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Pubbl. Ven, 30 Ago 2019

La tutela dei minori di cultura islamica nell´Unione europea: l´istituto della Kafalah in una prospettiva comparata

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Riccardo Samperi
Dottorando di ricerca


Negli ordinamenti giuridici di matrice islamica, l’adozione non è consentita per motivi religiosi. La tutela dei minori in stato di abbandono è tuttavia assicurata dall’istituto della Kafalah, che, a differenza dell’adozione, non fa sorgere un vincolo parentale tra affidatario (kafil) e minore dato in affidamento (makful).


Sommario: 1. Introduzione. – 2. La Kafalah nell’ordinamento giuridico italiano: dall’iniziale diniego alla piena idoneità quale titolo per il ricongiungimento familiare. – 3. Il rilievo della Kafalah negli ordinamenti giuridici degli Stati membri dell’Unione europea. – a) Spagna. – b) Regno Unito: La Corte di Giustizia dell’Unione europea si pronuncia per la prima volta sull’idoneità della Kafalah quale presupposto per il ricongiungimento familiare. – c) Francia: il caso Harroudj. – d) Belgio: il caso Chbihi Loudoudi and Others. – e) Germania.

Abstract [ITA]: Negli ordinamenti giuridici di matrice islamica, l’adozione non è consentita per motivi religiosi. La tutela dei minori in stato di abbandono è tuttavia assicurata dall’istituto della Kafalah, che, a differenza dell’adozione, non fa sorgere un vincolo parentale tra affidatario (kafil) e minore dato in affidamento (makful). La legislazione di alcuni paesi europei vieta l’adozione di minori provenienti da paesi nei quali l’adozione è vietata. Ciò ha reso difficoltoso il ricongiungimento familiare dei minori di cultura islamica e ha attribuito al giudice un ruolo determinante nella salvaguardia del superiore interesse del minore.

Abstract [ENG]: In Islamic legal systems, adoption is not permitted for religious reasons. The protection of abandoned minors is however assured by Kafalah, which, unlike adoption, does not give rise to a parental relation between the custodian (kafil) and the minor given in custody (makful). The legislation of some European countries prohibits adoption of minors from countries where the adoption is prohibited. This made it difficult to reunite the family of minors of Islamic culture and gave the judge a decisive role in safeguarding the minor's best interest.

1. Introduzione

Il termine Kafalah (in arabo: كفالة, Kafālah) in diritto islamico significa letteralmente “fideiussione”, tuttavia, in epoca contemporanea, con esso si fa riferimento ad un istituto a tutela dei minori che si trovano in stato di abbandono. La Kafalah consiste in un affido in virtù del quale un soggetto, chiamato kafil, si impegna a curare, educare e mantenere un makful, cioè il minore affidato, come se fosse proprio figlio, sino al raggiungimento della maggiore età, senza, tuttavia, che il makful entri giuridicamente a far parte della famiglia del kafil[1].

Gli ordinamenti giuridici di matrice islamica non soltanto non contemplano l’adozione, ma addirittura la vietano[2], sul presupposto che la famiglia trae origine dal rapporto di filiazione biologica, espressione della volontà divina[3].

Si noti che, a differenza dell’adottato, che entra a far parte della famiglia dell’adottante, il makful rimane legato giuridicamente alla famiglia biologica; questa è la ragione per la quale negli ordinamenti islamici la pubblica autorità mantiene il potere di vigilare sull’adempimento degli obblighi da parte del soggetto affidatario, mentre un simile potere non è riscontrabile negli ordinamenti che riconoscono l’istituto dell’adozione.

Inoltre, mentre l’adozione ha una durata illimitata, la Kafalah cessa per revoca motivata da parte dell’autorità o per raggiungimento della maggiore età da parte del makful.

All’affidatario spettano i poteri di un tutore, ma non anche di un genitore, con la conseguenza che non può stare in giudizio nell’interesse del minore.

Presupposti di operatività dell’istituto sono la dichiarazione dello stato di abbandono del minore e l’accertamento dell’identità dell’aspirante kafil, il quale deve essere maggiorenne, appartenere alla religione musulmana e avere la capacità di far fronte agli adempimenti imposti dal dovere di protezione. La Kafalah può essere revocata ed in ogni caso cessa con il raggiungimento della maggiore età da parte del makful[4].

Possono distinguersi due tipologie di Kafalah: la prima di carattere pubblicistico, conferita con provvedimento giudiziario all’esito di un procedimento che accerta e dichiara lo stato di abbandono del makful e l’idoneità del kafil. La seconda, di carattere negoziale o convenzionale, consiste in un accordo tra affidante e affidatario, siglato davanti ad un giudice o ad un notaio e sottoposto ad omologazione dell’autorità giudiziaria.

Negli ordinamenti islamici - stante il divieto di adozione e il precetto che fa obbligo di aiutare i bisognosi e gli orfani - la Kafalah costituisce l’unico strumento a protezione dei minori che si trovano in stato di abbandono[5].

2. La Kafalah nell’ordinamento giuridico italiano: dall’iniziale diniego alla piena idoneità quale titolo per il ricongiungimento familiare

Il problema che si pone è quello di valutare l’idoneità di tale istituto a costituire titolo per il ricongiungimento familiare[6] nell’ordinamento giuridico italiano.

In materia trova applicazione il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che disciplina la materia dell’immigrazione e la condizione dello straniero.

Il Titolo IV è rubricato “Diritto all’unità familiare e tutela dei minori”.

In particolare, l’art. 29 stabilisce che lo straniero può chiedere il ricongiungimento per: a) il coniuge non legalmente separato; b) i figli minori a carico, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati ovvero legalmente separati, a condizione che l'altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso; c) i genitori a carico; d) parenti entro il terzo grado, a carico, inabili al lavoro secondo la legislazione italiana.

Ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore a 18 anni. I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli.

Inoltre in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all’unità familiare e riguardanti i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo, conformemente a quanto previsto dall'articolo 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176 (art. 28, comma 3). La Convenzione, all’art. 20, comma 2, contempla espressamente la Kafalah tra i mezzi di protezione sostitutiva del minore.

In un primo momento i consolati italiani hanno rifiutato sistematicamente il visto d’ingresso per i minori affidati a soggetti stranieri residenti nel nostro Paese sulla base di un’interpretazione restrittiva dell’articolo 29, comma 2, in cui la situazione di “minori adottati o affidati o sottoposti a tutela” è equiparata ai figli ai fini del ricongiungimento familiare, escludendo, pertanto, qualsiasi altro istituto che non fosse espressamente menzionato come nel caso della Kafalah.

Tale prassi, tuttavia, non ha trovato tout court riscontro in quella della giurisprudenza italiana, la quale più volte pronunciatasi sull'istituto della Kafalah ha, più di recente, affermato la piena compatibilità con l'ordinamento italiano anche di quella a carattere negoziale. 

Invero, inizialmente, la giurisprudenza ha mostrato una certa diffidenza nel riconoscere efficacia all’istituto, come si evince da un importante caso definito dalla Cassazione con sentenza 4 novembre 2005, n. 21395.

I protagonisti della vicenda sono due cittadini italiani che avevano ricevuto in custodia, mediante l’istituto della Kafalah, disposta con provvedimento da un tribunale del Marocco, un minore in stato di abbandono. La coppia riuscì a portare il minore in Italia, sebbene privi del visto di ingresso per il neonato nel territorio dello Stato a scopo di adozione, essendone stato il rilascio denegato dall’Autorità consolare italiana presso il Paese di origine del neonato stesso.

Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale dei minori proponeva ricorso chiedendo di aprire la procedura tesa alla dichiarazione dello stato di adottabilità del minore. Il giudice minorile allontanava il minore dalla coppia e lo collocava in stato di adottabilità presso una comunità.

All’esito del giudizio, la Cassazione ha affermato che il provvedimento del tribunale marocchino era privo di efficacia nel nostro ordinamento, in quanto contrario ai principi fondamentali in materia di diritto di famiglia, e ha conseguentemente negato la legittimazione ad impugnare il provvedimento che dichiarava lo stato di adottabilità del minore.

Si è obiettato, tuttavia, che la Kafalah potrebbe rappresentare esercizio della libertà religiosa, ai sensi dell’art. 19 Cost., da parte di chi la compie. Infatti, poiché gli ordinamenti di matrice islamica vietano l’istituto dell’adozione e riconoscono la Kafalah quale unico strumento a tutela del minore in stato di abbandono, negare a priori efficacia alla Kafalah equivarrebbe imporre un aut aut al cittadino musulmano che intenda ricongiungersi con il minore residente nel paese di origine: o ricorrere all’adozione (violando un precetto religioso) o rinunciare al ricongiungimento familiare. Dunque l’interpretazione della Corte determinerebbe una illegittima discriminazione su base religiosa, in contrasto con gli artt. 3 e 19 della Costituzione[7].

Nel 2008, la Cassazione viene chiamata a decidere circa l’ammissibilità della Kafalah ai fini del ricongiungimento familiare ai sensi dell’art. 29 del D.lgs. 286/1998[8].

Ad avviso della Suprema Corte, la necessità di salvaguardare il superiore interesse del minore impone una lettura evolutiva della norma, tesa a ricomprendere tra gli istituti idonei a consentire il ricongiungimento familiare anche la Kafalah giudiziale[9]. La Kafalah negoziale, invece, restava ancora fuori dal perimetro di applicabilità dell’articolo 29.

Il best interest of the child[10] costituisce la ragione in virtù della quale, si è realizzata l’apertura verso una interpretazione maggiormente estensiva del riconoscimento della Kafalah quale presupposto per il ricongiungimento familiare.

Altro caso di particolare interesse affrontato dalla Corte di Cassazione[11], riguarda un cittadino italiano, di origine marocchina, che aveva richiesto il ricongiungimento in Italia di una minorenne straniera residente in Marocco e a lui affidata tramite l’istituto della Kafalah.

La Corte esclude che la minore straniera, affidata nel suo Paese di origine – attraverso l’istituto della Kafalah – a persone residenti in Italia, possa esser qualificata familiare ai sensi del D. Lgs. n. 286/1998 e del D.lgs. n. 30/2007[12]. Quest’ultimo, all’art. 2, definisce familiare: 1) il coniuge; 2) il partner che abbia contratto con il cittadino dell'Unione un'unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante; 3) i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner; 4) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner.

Ad avviso della Suprema Corte, non vi sarebbe, dunque, spazio per i minori che siano stati affidati, in regime di Kafalah, a cittadini italiani.

La seconda argomentazione della Corte fa leva sulla legittimità del trattamento differenziato tra minore affidato con Kafalah a un cittadino italiano e minore affidato con Kafalah a cittadino straniero residente nel nostro Paese, per il quale ad oggi il ricongiungimento è ammesso. In buona sostanza, se si tratta di straniero extracomunitario, il makful potrà entrare in Italia ex art. 29 del D. Lgs. n. 286/1998 per motivi di ricongiungimento familiare; se invece si tratta di cittadino italiano, l’autorizzazione all’ingresso nel nostro Paese sarà possibile solo attraverso l’iter dell’adozione internazionale.

Ciò costituisce una evidente ed ingiustificata disparità di trattamento e arreca un grave pregiudizio all’interesse del minore. Il ricongiungimento non dovrebbe essere rifiutato aprioristicamente, sulla base della nazionalità del kafil, ma andrebbe valutato di volta in volta, verificando la preesistenza o meno di un rapporto sostanziale tra minore e affidatario, tenendo anche conto del rischio di aggiramento della disciplina di controllo dell’immigrazione. Se il fine del ricongiungimento familiare è la salvaguardia dell’unità familiare familiare, quello dell’adozione è l’instaurazione di un legame parentale ex novo tra due estranei e dunque l’adozione non piò costituire il solo ed unico strumento attraverso cui consentire il ricongiungimento familiare ai cittadini italiani.

È infatti proprio sugli effetti discriminatori della sentenza n. 468/2010 che si sono concentrate le critiche della dottrina. L’esclusione del ricongiungimento del minore affidato al kafil italiano conduce a una doppia discriminazione: da un lato, il minore di nazionalità marocchina è discriminato rispetto ai minori di diversa nazionalità (i minori provenienti dai paesi islamici non possono essere adottati e la Kafalah costituisce per loro l’unica forma di protezione); dall’altro, il cittadino italiano è discriminato rispetto al cittadino di un paese terzo[13].

Ulteriore vicenda degna di nota riguarda un cittadino italiano, il quale, stabilitosi temporaneamente per motivi di lavoro in Marocco, decide - insieme alla sua famiglia - di prendere in affido un minore, abbandonato dalla nascita, tramite Kafalah.

Successivamente, l’affidatario si è visto costretto per esigenze di lavoro, a trasferirsi nuovamente, facendo tornare la sua famiglia in Italia. In quest’occasione, se da un lato, lo Stato del Marocco autorizzava i coniugi a lasciare il territorio marocchino insieme al bambino in affido, dall’altro lato il Consolato italiano negava il visto d’ingresso per ricongiungimento familiare.

Tale diniego veniva motivato per i seguenti motivi: in primis, si opponeva che la Kafalah - non potendo essere assimilata all’adozione - era inidonea a giustificare l’accoglimento della domanda e, in secondo luogo, il minore non avrebbe convissuto con gli affidatari in previsione della negata autorizzazione all’espatrio.

La famiglia propone ricorso e le ragioni vengono accolte. Considerato che il bambino aveva vissuto sin dai primi giorni di vita con loro e, data l’autorizzazione per il minore all’espatrio, viene disposto l’ordine all’Autorità consolare di rilasciare il visto, ritenendo la Kafalah idonea ai fini del ricongiungimento. Tuttavia, la decisione viene completamente ribaltata dalla Corte d’Appello alla quale propongono ricorso il Ministero degli Esteri e l’Autorità consolare del Marocco, assumendo che la richiesta del visto altro non è che un tentativo di aggirare la disciplina nazionale dell’adozione internazionale, nonché di eludere il rigoroso accertamento dei requisiti d’idoneità dei genitori affidatari.

La decisione assunta dalla Suprema Corte[14] è favorevole al riconoscimento della Kafalah giudiziale. A fondamento di tale decisione, la Corte pone l’interesse superiore del minore alla stregua dei principi enunciati dalla Convenzione di New York e della Carta dei diritti fondamentali.[15]

L’esclusione in via assoluta per un cittadino italiano di ottenere il ricongiungimento con minore extracomunitario a lui affidato con provvedimento di Kafalah farebbe sorgere anche il sospetto di illegittimità costituzionale per la disparità di trattamento dei minori stranieri che hanno bisogno di protezione. Se il minore straniero affidato in Kafalah non può rientrare nella qualifica di discendente sia sotto il profilo biologico che sotto quello giuridico, può essere ricompreso nella definizione “altri familiari” per i quali il cittadino italiano può chiedere ed ottenere il ricongiungimento.

La Sezioni Unite forniscono una nuova chiave di lettura dell’istituto, riconoscendo per la prima volta il principio secondo il quale non può essere rifiutato il nulla osta all’ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, di un minore affidato in Kafalah a un cittadino italiano sulla base di una pronuncia giudiziale straniera, qualora il minore abbia vissuto con il cittadino italiano o sia stato a suo carico nel paese di origine ovvero per motivi di salute debba da questi essere personalmente assistito[16].

La Suprema Corte ha evidenziato che l’esclusione dell’operatività del ricongiungimento familiare del minore in regime di Kafalah con un cittadino italiano avrebbe determinato una illegittima ed ingiustificata disparità di trattamento, violando così l’articolo 3 della Costituzione.

La sentenza delle Sezioni Unite sopra richiamata ha dato impulso ad un nuovo sviluppo giurisprudenziale, che ha riconosciuto anche la Kafalah negoziale – oltre a quella giudiziale – quale titolo idoneo per il ricongiungimento familiare, e ciò perché la Kafalah, costituisce, di fatto, l’unico strumento di protezione per i minori che si trovano in stato di abbandono.

Per la Corte, la decisione di ammettere la Kafalah negoziale omologata, è in linea con la Costituzione e con le norme sovranazionali che impongono il criterio guida del preminente interesse del minore[17].

La Corte, infatti, ricorda che l’istituto è riconosciuto da fonti di diritto internazionale, in particolare dall’art. 20 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e dagli artt. 3, lett. e), e 33 della Convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996, sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione del minore.

All’obiezione della mancata ratifica al tempo del giudizio (intervenuta successivamente con Legge 101/2015), la Corte ha risposto che non può ritenersi che l’Italia non sia tenuta all'applicazione della Convenzione in ragione della mancata ratifica, giacché il nostro Paese è tenuto al suo recepimento in virtù della decisione del Consiglio dell'Unione europea[18].

Ad oggi, dunque, la Kafalah in Italia è pienamente riconosciuta quale titolo per il ricongiungimento familiare, sia in favore di cittadini italiani (ed europei in generale), sia in favore di cittadini extracomunitari. 

3. Il rilievo della Kafalah negli ordinamenti giuridici degli Stati membri dell’Unione europea:

a. Spagna

La Kafalah non è espressamente disciplinata dal diritto spagnolo, dunque è stato negato che essa possa avere la stessa efficacia dell’adozione. Addirittura la Dirección General de los Registros y del Notariado ha affermato che non vi è alcun punto di contatto tra i due istituti, e ciò perché la Kafalah, a differenza dell’adozione, non determina il sorgere di alcun tipo di vincolo giuridico tra kafil e makful, e ha una durata predeterminata (cessa con il raggiungimento della maggiore età da parte del makful)[19].

Il diritto spagnolo offre, dunque, due possibili alternative per i cittadini che hanno ricevuto un minore in affidamento in regime di Kafalah: l’affido ai sensi dell’art. 34 della Legge spagnola del 28 dicembre 2007, n. 54 (Ley de Adopción internacional) ovvero l’adozione vera e propria, disciplinata dalla predetta legge.

L'affido è regolato nel Titolo VII del Codice Civile spagnolo, rubricato "Sui rapporti parentali-sussidiari", Capitolo V, "Sull'adozione e altre forme di protezione dei minori", Sezione 1, "Sulla tutela e l'affido dei minori", e, più specificamente, degli articoli da 172 a 174, così come riformati dalla legge del 28 luglio 2015, n. 26, che ha modificato il sistema di protezione di bambini e adolescenti. Oltre alla disciplina prevista dal Codice Civile, esistono numerose leggi delle Comunità autonome in materia.

L’art. 34 disciplina gli effetti delle decisioni straniere, in materia di protezione dei minori, che non producano come effetto la costituzione di un vincolo parentale.

L’affido, a differenza dell’adozione, può cessare: a) Per risoluzione giudiziaria. b) Con delibera dell'Ente Pubblico, d'ufficio o su proposta del Ministero Fiscale, dei genitori, tutori, affidatari o del minore, se dotato di sufficiente maturità, quando si ritiene necessario salvaguardare l'interesse dello stesso. c) Per la morte o la dichiarazione di morte degli affidatari o del minore affidato. d) dalla maggiore età del minore.

L'adozione è l'atto, adottato dall'autorità giudiziaria competente, attraverso la quale è costituito il rapporto di affiliazione tra gli adottanti e l'adozione. L’art. 19.4 della Ley de Adopción internacional stabilisce che nel caso di minori provenienti da paesi la cui legge vieta o non contempla l’adozione (vale a dire la maggioranza degli Stati musulmani), l’adozione è vietata, salvo che il minore si trovi in condizione di abbandono tutelata dalla Pubblica Autorità. La ratio della norma riposa sull’esigenza di garantire il rispetto del principio di reciprocità rispetto agli altri Stati[20]. L’art. 19.4 non costituisce un unicum: anche altre legislazioni hanno fissato limitazioni analoghe alla possibilità di adottare, in particolare quella francese e belga (su cui infra). Due importanti decisioni giurisprudenziali hanno fornito importanti coordinate ermeneutiche per definire l’ambito di applicabilità del divieto di cui all’art. 19.4. In particolare, la Audiencia Provincial de las Islas Baleares de 25 octubre 2017, ha stabilito che il minore marocchino entrato in Spagna in regime di Kafalah poteva essere adottato, sebbene la legislazione dello stato di origine non contemplasse l’istituto dell’adozione e sebbene non versasse in situazione di abbandono tutelato dall’Autorità pubblica. E ciò perché il divieto contenuto nella norma va interpretato alla luce del parametro del superiore interesse del minore, con la conseguenza che nel caso di specie l’adozione assicurava una condizione giuridica migliore rispetto a quella della Kafalah[21]. Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca la Audiencia Provincial de Girona de 18 de diciembre de 2017, che riconosce l’adottabilità di una minore di nazionalità marocchina, sebbene non ricorresse la condizione di abbandono, attraverso la valorizzazione del dato della perfetta integrazione della minore nel contesto socio-familiare di riferimento[22].

In conclusione, è possibile affermare che la legislazione spagnola non impedisce, in linea di principio, il ricongiungimento familiare in virtù dell’istituto della Kafalah, sebbene vi siano notevoli ostacoli di ordine legislativo.

La giurisprudenza spagnola, così come quella italiana, sta svolgendo un importante ruolo, interpretando in maniera restrittiva tutte le norme che, impedendo l’adozione, pregiudicherebbero l’interesse del minore.

b. Regno Unito: La Corte di Giustizia dell’Unione europea si pronuncia per la prima volta sull’idoneità della Kafalah quale presupposto per il ricongiungimento familiare

La pronuncia scaturisce da un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, da parte della Corte Suprema del Regno Unito.

La domanda di rinvio è stata presentata nell’ambito di una controversia tra SM, cittadina algerina, e l’Entry Clearance Officer, UK Visa Section (agente incaricato di esaminare le domande di permesso di ingresso, sezione dei visti, Regno Unito), in merito al rifiuto di quest’ultimo di concedere a SM un permesso di ingresso nel territorio del Regno Unito in qualità di figlia adottiva di un cittadino dello Spazio economico europeo (SEE)[23].

Il sig. e la sig.ra M., cittadini francesi che si sono sposati nel Regno Unito nel 2001, nel 2009 si sono recati in Algeria, affinché, nell’ambito del regime algerino della Kafalah, fosse valutata la loro capacità di divenire tutori di un minore. A seguito di tale valutazione, essi sono stati considerati «idonei» ad accogliere un minore secondo tale regime.

Con atto del presidente del Tribunale di Boufarik (Algeria), del 22 marzo 2011, SM, abbandonata alla nascita dai suoi genitori biologici, è stata posta sotto la tutela dei coniugi M., ai quali è stato delegato l’esercizio dell’autorità genitoriale, in regime di Kafalah, ai sensi del diritto algerino.

Nel maggio 2012, SM ha presentato una domanda di permesso di ingresso nel Regno Unito in quanto figlia adottiva di un cittadino del SEE. La sua domanda è stata respinta dall’agente competente in materia di permessi di ingresso poiché la tutela secondo il regime della Kafalah algerina non era riconosciuta come adozione ai sensi del diritto del Regno Unito e non era stata presentata alcuna domanda di adozione internazionale.

SM ha contestato tale decisione dinanzi al First-tier Tribunal (Immigration and Asylum Chamber) [tribunale di primo grado (sezione immigrazione e asilo)]. Tale ricorso è stato respinto con decisione del 7 ottobre 2013. Secondo tale giudice, SM non soddisfaceva le condizioni per essere considerata come figlio adottivo, membro della famiglia allargata o un figlio adottivo di un cittadino del SEE.

SM ha impugnato tale decisione dinanzi all’Upper Tribunal (Immigration and Asylum Chamber) [tribunale superiore (sezione immigrazione e asilo)]. Con sentenza del 14 maggio 2014 quest’ultimo ha accolto la domanda, ritenendo che, pur se non poteva essere considerata come «familiare» di un cittadino dell’Unione, essa fosse, per contro, un «membro della famiglia allargata» di siffatto cittadino.

L’agente competente in materia di permessi d’ingresso ha interposto appello avverso tale sentenza dinanzi alla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) [Corte d’appello (Inghilterra e Galles) (divisione civile)]. Con sentenza del 4 novembre 2015 quest’ultima ha accolto l’appello ritenendo, in particolare, che SM non fosse un «discendente diretto» di un cittadino dell’Unione, ai sensi dell’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/38, in quanto non era stata adottata secondo una fattispecie riconosciuta dal diritto del Regno Unito. Detto giudice ha, inoltre, ritenuto che SM non potesse rientrare neppure nell’ambito di applicazione dell’articolo 3, paragrafo 2, primo comma, lettera a), di tale direttiva in quanto «altro familiare» di un cittadino dell’Unione.

SM ha poi proposto appello dinnanzi alla Supreme Court of the United Kingdom, la quale ha deciso di sospendere il giudizio e di porre all’attenzione della Corte di Giustizia dell’Unione europea tre quesiti:

  1. Se un minore che si trova sotto la tutela legale permanente di uno o più cittadini dell’Unione, in virtù della «Kafalah» (o di altro istituto giuridico equivalente previsto dalla legge del suo paese d’origine), rientri nella definizione di «discendente diretto» di cui all’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/38[24].
  2. Se altre disposizioni della direttiva - e, in particolare, gli articoli 27 e 35 - debbano essere interpretati in modo tale che sia rifiutato l’ingresso a tali minori qualora siano vittime di sfruttamento, abuso, o di tratta di esseri umani o laddove siano esposti a tali rischi.
  3. Se uno Stato membro, ancor prima di verificare che il minore sia discendente diretto del cittadino dello Spazio Economico Europeo a cui è stato affidato, possa accertare che tale affidamento tuteli effettivamente il superiore interesse del minore.

Il contesto normativo di riferimento a livello internazionale è dato dalla Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale, conclusa a L’Aia il 29 maggio 1993[25].

La Convenzione è stata ratificata o è stata oggetto di adesione da parte di tutti gli Stati membri dell’Unione europea, dunque è efficace e vincolante nei confronti del Regno Unito.

Secondo quanto disposto dall’articolo 1, lettere a) e b), tale Convenzione ha, in particolare, lo scopo di stabilire garanzie affinché le adozioni internazionali si facciano nell’interesse superiore del minore e nel rispetto dei diritti fondamentali che gli sono riconosciuti nel diritto internazionale, nonché di instaurare un sistema di cooperazione tra gli Stati contraenti, al fine di assicurare il rispetto di queste garanzie e prevenire la sottrazione, la vendita e la tratta dei minori.

In forza del suo articolo 2, paragrafo 2, detta convenzione «contempla solo le adozioni che determinano un legame di filiazione».

In materia trova applicazione anche la Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, conclusa a L’Aia il 19 ottobre 1996, ratificata o oggetto di adesione da parte di tutti gli Stati membri dell’Unione europea[26].

Tale convenzione prevede norme destinate a rafforzare la protezione dei minori nelle situazioni a carattere internazionale e ad evitare conflitti tra i sistemi giuridici degli Stati firmatari in materia di competenza, legge applicabile, riconoscimento ed esecuzione delle misure di protezione dei minori.

L'articolo 33 detta disposizioni particolari in caso di collocamento del minore in affidamento ovvero di sua assistenza legale tramite Kafalah o istituto analogo. In tale ipotesi, qualora l'autorità competente ai sensi della Convenzione (nella maggior parte dei casi quella dello Stato contraente in cui il minore abbia la residenza abituale) prospetta che il minore venga affidato ovvero collocato in assistenza legale presso una persona, una famiglia ovvero un istituto che si trovi in un diverso Stato contraente, dovrà preventivamente consultare l'autorità centrale (o un'altra autorità a tal fine designata) dello Stato contraente in cui il minore dovrà essere collocato, inoltrando un rapporto sul minore e sui motivi della proposta. Il collocamento o l'assistenza legale potranno essere disposti solo se l'autorità dello Stato richiesto abbia approvato espressamente la misura, tenuto conto del «superiore interesse del minore»[27]

Quanto al diritto dell’Unione europea, la direttiva n. 38/2004 stabilisce che ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri[28]. Tale diritto è esteso anche ai familiari, qualunque sia la loro cittadinanza (art. 5).

La direttiva stabilisce altresì che per preservare l’unità della famiglia senza discriminazione in base alla nazionalità, la situazione delle persone che non rientrano nella definizione di familiari ai sensi della direttiva, e che pertanto non godono di un diritto automatico di ingresso e di soggiorno nello Stato membro ospitante, deve essere esaminata dallo Stato membro ospitante sulla base della propria legislazione nazionale, al fine di decidere se l’ingresso e il soggiorno possano essere concessi (art. 6).

Nell’ordinamento giuridico inglese, la normativa di riferimento in materia di adozione è data dall’Immigration (European Economic Area) Regulations 2006[29], che ha recepito la direttiva 2004/38.

L’articolo 7, lettera b), del regolamento del 2006 considera come familiari di un’altra persona i suoi discendenti diretti o quelli del suo coniuge o del suo partner civile che hanno meno di ventuno anni o, in alternativa, sono a suo carico o a carico del suo coniuge o del suo partner civile.

L’articolo 8 qualifica come «membri della famiglia allargata»: a) chi  è un parente di un cittadino del SEE, del suo coniuge o del suo partner civile e risiede in uno Stato diverso dal Regno Unito in cui risiede anche il cittadino del SEE ed è a suo carico o convive con esso; b) soddisfa la condizione prevista alla lettera a) e accompagna il cittadino del SEE nel Regno Unito o intende raggiungerlo, o, in alternativa,  se soddisfa la condizione prevista alla lettera a), ha raggiunto il cittadino del SEE nel Regno Unito e continua ad essere a suo carico o a convivere con esso.

Per “cittadino del SEE interessato” si intende, con riferimento al membro di una famiglia allargata, il cittadino del SEE che è – o il cui coniuge o partner civile è – parente del membro della famiglia allargata, o il cittadino del SEE che è il partner del membro della famiglia allargata.

Ai sensi dell’articolo 83 dello Adoption and Children Act 2002 (legge sull’adozione e sui minori del 2002) costituisce una condotta penalmente rilevante, a meno che sia stato rispettato l’Adoption with a Foreign Element Regulations 2005 (regolamento del 2005 sull’adozione che presenta un elemento straniero), fare entrare un minore nel Regno Unito allo scopo di darlo in adozione in tale paese o farvi entrare un minore che sia stato adottato in un altro paese. Tale regolamento esige, in particolare, che un’agenzia di adozione del Regno Unito valuti la capacità di adottare degli adottanti. Tale esigenza non si applica, tuttavia, alle adozioni rientranti nell’ambito della Convenzione dell’Aia del 1993, implementata nel diritto del Regno Unito dall’Adoption (Intercountry Aspects) Act 1999 [legge del 1999 sull’adozione (aspetti internazionali)].

L’articolo 66, paragrafo 1, della legge sull’adozione e sui minori del 2002 redige l’elenco delle adozioni riconosciute dal diritto dell’Inghilterra e del Galles come conferenti al minore la qualità di figlio adottivo. La Kafalah (assistenza legale) non compare in tale elenco.

Dopo una accurata analisi della disciplina internazionale, europea e dell’ordinamento giuridico inglese, la Corte ha ritenuto che La nozione di «discendente diretto» di un cittadino dell’Unione contenuta all’articolo 2, punto 2, lettera c), della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, deve essere interpretata nel senso che essa non ricomprende un minore posto sotto la tutela legale permanente di un cittadino dell’Unione a titolo della Kafalah algerina, in quanto tale sottoposizione non crea alcun legame di filiazione tra di loro.

È tuttavia compito delle autorità nazionali competenti agevolare l’ingresso e il soggiorno di un minore siffatto in quanto altro familiare di un cittadino dell’Unione, conformemente all’articolo 3, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva, letto alla luce dell’articolo 7 e dell’articolo 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, procedendo ad una valutazione equilibrata e ragionevole di tutte le circostanze attuali e pertinenti del caso di specie, che tenga conto dei diversi interessi presenti e, in particolare, dell’interesse superiore del minore in questione. Nell’ipotesi in cui, in esito a tale valutazione, fosse stabilito che il minore e il suo tutore, cittadino dell’Unione, sono destinati a condurre una vita familiare effettiva e che tale minore dipende dal suo tutore, i requisiti connessi al diritto fondamentale al rispetto della vita familiare, considerati congiuntamente all’obbligo di tener conto dell’interesse superiore del minore, esigono, in linea di principio, che sia concesso al suddetto minore un diritto di ingresso e di soggiorno al fine di consentirgli di vivere con il suo tutore nello Stato membro ospitante di quest’ultimo.

In buona sostanza, la Corte di Giustizia ha indirettamente avallato gli esiti ai quali è pervenuta la giurisprudenza italiana, riconoscendo la Kafalah quale titolo, seppur atipico, per il ricongiungimento familiare di minore proveniente da paese esterno all’UE rispetto a cittadini regolarmente residenti nello Spazio Unico Europeo.

La ratio dell’orientamento riposa sulla necessità di tutelare il superiore interesse del minore, che può essere sacrificato solo per la tutela di valori fondamentali di pari rango. Nei casi esaminati, la Kafalah è stata riconosciuta quale titolo idoneo al ricongiungimento familiare in quanto la negazione del visto di ingresso avrebbe comportato un grave pregiudizio dell’interesse del minore, non giustificato dalla necessità di tutelare altri valori fondamentali. In altri termini, nessun bene giuridico sarebbe stato messo in pericolo dall’ingresso dei minori negli Stati UE, dunque il sacrifico imposto al minore sarebbe stato del tutto ingiustificato, soprattutto se si pensa che esso è assurto al rango di principio di diritto internazionale generale e, in quanto tale, immediatamente efficace e vincolante per tutti gli enti della Comunità internazionale[30].

c. Francia: il caso Harroudj

Il Codice civile francese, all’art. 370-3, così come riformato dalla Loi n. 2001-111 du 6 février 2001 relative à l’adoption internationale, stabilisce che l’adozione non può essere effettuata se la legge dello stato di origine vieta l’adozione, salvo il caso in cui il minore sia nato ed abbia risieduto stabilmente in Francia[31].

Lo scopo perseguito dal legislatore francese è stato quello di assicurare il pieno rispetto delle tradizioni giuridiche dei paesi arabi e dei fedeli di religione musulmana[32], tuttavia la modifica legislativa è stata criticata per aver attribuito eccessiva importanza al luogo di nascita a scapito delle condizioni personali e della vita vissuta in Francia, che rivestono un ruolo del tutto residuale ai fini della concessione del provvedimento giudiziale di adozione[33]

In argomento, la Prima sezione civile della Cour de Cassation, con sentenza del 25 febbraio 2009, n. 188[34], ha affermato che l’art. 370-3, secondo comma, del Codice civile francese rispetta i principi sanciti dalla Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993, sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale. La Convenzione, infatti, sarebbe applicabile solo ai minori adottabili, con esclusione dunque dei minori provenienti da paesi in cui l’adozione è vietata. Ciò, a giudizio della Corte, non determina una disparità di trattamento del minore proveniente da paesi islamici (in questo caso dall’Algeria) e non pregiudica il suo diritto al rispetto della vita familiare. Dunque, la Corte d’Appello territoriale non avrebbe errato nel respingere la richiesta di adozione in quanto, l’art. 46 del Codice civile algerino, pur vietando l’adozione, consente la Kafalah, che è espressamente riconosciuta quale strumento di tutela del minore in stato di abbandono dall’art. 20, comma 3, della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo. Il superiore interesse del minore, dunque, malgrado il rigetto della richiesta di adozione, sarebbe stato adeguatamente e sufficientemente tutelato.

Le conclusioni della Suprema Corte francese sono state oggetto di ricorso dinnanzi alla Corte E.D.U. nel caso Harroudj[35].

La ricorrente, in qualità di affidataria - in regime di Kafalah - di una minore di nazionalità algerina, ha lamentato una presunta violazione dell’articolo 8 della CEDU.

In riferimento all’art. 8, vi sarebbe stata una illegittima interferenza nella sua vita privata e familiare. In particolare, il motivo di doglianza riguardava il diniego di costituzione di un vincolo familiare dotato di rilievo giuridico ai sensi del diritto francese.

La Corte ha tuttavia rigettato tale argomentazione, sul presupposto che il diritto applicabile al caso di specie impone il perseguimento del superiore interesse del minore, e non attribuisce un diritto all’adozione. La legislazione francese, pur non consentendo l’adozione, in quanto la minore era nata in Algeria, e l’art. 370-3 richiede, ai fini dell’adozione, che il minore sia nato in Francia, assicurava, tuttavia, il perseguimento del superiore interesse del minore, e dunque non determinava alcuna illegittima interferenza nella vita privata e familiare della ricorrente (par. 52).

L’unico modo per ottenere una adozione piena consiste nel conseguimento della cittadinanza francese[36], in tal modo non verrebbe più in rilievo la legislazione del paese straniero che vieta l’adozione e dunque il minore, in quanto cittadino francese a tutti gli effetti, diverrebbe a pieno titolo adottabile.

d. Belgio: il caso Chbihi Loudoudi and Others

L’art. 361-5 del Codice civile belga, così come modificato dalla Loi du 6 décembre 2005, stabilisce che, laddove la legge applicabile nello Stato di origine del minore non includa l'adozione o il collocamento per adozione, l'adozione può essere effettuata solo se vengano soddisfatte determinate condizioni[37].

La giurisprudenza belga ha adottato un atteggiamento molto rigoroso nel concedere i provvedimenti di adozione, pretendendo il rispetto di tutte le condizioni richieste dalla legge.

La Corte E.D.U. ha avuto modo di pronunciarsi in merito al diniego, da parte delle autorità belghe, del provvedimento di adozione di una minore marocchina da parte di una coppia di nazionalità belga nel caso Chbihi Loudoudi and Others[38].

In conformità all’orientamento espresso nel caso Harroudj, La Corte ha ritenuto che il diniego di provvedimento adottivo era basato su una legge che mirava ad assicurare, nel rispetto della Convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996, sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione del minore, che le adozioni internazionali avvenissero nel rispetto del superiore interesse del minore e del diritto di quest'ultimo al rispetto della sua vita privata e familiare. Le autorità belghe avevano allora legittimamente agito, rifiutando il provvedimento di adozione, nel superiore interesse del minore, perché, in questo modo, veniva assicurato il mantenimento dei rapporti del minore con ciascun genitore, uno residente in Marocco e l'altro in Belgio.

L'unico ostacolo concretamente sorto nella vita privata e familiare della minore di nazionalità marocchina era stata l'impossibilità di partecipare ad una gita scolastica, a causa dell'assenza di permesso di soggiorno nel periodo di tempo compreso tra maggio 2010 e febbraio 2011. Tuttavia la Corte ha ritenuto irragionevole la pretesa dei ricorrenti, secondo cui la mancata concessione di un visto permanente alla minore avrebbe costituito violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all'art. 8 della Convenzione. La Convenzione, infatti, non attribuisce un diritto alla concessione di particolari status di residenza o di cittadinanza. Pertanto la condotta delle autorità belghe non è stata ritenuta lesiva dei diritti tutelati dalla Convenzione.

e. Germania

La materia è disciplinata dal Codice civile tedesco (Bürgerliches Gesetzbuch, comunemente indicato con le iniziali BGB), sezioni 1741 – 1772, dall’Adoption Placement Act (Adoptionsvermittlungsgesetz – AdVermiG) e, in riferimento agli aspetti procedurali, dal Code of Procedure in Non-contentious Matters (Gesetz über das Verfahren in Familiensachen und in den Angelegenheiten der freiwilligen Gerichtsbarkeit - FamFG)[39].

In Germania esistono essenzialmente quattro istituti a tutela dei minori:

  • Adozione piena: si ha quando la legge straniera applicabile impone al bambino adottato di ottenere lo status giuridico di un bambino biologico della persona adottiva attraverso l'adozione. Sorge una relazione di parentela con i parenti biologici degli adottati e le relazioni giuridiche con la famiglia biologica sono completamente estinte. Si avrà, ad esempio, una adozione piena se il diritto internazionale privato straniero fa riferimento al diritto tedesco.
  • Adozione forte: a differenza dell’adozione piena, si producono soltanto alcuni, ma non tutti, gli effetti dell’adozione piena. Non è possibile delineare un modello astratto, sempre applicabile, di adozione forte, in quanto gli effetti che in concreto si producono dipendono dalla legislazione del paese di origine e dal rapporto tra questo e il diritto tedesco. In linea generale si possono individuare due macrocategorie: 1) l’adozione forte che fa sorgere un legame più debole, rispetto a quello dell’adozione piena, con gli adottanti; 2) l’adozione forte che non rescinde totalmente i legami giuridici con la famiglia biologica. Dunque l’adozione forte produce gli stessi, ma non tutti, gli effetti dell’adozione piena.
  • Adozione debole: si ha quando viene instaurato un nuovo legame giuridico con gli adottanti, ma permangono rapporti giuridici essenziali con i genitori biologici, come, ad esempio, il diritto di accettazione dell’eredità.
  • Misure diverse dall’adozione (Tutela, curatela, custodia).

La legislazione tedesca consente il ricongiungimento familiare in virtù dell’istituto della Kafalah, equiparandola espressamente alla tutela, di cui alle Sezioni 1773 e ss. del BGB.

Il Ministero della Giustizia tedesco, attraverso una norma di interpretazione autentica, chiarisce gli effetti prodotti nell’ordinamento giuridico tedesco dai provvedimenti di tutela dei minori emessi all’estero. In altri termini, stabilisce con precisione quali effetti produce in Germania ciascun provvedimento estero. A questo riguardo, la Kafalah viene espressamente equiparata ad un provvedimento di tutela, diverso dall’adozione, ai sensi delle sezioni 1773 e ss. del BGB[40].

Nella sentenza del 10.03.2011 - 1 C 7.10, il Tribunale Amministrativo Federale si è pronunciato sulla questione della idoneità della Kafalah ai fini del ricongiungimento familiare.

Una coppia di cittadini tedeschi aveva ricevuto, in Marocco, la custodia di una minore marocchina in regime di Kafalah e, in Germania, aveva presentato istanza per l’avvio di una procedura di adozione. Ai fini del perfezionamento dell’adozione occorreva la presenza della minore, che, tuttavia, non fu resa possibile a causa del mancato rilascio del visto di ingresso da parte delle autorità consolari tedesche in Marocco.

Avverso il provvedimento di diniego del Ministero degli Esteri tedesco, la coppia proponeva ricorso. Il Tribunale lo rigettava per carenza dei requisiti legali per la concessione di visto per il ricongiungimento familiare. L’art. 28, comma 1, del AufenthG stabilisce che il visto può essere rilasciato per consentire il ricongiungimento di un minore che sia parente, ai sensi di legge, dei richiedenti. Il vincolo di parentela giuridica sussiste in caso di filiazione biologica o di adozione, ma i ricorrenti avevano la custodia della minore in virtù dell’istituto della Kafalah, che si distingue dall’adozione proprio perché non instaura alcun vincolo legale di parentela. Per tali ragioni il ricorso è stato respinto ed è stata confermata la legittimità del provvedimento di diniego del visto.

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[2] TIZIANA TOMEO, La Kafala, in Comparazione e diritto civile, 2013. FEDERICA DI PIETRO, La Kafalah islamica e le sue applicazioni alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Ordine internazionale e diritti umani, 2016, pag. 91 – 99. Nella nota 8, l’autrice scrive testualmente “si narra che il divieto coranico all’adozione trovi la sua origine in un episodio relativo alla vita di Maometto. Sembra infatti, che il Profeta avesse adottato Zayd B. Muhammad e che, giunto nella sua casa si fosse innamorato della nuora, Zaynab. In epoca pre-islamica l’adozione era considerata lecita ed era vietato contrarre matrimonio in presenza di vincoli parentali stretti. In seguito ad una Rivelazione però, fu dichiarato che l’adozione non fosse equiparabile ad un vincolo di sangue. Grazie a questa prescrizione Maometto fu libero di sposare Zaynab. A proposito del divieto coranico all’adozione si legga il versetto XXXIII, 4-5, il quale afferma che “Dio non ha posto nelle viscere dell’uomo due cuori, né ha fatto delle mogli vostre che voi ripudiate col zihar, delle madri, né dei vostri figli adottivi dei veri figli. Questo lo dite voi con la vostra bocca, ma Dio dice la Verità e guida sulla Via! Chiamate i vostri figli adottivi dal nome dei loro veri padri, siano essi vostri fratelli nella religione e vostri protetti. E non vi saranno imputati a peccato gli errori che ignari abbiate commesso a questo riguardo, ma solo quel che intenzionalmente avranno voluto i vostri cuori. E Dio è indulgente clemente!”. Il riferimento al divieto di adottare si trova nel Corano, Sura XXXIII, vv 4-5, 37-40. Si riportano in particolare i versi 4 e 5, citati dall’autrice in nota 9: “Allah non ha posto due cuori nel petto di nessun uomo, né ha fatto vostre madri le spose che paragonate alla schiena delle vostre madri, e neppure ha fatto vostri figli i figli adottivi. Tutte queste non son altro che parole delle vostre bocche; invece Allah dice la verità̀, è Lui che guida sulla [retta] via.” “Date loro il nome dei loro padri: ciò̀ è più̀ giusto davanti ad Allah. Ma se non conoscete i loro padri siano allora vostri fratelli nella religione e vostri protetti. Non ci sarà̀ colpa per voi per ciò̀ che fate inavvertitamente, ma per quello che i vostri cuori fanno volontariamente. Allah è perdonatore, misericordioso”. Joëlle Long, Adozione e Islam. Gli ordinamenti giuridici occidentali e il divieto islamico di adozione, in Studi urbinati di scienze giuridiche politiche ed economiche, 2004, Vol. 55, Fasc. 2, Pag. 185 – 202. R. GELLI, La Kafala di diritto islamico: prospettive di riconoscimento nell’ordinamento Italiano, in Famiglia e diritto, n.1/2005, p.66.

[3] Gli unici paesi musulmani che hanno una legislazione in materia di adozione sono Tunisia, Turchia e Indonesia (Jesús Sánchez Cano, Adopción en españa de menores en situación de Kafala y Ley Nacional del Adoptando, 2018, pag. 932, nota n. 2).

[4] TIZIANA TOMEO, ibidem.

[5] Cass. 17 luglio 2008, n. 19734.

[6] ERJONA CANAJ, SOCKOL BANA, Il diritto al ricongiungimento familiare e la sua tutela multilivello, Roma, 2014, pag. 1 – 210. UGO TERRACCIANO, Il ricongiungimento familiare dello straniero in Italia, Milano, 2015, pag. 1 – 84. ROSSANA PALLADINO, Il ricongiungimento familiare nell’ordinamento europeo, Bari, nella collana Studi sull’integrazione europea, 2012, pag. 1 – 288.

[7] ANTONIO FUCCILLO, Giustizia e religione, Vol. II, Torino, 2011, pag. 219.

[8] Cass. 20 marzo 2008 n. 7472; Cass. 20 marzo 2008 n. 18174; Cass. 20 marzo 2008 n. 19734

[9] ALESSIA RANDAZZO, La Kafalah in Italia, in Rivista Telematica Avvocati di famiglia, pag. 2 – 3. AA. VV., Corte costituzionale, giudici comuni e interpretazioni adeguartici: atti del seminario svoltosi in Roma, Palazzo della consulta, 6 novembre 2009, Milano, 2010, pag. 317 e ss.; MARCO RUOTOLO, Quando il giudice deve “fare da sé”, su Questione Giustizia, 2018. ROBERTO BIN, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano, 1992. GUSTAVO ZAGREBELSKV, Il diritto mite. Legge diritti giustizia, Torino, 1992. GIORGIO PINO, Conflitto e bilanciamento tra diritti fondamentali. Una mappa dei problemi, in Etica & Politica/ Ethics & Politics, 2006, 1, consultabile su http://www.units.it/etica/2006_1/PINO.htm

[10] MARIA GIOVANNA RUO, The best interest of the child nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Minori e giustizia, 2001, pag. 39 e ss.; MORO A.C., Manuale di diritto minorile, Bologna, 2002, pag. 35 e ss.; QUADRI E., L’interesse del minore nel sistema della legge civile, in Fam. dir., 1999, pag. 80 e ss.

[11] Cass. 1° marzo 2010, n. 4868.

[12] Che dà attuazione della Direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

[13] P. MOROZZO DELLA ROCCA, Sull’affidamento al cittadino del minore straniero affidato mediante Kafalah tornerà a pronunciarsi la Cassazione, in Corriere giur., 2011, pag. 847; Cittadino italiano e minore straniero ricevuto in Kafalah: una decisione non condivisibile della Cassazione, in Corriere giur., 2012, pag. 3.

[14] Cass. Sez. Un. 24 settembre 2013, n. 21108.

[15] Art. 2, prima parte della Convenzione sui diritti del fanciullo: “Gli Stati parti si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella presente Convenzione e a garantirli a ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta e a prescindere dalla loro giurisdizione, senza distinzione di razza, colore, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza; Gli Stati parti adottano tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate  convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari”; Art. 24 della Carta dei diritti fondamentali: “I minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione. Questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente. Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”.

[16] Cass. Sez. Un. Civili, 16 settembre 2013 n. 21108.

[17] Cass. 24 novembre 2017, n. 28154.

[18] Consiglio dell’Unione Europe n. 2008/431/CE. Art. 3, par. 1 della Decisione: “Gli Stati membri di cui all’art. 1, paragrafo 1, prendono le disposizioni necessarie affinché gli strumenti di ratifica o di adesione siano depositati simultaneamente presso il ministero degli Affari Esteri del Regno dei Paesi Bassi, se possibile anteriormente al 5 giugno 2010”.

[19] Resoluciones de la Dirección General de los Registros y del Notariado, núm. 5/2006 de 27 febrero 2018.

[20] Jesús Sánchez Cano, Adopción en españa de menores en situación de Kafala y Ley Nacional del Adoptando, 2018, pag. 937.

[21] Jesús Sánchez Cano, ibidem, pag. 940.

[22] Jesús Sánchez Cano, ibidem, pag. 941.

[23]David Tang, SM v Entry Clearance Officer (C-129/18): European Court of Justice confirms that children adopted under Algerian Kafala system are to be considered as ‘other’ family members pursuant to Article 3(2)(a), su http://www.davidtang.co.uk. Catherine Barnanrd, The Substantive Law of the EU, Oxford University Press, Sixth Edition, 2019, pag. 331. Asad Ali Khan, Free Movement and Kafala: CJEU Judgment in SM (Algeria), su https://asadakhan.wordpress.com.

[24] Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77).

[25] Antonio Palazzo, La filiazione, Milano, 2007, pag. 155. Alessandra Bisio, Ivana Roagna, L'adozione internazionale di minori: normativa interna e giurisprudenza europea, Milano, 2009, pag. 385. Eugenia Scabini, ‎Pierpaolo Donati, Famiglia e adozione internazionale: esperienze, normativa e servizi, Milano, 1996, pag. 35. Marco Chistolini e Marina Raymondi, Scenari e sfide dell’adozione internazionale, Milano, 2009, pag. 9. Roberto Baratta, Diritto internazionale privato, Milano, 2010, pag. 1 e ss.

[26] Stefano Amadeo, ‎Adelina Adinolfi, ‎Patrizia De Pasquale, Le garanzie fondamentali dell'immigrato in Europa, Torino, 2015 pag. 119. Salvatore Patti, Maria Giovanna Cubeddu, Introduzione al diritto della famiglia in Europa, Milano, 2008, pag. 64. Sara Tonolo, Le unioni civili nel diritto internazionale privato, Milano, 2007, pag. 101.

[27] Disegno di legge n. 1589, presentato alla Camera il 17 settembre 2013, avente ad oggetto la Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, fatta all'Aja il 19 ottobre 1996, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno, su https://www.camera.it.

[28] Amedeo Arena, Francesco Bestagno, Giulia Rossolillo, Mercato unico e libertà di circolazione nell'Unione Europea, Torino, 2016.

[29] John Fairhurst, Law of the European Union, Cambridge, 2007, pag. 502. Nicola Rogers, ‎Rick Scannell, ‎John Walsh, Free Movement of Persons in the Enlarged European Union, Londra, 2012, pag. 651. Margaret Phelan, ‎James Gillespie, ‎Michael James Gillespie, Immigration Law Handbook 2013, Oxford, pag. 1397 e ss., 2013. Kevin Browne, Immigration Law 2018. Gina Clayton, ‎Caroline Sawyer, ‎Helen Toner, Textbook on Immigration and Asylum Law, pag. 13 e ss., 145 e ss., 184 e ss., 2012.

[30] Nadia Di Lorenzo, Il principio del superiore interesse del minore nel sistema di protezione del fanciullo all’interno delle relazioni famigliari, su http://www.cde.unict.it/.

[31] L'adoption d'un mineur étranger ne peut être prononcée si sa loi personnelle prohibe cette institution, sauf si ce mineur est né et réside habituellement en France.

[32] F. MBALA, Adoption internationale: lorsque le pays d’origine prohibe l’adoption, nota alla Cour d’appel de Paris 29 Avril 2003, in Rec. Dalloz, n. 7, 2004, 458, “la loi du 6 févr. 2001, est venue consacrer une solution (…) répondant ainsi aux nombreuses critiques, qui reprochaient à la solution de la jurisprudence de mépriser à ce point la loi nationale de l’enfant et de conduire à des adoptions boiteuses, c’est-à-dire des adoptions non reconnues dans le pays d’origine e l’enfant”, la citazione è contenuta in Rita Duca, Tesi di dottorato presso l’Università degli Studi di Palermo dal titolo Multiculturalismo: un’indagine comparatistica, pag. 77.

[33] M. C. LE BOURSICOT, La Kafala ou recueil légal des mineurs en droit musulman: une adoption sans filiation, Droit et cultures, n. 59, 2010, messo on line il 6 luglio 2010 al sito URL: http://droitcultures.revues.org/2138, “cette référence au lieu de naissance renforce l’idée que cette notion devient plus importante que celle du statut personnel ou plutôt qu’elle serait déterminante pour le statut personnel”, la citazione è contenuta in Rita Duca, Tesi di dottorato presso l’Università degli Studi di Palermo dal titolo Multiculturalismo: un’indagine comparatistica, pag. 77 – 78.

[34] www.courdecassation.fr.

[35] AA. VV., Le garanzie fondamentali dell’immigrato in Europa, Torino, 2016, pag. 142 – 143.

[36] P. Murat, Le refus de transformation en adoption, AJ famille, n°7-8, 2012.

[37] 1) l'autorità belga competente deve ricevere dall'autorità competente dello Stato di origine del bambino una relazione contenente informazioni sull'identità del bambino, sullo sviluppo personale, sulla situazione familiare, sul passato e la sua famiglia, il suo ambiente sociale, nonché i suoi bisogni particolari; 2) l'autorità belga competente deve ricevere dall'adottante i seguenti documenti: a) una copia autenticata del certificato di nascita del bambino; b) una copia autenticata del documento di consenso del minore di almeno 12 anni al suo spostamento all'estero; il documento deve attestare espressamente che il consenso è stato prestato liberamente e senza alcun tipo di compenso; c) una copia del certificato di morte dei genitori, o una copia certificata della attestazione di abbandono; d) una copia conforme della decisione dell'autorità competente dello Stato di origine che istituisce una forma di tutela del minore, insieme a una traduzione certificata da un traduttore giurato di quel paese; e) una copia certificata conforme della decisione dell'autorità competente dello Stato di origine che autorizza il trasferimento del minore in un altro paese per la residenza permanente e una traduzione certificata da un traduttore giurato; f) la prova che la legge autorizza o autorizza il minore a entrare e risiedere permanentemente in Belgio; g) prova della nazionalità e della residenza abituale del minore. 3) l'autorità belga competente deve ricevere la sentenza sull'idoneità degli adottanti e la relazione del pubblico ministero; 4) l'autorità belga competente e l'autorità competente dello Stato di origine del minore devono approvare per iscritto la decisione di affidare il minore agli adottanti.

[38] Sylvie Langlaude, Chbihi Loudoudi and Others v BelgiumApplication no 52265/10: European Court of Human Rights (Second Section): Raimondi (President), Karakaş, Vučinić, Keller, Lemmens, Kūris, Spano JJ; Karakaş, Vučinić and Keller dissenting: 16 December 2014, Oxford Journal of Law and Religion, Volume 4, Issue 3, October 2015, Pages 543–545, su https://doi.org/10.1093/ojlr/rwv032, 23 July 2015. Jesús Sánchez Cano, Adopción en españa de menores en situación de Kafala y Ley Nacional del Adoptando, 2018, pag. 938.

[39] European Consortium for Church and State Research, Islam and the European Union, pag. 61 e ss.

[40] Das Adoptionsrecht ist in den verschiedenen Staaten der Welt unterschiedlich geregelt. Dies betrifft nicht etwa nur die Voraussetzungen, unter denen ein Kind adoptiert werden kann, oder wie sich das Verfahren im Einzelnen gestaltet. Auch die Wirkungen, die eine Adoption entfaltet, können in den einzelnen Staaten sehr voneinander abweichen. Hierbei spielt keine Rolle, ob ein Staat Vertragsstaat des Haager Übereinkommens vom 29. Mai 1993 über den Schutz von Kindern und die Zusammenarbeit auf dem Gebiet der internationalen Adoption (im Folgenden HAÜ) ist oder nicht, denn das Übereinkommen enthält insoweit keine Vorgaben, sondern lässt das autonome Adoptionsrecht der Staaten unberührt.

Hinsichtlich der rechtlichen Wirkungen einer Adoption ist zu unterscheiden zwischen einer Volladoption, einer starken und einer schwachen Adoption (vgl. unten Ziff. II, 1 a) – c)). Daneben gibt es Rechtsverhältnisse, insbesondere die Kafala in islamischen Staaten, die am ehesten mit einer Vormundschaft nach deutschem Recht vergleichbar sind und damit auch nicht als Adoption nach dem Adoptionswirkungsgesetz anerkannt werden können (vgl. unten Ziff. II, 1 d)). Die Bewertung der rechtlichen Qualität einer Adoption hat neben der Frage, ob sie dem Kind die deutsche Staatsangehörigkeit vermittelt (dazu unten Ziff. II, 3) auch Einfluss darauf, ob das neu geschaffene Rechtsverhältnis einer Umwandlung nach § 3 Abs. 1 AdWirkG oder nach § 3 Abs. 2 AdWirkG zugänglich ist (dazu unten Ziff. II, 2), su Link.