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Pubbl. Ven, 7 Giu 2019

Emissione di sostanze odorigene e diritto alla salubrità dell´aria

Andrea Racca
Dottore di ricercaUniversità degli Studi di Torino


Riflessioni a seguito dell´introduzione del nuovo articolo 272-bis al Codice dell´Ambiente.


Sommario: 1. Introduzione; 2. Le fonti normative; 3. L’approccio giurisprudenziale; 4. Conclusioni.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Le fonti normative; 3. L’approccio giurisprudenziale; 4. Conclusioni.

1. Introduzione. 

A seguito della recente introduzione del D.lgs 183/2017[1], che apporta importanti modifiche ed integrazioni al Codice dell’Ambiente (D.lgs 152/2006), si è nuovamente alimentato il dibattito, sul concetto di emissione odorigena e sul conseguenziale fatto che dette sostanze debbano considerarsi a tutti gli effetti inquinanti, tanto che l’esposizione prolungata  alle c.d. emissioni odorigene, nella maggior parte dei casi, causa disturbi e/o sensibilizzazioni. In particolare il D.lgs 183/2017, attuativo della Direttiva UE n. 2015/2193[2], relativa alla limitazione delle emissioni di taluni inquinanti originati da impianti di combustione stabilisce norme per il controllo d’emissione nell’aria di sostanze inquinanti ad effetto odorigeno, quali per esempio  combinati di biossido di zolfo (SO2), ossidi di azoto (NOx) e monossido di carbonio[3].

Gli odori costituiscono, infatti, uno dei più sentiti e rilevanti aspetti negativi d’impatto ambientale collegati all’esternalità ambientali di molte attività ed impianti industriali, tuttavia l’assenza di parametri oggettivi di confronto, la soggettività della percezione olfattiva, unitamente alle complicate modalità di accertamento degli odori in ambiente, rendono assai problematica la caratterizzazione del disagio percepito. L’odore è, infatti, una risposta soggettiva delle cellule olfattive presenti nella sede del naso, che stimolate dalla presenza di molecole gassose aerodisperse, producono la risposta sensoriale nel soggetto, tanto che l’oggettivazione degli odori e la loro misura univoca, in particolare per miscele complesse, rappresenta ad oggi ancora un quesito al vaglio degli scienziati. Per tali ragioni, sebbene l’impatto odorigeno venga generalmente misurato a partire dai dati di concentrazione di sostanza odorigena espressa in unità odorimetriche od olfattometriche al metro cubo[4], che rappresentano il numero di diluizioni necessarie, affinché il 50% degli esaminatori[5] non avverta più l’odore del campione analizzato (UNI EN 13725:2004[6]), si tende comunque a prediligere, nella valutazione dell’impatto odorigeno sull’ambiente, un approccio che sfrutta un insieme di tecniche, tra loro integrate, per riuscire ad ottenere il maggior numero di informazioni possibili. In generale le metodologie di monitoraggio delle emissioni odorigene possono essere raggruppate in due grandi categorie, in funzione delle loro principali finalità:

  • Metodologie primarie: finalizzate ad individuare le fonti di odore all’interno di contesti produttivi, dei cicli di lavorazione e delle sorgenti emissive di maggiore interesse olfattometrico;
  • Metodologie secondarie: finalizzate a valutare la risposta e l’esposizione della popolazione, che hanno l’intento di comprovare le segnalazioni e i reclami, di trovare attendibili correlazioni con le attività presenti sul territorio e dare informazioni sull’estensione geografica e/o temporale della problematica denunciata (indagini sociali e modelli di ricaduta).

Per quanto concerne, invece, l’impatto edonico[7] dell’esternalità odorigena la prassi ha, invece, dimostrato l’efficacia di percorsi conoscitivi a campionamento che, seppur semplificati rispetto ad indagini rigorose, consentono di monitorare in via preliminare l’entità del disagio e di valutare la reale necessità di approfondimenti più impegnativi. Il presupposto di partenza in queste indagini è infatti il riscontro valutativo della popolazione coinvolta, con una pluralità di giudizi soggettivi. Tale metodologia che risulta, attualmente, alla base di alcune scelte di politica ambientale degli Enti Locali, permette di coinvolgere direttamente i cittadini residenti nelle aree a maggior rischio di maleodoranze, al fine di collaborare con le autorità nella redazione di questionari di rilevazione, i cui i risultati, una volta raccolti i dati in scala di campionamento, saranno poi incrociati con le informazioni meteo, al fine di rilevare l’intensità odorigena e le direzioni prevalenti di provenienza.

2. Le fonti normative.

Dal punto di vista giuridico l’ordinamento italiano si è avvalso principalmente di criteri qualitativi nel disciplinare il fenomeno delle c.d. emissioni odorigene, in particolare con il combinato disposto dell’art. 674 codice penale[8], dell’art. 844 codice civile[9] e dell’art. 177 e ss. del D.lgs 152/2006[10], che rappresentano ad oggi una tutela normativa indiretta volta soprattutto a punire o risarcire il danno derivante dalla molestia olfattiva.

Con l’introduzione del D.lgs 183/2017 si è, invece, introdotta una tutela diretta volta a definire un criterio quantitativo di limite alle emissioni, che tende ad affiancare ed integrare il criterio dell’accettabilità o tollerabilità, rodato dalla giurisprudenza, che fissava nell’interesse della collettività le modalità di rilevamento delle emissioni e il loro limite massimo[11]. La norma trasferisce poi espressamente la competenza normativa in materia di emissioni odorigene alle Regioni, competenza già di fatto da Esse esercitata. Nel dettaglio, la novella al Testo Unico Ambientale, offre maggiore autonomia agli Organi di Vigilanza che, in sede di rilascio delle autorizzazioni ed in funzione della tipologia, della gestione e della localizzazione degli impianti maleodoranti, potranno prescrivere, sia limiti più restrittivi alle emissioni odorigene, rispetto a quelli già stabiliti o che stabilirà la normativa regionale, sia una programmazione di appositi piani di contenimento, soprattutto, se nelle immediate vicinanze, saranno presenti ricettori sensibili.

Nella pratica, sebbene vi siano tentativi di sistematizzazione nazionale, ogni Regione procederà, come sin’ora hanno fatto, a regolamentare le emissioni odorigene degli stabilimenti presenti nel suo territorio con propri provvedimenti, dettando, altresì, propri indirizzi e linee guida al fine di fornire utili strumenti alle Autorità competenti per il rilascio delle autorizzazioni, nonché agli operatori del settore, per per controllare e limitare il fenomeno.

Dal punto di vista della normativa regionale di riferimento, la Regione Lombardia, da sempre il riferimento in materia per intensità del fenomeno, ha pubblicato “Linee guida di settore per le emissioni odorigene[12], e ha provveduto a fornire, con la Delibera della Giunta regionale n. IX/3018 del 15 febbraio 2012 “Determinazioni generali in merito alla caratterizzazione delle emissioni gassose in atmosfera derivanti da attività a forte impatto odorigeno”, nonché a definire, nell’ambito della Delibera della Giunta regionale n. 1495 del 24 ottobre 2011, i criteri tecnici per la mitigazione degli impatti ambientali nella progettazione e gestione degli impianti a biogas, dedicando una parte relativa al monitoraggio delle emissioni odorigene.

Anche in Piemonte, con la Deliberazione della Giunta regionale n. 13-4554 del 9 gennaio 2017, sono state pubblicate le “Linee guida per la caratterizzazione e il contenimento delle emissioni in atmosfera provenienti dalle attività ad impatto odorigeno”[13], determinate sulla base della Legge regionale n. 43/2000, titolata “Disposizioni per la tutela dell’ambiente in materia di inquinamento atmosferico. Prima attuazione del Piano regionale per il risanamento e la tutela della qualità dell’aria”, che da circa vent’anni individuava “l’inquinamento odorigeno, derivante dall’immissione in atmosfera di sostanze inquinanti in generale non direttamente nocive alla salute, ma caratterizzate da odore intenso o sgradevole, costituisce una causa importante di danni sia a livello ambientale, in quanto responsabile di un abbassamento della godibilità, che a livello sanitario con la possibile insorgenza di malesseri psicofisici”;

Nella provincia autonoma di Trento, la Giunta provinciale ha adottato, con Deliberazione n. 1087 del 24 giugno 2016[14], anche specifiche linee guida finalizzate a definire un metodo chiaro per la caratterizzazione delle emissioni odorigene e del loro impatto sul territorio circostante, che si applicano alle nuove attività ad impatto ambientale e ai nuovi impianti di gestione dei rifiuti organici autorizzate dalla Provincia autonoma, nonché agli impianti esistenti soggetti ad autorizzazione ambientale in presenza di ricorrenti e significative segnalazioni di disturbo olfattivo da parte della popolazione. Per quanto riguarda le nuove attività produttive, la Provincia di Trento ha poi previsto che alla domanda di autorizzazione il proponente debba comunque allegare un apposito studio, che dimostri l’assenza di impatto odorigeno per la popolazione posta all’esterno del nuovo previsto insediamento, con certificazione dei livelli di emissione, idonei a garantire che presso il recettore non si avverta odore.

La Regione Puglia, invece, con la Legge regionale 16 aprile 2015, n. 23, ha provveduto a modificare la Legge regionale n. 7/1999, titolata “Disciplina delle emissioni odorifere delle aziende. Emissioni derivanti da sansifici. Emissioni nelle aree a elevato rischio di crisi ambientale[15], con l’integrazione di un Allegato Tecnico, nel quale sono definiti, per una serie di sostanze odorigene, i limiti in termini di concentrazione di odore e di corrispondente concentrazione in volume per ogni sostanza considerata, oltre alle indicazioni del metodo di analisi di riferimento. Tale norma individua come limiti di concentrazione di odore, espressi in ouE/m3, per le sorgenti diffuse un valore pari a 300 ouE/m3 e per le sorgenti puntuali un valore limite pari a 2000 ouE/m3.

Infine, in ambito territoriale l’ARPA Toscana, e precisamente il suo dipartimento di Livorno, ha predisposto e pubblicato il Piano di Prevenzione Monitoraggio e Controllo delle emissioni odorigene dei Comuni di Livorno e Collesalvetti, nel quale si afferma che per rendere compatibili gli impianti e le attività ad impatto olfattivo in un determinato contesto territoriale, e risolvere il conflitto fra residenti e impianti esistenti, occorre adottare le migliori tecniche per il contenimento delle emissioni odorigene, e, per i nuovi impianti, valutare anche l’opportunità di un sito ottimale[16].

Anche le Regioni Veneto, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Basilicata presentano norme soprattutto settoriali in materia di emissioni odorigene con previsioni di limiti oppure di controlli da parte delle Agenzie regionali per la protezione dell’Ambiente.

In questo eterogeneo contesto, data la pluralità di esperienze acquisite a livello regionale, al fine di disporre di un quadro comune di riferimento in ambito nazionale, il Consiglio nazionale del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), nella seduta del 3 ottobre 2018, ha adottato la Delibera n. 38/2018 di approvazione del documento “Metodologie per la valutazione delle emissioni odorigene - Documento di sintesi[17]. L’obiettivo del testo è stato infatti quello di fornire agli Enti di Controllo informazioni utili per la scelta degli approcci adeguati ad effettuare un’azione di prevenzione, controllo e valutazione delle emissioni odorigene, tenendo conto di dar una più efficace attuazione della nuova normativa ed in particolare dell’art. 272 bis D.lgs 183/2017, all’utilizzo di metodologie valide ed aggiornate, alla ricognizione delle esperienze di successo in corso e all’interscambio di tecnologie disponibili. Il documento, strutturato in specifici capitoli, oltre ad un allegato tecnico di sintesi, che riporta applicazioni di approcci metodologici integrati in specifici casi studio affrontati dalle Agenzie Regionali, può così riassumersi:

  1. Capitolo 1 - L’odore e la sua percezione: descrive il meccanismo fisiologico di percezione dell’odore, in relazione alle caratteristiche proprie delle sostanze odorigene ed i fattori che possono contribuire a determinare la molestia olfattiva;
  2. Capitolo 2 - I principali riferimenti normativi in materia di odori: riassume le fonti normative a livello nazionale ed internazionale, con analisi della giurisprudenza in materia;  
  3. Capitolo 3 - Elementi valutativi nell’ambito di procedure di autorizzazione: richiama la documentazione prodotta dagli impianti a rischio osmogeno nell’ambito delle procedure autorizzative, al fine di descrivere le prescrizioni tecniche e gestionali per il contenimento delle emissioni, nonché le modalità per il monitoraggio ed il controllo;
  4. Capitolo 4 - Metodologie di monitoraggio delle emissioni odorigene: esamina i diversi aspetti relativi al monitoraggio, dalla fase di campionamento all’analisi, con la descrizione delle  metodologie da applicare in riferimento alle tipologie di sorgenti;
  5. Capitolo 5 – Modelli di dispersione per la valutazione dell’impatto olfattivo: descrive l’ambito generale di applicazione dei modelli di dispersione in riferimento a Linee Guida specifiche redatte in ambito regionale ed esamina i dati richiesti in input al modello;
  6. Capitolo 6 – Approcci integrati per la valutazione della molestia olfattiva: fornisce indicazioni sulle modalità di approccio utilizzabili per esaminare un caso di molestia olfattiva, attraverso l’integrazione di diversi strumenti di valutazione;
  7. Capitolo 7 – Metodologie di abbattimento delle emissioni odorigene: fornisce una disamina delle principali tecnologie di abbattimento delle emissioni odorigene, riportando un approfondimento sui possibili interventi di controllo e mitigazione relativamente ad alcune tipologie di attività, tra cui impianti di trattamento di acque reflue, allevamenti intensivi, industria della raffinazione, impianti di trattamento dei rifiuti e discariche.

Il documento predisposto dal Consiglio del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente ha avuto indubbiamente un importante esito ricognitivo dei vari approcci regionali al problema e rappresenta un indispensabile punto di partenza per ulteriori approfondimenti tecnico-scientifico e normativi che dovranno guidare gli Enti nella definizione di strumenti flessibili, che devono permettere in primo luogo la tutela ambientale, con la minor limitazione alla produzione ed alla sviluppo delle imprese, già da troppi anni alle prese con le ricadute della crisi economica.

3. L’approccio giurisprudenziale.

Al fine di poter specificamente qualificare il bene giuridico a cui la novella del D.lgs 183/2017 si propone di offrire maggiore tutela, occorre, a mio avviso, ricostruire l’approccio giurisprudenziale in materia di emissioni odorigene, che attraverso il combinato disposto degli artt. 674 codice penale e 844 del codice civile, ha qualificato le c.d. "molestie olfattive". In questo ambito, tuttavia occorre operare una sostanziale dicotomia, ovvero l’emissione di odori da attività non autorizzata e quindi di natura privata[18], che presenta caratteri contingenziali e quella derivante da attività produttiva autorizzata, che dovrà adeguarsi alle previsioni del nuovo D.lgs 183/2017 correlandosi con i livelli soglia che le singole Regioni individueranno a seconda delle tipologie di territorio coinvolto.

Nell’ambito delle emissioni da attività produttive autorizzate, risultando assenti parametri e limiti di carattere cogente, in caso di "molestie olfattive", in questi anni è spettato al Giudice valutare la legittimità delle emissioni alla stregua del criterio della "tollerabilità", che in materia di risarcimento del danno si attesta a livello della “normale tollerabilità” ex art. 844 c.c., mentre in sede penale acquista maggiore rigore volendo il legislatore penale tutelare il semplice realizzarsi di una situazione di pericolo[19] con il criterio della “stretta tollerabilità”.

 La Corte di Cassazione, sezione penale, ha confermato nella recente sentenza n. 2240 del 18 gennaio 2017 la responsabilità penale in materia di "Getto pericoloso di cose" ex art. 67d c.p. con riguardo alle emissioni prodotte da attività autorizzata, consolidando il precedente orientamento da sin già dalla pronuncia n. 2745/2008[20]. Secondo i Giudici di Piazza Cavour, sebbene occorra provare un’attitudine concreta delle emissioni a molestare, è in ogni caso sufficiente l'apprezzamento diretto delle conseguenze moleste delle emissioni da parte anche solo di alcune persone, che consenta al Giudice di trarre elementi per ritenere sussistente il reato, anche se alcune delle persone non le abbiano percepite e senza che sia necessario un accertamento tecnico. Allo stesso modo, nella sentenza n. 36905 del 14 settembre 2015[21] vengono poi ripotati una serie di aspetti interessanti proprio in riferimento ai criteri di valutazione delle emissioni odorigene; in particolare, secondo i Giudici della Suprema Corte, la contravvenzione di cui all’art. 674 c.p. configura un reato di pericolo, anche in caso di “molestie olfattive” promananti da impianto munito di autorizzazione, in quanto non esistendo una normativa statale che preveda disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori, conseguentemente il criterio della “stretta tollerabilità[22] quale parametro di legalità dell’emissione, attesta una protezione al bene giuridico protetto, ovvero la salubrità dell’ambiente e la salute umana, che supera il criterio della “normale tollerabilità” previsto dall’art. 844 c.c.[23].

Sulla medesima posizione si è orientata la Corte di Cassazione, sez. III penale, nella sentenza n. 20748/13 depositata il 14 maggio 2013 precisando che la molestia prescinde dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ai sensi dell’articolo 844 c.c. Non essendo possibile accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l’intensità delle emissioni, “il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testi, specie se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica, ma consistano nel riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti[24]. Lo stesso principio è parimenti attestato nella sentenza della Corte di legittimità del 26 settembre 2013 n. 37037, relativa ad emissioni di effluenti gassosi da allevamento avicolo, che ritiene configurabile la responsabilità ex art. 674 c.p. nel caso in cui tali immissioni provengano da un impianto, seppur munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera, che rispetti i limiti di legge, ritenendo sufficiente ai fini del reato il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c., quale criterio di legittimità delle emissioni stesse, ai sensi dello stesso art. 674 c.p.[25].

La previsione normativa del secondo periodo dell’articolo in questione, nel punire determinati comportamenti molesti (emissioni di gas, vapori, fumi) al di fuori dei casi consentiti da legge, tende ad operare un bilanciamento di opposti interessi, consentendo l’esercizio di attività socialmente utili, purché ciò avvenga nel rigoroso rispetto dei limiti fissati dalla legge, superati i quali riacquista prevalenza l’esigenza di tutela dell’incolumità pubblica[26]. Come ha confermato la Corte Costituzionale con la sentenza n. 127 del 1990 l’inciso dell’art 674 c.p. “nei casi consentiti da legge” fa presumere, in linea generale, che i limiti massimi di emissione fissati dall’autorità siano rispettosi della tollerabilità per la salute dell’uomo e per l’ambiente. In ipotesi, però, in cui vi siano forti dubbi, particolarmente in relazione al verificarsi nelle zone limitrofe alla fonte di emissione di manifestazioni morbose attribuibili all’inquinamento atmosferico, il Giudice ben può disporre indagini scientifiche atte a stabilire la compatibilità del limite massimo delle emissioni con la loro tollerabilità, traendone le conseguenze giuridiche del caso[27]. Pertanto, come confermato della Suprema Corte n. 21138 del 16 maggio 2013, l’evento di molestia provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori è apprezzabile a prescindere dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c. Laddove, quindi, non trattasi di attività industriali, che trovino la loro regolamentazione in una specifica normativa di settore, per la configurabilità del reato non è necessario il superamento degli “standard” fissati dalla legge, essendo sufficiente che le emissioni siano idonee a superare la normale tollerabilità e quindi ad arrecare fastidio.

Anche la giurisprudenza amministrativa appare unanime nel considerare che, sebbene per le emissioni odorigene in base alla normativa nazionale vigente non è prevista la fissazione di limiti di emissione, né di metodi o di parametri idonei a misurarne la portata; ciò non significa che il rilascio delle autorizzazioni alle emissioni in atmosfera non possano essere oggetto di considerazione i profili attinenti alle molestie olfattive, al fine di prevenire e contenere i pregiudizi dalle stesse causati. Infatti, l'art. 268, comma 1, lett. a), D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (che sul punto richiama l'art. 2 d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203) quaifica un concetto ampio di inquinamento atmosferico e, pertanto, anche se non è rinvenibile un riferimento espresso alle emissioni odorigene, le stesse debbono ritenersi ricomprese nella definizione di “inquinamento atmosferico” e di “emissioni in atmosfera”, poiché la molestia olfattiva intollerabile è al contempo sia un possibile fattore di “pericolo per la salute umana o per la qualità dell'ambiente”, che di compromissione degli “altri usi legittimi dell'ambiente”, ed in sede di rilascio dell'autorizzazione, dovendo essere verificato il rispetto delle condizioni volte a minimizzare l'inquinamento atmosferico[28], possono pertanto essere oggetto di valutazione anche i profili che arrecano molestie olfattive facendo riferimento alle migliori tecniche disponibili[29].

Per quanto riguarda il profilo civilistico del criterio della normale tollerabilità, idoneo ad fondare il diritto alla risarcibilità a seguito di immissioni di fumi, vapori od esalazioni nel fondo altrui (emissioni) l’art. 844 comma 2 prevede comunque sempre una valutazione da parte del Giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, considerando eventualmente la priorità di un determinato uso, criterio che deve essere letto tenendo conto che il limite della tutela della salute è da ritenersi  intrinseco in qualsiasi attività di produzione, oltre che nei rapporti di proprietà. L’art. 844 c.c. qualifica, infatti, il parametro della “normale tollerabilità” che “è norma destinata a risolvere il conflitto tra proprietari di fondi vicini per le influenze negative derivanti da attività svolte nei rispettivi fondi[30]; ne consegue che tale criterio non può essere utilizzato per giudicare in merito alle immissioni pregiudizievoli per la salute umana e per l’ambiente, potendosi riferire esclusivamente al diritto di proprietà. Come confermato anche dalla S.S.U.U. della Cassazione con la sentenza n. 4263 del 1985 ai fini della risarcibilità del danno derivante dalle c.d. molestie olfattive e ai fini del giudizio sulla denuncia di immissioni di odori spiacevoli, occorre riferirsi al dettato dell’art. 32 Costituzione, qualificando così il danno alla salute, in quanto dal dettato dell’art. 844 c.c. esulano i diritti personali[31].

4. Conclusioni.

La recente novella del D.lgs 183/2017, in attuazione della Direttiva UE 2015/2193, con l’introduzione dell’art.272-bis nel Codice dell’Ambiente ha cercato di introdurre maggiore rigore in materia di emissioni odorigene, ambito da sempre considerato di nicchia rispetto al più ampio problema dell’inquinamento dell’aria derivante dalle polveri sottili. Sebbene l’asperità dell’inquinamento odorigeno è stato per decenni minimizzata, l’insorgenza di specifici disturbi patologici per l’esposizione prolungata ad emissioni odorigene, quali per esempio la Sensibilità Chimica Multipla (MCS)[32], ha portato alla riconsiderazione del fenomeno, sia in ambito europeo, sia in quello nazionale. Nel panorama giuridico nazionale la tutela dalle molestie olfattive, in assenza di una normativa statale che preveda disposizioni specifiche e valori-limite in materia di odori, si è consolidata nel ritenere che detto ambito non possa essere ricondotto tout court agli aspetti normativamente concernenti l’inquinamento atmosferico delle attività produttive autorizzate, ma impone la qualificazione concreta di uno specifico diritto alla salubrità dell’aria, che si attesta all’insegna del criterio della “stretta tollerabilità”, poiché direttamente collegato ai diritti della persona universalmente protetti, quali quello della salute e della dignità umana, ovvero di godere di un ambiente sano entro il quale perseguire i propri interessi di vita personale e sociale (principio personalistico).

Nella giurisprudenza si europea, sulla scorta delle interpretazioni dell’European Environment Agency (EEA), i molteplici profili delle emissioni inquinanti, in particolare sia delle polveri sottili, sia dei gas odorigeni, paiono unificarsi all’insegna del c.d. “diritto all’aria pulita”, che integra profili inerenti le politiche sociali ed ambientali. Recentemente l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha pubblicato il rapporto 2018 della “Qualità dell’aria in Europa”[33] considerando come “il particolato (PM), il biossido di azoto (NO2) e l’ozono troposferico (O3) sono responsabili dei maggiori danni alla salute umana. Le elevate concentrazioni di inquinamento atmosferico continuano ad avere ripercussioni negative sui cittadini europei, in particolare su coloro che vivono nelle aree urbane. L’inquinamento atmosferico comporta anche considerevoli ricadute economiche, poiché diminuisce la durata di vita, aumenta le spese mediche e riduce la produttività in tutti i settori dell’economia a causa delle giornate lavorative perse per problemi di salute. Inoltre, l’inquinamento atmosferico genera conseguenze negative per gli ecosistemi, danneggiando i terreni, le foreste, i laghi e i fiumi e riducendo le rese agricole».

Sebbene queste considerazioni paiono scontate, la loro proclamazione ha recentemente avuto una nuova enfasi nel dibattito globale, che dimostra come le tematiche ambientali non possano essere demandate alle sole sedi istituzionali, poiché l’ambiente è un patrimonio di tutti e i diritti che ne discendono ben possono essere azionati anche singolarmente: l’indissolubile rapporto ambiente e salute integra, infatti, tutti i fattori che, anche solo in via di mero pericolo, possono incidere sulla qualità della vita individuale, non da ultime proprio le emissioni odorigene.    

  Note e riferimenti bibliografici

[1] G.U. 16/12/2017 n.293.

[2] L’art. 1 del D.Lgs 183/2017 apporta modifiche alle norme del Titolo I della Parte Quinta del Codice dell’ambiente, che disciplina le procedure autorizzative e i limiti di emissione in atmosfera di impianti ed attività, al fine di recepire le disposizioni introdotte dalla Direttiva 2015/2193/UE relativa alla limitazione delle emissioni nell'atmosfera di taluni inquinanti originati dagli impianti di combustione.

[3] Dal 19 dicembre 2017, data di entrata in vigore del decreto attuativo, il Testo Unico Ambientale vede tra l’altro l’introduzione del nuovo art. 272-bis che recita: “La normativa regionale o le autorizzazioni possono prevedere misure per la prevenzione e la limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti di cui al presente titolo. Tali misure possono anche includere, ove opportuno, alla luce delle caratteristiche degli impianti e delle attività presenti nello stabilimento e delle caratteristiche della zona interessata, e fermo restando, in caso di disciplina regionale, il potere delle autorizzazioni di stabilire valori limite più severi con le modalità previste all’articolo 271: A) valori di emissione espressi in concentrazione (mg/N) per le sostanze odorigene; B) prescrizioni impiantistiche e gestionali e criteri localizzativi per impianti e per attività aventi un potenziale impatto odorigeno, incluso l’obbligo di attuazione di piani di contenimento; C) procedure volte a definire, nell’ambito del procedimento autorizzativo a criteri localizzativi in funzione della presenza di ricettori sensibili nell’intorno dello stabilimento; D) criteri e procedure volti a definire, nell’ambito del procedimento autorizzativo, portate massime o concentrazioni massime di emissione odorigena espresse in unità odorimetriche per le fonti di emissioni odorigene dello stabilimento; E) specifiche portate massime o concentrazioni massime di emissione odorigena espresse in unità odorimetriche per le fonti di emissioni odorigene dello stabilimento.

[4] Le analisi chimiche focalizzano l’attenzione sulle categorie di composti di interesse ambientale e sanitario caratterizzate da bassa soglia olfattiva e che, in base alle conoscenze su cicli produttivi ed attività antropiche che caratterizzano le zone interessate al problema, possono essere presenti in determinate circostanze. È proprio in funzione delle informazioni a disposizione che si scelgono le tecniche di campionamento e di analisi adeguate alla determinazione dei composti così individuati.

[5] Le tecniche sensoriali o di olfattometria dinamica consistono principalmente nel presentare l’aria odorosa, diluita con aria inodore, a un gruppo di persone selezionate (panel) per registrarne le sensazioni risultanti: tale misura ha principalmente l’obiettivo di determinare la concentrazione di odore con l’aiuto dell’olfatto umano come sensore.

[6] Recepisce EN 13725:2003. Qualità dell'aria - Determinazione della concentrazione di odore mediante olfattometria dinamica.

[7] Rappresenta una valutazione indiretta dell’esternalità sull’ambiente, che di basa sulla teoria dei prezzi dei beni immobili nelle zone a degrado ambientale. In questo caso il prezzo edonico dipende dalle informazioni fornite dalle famiglie per le loro decisioni di compravendita nel mercato immobiliare. Gli individui traggono piacere nel vivere in posti piacevoli e di conseguenza, il valore del territorio è valutato sul grado di desiderabilità a viverci. Brookshire, D.S., et al, (1982), "Valuing Public Goods: A Comparison of Survey and Hedonic Approaches," American Economic Review, American Economic Association, vol. 72(1), March.

[8] Art. 674 C.p. Getto pericolo di cose. Chiunque getta o versa, in un luogo pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino ad un mese o con l’ammenda fino a 206 euro.

[9] Art. 844. Immissioni. Il proprietario  di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni , i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. _Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso.  

[10] Art. 177 Campo di applicazione. La parte quarta del presente decreto (D.lgs 152/2006) disciplina la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti inquinati, anche in attuazione delle direttive comunitarie, in particolare della direttiva 2008/98/CE, prevedendo misure volte a proteggere l’ambiente e la salute umana, prevenendo o riducendo gli impatti negativi della produzione e della gestione dei rifiuti, riducendo gli impatti complessivi dell’uso delle risorse e migliorandone l’efficacia.

[11] Cass. Civ. sent. n. 939/2001, n. 1418/2006, 17281/2008.

[12] Le Linee guida emanate dalla Regione Lombardia si distinguono in “Linee Guida emissioni odorigene impianti di depurazione acque reflue” e “Linee Guida emissioni odorigene  impianti trattamenti Carcasse animali” entrambe consultabili sul sito istituzione della Regione Lombardia (www.regione.lombardia.it). Vd Anche DGR 12764 del 16.04.2003.

[13] Pubblicata sul BUR n. 5 del 2 febbraio 2017, S.O n. 1, la D.G.R. 9 Gennaio 2017, n. 13-4554. Dall’interpretazione offerta da  ARPA Piemonte le linee guida si applicano agli impianti soggetti ad Autorizzazione Integrata Ambientale o a fronte di problematiche che coinvolgano significative porzioni di territorio o di popolazione dove approcci preliminari per la risoluzione del problema siano risultati inefficaci.

[14] Approvazione delle “Linee guida per la caratterizzazione, l’analisi e la definizione dei criteri tecnici e gestionali per la mitigazione delle emissioni della attività ad impatto odorigeno” (art. 102 sexies del Testo Unico provinciale sulla tutela dell’ambiente dagli inquinanti) Reg. delibere n.1087 del 24 giugno 2016.

[15] G.U. serie III Speciale regioni – n. 32 del 14.08.1999 modificata con L.17/2017 “Disposizioni in campo Ambientale, anche in relazione al decentramento delle funzioni amministrative in materia ambientale” B.U.R. Puglia n. 87 del 18.06.2007.

[16] In Toscana a livello regionale solo in data 21 marzo 2019 risulta essere stata presentata in Giunta una mozione per l’adeguamento legislativo da parte della Regione a seguito delle novità introdotte da D.lgs 183/2017.

[17] Nell’ambito del Programma triennale 2014–2016 del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (SNPA) è stato costituito un gruppo di lavoro sulle metodologie per la valutazione delle emissioni odorigene, per delineare una Linea guida di settore per la valutazione ed il monitoraggio delle emissioni odorigene. Il Gruppo di Lavoro 13 del SNPA che ha predisposto il documento è stato coordinato dall’ARPA Puglia e costituito, oltre che da ISPRA, da alcune Agenzie che hanno direttamente partecipato ai lavori, mentre altre Agenzie ‑ tra cui ARPAT ‑ hanno preso parte con loro referenti alla fase finale di condivisione del documento.

[18] A Monfalcone (Gorizia) è arrivata la prima sentenza (n. 14467/2017) della Cassazione, che ha condannato gli inquilini di un appartamento posto al piano terra, per i continui odori e fumi molesti che emanavano nell’intero condominio.

[19] Ex multis Cass. Pen. Sez. III n.46846/2005; Sez. I sent. 739/1998 e Sez. I sent. n. 11868/1995.

[20] Cass. Penale Sez. III n. 2745/2008.

[21] Pertanto, laddove si tratti di odori molesti, il giudizio sull'esistenza e sulla non tollerabilità degli stessi può fondarsi sulle dichiarazioni dei testi, soprattutto se si tratti di soggetti a diretta conoscenza dei fatti, come i vicini, o di soggetti qualificati, come gli agenti di polizia e gli organi di controllo della Aziende sanitarie. Cass. pen., Sezione III, Sentenza n. 36905 del 14 settembre 2015.

[22] Il parametro della stretta tollerabilità risulta oggetto di valutazioni in altre sentenze, tra cui quella emessa dalla Cassazione Pen., Sez. III, n. 16670 del 4 maggio 2012. Oggetto di esame, del caso di specie, erano gli odori e fumi che risultavano provenire da un esercizio commerciale generando molestie ai vicini. La Corte ha ritenuto che, in assenza di una specifica normativa statale, il criterio individuabile, quale parametro di legalità dell’emissione, fosse quello della stretta tollerabilità, attesa l’inidoneità ad approntare una protezione adeguata all’ambiente e alla salute umana di quello della normale tollerabilità, previsto dall’art. 844 c.c.

[23] Cass. Penale Sez. III sent. n. 36905 del 14 settembre 2015. Coerenti indicazioni sul merito sono rinvenibili nella sentenza n. 2475 del 17 gennaio 2008 emessa dalla Cassazione Pen., Sez. III.

[24] Cass. Penale Sez. III  sentenza n. 20748/13 depositata il 14 maggio 2013.

[25] Tale orientamento è confermato anche in una recente sentenza della Corte di Cassazione sez. III penale n. 12019 del 10 febbraio 2015 ove è affermato che il reato di cui all'art. 674 del Codice penale è configurabile anche in presenza di "molestie olfattive" provenienti da impianto munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera e rispettoso dei relativi limiti, non riferiti però agli odori. Nel caso in esame i valori limite autorizzati per le immissioni in atmosfera erano stati rispettati, mentre gli odori erano risultati molesti sulla base delle testimonianze degli abitanti residenti nelle vicinanze dell’impianto.

[26] Cass. Pen. Sez. I. sent. 3919/1997.

[27] Corte Costituzionale Sent. 127/1990 depositata il 16.03.1900 Pres. Pro F. Saja.

[28] Ai sensi dell'art. 296, comma 2, lett. a, del D.lg. 3 aprile 2006 n. 152, il progetto deve indicare le tecniche adottate per limitare le emissioni e la loro quantità e qualità.

[29] T.A.R. Catanzaro, (Calabria) sez. I, 21/03/2018, n.682. Conf. Da T.A.R. Venezia, (Veneto) sez. III, 05/05/2014, n.573.

[30] In questo senso Corte Costituzionale sent. 274/1974.

[31] S.S.U.U. Civili n. 4263/1985 dep. 19/07/1985.

[32] Ministero della Salute: la Sindrome da sensibilità chimica multipla (Multiple chemical sensitivity syndrome - MCS) o Intolleranza idiopatica ambientale ad agenti chimici (IIAAC) è un disturbo cronico, reattivo all’esposizione a sostanze chimiche, a livelli inferiori rispetto a quelli generalmente tollerati da altri individui, e in assenza di test funzionali in grado di spiegare segni e sintomi.

[33] EEA Report (European Environment Agency), Air quality in Europe, Luxembourg 2018 (ISSN 1977-8449).