986, n. 3408.
(23) Spiega V. Roppo, Il contratto, cit., p. 900, che l'accertamento sulla gravità o meno dell'inadempimento avviene «alla luce di due criteri da applicare congiuntamente», e cioè «un criterio oggettivo: che riguarda non qualificazioni astratte (prestazione principale o accessoria; materia di obbligazione volontaria o legale); bensì funzione e peso della prestazione inadempiuta nell'economia complessiva del contratto, valutata in concreto», e «un criterio soggettivo, fondato sull'interesse della vittima dell'inadempimento, cioè sullo specifico interesse che questa portava alla prestazione inadempiuta, e sul modo in cui tale interesse risulta colpito dall'inadempimento».
(24) C.M. Bianca, Diritto civile, 5, cit., p. 307, osserva che tale orientamento «è coerente con l’idea della risoluzione quale rimedio che tutela l’interesse del contraente contro l’inadempimento imputabile dell’altro. Il contraente che è a sua volta inadempiente non ha un interesse alla risoluzione che sia meritevole di tutela se il suo inadempimento lo rende responsabile, al pari della controparte, della mancata realizzazione del contratto».
(25) Ritiene impropria l’espressione «inadempimento reciproco», preferendo discorrere di «inesecuzione bilaterale con inadempimento unilaterale», D. Mantucci, L’inadempimento reciproco, Jovene, Napoli 1990, p. 15.
(26) Cass., 11 giugno 2018, n. 15052: «A fini della risoluzione del contratto nel caso di parziale o inesatto adempimento della prestazione, l'indagine circa la gravità dell'inadempienza deve tenere conto del valore, determinabile mediante il criterio di proporzionalità, della parte dell'obbligazione non adempiuta rispetto al tutto, nonché considerare se, per effetto dell'inadempimento, si sia verificata, ai danni della controparte, una sensibile alterazione dell'equilibrio contrattuale»; Cass., 9 giugno 2010, n. 13840: «Nei contratti con prestazioni corrispettive, in caso di denuncia di inadempienze reciproche, è necessario far luogo ad un giudizio di comparazione in ordine al comportamento di ambedue le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte, nonché della conseguente alterazione del sinallagma»; conformi pure Cass., 1° giugno 2004, n. 10477; Cass., 4 novembre 2003, n. 16530; Cass., 5 maggio 2003, n. 6756; Cass., 6 settembre 2002, n. 12978; Cass., 23 giugno 2001, n. 8621.