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Pubbl. Ven, 5 Lug 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

Il forum destinatae solutionis ed il regime giuridico delle obbligazioni pecuniarie di valuta non liquide

Salvatore Tartaro


L’interpretazione dei criteri indicati per l´individuazione del cd. foro facoltativo relativo alle controversie aventi in oggetto obbligazioni pecuniarie di fonte negoziale e il criterio del forum destinatae solutionis.


Sommario: 1.  Introduzione; 2. Le obbligazioni pecuniarie; 3. Le obbligazioni pecuniarie portabili; 4. La nozione di liquidità ai fini della determinazione del forum destinatae solutionis e dell’ammissibilità del ricorso per ingiunzione: un equivoco interpretativo;  5. Sull’asserita incompatibilità dell’interpretazione dell’art. 1182, co. 3 c.c. al diritto comunitario; 6.  Conclusioni

Sommario: 1.  Introduzione; 2. Le obbligazioni pecuniarie; 3. Le obbligazioni pecuniarie portabili; 4. La nozione di liquidità ai fini della determinazione del forum destinatae solutionis e dell’ammissibilità del ricorso per ingiunzione: un equivoco interpretativo;  5. Sull’asserita incompatibilità dell’interpretazione dell’art. 1182, co. 3 c.c. al diritto comunitario; 6.  Conclusioni

  1.  Introduzione

Nel codice di rito è previsto un sistema di regole finalizzato ad orientare l’operatore nell’individuazione dell’ufficio giudiziario competente per territorio a conoscere di una determinata controversia.

Sul piano classificatorio, brevemente, è bene ricordare la distinzione tra fori cd. generali (ex artt. 18 e 19 c.p.c.) e fori cd. speciali.

Tra questi ultimi occorre distinguere i fori speciali cd. esclusivi, nel cui ambito vanno collocate quelle regole di determinazione della competenza non solo inderogabili, ma prevalenti ope legis su eventuali altri fori concorrenti, dal cd. foro speciale facoltativo al quale, evidentemente, può essere preferita l’applicazione di criteri concorrenti.

Come osservato correttamente in dottrina la regola cardine individuata nei cd. fori generali, orienta l’operatore nell’individuazione del giudice territorialmente competente, coniugando le esigenze di semplicità della disciplina alle esigenze di protezione del convenuto.

L’individuazione del luogo ove siede il Giudice competente a conoscere di una determinata controversia, ad eccezion fatta per i cd. fori esclusivi, deve avvenire nel rispetto del principio actor sequitor forum rei.

Per certi versi il principio del rispetto del foro del convenuto risponde alla precipua esigenza di garantire l’esercizio del diritto di difesa le cui prerogative, secondo una tradizionale impostazione, si ritengono meno difficilmente esercitabili in domo sua, ove al convenuto è consentito il vantaggio logistico di dover effettuare spostamenti più limitati.

Per altri versi, tuttavia, non può tacersi di come il privilegio per il foro del convenuto appare rispondere anche alla precisa policy di limitazione degli oneri economici a carico dello stesso, sicché appare ragionevole preferire che questo sia citato davanti il giudice del luogo in cui è meno oneroso rispondere (in questo senso cfr. Cass. Civ., sent. 18 aprile 2003, n. 6319).

Ciò posto, in via generale, il codice di rito prescrive che il giudice competente a conoscere di una data controversia è quello del luogo ove il convenuto, se persona fisica (art. 18 c.p.c.), è residente o domiciliato, ovvero nel luogo ove questo ha la dimora abituale, qualora non sia nota la residenza o il domicilio o questi di trovi all’estero; ovvero presso il luogo ove il convenuto, se persona giuridica (art. 19 c.p.c.), ha la sede legale o uno stabilimento ove è presente un rappresentante abilitato a stare in giudizio.

Per le cause avente in oggetto diritti di obbligazione il legislatore ha prescritto ulteriori criteri di individuazione della competenza territoriale che possono essere impiegati, alternativamente e facoltativamente, dall’attore nell’individuazione del Giudice da adire.

Secondo l’interpretazione prevalente in letteratura, con riscontri anche in seno alla giurisprudenza di legittimità, il foro facoltativo ex art. 20 c.p.c. può essere applicato a tutti i rapporti obbligatori indipendentemente dalla sua fonte, ad esclusione delle obbligazioni derivanti da rapporti di lavoro, alle cui controversie si applicano i criteri speciali di cui all’art. 413 c.p.c.; [derivanti] da rapporti consumeristici, alle cui controversie si applica il criterio del cd. foro del consumatore ex art. 33, co. 2, lett. u) cod. cons.; [derivanti] da illeciti connessi al trattamento dei dati personali, per le cui controversie occorre riferirsi al criterio indicato all’art. 152, co. 2 d. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.

I criteri individuati dal legislatore ai fini della determinazione del cd. foro facoltativo, e cioè il luogo ove è sorta ovvero ove deve eseguirsi l’obbligazione, hanno delle interconnessioni con la natura sostanziale del rapporto obbligatorio dedotto in giudizio, sicché se trattasi di obbligazione negoziale deve aversi riguardo dei principi di cui agli artt. 1326, co. 2 e 1327 cod. civ., con riferimento al luogo in cui è sorta l’obbligazione, ovvero dei principi contenuti all’art. 1182 cod. civ., con riferimento al luogo dell’adempimento.[1]

Diversamente, per le cause relative alle obbligazioni nascenti da fatto illecito la competenza va individuata in base al locus commissi delicti, e cioè la competenza a conoscere della controversia è del Giudice del luogo ove si è verificato l’evento dannoso, mentre non è previsto alcun criterio univoco di individuazione della competenza nelle ipotesi in cui si tratta di fonte legale.[2]

Fatte tali doverose e brevi premesse il presente contributo verterà sull’interpretazione dei criteri dettati per l'individuazione del cd, foro facoltativo relativo alle controversie aventi in oggetto obbligazioni pecuniarie di fonte negoziale, con specifico ed approfondito riferimento al criterio del forum destinatae solutionis.

         2. Le obbligazioni pecuniarie

L’obbligazione pecuniaria ha in oggetto una somma di denaro avente corso legale ed è soggetta al cd. principio liberatorio, in virtù del quale è la stessa moneta, una volta che il solvens l’abbia trasferita all’accipiens, ad integrare fatto estintivo del debito, assoggettando il creditore agli effetti della mora credendi, in caso di ingiustificato rifiuto.

Il principio liberatorio non appare scalfito dal divieto posto a carico del debitore di adempiere in numerario le obbligazioni pecuniarie di importo pari o superiore ad €. 1000,00.

La permeanza del principio liberatorio quale unico fatto estintivo dell’obbligazione pecuniaria implica, infatti, che la dazione al creditore di titoli di credito, a fortiori laddove sia vietato rifiutarla,[3] integra gli estremi di una datio in solutum, secondo lo schema della cessione del credito in luogo dell’adempimento ex art. 1198 cod. civ..

Dietro la formulazione testuale dell’art. 1277, co. 1 cod. civ., si attaglia il principio del cd. valore nominale della moneta avente corso legale, in virtù del quale il valore economico della moneta sussiste, astrattamente, in relazione ad un determinato ordinamento monetario, con esclusione di qualsiasi valutazione in ordine al valore intrinseco dei materie componenti la moneta o banconota.

Il principio del valore nominale implica che ai fini dell’individuazione della prestazione dovuta non assumono rilevanza eventi di apprezzamento o deprezzamento del valore nominale in determinati cicli economici.

La ratio legis della permeabilità del principio del valore nominale delle obbligazioni pecuniarie, in vero, risiede nelle consuetudini commerciali ove, citando Pothier, “il denaro imprestato lo si deve restituire a norma del valore o corso ha al tempo del pagamento”[4]

A conferma di ciò si osservi come nella Relazione Ministro Guardasigilli al codice civile la conferma del principio nominalistico appare rispondere ad esigenze di razionalità economica antitetiche a quegli orientamenti dottrinari di fine ottocento secondo cui, in caso di svalutazione economica, il solvens avrebbe dovuto restituire all’accipiens, una somma numerica in grado di colmare la forbice del potere di acquisto, ridotto dalle avversità del ciclo economico, di modo che sia sempre riconducibile a certezza l’entità economica di ogni debito.

La portata latitudinale del principio nominalistico, tuttavia, appare largamente limitata laddove si consideri la derogabilità negoziale attraverso l’inserimento di cd. clausole di indicizzazione, definibili come meccanismi di calcolo finalizzate all’adeguamento dell’importo nominale all’effettivo potere acquisitivo della valuta.

Del resto è lo stesso legislatore ad aver inciso significativamente sulla portata applicativa del principio del valore nominale laddove ha espressamente previsto l’adeguamento automatico di certe tipologie di debiti (in via es. cfr. art. 155, co. 5, cod. civ.).

Le obbligazioni pecuniarie vengono classificate in letteratura quali obbligazioni di valuta, ove la somma di denaro in oggetto sia la prestazione da effettuare; mentre vengono classificate come obbligazioni di valore ove il denaro costituisce strumento per misurare il valore dei beni.

         3. Le obbligazioni pecuniarie portabili

Il codice del 1942 attua i passaggio dal principio della chiedibilità delle prestazioni pecuniarie, a quello della portabilità, in virtù del quale le obbligazioni avente in oggetto somme di denaro vanno adempiute al domicilio del creditore, ai sensi dell’art. 1182, co. 3 cod. civ..

Nonostante il mutamento di regime in ordine al luogo dell’adempimento appaia, secondo buona parte della dottrina, giustificabile alla luce dell’affermarsi di nuove prassi di pagamento, non può tacersi di come il regime delle obbligazioni portabili abbia realizzato, per il debitore, non solo il passaggio alla ben più penalizzante mora ex re di cui all’art. 1219, co. 2 cod. civ., bensì l’ulteriore svantaggi dovuto dala determinazione del Giudice territorialmente competente presso il domicilio del creditore, in applicazione del cd. forum destinatae solutionis.

L’aggravamento della posizione del debitore conseguente al passaggio delle obbligazioni pecuniarie dal regime delle obbligazione quérable a portable ha, tuttavia, fin da subito, trovato ristoro nell’affermarsi di un orientamento restrittivo, decisamente giustificato dalle esigenze di riequilibrio delle posizioni, che ha significativamente ridimensionato la portata applicativa dell’art. 1182, co. 3 cod. civ..

L’orientamento a cui si fa riferimento restringe l’applicazione della regola della portabilità alle obbligazioni di valuta liquide ab origine, escludendo l’applicazione del principio di cui all’art. 1182, co. 3 cod. civ. in presenza di obbligazioni di valore, o di obbligazioni di valuta illiquide, le quali vanno adempiute presso il domicilio del debitore, ai sensi dell’art. 1184, co. 4 cod. civ.[5]

Sono soggette al regime di portabilità, per ciò, solo le obbligazioni pecuniarie il cui ammontare sia stabilito dal titolo, negoziale o giudiziale, ovvero sia determinabile tramite il compimento di operazioni di calcolo, senza che sia necessario il compimento di ulteriori indagini ai fini della liquidazione.[6]

4. La nozione di liquidità ai fini della determinazione del forum destinatae solutionis e dell’ammissibilità del ricorso per ingiunzione: un equivoco interpretativo

Per stabilire se ricorre l’applicabilità o meno del regime delle obbligazioni portabili, alla luce di quanto fin qui detto, occorre stabilire se l’obbligazione di cui trattasi sia liquida ab origine.

In vero, come agevolmente si nota dal testo codicistico, il requisito della liquidità non trova fondamento normativo tanto che, in dottrina, non è mancato chi ne ha ritenuto, correttamente, la natura squisitamente pretoria.

Il problema definitorio della nozione di liquidità ai fini delle determinazioni in ordine alla competenza territoriale è stato risolto dalla Giurisprudenza di Legittimità in composizione nomofilattica con la sentenza del 13 settembre 2016, recante n. 17989.

La pronuncia nasce dall’esigenza di comporre il contrasto insorto in seno alle sezioni semplici sul “modo di intendere” il requisito della liquidità.

In particolare, un orientamento più recente e contrapposto a quello tradizionale, riteneva che, ai fini delle determinazioni della competenza territoriale ex art. 20 c.p.c., occorresse avere riguardo della domanda, come suggerito all’art. 10 c.p.c., di modo che l’applicazione del regime di portabilità soggiaccia alla mera liquidazione unilaterale, con la conseguenza che tutte le cause relative ad obbligazioni pecuniarie di valuta  possono incardinarsi innanzi al Giudice del foro del creditore, ove questa deve eseguirsi l’obbligazione ai sensi dell’art. 1182, co. 3 cod. civ. “non incidendo sulla determinazione della competenza territoriale la maggiore o minore complessità dell’indagine sull’ammontare effettivo del credito, che attiene alla successiva fase di merito” (Cass. Civ., sez. un., cit.; ex multis Cass. Civ., sent. 7674/2005; Cass. Civ., sent. 12455/2010; Cass. Civ., sent. 10837/20119).

Ragioni di “armonia ed omogeneità al sistema”, secondo la predetta tesi, imporrebbero di ritenere che, se “a norma dell’art. 10 c.p.c., il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda e, più precisamente, per l’art. 14, co. 1, nelle cause relative a somme di denaro, il valore si determina in base alla somma indicata dall’attore” cionondimeno tale principio deve valere “nei limiti del possibile, anche ai fini della competenza del territorio, nel senso che anche per questa dovrà tenersi conto non dell’effettiva realtà sostanziale della domanda, ma dal tenore di quest’ultima, indipendentemente dal suo maggiore o minore fondamento” (cfr. Cass. Civ., sent. 7674/2005).

Il riportato orientamento si poneva in aperto contrasto, come anticipato, con la tesi tradizionale secondo cui la liquidità, ai fini dell’applicazione dell’art. 1182, co. 3 cod. civ. nonché dell’individuazione del forum destinatae solutionis, implicasse la determinazione negoziale o giudiziale dell’ammontare dell’obbligazione, risultando, a contrario, illiquida e, conseguentemente, meramente quérables.

Fatte tale premesse, il contrasto è stato composto nel senso della riaffermazione dell’orientamento tradizionale e del rinvigorimento delle esigenze di protezione del debitore,[7] con una pronuncia che si spinge ben oltre la semplice statuizione in ordine al concetto di liquidità.

Una lettura compiuta del corpus della sentenza in analisi, infatti, rileva come la Corte di Nomofilachia abbia inteso, oltrepassando i limiti del contrasto, indicare le coordinate ermeneutiche che devono orientare l’operatore giuridico nell’individuazione della disciplina da applicare alle obbligazioni pecuniarie, a seconda che la quantità di valuta sia determinata dal titolo negoziale, o questo contenga criteri univoci di determinabilità tali per cui sia sufficiente il compimento di mere operazioni aritmetiche, o da titolo giudiziale, ovvero sia da determinare, contrattualmente o in via giudiziale.

Solo ove vi sia liquidazione negoziale o giudiziale della quantità di valuta in oggetto, l’obbligazione potrà ritenersi portables, con la conseguente applicazione della mora ex re di cui all’art. 1219, co. 2 cod. civ., e dell’individuazione del luogo dell’adempimento, anche ai fini del forum destinatae solutionis, nel domicilio del creditore; mentre, a contrario, laddove la valuta sia illiquidita, troverà applicazione il regime delle obbligazioni quérables con conseguente applicazione della mora ex personae ed individuazione del luogo dell’adempimento nel domicilio del debitore al momento della scadenza dell’obbligazione.

E’, quindi, nell’ottica del favors debitoris che la Corte di Nomofilachia, ribadendo l’eccezionalità della regola delle obbligazioni portabili, da cui segue, a rigore, un’interpretazione restrittiva, riafferma la circoscrizione del perimetro di applicabilità dell’art. 1182, co. 3 alle sole obbligazioni pecuniarie di valuta liquide, ove si consideri che, a contrario, le predette esigenze di protezione del debitore sarebbero frustrate laddove la liquidità si facesse coincidere “con la pura e semplice precisazione, da parte dell’attore, della somma di denaro dedotta in giudizio, pur in mancanza di indicazione dal titolo (…)” sicché “non il dato oggettivo della liquidità del credito radicherebbe la controversia presso il forum creditoris bensì il mero arbitrio del creditore stesso, il quale scelga di indicare una determinata somma come oggetto della sua domanda giudiziale, con conseguente lesione anche del principio costituzionale del giudice naturale” (cfr. Cass. Civ., sez. Un., sent. 13 settembre 2019, n. 17989).

In conclusione per stabilire se un’obbligazione pecuniaria è dotata del requisito di liquidità è necessario che la quantità di valuta sia determinata nel titolo negoziale o che da questo siano desumibili “criteri stringenti” per la sua determinazione.

Si ammette, per ciò, la sussistenza di una “liquidità scaturente da semplici operazioni aritmetiche” sicché dall’applicazione dei criteri dedotti dal titolo non residui alcun margine di discrezionalità, la quale, per converso, può essere colmata solo dalla sopravvenienza di una liquidazione contrattuale o giudiziale.

Ne segue che, ai fini dell’individuazione del forum destinatae solutionis, occorrerà che la “liquidità del credito [sia] effettiva” atteso che il principio secondo cui la competenza va determinata in base alla domanda “non può essere esteso sino al punto di consentire all’attore di dare dei fatti una qualificazione giuridica diversa da quella prevista dalla legge, o di allegare fatti (ad esempio un contratto che indichi l’ammontare del credito) privi di riscontro probatorio” (cfr. Cass. Civ., sez. Un., sent. 13 settembre 2019, n. 17989).

Va detto che la decisione ha suscitato non poche remore in dottrina. Dietro la predetta ricostruzione, infatti, qualcuno ha scorto l’insorgere di una contrapposizione tra il significato attribuito al concetto di liquidità ai fini dell’individuazione del forum destinatae soluzionis, e quello che, tradizionalmente, viene attribuito al requisito della liquidità dell’obbligazione che, insieme alla certezza ed all’esigibilità, costituiscono presupposti per l’ammissione della domanda nelle forme del rito monitorio.

In tal senso taluno ha ritenuto che la Corte di Nomofilachia abbia addirittura inteso negare l’unicità della nozione di liquidità delle obbligazioni pecuniarie “ammettendo che la stessa obbligazione pecuniaria, derivante dal medesimo contratto, possa essere considerata liquida ai sensi dell’art. 633 c.p.c. per ottenere un decreto ingiuntivo, ma illiquida ex art. 1182, comma 3, c.c. ai fini della determinazione del giudice competente per territorio[8]

La questione, a parere di chi scrive, è mal posta in quanto, non corrisponde al vero l’affermazione per cui la liquidità dell’obbligazione pecuniaria ai fini dell’ammissione al rito ex art. 633 ss c.p.c. andrebbe ricondotta alla mera formulazione della domanda da parte del ricorrente in quanto, ad onor di verità, la sufficienza della prova scritta del credito, dedotta da documentazione formata unilateralmente dal creditore, non implica l’effettiva liquidità dell’obbligazione, bensì la sussistenza del fumus boni iuris, condizione necessaria e sufficiente per l’emissione dell’ingiunzione ai sensi dell’art. 641 c.p.c., di talché accertata in sede di cognizione piena l’assenza del requisito della liquidità perché non raggiunta la prova circa la formazione di un titolo negoziale sulla quantità di valuta in oggetto all’obbligazione pecuniaria, il Giudice adito ex art. 640 c.p.c., dovrà revocare il decreto ingiuntivo, indipendentemente dal fatto che, all’esito dell’istruttoria, si confermi esistente il credito nell’ammontare liquidato unilateralmente dal creditore.

Tale conclusione è in linea con l’essenza stessa del procedimento monitorio finalizzato ad ottenere un provvedimento a contenuto accertativo-decisorio la cui definitività è subordinata all’omessa opposizione da parte del debitore ingiunto di talché, contestata la liquidità ab origine del credito azionato, o ritenuta essa insussistente anche per difetto di prova, la quantità di valuta andrà liquidata giudizialmente con sentenza che, contestualmente, revochi l’ingiunzione e condanni al pagamento nella misura accertata in sede di cognizione piena.

Quanto asserito appare corroborato dagli orientamenti giurisprudenziali formatisi in materia di revoca del decreto ingiuntivo emesso dal Giudice territorialmente incompetente per errata individuazione del forum destinatae solutionis.

A tal proposito vale la pena sottolineare che in l’ingiunzione emessa per il pagamento di obbligazioni pecuniarie illiquide, e cioè di obbligazioni pecuniarie il cui ammontare è stato liquidato unilateralmente dal creditore mediante l’emissione e trasmissione della fattura poi utilizzata per azionare il procedimento monitorio, è nulla qualora sia stata emessa dal Giudice individuato applicando il forum creditoris ai sensi dell’art. 20 c.p.c. e 1182, co. 3 c.c..

Di tale orientamento è, del resto, la giurisprudenza di merito, ove più volte è stato affermato che “qualora il giudice in sede di opposizione a decreto ingiuntivo dichiari l'incompetenza del giudice che lo ha emesso per essere competente un altro giudice non può rimettere allo stesso la causa, attesa la sua competenza funzionale a conoscere l'opposizione stessa, ma deve limitarsi a concludere il giudizio con pronuncia di revoca o di nullità dello stesso decreto ingiuntivo opposto» (ex multis v. Tribunale di Brindisi, ord. 26/03/2015; Tribunale di Vicenza, 10/02/2017; Tribunale di Ferrara, ord. 15/03/2017), come anche la Corte di Legittimità ha ritenuto che «l'ordinanza con cui il giudice, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, abbia dichiarato la propria incompetenza, contiene necessariamente la declaratoria, ancorché implicita, di invalidità e di revoca del decreto stesso» (Cass. Civ., sez. VI, ord. 17702/2016, n. 20935).

   5. Sull’asserita incompatibilità dell’interpretazione dell’art. 1182, co. 3 c.c. al diritto comunitario

Parte della dottrina ha sottolineato che l’interpretazione fornita dalla Corte nella sentenza esaminata, si contrassegnerebbe profili di contrasto con la normativa comunitaria dettata in materia di contrasto del ritardo di pagamento nelle transazioni commerciali, di cui alla direttiva 2011/7/UE, recepita nell’ordinamento nazionale con d. Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, come modificato dal d. Lgs. 9 novembre 2012, n. 192.

Secondo tale tesi critica, l’assunto secondo cui gli effetti del ritardo nell’adempimento nelle obbligazioni di valuta illiquide non decorrerebbe, automaticamente, ai sensi dell’art. 1219, co. 2 cod. civ., dalla scadenza della fattura, bensì esigerebbe la previa costituzione in mora ai sensi dell’art. 1219, co. 1 cod. civ., si porrebbe in contrasto con l’art. 1, co. 2 d. Lgs.. 192/2012, ove sarebbe stabilito che nelle transazioni commerciali si applicano le regole della mora ex re.

Per di più la nozione di “transazione commerciale”, è stato evidenziato, ha una propria autonomia nel diritto comunitario che trova la sua fonte all’art. 2, comma 1, n. 1) della direttiva 2011/7/UE, di talché darebbe escluso, per gli Stati membri, di adottare differenti e più restrittive nozioni nazionali; cosa che, per inciso, tale tesi dottrinale contesta alla Corte di Nomofilachia laddove ha stabilito che la mora ex re può applicarsi alle sole obbligazioni pecuniarie liquide.

Occorrerebbe chiedersi, pertanto, se il diritto dell’Unione Europea, e più specificatamente la nozione di transazione commerciale di cui all’art. 2, comma 1, n. 1 della direttiva 2011/7/UE sulla lotta ai ritardi di pagamento e il principio della decorrenza degli interessi moratori, osti ad una giurisprudenza nazionale che richiede la formale messa in mora del debitore tutte le volte in cui, pur in presenza di una transazione commerciale, l’esatto ammontare della somma dovuta non risulti da un titolo negoziale o giudiziale.

Alla luce di ciò parte della dottrina, ritenendo che un’applicazione acritica e generalizzata del principio di diritto enunciato nella sentenza 13 settembre 2019, n. 17989 potrebbe condurre ad una grave violazione del diritto comunitario, ha ipotizzato che l’orientamento in esame potrebbe non applicarsi alle transazioni commerciali di cui al d. Lgs. 192/2012. [9]

Tale conclusione, a parere dello scrivente, è corretta nella misura in cui se ne dia una lettura coerente con l’intero plesso normativo, e cioè nella misura in cui si ritenga, a monte, che il principio dell’automaticità della mora alla scadenza della fattura commerciale, di cui al. Lgs. 192/2012, trovi applicazione con riferimento alle obbligazioni pecuniarie liquide derivanti da “transazioni commerciali” ove, per converso, troverà applicazione la disciplina generale di cui all’art. 1178 cod. civ., in quanto le obbligazioni pecuniarie, laddove non sia stata determinata la quantità di valuta oggetto della dazione, devono ritenersi, par excellance, obbligazioni generiche.

Se ne deduce che le transazioni commerciali connotate per la genericità delle prestazioni pecuniarie non possono, per struttura, essere soggette alla regole della mora ex re, non essendo possibile per il debitore adempiere alla prestazione sicché non sia stato precisato l’esatta quantità di denaro da corrispondere.

L’effetto della mora, in tali circostanze, non si produrrà alla scadenza dell’obbligazione bensì a partire dal trentesimo giorno decorrente “dalla data di ricevimento da parte nel debitore della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente” (art. 4, co. 1, lett. a, d. Lgs. 192/2012), e salvo che la precisazione del credito non sia contestata, vittoriosamente, dal debitore intimato.

In tal senso l’intervento legislativo di cui al d. Lgs. 192/2012 si inserisce, in prospettiva uniformante, a colmare la lacunosa formulazione dell’art. 1219, cod. civ., con riferimento ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, individuando ope legis il termine di scadenza per il pagamento della prestazioni pecuniarie, laddove non sia stato contrattualmente previsto, nel trentesimo giorno successivo al ricevimento della fattura, dalla data di consegna delle merci o dalla data di prestazione di servizi, ovvero dalla data prevista dalla legge o dal contratto per l’accertamento della conformità della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali.

L’intervento legislativo, quindi, a parere di chi scrive, incide tanto sulla mora ex personae che sulla mora ex re.

Nel primo senso, alla luce di tale intervento normativo, l’atto di costituzione in mora ai sensi dell’art. 1219, co. 1 cod. civ., per il pagamento di prestazioni pecuniarie illiquide, non può indicare termini inferiori a giorni trenta per il pagamento della quantità di valuta liquidata; nel secondo senso, invece, la normativa vale ad integrare quanto disposto all’art. 1219, co. 2, lett. c) ove è stabilito che “non è necessaria la costituzione in mora (…) quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore”, al fine di precisare che, in difetto di previsione contrattuale, il termine di scadenza dell’obbligazione pecuniaria va individuato tenuto conto dei criteri di cui all’art. 4 d. Lgs. 192/1992.

           6.  Conclusioni

Alla luce di quanto fin qui esposto è lapalissiano ribadire che, ai fini dell’individuazione del Giudice competente a conoscere di una controversia sorta in materia di diritti di obbligazione in applicazione del foro facoltativo ex art. 20 c.p.c. occorrerà fare riferimento all’art. 1326 e 1327 cod. civ. con riferimento al cd. forum contractus, ed all’art. 1182 cod. civ., con riferimento al forum destinatae solutionis.

Con riferimento a tale ultimo criterio, la cui applicazione, in subiecta materia, appare maggiormente dibattuta, appare doveroso ribadire che l’indefettibilità dell’esercizio dell’azione giudiziaria ossequiando il principio actor sequitur forum rei, in tutte le circostanze in cui l’ammontare del debito di valuta non sia predeterminato, in via negoziale o giudiziale, rispetto alla pendenza della lite.

Ciò a fortiori nei casi in cui il creditore agisca in via monitoria sulla base della sola fattura emessa e non pagata in quanto, in sede di opposizione, il creditore chiamato a provare l’esistenza del titolo negoziale, in difetto di documento scritto, potrebbe incontrare notevoli difficoltà a provare, in via presuntiva, che anche sul quantum, o sui suoi criteri di determinazione, sia intervenuto l’accordo delle parti ai sensi dell’art. 1326 cod. civ.

Nei casi in cui, in sede di opposizione, venga eccepita l’incompetenza del Giudice adito in via monitoria in base al cd. forum creditoris ex art. 1182, co. 3 cod. civ., salvo la competenza non sia egualmente radicabile in base al forum contractus, è necessario, affinché si sopraggiunga al rigetto dell’eccezione, che, in sede di costituzione tempestiva, il creditore opposto produca il titolo negoziale ove dedurre la liquidità o liquidabilità aritmetica della quantità di valuta in oggetto all’obbligazione controversa, o qualsivoglia altro elemento di prova documentale prodromica alla deduzione, con ragionamento presuntivo, della liquidità originaria dell’obbligazione pecuniaria, atteso che, in caso contrario, il Giudice dovrà, con pronuncia esaustiva della sua competenza funzionale, dichiarare la nullità dell’ingiunzione opposta per vizio di competenza del Giudice adito in via monitoria.

Tale conclusione, a parere di chi scrive, corrobora quanto affermato testé circa la presunta equivocità della nozione di liquidità che, a dir di certa dottrina ed alla luce della sentenza delle Sezioni Unite esaminata precedentemente, si identificherebbe nella mera liquidazione della quantità di valuta da parte del creditore, ai fini dell’ammissibilità del ricorso monitorio, mentre esigerebbe il quid pluris della liquidazione negoziale o giudiziale, ai fini dell’individuazione del forum destinatae solutionis.

Il concetto di liquidità, infatti, è unitario ed attiene alla formazione di un titolo negoziale o giudiziale sull’esatta quantità di denaro da corrispondere, tanto ai fini della competenza, quanto ai fini dell’ammissibilità del ricorso monitorio tant’è che, nel caso in cui in sede di opposizione se ne accerti l’illiquidità, l’ingiunzione andrà revocata e sostituita dalla condanna al pagamento del quantum, se accertato, con conseguente formazione del titolo giudiziale, mentre andrà dichiarata nulla qualora dall’accertamento dell’originaria illiquidità della prestazione consegua l’individuazione del vizio di incompetenza.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Sull’argomento cfr. “Commentario al Codice di Procedura Civile”, a cura di Claudio Consolo, VI Edizione, Wolters Kluwer, Vicenza, 2018, pp. 377 - 390; “Diritto processuale Civile”, diretto da Lotario Dittrich, Tomo I, Utet Giuridica, Vicenza, 2019, pp. 197 - 310;

[2] In via esemplificativa si consideri che per le cause avente in oggetto le prestazioni alimentari tra coniugi, la competenza va radicata in base al luogo ove è stato contratto il matrimonio; mentre nelle altre circostanze occorre avere riguardo del luogo ove è nato il creditore alimentando.

Quanto all’azione di arricchimento senza causa, la giurisprudenza ha talvolta ritenuto radicabile la competenza in base al luogo ove si è verificato l’ingiusto incremento patrimoniale.

[3] Cfr. Cass. Civ., sez. Un., sent. 18 dicembre 2007, n. 26617 secondo cui “nelle obbligazioni pecuniarie, il cui importo sia inferiore a 12.500 euro o per le quali non sia imposta per legge una diversa modalità di pagamento, il debitore ha facoltà di pagare, a sua scelta, in moneta avente corso legale nello Stato o mediante consegna di assegno circolare; nel primo caso il creditore non può rifiutare il pagamento, come, invece, può nel secondo solo per giustificato motivo da valutare secondo la regola della correttezza e della buona fede oggettiva; l’estinzione dell’obbligazione con l’effetto liberatorio del debitore si verifica nel primo caso con la consegna della moneta e nel secondo quando il creditore acquista concretamente la disponibilità giuridica della somma di denaro, ricadendo sul debitore il rischio dell’inconvertibilità dell’assegno”.

[4] Pothier, Traité des contrans de bienfaisanse, trad. It. Di Hutteau, Milano, 1810, I, n. 36, 228.

[5]In particolare è stato affermato che “l’art. 1182, co. 3, cod. civ. (…) si applica nel caso in cui l’obbligazione abbia per oggetto una somma di denaro già determinata nel suo ammontare, ovvero quando il credito in denaro sia determinabile solo in base ad un semplice calcolo aritmetico e non si rende necessario procedere ad ulteriori accertamenti (essendo già noti e determinati dalle parti, o dalla legge, o dai contratti collettivi, o dagli usi, gli elementi per stabilire l’ammontare della somma dovuta), mentre quando la somma di denaro deve ancora essere liquidate dalle parti, o in loro sostituzione dal Giudice, mediante indagini o operazioni diverse dal semplice calcolo aritmetico, trova applicazione il co. 4 dell’art. 1182 cod. civ., secondo cui l’obbligazione deve essere adempiuta presso il domicilio che ha il debitore al momento della scadenza” cfr. Cass. Civ., sent. 31 agosto 2007, n. 18375.

[6] Sull’argomento cfr. “Commentario al Codice Civile”, diretto da Enrico Gabrieli, "Delle obbligazioni", a cura di Vincenzo Cuffaro, pp. 325 – 363.

[7] Così il principio di diritto: “Le obbligazioni pecuniarie da adempiersi al domicilio del creditore, secondo il disposto dell’art. 1182, terzo comma, c.c. sono – agli effetti sia della mora ex re ai sensi dell’art. 1219, secondo comma, n. 3 c.c., sia della determinazione del forum destinatae solutionis ai sensi dell’art. 20, ultima parte, c.p.c. – esclusivamente quelle liquide, delle quali, cioè, il titolo determini l’ammontare, oppure indichi i criteri per determinarlo senza lasciare alcun margine di scelta discrezionale, e i presupposti della liquidità sono accertati dal giudice, ai fini della competenza, allo stato degli atti secondo quanto dispone l’art. 38, ultimo comma, c.p.c.” (Cass. Civ., Sez. Un., ord. 17989/2016).

[8] Cfr. “le Sezioni Unite e la nozione di liquidità delle obbligazioni pecuniarie con rifermento alla disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali: quando la cura è peggiore del (presunto) male”, di Stefano Bastianon, su Il Caso.it, 2 gennaio 2017.

[9] Cfr. “le Sezioni Unite e la nozione di liquidità delle obbligazioni pecuniarie con rifermento alla disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali: quando la cura è peggiore del (presunto) male”, di Stefano Bastianon, su Il Caso.it, 2 gennaio 2017.

- Commentario al Codice di Procedura Civile, a cura di Claudio Consolo, VI Edizione, Wolters Kluwer, Vicenza, 2018, pp. 377 - 390;

- Diritto processuale Civile, diretto da Lotario Dittrich, Tomo I, Utet Giuridica, Vicenza, 2019, pp. 197 - 310;

- Commentario al Codice Civile, diretto da Enrico Gabrieli, "Delle obbligazioni", a cura di Vincenzo Cuffaro, pp. 325 - 363;

- Le sezioni unite e la nozione di liquidità delle obbligazioni con riferimento alla disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali: quando la cura è peggiore del (presunto) male, di Stefano Bastianon, Il Caso.it, 2 gennaio 2017;

- Pothier, "Traité des contrans de bienfaisanse", trad. It. Di Hutteau, Milano, 1810, I, n. 36, 228.