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Pubbl. Sab, 4 Mag 2019

La motivazione della sentenza è apparente quando è omesso l´esame delle prove testimoniali

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Marco De Pascalis


Riflessioni sull´obbligo motivazionale a seguito della Cassazione civile sez. VI, 21/03/2019, n. 8098


Sommario: 1. La motivazione della sentenza (coordinate) 2. Riferimenti normativi 3. Il caso in esame 4. La ricostruzione della Suprema Corte – Conclusioni.

1. La motivazione della sentenza (coordinate)

La nostra Costituzione è perentoria nello stabilire, al sesto comma dell’art. 111, che “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”. Di fonte a tale assunto, occorre preliminarmente indagare quale finalità il legislatore costituzionale ha voluto perseguire attraverso una previsione così ferma. Sebbene la disposizione citata abbia una portata generale, la trattazione che segue sarà limitata all’analisi dello strumentario del processo civile.

La motivazione della sentenza rappresenta un istituto fondamentale del processo civile, costituendo una conquista relativamente recente di quel processo di sistematizzazione e razionalizzazione delle regole processuali che consente di rendere intellegibile, ed eventualmente censurabile, l’esercizio del potere giurisdizionale da parte dell’autorità cui esso è affidato, cioè il giudice. Volendo fornire una definizione immediata di tale istituto, pur nella molteplicità delle ricostruzioni offerte, si potrebbe concludere che esso è la rappresentazione e documentazione dell’iter logico intellettivo seguito dal giudice per arrivare alla decisione[1].

Così definita, la motivazione si presta a svolgere due distinte funzioni: nei confronti dei soggetti direttamente coinvolti nel processo si pone come un indispensabile strumento tecnico attraverso cui i difensori delle parti, nonché il giudice dell’impugnazione, prendono contezza della statuizione e ne interpretano il significato; sul piano extraprocessuale invece essa costituisce un eccezionale strumento democratico, aprendo a tutti i cittadini un controllo sull’amministrazione della giustizia, in attuazione del dettato costituzionale di cui all’art. 101, comma 1 Cost[2].

L’istituto, additato quale principale causa della irragionevole durata del rito civile, in riferimento al tempo occorrente per una sua soddisfacente stesura, è ormai da anni al centro di un esteso dibattito sulle “riforme” del processo e oggetto di attenzione da ogni legislatore, è stato oggetto di interventi di riforma diretti[3] e interventi destinati ad incidere in via indiretta attraverso una sorta di destrutturazione[4].

2. Riferimenti normativi

In via preliminare, rispetto all’analisi dell’ordinanza della Cassazione, si devono esaminare le norme che disciplinano la motivazione.

In primo luogo, l’art. 132 c.p.c.,  rubricato “Contenuto della sentenza”, fornisce un’elencazione degli elementi necessari della stessa prevedendo al n. 4, “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”. Tali ragioni, possono essere meglio circoscritte attraverso una lettura combinata con l’art. 118 disp.att.c.p.c., a norma del quale la motivazione della sentenza “consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”.

Al dì là della disputa terminologica circa la differenza tra gli aggettivi succinta e concisa, tra chi vi rinviene un sintomo di evoluzione nel senso di maggior essenzialità e chi ritiene non siano altro che sinonimi, cioè che emerge è l’esigenza di individuare e isolare dei requisiti della motivazione che consentano all’interprete di valutarne il contenuto.

Prima della riforma del 2012, la dottrina e la giurisprudenza erano soliti estrapolare, non senza qualche difficoltà, i requisiti della motivazione da una lettura “a contrario” dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., disciplinante i motivi di ricorso per Cassazione. La previgente formulazione di quest’ultimo articolo, infatti, includeva tra i motivi di ricorso la “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio”, da cui potevano ricavarsi i requisiti della: esistenza/completezza, sufficienza, logicità.

La novella ha tuttavia riportato l’art. 360, comma 1 n.5 c.p.c. alla sua formulazione originaria, ossia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” la quale se da un lato ben avrebbe potuto consentire di seguire l’orientamento precedente, dall’altro ha prodotto un nuovo orientamento restrittivo della Suprema Corte, diretto ad escludere il c.d. controllo di logicità della motivazione e a limitarne il sindacato ai casi più gravi ed evidenti di mancanza di motivazione o comunque di motivazione meramente formale, inconsistente o apodittica[5].

Tale ricostruzione induce sicuramente a ritenere mutati i limiti del giudizio di legittimità, ma non osta a ritenere ancora validi i requisiti della motivazione ricavati in precedenza, all’interno dei quali la sufficienza/insufficienza nasconde anche la “mera apparenza”, oggetto di analisi.

3. Il caso in esame

La vicenda da cui trae spunto l’odierna riflessione prende le mosse dal ricorso del 5.10.2011 al Tribunale di Messina, con cui  C.G. chiedeva la separazione personale dal coniuge, con addebito alla moglie, e affidamento a sé dei figli, previa assegnazione della casa coniugale. In tale ricorso l’attore, dopo aver premesso di aver contratto matrimonio concordatario con T.N.A. in regime di separazione dei beni, dal quale nacquero due figli, lamentava che la moglie, nel luglio del 2010, partita unitamente ai minori per la Danimarca,avesse rifiutato di far rientro in Italia trattenendo con sé i due figli. Pertanto, tale ingiustificato comportamento della moglie avrebbe spinto l'attore a presentare denuncia nei confronti della stessa moglie, nonché a promuovere procedura di rimpatrio dei figli.

Costituitasi in giudizio, la resistente nel condividere la domanda di separazione formulava le proprie richieste in ordine all'affidamento dei figli e all'assegnazione della casa coniugale.

All’esito del giudizio il Tribunale, con sentenza del 7.1.2016, pronunciava la separazione coniugale con addebito alla resistente, affidando i due figli minori ad entrambi i genitori con domiciliazione degli stessi presso il padre, cui era assegnata la casa coniugale.

La sentenza veniva allora impugnata in appello, adducendo l'erronea ed omessa valutazione delle prove testimoniali e documentali, nonché l'illogicità e contraddittorietà della motivazione. La Corte d'appello di Messina, con sentenza del 19.6.17, rigettava l'appello confermando la pronuncia del Tribunale.

Nel ricorso per Cassazione la soccombente cristallizza le proprie doglianze in tre motivi, tutti attinenti alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 comma 1, n.3 c.p.c.), nonché all’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (ex art. 360, comma 1, n.5 c.p.c.). La Corte d’Appello infatti, basando il suo prudente apprezzamento esclusivamente sulle dichiarazioni del ricorrente in ordine all’allontanamento della moglie unitamente ai figli, aveva omesso di considerare alcune dichiarazioni testimoniali da cui si evinceva la preesistenza della crisi coniugale e la condotta del coniuge incline all’abuso di alcool, oltre al contenuto di un CD, contenente le registrazioni dei colloqui telefonici tra i coniugi nel corso del 2010 da cui sarebbero emerse minacce e insulti di Tizio all’indirizzo della resistente.

La Suprema Corte, ritenendo fondati i tre motivi di ricorso e rilevando una connessione tra gli stessi, ne svolge un esame congiunto avvertendo che la ricorrente si lamenta del fatto che la Corte d'appello avesse omesso di esaminare dei fatti decisivi per il giudizio, quali le prove testimoniali assunte e i documenti prodotti, ovvero avese violato le regole di valutazione degli elementi probatori acquisiti. Pertanto, la questione veniva inquadrata immediatamente nell’area del vizio motivazionale[6].

4. La ricostruzione della Suprema Corte – Conclusioni

Con la sentenza n. 8098 del 21/03/2019, oggetto di questa breve riflessione, la sez. VI della Cassazione civile si occupa di verificare e offrire delucidazioni in merito alle conseguenze che, sulla motivazione della sentenza di appello, provoca l’omesso esame di alcune prove testimoniali da parte del giudice del gravame.

Al fine di meglio circoscrivere l’oggetto in discussione, il Giudice di Legittimità svolge in via preliminare una breve ricognizione circa i precedenti giurisprudenziali consolidatisi sul c.d. vizio motivazionale, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n.5 c.p.c. dal D.L. 83/2012.

Affinché possa configurarsi tale vizio è infatti necessario che il giudice di merito abbia in primo luogo effettivamente preso in esame la questione oggetto di domanda (in caso contrario la motivazione non sarebbe viziata, bensì completamente assente) e tuttavia, nell’esame, abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, aprendo così la strada ad una pronuncia che risulterà viziata sotto i profili della “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, della “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile” o, infine, nella “motivazione apparente”, che non è in grado di esplicitare correttamente l’iter logico giuridico seguito dal giudice nel decidere la questione ed è pertanto equiparata, dal punto di vista della sanzione, alle più gravi ipotesi di mancanza assoluta di motivazione [7].

L’inquadramento preliminare consente quindi di limitare lo sguardo alle ipotesi in cui una motivazione, incompleta, contrastante e apparente vi sia, ma risulti del tutto inidonea ad assolvere la funzione che le è affidata. In situazioni simili «dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire di comprendere le ragioni e quindi le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato»[8]. In presenza di un vizio così penetrante, tanto da importare la mancanza di un elemento necessario e fondamentale della pronuncia giurisdizionale, la dottrina è generalmente orientata nel riconnettervi la sanzione più afflittiva per un atto processuale, ossia la nullità, a norma dell’art. 156 comma 2 c.p.c.[9].

A seguito della nuova formulazione dell’art. 360 comma 1, n.5 c.p.c., osserva poi la Corte, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di insufficienza della motivazione, ma ciò non può condurre ad ignorare che, nonostante la novella, i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all'obbligo di motivazione previsto in via generale dall'art. 111 Cost. comma 6, e, nel processo civile, dall'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

E tale obbligo risulta sicuramente violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione concretandosi, in tal caso, una nullità processuale deducibile in sede di legittimità.

Nel caso concreto, in cui le doglianze riguardano l’omessa ponderata valutazione delle prove raccolte, occorre mettere in luce che «l'aver del tutto omesso l'esame delle dichiarazioni testimoniali, nonostante l'evidente rilevanza in ordine alla decisione della causa, e l'aver trascurato ogni esame del contenuto del supporto meccanico prodotto dalla ricorrente, ha dato forma ad un motivazione che, complessivamente, può dirsi apparente nella misura in cui è stata fondata sul fatto storico della partenza della ricorrente che, invece, configurava una condotta suscettibile di plurivoca interpretazione, potendo essa porsi  anche come conseguenza necessitata di una condotta del coniuge scorretta e non conforme ai doveri coniugali, come eccepito dalla difesa della ricorrente».

Se infatti, con la riforma dell’art. 360, comma 1, n.5 c.p.c. «la scelta operata dal legislatore è quella di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge» ovvero nei casi in cui «il vizio di motivazione sia così radicale da comportare la nullità della sentenza per "mancanza della motivazione"»[10] appare coerente la conclusione della pronuncia in esame per cui, «nel caso di specie la motivazione elaborata, poiché molto parziale e priva del benché minimo riferimento alle predette dichiarazioni testimoniali e agli altri elementi probatori acquisiti, è qualificabile come apparente nel senso che esplicita le ragioni della decisione in modo completamente riduttivo da svuotarne ogni sostanza argomentativa».

La pronuncia quindi si inserisce nel consolidato orientamento sviluppatosi attorno alla possibilità e ai limiti del ricorso per Cassazione diretto a far valere un vizio di quell’obbligo di motivazione previsto in via generale dall'art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall'art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.[11].

Una mancanza così grave come l'omesso esame della prova testimoniale infatti non può essere banalmente ricondotto ad un mero "cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito", insuscettibile di censura in sede di legittimità. Se è pacifico allora che integra violazione dell'obbligo la motivazione totalmente mancante o meramente apparente, che dunque non soddisfi quel “minimo costituzionale”, contenuto essenziale affinchè una motivazione possa definirsi tale, qui si specifica che tale apparenza può essere ravvisata nella mancanza di ogni riferimento a elementi probatori acquisiti e che ben avrebbero potuto condurre ad un’interpretazione dei fatti diversa da quella ricostruita in sentenza. 

In ragione di tali considerazioni la Suprema Corte conclude per la cassazione della sentenza impugnata, disponendo il rinvio alla Corte territoriale che avrà il compito di riesaminare la questione originaria avendo cura di estendere la propria valutazione a tutti gli elementi probatori acquisiti, incluso l'attento esame delle dichiarazioni testimoniali. 

 

Note e bibliografia

[1] Cfr. F. LANCELLOTTI, Sentenza Civile, in Noviss. Dig. It. , XVI, Torino, 1976, p. 1118
[2] Art. 101 comma 1 Cost.: “La giustizia è amministrata in nome del popolo”
[3] Si pensi alla L.69/2009 che è intervenuta direttamente sulla disciplina della motivazione della sentenza prevista dal codice di procedura civile, in nome di una attività di “semplificazione”.
[4] Il riferimento è al rito sommario di cognizione in cui l’art. 702 ter c.p.c. prevede la più snella forma dell’ordinanza o alla decisione nel rito del lavoro in cui per esigenze di celerità e concentrazione, ex art. 429 c.p.c.,”il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione “, prevedendo la fissazione di un termine per il deposito della sentenza solo in caso di “particolare complessità della controversia” etc.
[5] Cfr. G. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, Cacucci Editore, Bari, 2016, p. 435.
[6] Cfr. Cassazione civile sez. VI, 21/03/2019, n. 8098.
[7] In tal senso SS.UU. n.8053/2014, così massimata: «La riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione».
[8] Vedi SS.UU. n. 1093 del 1947.
[9] Ai sensi dell’art. 156 comma 2 c.p.c. la nullità «può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo»; amplius M. Taruffo, La motivazione della sentenza civile, Padova, 1975, pp. 453 ss.
[10] Sez. L, Ordinanza n. 2493 del 2018.
[11] Cfr. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018