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Pubbl. Mar, 14 Mag 2019

La Costituzione senatoriale e la Carta octroyée: riflessioni sul biennio 1814-1815 in Francia.

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Giovanni Giannotti
Dottorando di ricercaUniversità degli Studi di Messina


Analisi del convulso biennio 1814-1815 in Francia: il ritorno di Napoleone dall´Isola d´Elba, il tentativo di rivitalizzare le strutture imperiali con l´Acte additionel aux Constitutions de l´Empire; la sconfitta di Waterloo, la costituzione senatoriale e la Carta octroyée.


Sommario: 1. La caduta dell’Impero Napoleonico – 2. La Restaurazione. La constitution sénatoriale. – 3. La Carta costituzionale del 4 giugno 1814. 

1. La caduta dell’Impero napoleonico

I rapporti tra Francia napoleonica e Russia zarista nel 1812 si erano deteriorati[1], nonostante l’alleanza stipulata tra l’Empereur e lo Zar Alessandro I a Tilsit il 7 luglio 1807 e riconfermata successivamente ad Erfurt nel 1808: in primo luogo l’aristocrazia di San Pietroburgo era contraria ad accordi con il regime napoleonico e soffriva per l’adesione al Blocco continentale organizzato da Bonaparte per strangolare economicamente gli inglesi, in secondo luogo la Russia «non poteva privarsi di quel grande acquirente di grano e legnami[2]» che era l’Inghilterra e tentava di eludere il Blocco continentale facendo ricorso al contrabbando, inoltre il matrimonio contratto da Napoleone con Maria Luisa d’Austria aveva destato allarme a San Pietroburgo, dal momento che era stato interpretato in funzione anti-russa, infine l’occupazione transalpina della Pomeriana e del Ducato di Oldemburg, la nomina del generale francese Charles Bernadotte ad erede di Carlo XII di Svezia e la pretesa francese di estendere il Blocco sul Baltico, settore di vitale importanza per i traffici russi[3], avevano destato preoccupazione presso la corte dello Zar  e contribuito a peggiorare le relazioni tra i due paesi. La guerra pertanto era inevitabile.

La campagna intrapresa da Napoleone nel giugno del 1812 per sottomettere la Russia si rivelò però fallimentare e la disastrosa spedizione provocò la crisi dell’Impero; duramente sconfitto nella battaglia di Lipsia, combattuta tra il 16 e il 19 ottobre 1813[4] (la c.d. battaglia delle nazioni) l’Imperatore si adoperò per difendere la Francia dall’invasione dei contingenti russi e prussiani; tuttavia il tentativo si dimostrò vano e gli eserciti delle potenze della  VI coalizione a entrarono a Parigi, mentre Napoleone tentò invano di organizzare un’estrema resistenza a Fontainebleu. L’Empereur, resosi conto dell’inutilità di ogni resistenza, decise di abdicare. Le potenze della coalizione affidarono a Bonaparte il governo dell’isola d’Elba – era in pratica un esilio – e stipularono con i plenipotenziari francese la Pace di Parigi il 30 maggio 1814, inoltre stabilirono di convocare un Congresso a Vienna[5] per determinare l’assetto dell’Europa in grado di conciliare gli interessi delle grandi potenze.

L’epopea napoleonica non si era conclusa definitivamente; i nobili ultrareazionari rientrati in Francia dall’estero rifiutavano in toto i rapporti sociali e politici realizzatesi nell’arco di venticinque anni e anelavano al ritorno dell’ancién regime, quindi Napoleone – forte dell’appoggio dell’alta e media borghesia, dei liberali, delle masse popolari – tentò di recuperare il potere. Il 26 febbraio 1815 fuggì dall’isola d’Elba e il 1° marzo sbarcò a Cannes; la marcia verso Parigi fu inarrestabile poiché le truppe inviate per arrestarlo disertarono e passarono dalla sua parte, Bonaparte giunge a Parigi il 20 marzo senza aver sparato un solo colpo. Si trattò però di una parentesi breve e «i cento giorni» della sua ultima avventura si conclusero con la sconfitta di Waterloo del 20 giugno e l’abdicazione a favore del figlio, avvenuta il 21 giugno, un tentativo di fuga e la sua consegna agli inglesi[6], che lo inviarono in esilio nell’isola di Sant’Elena, ove morì il 5 maggio 1821.

Bonaparte, ritornato al potere, aveva avvertito che era il periodo del dispotismo era giunto al termine dal momento che sia i nobili liberali che i notabili borghesi chiedevano una Costituzione e l’Empereur accettò[7] questa richiesta. La redazione testo fu affidata a Benjamin Constant e «l’Atto addizionale alle costituzioni dell’Impero[8]» fu promulgato il 22 aprile 1815, nel tentativo di rinvigorire l’Impero con una parziale democratizzazione delle sue istituzioni[9]; essa attribuiva «il potere legislativo a due organi: la Camera dei Pari, ereditari e di nomina imperiale e la Camera dei rappresentanti, eletti a suffragio popolare[10]» inoltre erano tutelati gli interessi degli industriali e di coloro che esercitavano attività commerciali, dal momento che l’articolo 33 dell’Atto Addizionale disponeva: «Il lavoro e la proprietà industriale e commerciale avranno una rappresentanza speciale. L’elezione dei rappresentanti del commercio e dell’industria sarà fatta dal Collegio elettorale di dipartimento, su una lista di eleggibili redatte dalle Camere di Commercio e dalle Camere consultive riunite[11]»; sottoposto a plebiscito «l’Atto addizionale» fu approvato 1.352.327 sì e 4802 no, con un elevato numero di astensioni[12]; il testo doveva poi essere coordinato con le precedenti costituzioni imperiali, ma la battaglia di Waterloo pose definitivamente fine al sogno napoleonico.

2. La Restaurazione. La constitution sénatoriale

Dopo l’ingresso delle forze alleate a Parigi lo zar Alessandro aveva indirizzato ai francesi un proclama, predisposto di concerto con gli altri sovrani della coalizione e ispirato Talleyrand; circa l’emanazione di una Carta Costituzionale l’editto disponeva: «Essi riconosceranno e garantiranno la Costituzione che la Nazione francese si darà. Invitano pertanto il Senato a designare un Governo provvisorio, che possa provvedere ai bisogni dell’amministrazione e preparare la Costituzione che converrà al popolo francese[13]».

Regista dell’operazione[14] fu Charles-Maurice de Talleyrand, che convocò per lettera i senatori; questi si riunirono il 1° aprile 1814 e prima ancora di deliberare la dichiarazione di decadenza di Napoleone decretarono la costituzione di un Governo provvisorio – composto da Talleyrand in qualità di presidente, da Pierre-Riel de Beurnoville, da Arnail-Francois de Jaucourt, da Emmerich de Dalberg e Francois-Xavier de Montesquiou[15] – incaricato di provvedere all’amministrazione e di presentare al Senato un progetto di costituzione. Il 2 aprile il Senato – su invito di Talleyrand – si riunì nuovamente per deliberare la decadenza di Napoleone; l’editto fu pubblicato il giorno successivo, mentre l’Empereur il 4 aprile decise di abdicare a favore del figlio e il 6 aprile di rinunciare al trono senza condizioni.

L’autore del proclama emanato dopo la conquista di Parigi era solo formalmente lo Zar; in realtà l’artefice dell’operazione era stato Talleyrand; il nuovo dicastero, il cui presidente era Talleyrand stesso, nominò i ministri e pubblicò un editto per rassicurare la popolazione sui principi che avrebbero informato la nuova Costituzione.

La Carta del 1814 – la costituzione senatoriale[16] fu predisposta in breve tempo da una commissione composta dai senatori Charles-Francois Lebrun, Francois Barbé-Marbois, Antoine-Louise Claude Destutt de Tracy, Jean-Louis Emmery e Charls-Joseph Lambrechts[17]; tuttavia i commissari entrarono in contrasto con Montesquiou, ancorato alle idee legittimiste[18], pertanto il Senato il 5 aprile 1814 sostituì il collegio dei cinque senatori con una nuova commissione di sette senatori.

I nuovi membri eliminarono le concessioni fatte a Montesquiou e il 6 aprile depositarono il progetto definitivo del testo costituzionale al Senato, che lo adottò all’unanimità, il giorno seguente lo stesso testo fu approvato dal Corpo legislativo[19]; la constitution sénatoriale constava di 29 articoli e costituì il tentativo del Senato di raggiungere un compromesso tra la dottrina assolutistica  dell’ancien régime e i principi della Rivoluzione francese e del periodo napoleonico; l’opinione di Desldandres sulla Costituzione era positiva: «Era in realtà una grande e radicale novità la Costituzione del 6 aprile. Associava sovranità nazionale, monarchia, aristocrazia ereditaria. Consacrava il potere dell’erede dei Borbone, ma come chiamato della Nazione. Inaugurava il sistema di una seconda Camera dai membri ereditari, nominati dal Re, divideva il potere legislativo tra questo e i rappresentanti del paese. Essa inaugurava il parlamentarismo[20]»; come ha osservato Mortati sulla costituzione senatoriale: «in proposito è da notare come, nell’intenzione di coloro che avevano contribuito a richiamare il Re di Francia, la Costituzione dovesse essere il risultato di un patto tra il Re e la Nazione[21]».

3. La Carta costituzionale del 4 giugno 1814

Louis-Stanistlas Xavier, fratello minore di Luigi XVI, salito al trono con il nome di Luigi XVIII, con il Proclama di Saint-Ouen del 2 maggio 1814 respinse il progetto costituzionale senatoriale[22] e incaricò una commissione, composta da deputati del Corpo legislativo e del Senato[23], di predisporre una Costituzione.

I lavori della Commissione furono rapidi e la Charte fu promulgata il 4 giugno 1814 di fronte a Pari e deputati riuniti in seduta comune[24]. Era una «Carta octroyé», ovvero «concessa volontariamente alla Nazione e per libero esercizio dell’autorità reale[25]»; come ha osservato De Ruggiero «il carattere nettamente differenziale della Carta del 1814 rispetto alle costituzioni dell’età rivoluzionaria, sta in ciò, che essa non scaturisce dalla sovranità popolare, e non è un patto tra liberi ed eguali, ma è un atto di concessione unilaterale del monarca ai sudditi, il quale pertanto implica che la sovranità sia tutt’intera nel primo[26]».

La Costituzione del 1814 attribuiva al re l’iniziativa legislativa, il potere esecutivo e la nomina dei giudici[27], il sovrano inoltre poteva influenzare le decisioni del Parlamento poiché poteva «convocarlo, prorogarlo e scioglierlo[28]» per di più al re era attribuito il potere di emanare le ordinanze necessarie per la sicurezza dello Stato[29].

Alla Camera dei Pari, composta da un numero illimitato di membri e nominati a vita dal monarca[30], si affiancava la Camera dei deputati dei dipartimenti, eletta sulla base di un sistema censitario. Il diritto di voto era concesso solo a coloro che versavano imposte dirette per 300 franchi, mentre l’elettorato passivo era attribuito a chi versava 1000 franchi di imposte dirette; Haupt parla al riguardo di «monarchia censuaria[31]» e rileva il ruolo svolto dalla legge elettorale nel consolidare il predominio dei notabili, considerato che solo i possidenti – in virtù dell’alto censo richiesto – potevano partecipare alle elezioni, mentre solo i grandi proprietari fondiari potevano sperare di essere eletti[32].

Il ritorno di Napoleone dall’isola d’Elba e l’avventura dei «Cento giorni» fermarono l’applicazione della Carta octroyéè; dopo il rientro in Francia di Luigi XVIII – risalito sul trono non per un voto delle Camere ma per diritto avito e per diritto della vittoria militare[33] -  si pose il problema se emendare o meno la Costituzione del 1814; inizialmente il sovrano sembrava orientato verso una modifica della Charte, tanto che con ordinanza del 13 luglio 1815 aveva promesso di sottoporre gli articoli 16, 28, 35,46 alla revisione del potere legislativo[34], in seguito prevalse l’orientamento opposto e con ordinanza del 5 settembre 1816 dispose che nessun articolo della Carta sarebbe stato modificato[35].

Note e riferimenti bibliografici

Alvazzi del Frate P., La Charte del 4 giugno 1814: una introduzione, in Historia et ius. Rivista di storia giuridica dell’età medievale e moderna 3/2013, consultabile al sito www.historiaetius.it.

Biscaretti di Ruffia P., Introduzione al diritto costituzionale comparato. Le forme di stato e le forme di governo, le costituzioni moderne, Giuffrè, Milano, 1980.

De Ruggiero G., Storia del liberalismo europeo, Laterza, Roma – Bari, 2003.

De Soto J., La constitution sénatoriale du 6 avril 1814, in Revue internationale d’histoire politique et constitutionnelle, n.s. III (1953), pp. 268-304.

Fioravanti M., Le potestà normative del governo. Dalla Francia d’Ancien regime all’Italia liberale, Giappichelli, Torino, 2009.

Frediani A., Le grandi battaglie di Napoleone, Newton e Compton, Roma, 2002.

Haupt H.G., Storia sociale della Francia dal 1789 ad oggi, Laterza, Roma – Bari, 1989.

Lucifredi P.G., Appunti di diritto costituzionale comparato. Il sistema francese, Giuffrè, Milano, 1980.

Mortati C., Le forme di governo, Cedam, Padova, 1973.

Negrelli G., L’età contemporanea, Palumbo, Firenze, 1992.

Padoa Schioppa A., Storia del diritto in Europa. Dal medioevo all’età contemporanea, Il Mulino, Bologna, 2007.

Saitta A., Costituenti e costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale (1789-1875), Giuffrè, Milano, 1975.

Fonti

Gazete nationale ou le Moniteur universel, 2 avril 1814. Il testo è consultabile su www.gallica.bnf.fr e www.retronews.fr.

 

[1] G. Negrelli, L’età contemporanea, p. 563 Palumbo Editore, 1992.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.

[4] Per la ricostruzione della battaglia di Lipsia cfr.: A. Frediani, Le grandi battaglie di Napoleone, pp. 216-22, Newton e Compton, Roma, 2002.

[5] Sul Congresso di Vienna cfr: A. Padoa Schioppa, Storia del diritto in Europa. Dal medioevo all’età contemporanea, pp. 479-480, il Mulino, Bologna, 2007.

[6] G. Negrelli, L’età contemporanea, p. 566.

[7] Ibidem.

[8] Titolo I. Disposizioni generali (Artt. 1-26). Titolo II. Dei collegi elettorali e del modo d’elezione (Artt. 27-33). Titolo III. Della legge del’imposta (Artt. 34-37). Titolo IV. Dei ministri e della responsabilità (Artt. 38-50). Titolo V. Del potere giudiziario (Artt. 51 – 58). Titolo VI Dei diritti dei cittadini (Artt. 59 – 67)

[9] P. Biscaretti di Ruffia, Introduzione al Diritto costituzionale Comparato, p. 514, Milano, Giuffrè, 1980.

[10] P.G. Lucifredi, Appunti di Diritto costituzionale comparato 1. Il sistema francese, p. 6, Giuffrè, Milano, 1975

[11] A. Saitta, Costituenti e Costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale (1789-1875), pp. 600, Giuffrè, Milano, 1975.

[12]Ivi, pp. 590-591.

[13] Ivi, p. 561. Il proclama fu pubblicato sulla Gazete nationale ou le Moniteur universel, 2 avril 1814: «Qu’ils reconnaintront et garantirent la constitution que la nation francaise se donnera. Ils invitent par conséquent le Sènat à dèsigner un gouvernement provisoire qui puisse pourvoir aux besoins de l’administration et prépare la constitution qui conviendra au peuple francais». Fonti: gallica.bnf.fr / www.retronews.fr

[14] A. Saitta, Costituenti e Costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale (1789-1875), p. 561.

[15] Ivi p. 562. Cfr: P. Alvazzi del Frate, La Charte del 4 giugno 1814: una introduzione, p. 2 Historia et ius, rivista di storia giuridica dell’età medievale e moderna 3/2013. Il testo si può consultare su www.historiaetius.eu

[16] Sulla costituzione senatoriale v. J. De Soto, La constitution sénatoriale du 6 avril 1814, in Revue internationale d’histoire politique et constitutionnelle, n.s. III (1953), p. 268-304.

[17] P. Alvazzi del Frate, La Charte del 4 giugno 1814: una introduzione, p. 2, Historia et ius, rivista di storia giuridica dell’età medievale e moderna 3/2013

[18] A. Saitta, Costituenti e Costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale (1789-1875), p. 565.

[19] Ibidem.

[20] A. Saitta, Costituenti e Costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale (1789-1875), p. 565. (riporta la traduzione di M. Deslandres, Histoire constitutionnelle de la France de 1789 à 1870. De la fin de l'ancien régime à la chute de l'empire (1789 -1815), vol. I, p. 649, Paris, 1932.

[21] C. Mortati, Le forme di Governo, p. 127, Padova, Cedam, 1973.

[22] M. Fioravanti, Le potestà normativa del governo. Dalla Francia d'Ancien regime all'Italia liberale, p. 75, Giappichelli, 2009.

[23] Ibidem.

[24]A. Saitta, Costituenti e Costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale (1789-1875) p. 573.

[25] C. Mortati, Forme di governo, p. 127.

[26] G. De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo, p. 168, Roma – Bari, Laterza, 2003.

[27]  A. Padoa Schioppa, Storia del diritto in Europa. Dal medioevo all’età contemporanea, p.493.

[28] C. Mortati, Forme di governo, p.128.

[29] Ibidem.

[30] Art. 27: La nomina dei pari di Francia spetta al Re. Il loro numero è illimitato: egli può variarne le dignità, nominarli a vita o renderli ereditari a sua volontà. Per consultare il testo della Carta costituzionale del 4 giugno ho adoperato A. Saitta, Costituenti e Costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale (1789-1875).

[31] Heinz – Gerhard Haupt, Storia sociale della Francia dal 1789 ad oggi, p. 125 Roma – Bari, Laterza, 1991.

[32] C. Mortati, Forme di governo, p.125.

[33] A. Saitta, Costituenti e Costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale (1789-1875), p. 594.

[34] Ibidem.

[35] Ibidem.