La Scia, i contropoteri della PA e i controinteressati: un triangolo poco convincente?
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Ilaria Valentino
Analisi ragionata dell’istituto della segnalazione certificata di inizio attività, dei suoi rapporti con il principio di semplificazione e liberalizzazione con specifico riguardo alla posizione del terzo, alla luce della ordinanza del TAR Toscana dell’11 maggio 2017, n.667 e della recente sentenza della Corte Costituzionale del 13 marzo 2019, n.45.
Sommario: 1. Introduzione; 2. La semplificazione amministrativa; 3. Confronto tra singoli istituti: “dichiarazione di inizio attività” e “segnalazione certificata di inizio attività”; 4. I punti problematici della disciplina della “segnalazione certificata di inizio attività” e del “silenzio-assenso”; 5. La posizione del terzo: intervento dell’Adunanza Plenaria n. 15/2011. 6. Il decreto legge n. 138/2011 e la “nuova” posizione del terzo; 7. L’ordinanza del TAR Toscana dell’11 maggio 2017, n. 667; 8. Il recente intervento della Corte Costituzionale: sentenza del 13 marzo 2019, n. 45. 9. Conclusioni: le possibili forme di tutela del terzo.
1. Introduzione
Semplificazione amministrativa vuol dire rendere più chiaro, facile, comprensibile e snello il funzionamento dell’Amministrazione: essa
“è, dunque, non un fine, ma un mezzo per migliorare il rapporto con l’amministrazione dei cittadini, dei soggetti economici, delle formazioni sociali nonché, ovviamente, di tutti coloro che operano all’interno del sistema amministrativo stesso. In questo senso si spiega perché la semplificazione amministrativa venga anche considerata come sinonimo di riforma amministrativa, cioè di un cambiamento complessivo dell’amministrazione finalizzato a rendere la sua azione più efficiente, rapida ed economica.[1]”
2. La semplificazione amministrativa
Per quanto riguarda gli istituti della semplificazione, si fa riferimento al Capo IV della L. 241/90 rubricato “semplificazione amministrativa.”
La ratio del processo di semplificazione è quella di mettere ordine tra una fitta rete di interessi pubblici ai quali si aggiungono anche quelli privati.
Il procedimento, infatti, è il “luogo” nel quale convergono sia interessi pubblici (primari, in cura ad amministrazioni procedenti e secondari in cura ad altre amministrazioni), sia interessi privati (rectius, del cittadino) che è il diretto destinatario del provvedimento amministrativo insieme ad eventuali contro-interessati.
In altri termini, la semplificazione è una risposta – sul piano organizzativo – al sistema e opera anche nei confronti della complessità organizzativa [2].
Discorso ampiamente ribadito dalla dottrina, è quello secondo cui il procedimento amministrativo è governato e animato da due diverse “anime”, “spinte”, che conducono ad esiti divergenti e non sovrapponibili.
Una prima “spinta”, quale espressione del principio di parzialità, è quella di rafforzamento delle garanzie del cittadino soprattutto in applicazione all’azione della P.A..
Sono ascrivibili a questo primo tipo di logica le cosiddette garanzie partecipative, come l’introduzione della comunicazione ex art. 7 della L. 241/90; la comunicazione di avvio del procedimento; il diritto di intervenire nel procedimento da parte del privato con memorie e documenti ex. art. 10; il diritto di accesso; il diritto di replicare alla comunicazione da parte della amministrazione di un intendimento negativo circa la conclusione del procedimento ed il diritto di presentare memorie e documenti collegati nell’ambito dell’art. 10 bis della L. 241/90.
L’altra “anima”, invece, è collegata alla necessità di semplificare, snellire l’azione amministrativa affinché vengano riequilibrate e bilanciate le garanzie (quelle della prima dinamica della dottrina) introdotte all’interno della sfera amministrativa, poiché proprio tali garanzie finiscono per aggravare e appesantire il procedimento amministrativo.[3]
Il fulcro della semplificazione si ricollega, quindi, proprio alla necessità di riequilibrare dette garanzie.
Il primo criterio con il quale approcciarsi per comprendere in cosa consista la semplificazione è il criterio tipografico che mette in risalto quali sono gli istituti che il legislatore ha inteso disciplinare.
Essi sono: “la conferenza di servizi”, “gli accordi tra pubbliche amministrazioni”, “la disciplina della funzione consultiva della P.A.”, “l’autocertificazione” , “la DIA” (oggi SCIA), “il silenzio assenso”.
Può essere fuorviante la tendenza ad appiattire e unificare questi istituti solo per il fatto che siano stati collocati allo stesso Capo perché, in effetti, di genuina semplificazione non si parla in tutti i casi.
Se, infatti, si va ad identificare la semplificazione con l’obbiettivo di ridurre i tempi dell’azione amministrativa e di operare anche sulle modalità dell’esercizio del potere e, di conseguenza, sull’agevolazione della conclusione del procedimento, allora sembra che di genuina semplificazione possa parlarsi solo nel caso della “conferenza di servizi” e della “funzione consultiva”.[4]
Altro gruppo degli istituti – che potrebbe essere a sé stante – del Capo IV della L. 241/90 presenta insieme il “silenzio assenso”, la “SCIA” e l’“autocertificazione”.
In questo caso più che riduzione dei tempi del procedimento e di agevolazione della conclusione dello stesso e – quindi, di semplificazione dell’attività dell’amministrazione – deve parlarsi di semplificazione dell’attività del cittadino.
Questi istituti, infatti, si traducono in un’agevolazione diretta del cittadino sia dagli oneri burocratici amministrativi, come nel caso della SCIA, sia nell’agevolazione dall’attività attraverso una fictio iuris che è la formazione di un provvedimento di natura tacita.
Parte della dottrina[5], in realtà, riconduce anche il “silenzio assenso” alla logica della liberalizzazione, che, invece, è la struttura portante, la chiave interpretativa principale per decifrare l’istituto della SCIA.
L’idea forte dalla quale muove la dottrina è che liberalizzazione e semplificazione siano due logiche abbastanza distinguibili e non sovrapponibili, e, quindi, di conseguenza, gli istituti espressione di queste logiche, “silenzio assenso” e SCIA, non siano assolutamente sovrapponibili[6].
Un ultimo dato sulla semplificazione, per come è inquadrata in questo momento, opera sul piano dell’azione amministrativa ed eventualmente dell’organizzazione della stessa.
C’è un altro universo nel quale la logica semplificatoria è versata: il piano normativo legislativo. Infatti, per volontà del legislatore[7], è stata prevista la necessità di adottare da parte del Parlamento la “Legge Annuale di Semplificazione”, che è un mero strumento che, in termini di analisi economica del diritto, impone al legislatore di prevedere quali siano le conseguenze economiche delle disposizioni che esso stesso adotta.
3. Singoli istituti: “Dichiarazione di inizio attività” (DIA) e “Segnalazione certificata di inizio attività” (SCIA)
“Dichiarazione di inizio attività (DIA) si definisce lo strumento di semplificazione procedimentale e di liberalizzazione di attività sottoposte a controllo della pubblica amministrazione, consistente nella presentazione di una dichiarazione da parte del privato cui è subordinato l’esercizio del diritto. Il giudice amministrativo ha affermato che la DIA non è uno strumento di reale liberalizzazione dell’attività privata, bensì uno strumento che opera sul piano procedimentale per accelerare l’esplicazione dell’attività privata e semplificare quella amministrativa, non comportando una sottrazione dell’attività de qua alla disciplina prevista per essa dall’ordinamento.”[8]
L’11 dicembre 2016 – con l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 222/2016, cosiddetto Decreto SCIA 2 –, si è data attuazione, insieme al precedente Decreto SCIA[9], all’opera di semplificazione del panorama normativo[10] che regolava i procedimenti richiesti per la realizzazione degli interventi edilizi.
Nel sistema normativo attuale, lo schema generale della liberalizzazione dell’attività amministrativa è contenuto nell’art. 19 della legge sul procedimento, che disciplina la “Segnalazione certificata di inizio attività”, istituto che ha sostituito la DIA prevista nella prima versione dello stesso art. 19, più volte modificato, e da ultimo in modo significativo (Legge n. 124 del 2015 e D. Lgs n. 126/2016).
Uscire fuori dall’equivoco che ingenera la stessa introduzione della SCIA tra gli istituti di semplificazione significa dire a chiare lettere che essa è espressione di liberalizzazione piuttosto che di semplificazione.
Ciò poiché liberalizzazione amministrativa significa rimuovere e ridurre gli oneri burocratici e amministrativi che si frappongono al libero e concreto esercizio dell’attività da parte del cittadino.
Ed è proprio a questa finalità che sembra rispondere l’istituto.
Così come previsto dall’incipit della norma[11], infatti, avviene una vera e propria sostituzione di determinati atti amministrativi, di natura latamente autorizzatoria, con un atto del privato: si ha, quindi, in buona sostanza, sostituzione di un’attività amministrativa con un’attività privata.
In altri termini, vengono rimossi gli oneri di natura burocratica ed amministrativa che, precedentemente, ex lege, si frapponevano all’esercizio da parte di un cittadino di una determinata attività.
Conseguentemente, si può dire che la segnalazione certificata di inizio attività altro non è che una semplice dichiarazione con cui il privato si sostituisce alla pubblica amministrazione, nel verificare il possesso dei presupposti e dei requisiti per intraprendere l’esercizio di un’attività.[12]
Questo è anche il punto focale della liberalizzazione.
Liberalizzazione e semplificazione, però, così come sostenuto da autorevole ed attenta dottrina, devono intendersi non più come una “rinuncia” volontaria dello Stato al suo potere autoritativo, bensì come un tacito consenso dell’amministrazione all’esercizio del potere del “privato”, ai sensi dell’art. 2, comma 2, della Costituzione.[13]
Gli ambiti di applicazione dell’art. 19 e del successivo art. 20, in cui viene disciplinato il “silenzio- assenso”, sono diversi: dalla lettura di quest’ultimo, infatti, si evince che i due istituti si escludono reciprocamente[14].
Attraverso la lettura del combinato disposto degli artt. 19 e 20, in particolare dell’esclusione che viene fatta dall’incipit del comma 1 dell’art. 20, si possono individuare quali siano gli atti sostituiti dalla SCIA e si può operare una valutazione reale su quella che è la natura degli atti sostituiti.
Il potere che prima veniva speso – ora “cancellato” e sostituito da un atto del privato – è un potere rigidamente vincolato. Il potere trattato e disciplinato, invece, con il meccanismo di semplificazione dall’art. 20, è diverso, di tipo discrezionale, anche se non connotato da un elevato tasso di discrezionalità.
Apparentemente, quindi, le categorie di provvedimenti sembrano simili, ma, in realtà, in un caso sono sostituiti, in un altro sono resi tacitamente.
Proprio per le suddette ragioni, il dubbio riguarda il come delimitare l’ambito di applicazione della SCIA e comprendere quali siano gli atti sostituiti.
Innanzitutto, il rilascio non deve dipendere da una attività autenticamente discrezionale in quanto, se fosse tale, non potrebbe essere sostituita dalla SCIA e ciò perché l’esercizio e la spendita di verace discrezionalità significa intermediazione necessaria tra la norma e l’effetto della pubblica amministrazione.
Significa che il cittadino per conseguire il risultato utile dovrà necessariamente confrontarsi con il potere amministrativo, che è infungibile (se si tratta di poteri discrezionali che non possono essere sostituiti).
Attraverso l’esegesi letterale dell’art. 19 si comprende facilmente che non si tratta di poteri autenticamente discrezionali, dal momento che il legislatore volutamente afferma che il rilascio “dipende esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge”.
Poter sostituire un atto amministrativo significa, implicitamente, quindi, che la valutazione condotta dalla pubblica amministrazione degli interessi in gioco è comparativa[15], perché ogniqualvolta la pubblica amministrazione deve attribuire risorse limitate, potrà trovare più soggetti che avranno gli stessi requisiti di legge e, nonostante ciò, essa dovrà dare una utilità e quindi dovrà negarla ad un soggetto e riconoscerla ad un altro.
Ancora, ci si chiede se gli atti a contenuto tecnico discrezionale possano essere sostituiti con la SCIA.
Il legislatore, prima, era particolarmente fuorviante nella formulazione: infatti, usando una perifrasi, specificava che potevano essere sostituiti gli atti che oltre a non dipendere esclusivamente dall’accertamento dei requisiti, non dipendevano da valutazioni tecnico discrezionali.
In base al ragionamento che la discrezionalità tecnica non è discrezionalità pura – laddove si possa isolare la valutazione e la ponderazione degli interessi dalla valutazione tecnica in senso stretto e, quindi, laddove esista solo una valutazione tecnica, non trattandosi di un’attività discrezionale ma di una attività simile a quella vincolata – l’attività può essere sostituita con SCIA.
Il legislatore – utilizzando l’espressione ambigua “valutazioni tecnico-discrezionali” all’art. 19 – voleva riferirsi a quei casi, e questa è l’interpretazione data da magna pars della dottrina,[16] in cui oltre alle valutazioni strettamente tecniche, esistevano anche valutazioni sugli interessi pubblici (quindi ponderazione degli interessi pubblici in gioco) ed essendoci anche discrezionalità pura, quindi discrezionalità amministrativa, non poteva sostituirsi il meccanismo provvedimentale con quello della SCIA.
4. I punti problematici della disciplina della “segnalazione certificata di inizio attività” e del “silenzio - assenso”
Innanzitutto, il cambio nominalistico del lontano 2010/2011 da “DIA” a “SCIA” è di tipo non sostanziale.
Anche in base alle ultime modifiche legislative, i relativi mutamenti di disciplina sono, invero, molto minimi: infatti non mutano né la natura giuridica dello strumento – che prevalentemente è da tutti riconosciuta essere di natura privata – né il funzionamento del meccanismo.
Prima, con la DIA, il privato comunicava l’intenzione di iniziare un’attività inoltrando all’Amministrazione un corredo di documenti attestanti il possesso dei requisiti; dopo trenta giorni, iniziava “i lavori” e contestualmente ri-comunicava all’amministrazione l’inizio effettivo delle attività. Quindi, in buona sostanza, la pubblica amministrazione aveva a disposizione sessanta giorni (trenta + trenta), che decorrevano dall’inizio effettivo dell’attività, per la verifica del possesso dei requisiti, e di conseguenza, per l’esercizio dei poteri inibitori, ovvero dei poteri di divieto dell’attività intrapresa e del possibile ripristino dello status quo ante.
Con la nuova disciplina[17], non vi è più la doppia comunicazione.
Sostanzialmente decorre esclusivamente un termine di sessanta giorni dopo l’inizio effettivo dell’attività, nel quale l’amministrazione deve/può esercitare i suoi poteri inibitori.
La sola mancanza della comunicazione da parte del privato dell’intenzione di iniziare l’attività, così come specificato dalla dottrina, non cambia la natura giuridica dell’istituto.
Se prima si trattava quasi di una formazione provvedimentale tacita, con la SCIA l’elemento che ingenera confusione è stato il prevedere – anche al di là del termine utile per l’esercizio dei poteri inibitori (prima era 30 + 30, ora è direttamente 60) – la possibilità per la pubblica amministrazione di intervenire in sede di autotutela, adottando provvedimenti di annullamento d’ufficio e di revoca[18].
Proprio il rinvio contenuto nell’art. 19 crea problemi di ordine teorico.
Innanzitutto, è sbagliato e scorretto chiamarli istituti di autotutela, perché essi sono espressione non della necessità della pubblica amministrazione di farsi giustizia da sé, piuttosto sono espressione del principio di inesauribilità del potere pubblico[19].
La pubblica amministrazione, anche una volta adottato il provvedimento, non smette mai la cura dell’interesse pubblico primario, ed è tenuta ad intervenire ove ne sussistano le condizioni.[20]
Inoltre, è fuorviante il rinvio ad annullamento e revoca, perché, così come ideati dal legislatore, essi sono istituti tipici, di potere, di riesame e, quindi, esercitabili solo sulla base di un provvedimento di primo grado che è stato o che viene adottato.
Nel caso in esame, il provvedimento di primo grado non è stato adottato, anzi, non c’è alcun provvedimento di primo grado, a meno che non si ammetta che la SCIA non sia atto del privato, e che integri una fattispecie a formazione provvedimentale progressiva, così come il silenzio assenso.
La lettura che parte autorevole della dottrina[21] dà, in ogni caso, a tale rinvio agli artt. 21 quinquies e 21 nonies, è che si tratta non di autentici poteri di revisione o di autotutela, ma esclusivamente di esercizio degli stessi poteri inibitori, ma aggravati.
La pubblica amministrazione, quindi, oltre ai sessanta giorni, ha possibilità di intervenire – ma purché sussistano ulteriori requisiti – con maggiori cautele e con una particolare attenzione agli interessi dei controinteressati, alla ragionevolezza del termine, all’attualità dell’interesse pubblico specifico all’annullamento, al mutamento delle circostanze di fatto, ai nuovi motivi degli interessi pubblico, che prima non poteva considerare.
Va specificato che la differenza tra l’istituto della segnalazione edilizia di inizio attività e il silenzio assenso è in primis sottolineata dallo stesso legislatore nell’incipit della norma: si tratta di fattispecie di natura (e, quindi, di poteri) spesi diversamente.
Nel caso del silenzio assenso si potrebbe dire che l’intervento del decreto legge n. 35 del 2005, ha segnato un momento di grande impulso e di favore all’istituto.
Creato per reagire ad una disfunzione endemica della pubblica amministrazione, come il rimanere inerte oltre il termine utile[22] per provvedere, conosce chiaramente un’epoca in cui gradualmente viene esteso a sempre più fattispecie procedimentali e, dal 2005, viene generalizzato a tutti i procedimenti ad istanza di parte.
Quindi, sostanzialmente, la lettura che viene data a questo intervento normativo è che una ricetta contro la disfunzione diviene la regola.
In realtà, però a ben vedere, le fattispecie che vengono escluse dall’ambito applicativo dell’art. 20 sono tali e tante proprio perché riguardano interessi cosiddetti sensibili (immigrazione, sicurezza, ordine pubblico, salute, interesse del patrimonio culturale, difesa nazionale ecc.).
Aree, queste, nelle quali il meccanismo del silenzio assenso non opera e per le quali rimane ancora in piedi la regola per cui l’amministrazione deve pronunciarsi in maniera espressa entro un termine stabilito dal legislatore.
Quindi, nel merito, la differenza è tra questo meccanismo e quello della SCIA.
Tale meccanismo, probabilmente orientato più verso il cittadino che verso l’amministrazione, è figlio effettivamente della semplificazione, perché il succedersi dell’inerzia in aggiunta all’elemento temporale del decorso infruttuoso del termine è stato equiparato dal legislatore con una fictio iuris proprio ad un provvedimento tacito di accoglimento dell’istanza.
Quindi, nell’imbuto dell’articolo 20 finiscono tutti i procedimenti ad istanza di parte che non sono ricompresi nell’art. 19, poiché essi hanno natura (anche se in minima parte) discrezionale e per i quali il silenzio della pubblica amministrazione vale come accoglimento dell’istanza.
Il problema rilevante, che in qualche maniera si intreccia con quello della natura giuridica dell’istituto, riguarda le posizioni di controinteresse rispetto a colui che inizia l’attività e della tutela del terzo rispetto all’azione intrapresa sulla base di un atto che viene qualificato dalla prevalente dottrina come un atto privato.
Quest’ultima, infatti, ha affermato che se l’attività sostituita è priva di qualsiasi valore e contenuto discrezionale, appare difficile che possano verificarsi delle posizioni di controinteresse.
Eppure questo non è del tutto vero (o sempre verificabile) perché le condizioni di controinteresse possono verificarsi, soprattutto in ipotesi come il settore dell’edilizia, in cui effettivamente l’attività iniziata sulla base di una segnalazione sostituisce un atto che, anche solo in maniera riflessa e immediata, sta oscurando (o potrebbe ledere) la posizione di un terzo soggetto.
In conclusione, quindi per la fattispecie ex art. 20 ha senso la previsione del rinvio agli artt. 21 nonies e 21 quinquies e, quindi, alla possibilità per la pubblica amministrazione di intervenire in seconda battuta con un annullamento d’ufficio o con una revoca qualora ne ricorrano i presupposti, perché effettivamente il potere può considerarsi esercitato in una prima fase attraverso l’adozione di un provvedimento tacito rispetto ai quali i problemi di tutela del cittadino terzo non hanno ragion d’essere dal momento che egli può proteggersi con i tradizionali strumenti impugnatori.
5. La posizione del terzo: l’intervento dell’Adunanza Plenaria n. 15/2011
Proprio riguardo alla delicata questione della natura giuridica della SCIA e della tipologia di tutela azionabile dal terzo, è opportuno analizzare l’intervento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
A seguito di innumerevoli contrasti dottrinali e giurisprudenziali, infatti, con la decisione n. 15/2011, il Consiglio ha affermato che le modifiche apportate all’istituto “sono idonee a mutarne le caratteristiche superando il precedente modello provvedimentale autorizzatorio in luogo di un modello di liberalizzazione delle attività economiche. In tal caso, infatti, l’attività dichiarata può essere intrapresa immediatamente, senza il preventivo consenso da parte dell’amministrazione: ciò comporta, inevitabilmente, una maggior responsabilità e diligenza in capo al privato al momento della presentazione della dichiarazione”[23]
Tale inquadramento appare assolutamente conforme alla concezione secondo la quale la segnalazione certificata di inizio attività sostituisce autorizzazioni e atti di assenso, sottolineando come non è necessario attendere “che l’amministrazione eserciti tacitamente il potere autorizzatorio e che si formi il silenzio assenso sulla Scia.[24]”
Nello specifico, due sono i tipi di interesse legittimo che emergono: quello del privato, di tipo oppositivo, poiché egli è titolare di una situazione giuridica soggettiva che va a limitare e a contrastare l’esercizio del potere inibitorio o il successivo provvedimento in autotutela adottato (illegittimamente); quello del terzo, invece, di tipo pretensivo, poiché egli – leso dalla mancata adozione da parte dell’amministrazione del relativo potere inibitorio – sarà titolare di una situazione giuridica tesa a sollecitare la pubblica amministrazione ad effettuare le opportune verifiche in merito alla (illegittima) attività̀ intrapresa dal privato.
Proprio secondo tale orientamento e sulla base dei tipi diversi di interessi in gioco, non può trovare accoglimento la tesi sul silenzio assenso.
A tal uopo, l’Adunanza Plenaria ha accolto la tesi ammessa da parte della dottrina secondo cui, una volta decorso il termine preposto ex lege in capo all’amministrazione di poter intervenire al fine di limitare l’attività intrapresa dal privato, si forma un silenzio diniego, dando luogo, di conseguenza, ad un esito negativo del procedimento e causando la lesione dell’interesse del terzo, non tutelabile con i rimedi previsti per il silenzio inadempimento[25].
In seguito ai numerosi contrasti dottrinali e giurisprudenziali, confluiti nella pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 15/2011, l’intervento del legislatore[26] ha fatto sì che venisse qualificata l’inerzia dell’amministrazione come silenzio inadempimento, e ha fatto sì che tale inquadramento fosse idoneo a garantire al terzo un ampio termine per l’impugnazione.
6. Il decreto legge n. 138/2011 e la “nuova” posizione del terzo
Su questo piano, il legislatore ha previsto al comma 6 ter dell’art. 19 della L. 241/90 (così come contemplato e confermato nel decreto correttivo d.l. 138 del 2011) che gli interessati possano sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, che si possa esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31 c.p.a., azione contemplata all’interno del rito sul silenzio-rifiuto ma più correttamente definito come silenzio inadempimento.[27]
Tutto ciò, consente al soggetto privato di ritenere che la tutela non riconosciuta allorquando viene iniziata l’attività – equiparando il succedersi degli eventi e la decorrenza del termine fruttuoso dei sessanta giorni ad una fattispecie provvedimentale tacita – può essere recuperata nella seconda fase (rectius quella del mancato esercizio dei poteri chiaramente inibitori) con tutti i limiti che ciò comporterebbe in tema di poteri di ampiezza del sindacato del Giudice amministrativo.
Giudice che, in sede di rito sul silenzio inadempimento, ha un’ampiezza di poteri diversi a seconda che il potere non esercitato sia rigidamente vincolato o presenti aspetti e profili di discrezionalità.
Il problema però rimane in merito al termine entro cui l’istanza[28] debba essere presentata. E ciò poiché non è presente alcun riferimento nella normativa.
7. L’ordinanza del TAR Toscana dell’11 maggio 2017, n. 667
Con la ordinanza n. 667 dell’11 maggio 2017, il TAR Toscana, proprio in merito alla “nuova” posizione del terzo, così come prevista dall’attuale disciplina sulla SCIA[29], ha posto in evidenza la facoltà che viene riconosciuta al controinteressato di sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione; in particolare, la III sezione ha posto l’accento ed ha svolto notevoli considerazioni sulla necessità di individuare un termine per la presentazione della relativa istanza.
Innanzitutto, è stato escluso che il termine assegnato all’amministrazione affinché provveda alla verifica dei presupposti autonomamente possa essere di 60 giorni (30 in materia edilizia), poiché è possibile (anzi nella maggior parte dei casi è così) che il terzo – che di norma non riceve alcuna comunicazione circa l’avvio della segnalazione – ne venga a conoscenza solo allorquando il termine sia già spirato.
Viceversa, è stato considerato che, in mancanza di una espressa previsione normativa, il termine entro cui il terzo può sollecitare l’amministrazione a compiere la verifica dei presupposti per la SCIA, non può essere – in maniera categorica – ricavato dalla normativa di riferimento, in primis perché ciò sarebbe escluso dai poteri di interpretazione del Giudice.
Tuttavia, questa considerazione (rectius la mancanza della previsione normativa e l’esclusione della possibilità di interpretazione analogica del Giudice) ha portato il TAR ad individuare nella norma svariati dubbi di legittimità costituzionale.
Ed infatti essa comporterebbe l’assenza di un limite temporale affinché l’istanza di inibitoria sia presentata, traducendosi in un termine sine die e, quindi, ad una conseguente lesione dell’affidamento del terzo segnalante circa la stabilità del suo rapporto con l’amministrazione e in una violazione del principio di buon andamento e di quello di ragionevolezza (ex artt. 3 e 97 Cost.).
Osservano i Giudici infatti:
“[…] il termine concesso all’amministrazione per pronunciarsi sull’istanza sollecitatoria del privato, ancorché non fissato espressamente dalla norma in considerazione, è tuttavia agevolmente rinvenibile dal sistema con richiamo alla disciplina generale codificata dall’art. 2 l. n. 241/1990, secondo cui, in mancanza di una diversa previsione normativa espressa, i procedimenti amministrativi ad istanza di parte devono tutti concludersi entro trenta giorni dal ricevimento della domanda da parte dell’amministrazione competente; il termine per la proposizione dell’azione sul silenzio è invece fissato espressamente dall’art. 31 c.p.a., il cui secondo comma precisa che quest’ultima può proporsi fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. Non risulta invece fissato dall’art. 19, comma 6 ter, l. n. 241/90, né ricavabile dal sistema, il termine entro il quale il terzo deve presentare la propria istanza di sollecitazione delle verifiche amministrative, con apertura della possibilità interpretativa in base alla quale il terzo resterebbe sempre libero di presentare l’istanza sollecitatoria dei poteri amministrativi inibitori nonché di agire ex art. 31 c.p.a avverso il silenzio eventualmente serbato dall’Amministrazione […]”
Ed ancora:
“[…] l’art. 19 comma 6 ter non prevede alcun limite temporale alla possibilità che il terzo solleciti il potere inibitorio dell’amministrazione. Con la conseguenza che il termine per il compimento di tale sollecito resta escluso dal novero dei livelli essenziali di cui all’art. 117 comma 2, lett. m) Cost.. Tale soluzione normativa è palesemente irragionevole, poiché omette di disciplinare un elemento indispensabile alla tenuta complessiva del meccanismo semplificatorio introdotto dal legislatore e da quest’ultimo ascritto ai livelli essenziali delle prestazioni garantite su scala nazionale. […]
Da tali considerazioni emerge, ad avviso del Collegio, l’assoluta illogicità e sproporzione del meccanismo di tutela sine die apprestato dall’art. 19 comma 6 ter alla posizione del soggetto leso dall’altrui SCIA nonché, in definitiva, un’illegittima compressione dei livelli essenziali delle prestazioni riconosciute al segnalante dalla norma nazionale.
Alla luce di quanto sopra, dunque, il precetto normativo censurato risulta palesemente incostituzionale. […] pertanto […] sospende il giudizio in corso; ordina, a cura della Segreteria, l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale[…].”[30]
8. Il recente intervento della Corte Costituzionale: sentenza del 13 marzo 2019, n. 45
"E’ costituzionalmente legittimo l’art. 19 comma 6 ter, legge 241/90. L’interesse legittimo pretensivo del terzo si estingue unitamente alla consumazione, per decorso dei termini di legge, del potere amministrativo di verifica e controllo, non essendo accettabile l’attribuzione al terzo un potere contenutisticamente e cronologicamente indeterminato. Ciò non esclude l’opportunità di un intervento normativo sull’art. 19 quantomeno ai fini, da una parte di rendere possibile al terzo interessato una più immediata conoscenza dell’attività segnalata e, dall’altra di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sua sollecitazione, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere.”
La sentenza della Corte costituzionale, ritenendo infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR Toscana, propone una sorta di decalogo dei mezzi di tutela messi a disposizione del terzo per opporsi all’attività oggetto della segnalazione.
Ed infatti, la Corte – pur affermando che la previsione di un termine per la verifica sulla SCIA deve costituire, nel quadro normativo in questione, un requisito necessario che tuteli l’affidamento del segnalante – ha affermato che i poteri riconosciuti non sono diversi da quelli previsti all’art. 19 e che si deve far riferimento alla tutela del terzo contenuta proprio nel comma 6 ter.
Continuando su questo orientamento (completamente in antitesi a quello maturato dal TAR Toscana nell’ordinanza n. 667), ha poi affermato – richiamando l’intervento dell’Adunanza Plenaria n.15/2011 – che l’intento del Legislatore è stato proprio quello di escludere l’esistenza del silenzio-diniego (ossia l’esistenza di atti impugnabili) e di limitare la tutela del terzo contro l’inadempimento (della P.A.).
Secondo la Corte, quando la norma fa riferimento alla locuzione “verifiche spettanti all’amministrazione”, non sta creando o individuando nuovi poteri in capo alla P.A., bensì fa solo riferimento a quei poteri che sono già nella sfera di disponibilità dell’Amministrazione e il cui esercizio può essere sollecitato dal terzo: “[…] le verifiche cui è chiamata l'amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono dunque quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all'art. 21-novies) […]”.
Decorsi infruttuosamente detti termini, la situazione del segnalante si consolida in maniera definitiva, sia nei confronti della P.A. (che non potrà più intervenire proprio perché il termine è “scaduto”) sia, di conseguenza, nei confronti del terzo (il cui interesse all’esercizio della verifica da parte dell’Amministrazione, si estingue nello stesso momento in cui viene meno la possibilità di poter interagire con la stessa P.A.).
In conclusione si può affermare che l’intervento della Corte Costituzionale non ha fatto altro che specificare che la SCIA è – così come previsto dai numerosi interventi della dottrina e della giurisprudenza succedutisi negli anni – uno strumento di liberalizzazione e l’ampliamento (soprattutto dal punto di vista temporale) dei poteri di verifica, comporterebbe, invece, l'inclusione dell’istituto nell’area amministrativa tradizionale; cosa che il legislatore ha sempre categoricamente escluso.
9. Conclusioni: le possibili forme di tutela del terzo
In un’ottica di una sempre più pregnante semplificazione e trasparenza amministrativa, la tutela del terzo può essere esercitata oltre che nei modi e nei tempi citati, anche “attraverso una sollecitazione sia dei poteri di verifica dell’amministrazione ex art. 21, comma 1, L. 241/90 in caso di dichiarazioni false o mendaci, sia dei poteri di vigilanza e repressivi di settore spettanti all’amministrazione anche ai sensi degli artt. 27 ss., D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.[31]” Al terzo spetterà sempre la possibilità di agire nei confronti della Pubblica amministrazione in via risarcitoria ex art. 21, comma 2 ter, “se il dipendente o la stessa P.A. non abbiano agito tempestivamente nel caso in cui la SCIA non fosse conforme alle norme vigenti”, così come chiarito anche dalla Corte Costituzionale nella recente sentenza.
Inoltre, non vi è la sola tutela per gli interessi legittimi: al terzo spetteranno, infatti, le ordinarie regole civilistiche del risarcimento del danno previste dal nostro ordinamento, qualora venga posta in essere un’attività contra legem e che sia per lui pregiudizievole.
Note e riferimenti bibliografici
[1] cfr. Comunicare in rete – URP degli URP, da www.urp.it.
[2] La semplificazione, infatti, opera anche (e soprattutto) nei confronti dell’organizzazione strutturale della P.A.: essa dovrebbe tendere a migliorare e a snellire la distribuzione delle amministrazioni sui più livelli di governo; a diminuire la moltiplicazione delle amministrazioni territoriali; a fare fronte alla pluralità di interlocutori con il quale il cittadino si deve confrontare a livello nazionale e sovranazionale.
[3] Più approfonditamente, si veda F. Caringella e M. T. Sempreviva, “Il procedimento amministrativo”, Napoli, 2005, per i quali il procedimento amministrativo costituisce il mezzo per realizzare i principi d’imparzialità e buon andamento sanciti dalla Costituzione.
[4] In particolare, la funzione consultiva è disciplinata dagli artt. 16 e seguenti (anche se in realtà l’art. 17 si occupa delle valutazioni tecniche). In entrambi i casi, la preoccupazione del legislatore è quella di superare l’inerzia dell’organo interpellato nel rendere la valutazione tecnica o il parere, per arrivare ad una più agevole conclusione e ridurre il tempo dell’azione amministrativa (in questo caso quindi viene perseguita la finalità della genuina semplificazione). C’è un termine entro il quale l’organo interpellato è tenuto a rendere (emanare) il proprio parere, che può esser richiesto obbligatoriamente o facoltativamente. La differenza della natura obbligatoria o facoltativa del parere (non si parla di vincolo, ma solo di obbligo o meno nel richiederlo da parte dell’amministrazione procedente) fa sì che decorso inutilmente il termine – che è di 20 giorni per l’ottenimento del parere – la P.A. possa prescindere direttamente dal parere (“silenzio significativo”). Diverso è il caso della valutazione tecnica, infatti si parla di “silenzio devolutivo”, perché nel caso in cui nel termine utile a rendere la valutazione tecnica, l’organo interpellato non si sia pronunciato, l’amministrazione procedente è tenuta a richiedere la valutazione ad altri organi dell’amministrazione pubblica o ad altri enti pubblici o – clausola di chiusura – ad istituzioni universitarie.
Lo stesso tipo di ragionamento può ripetersi per la “conferenza di servizi” perché – originariamente – il ricorso a tale istituto tendeva proprio a superare il potere di veto delle amministrazioni. Il blocco si realizza quando l’amministrazione nega il suo assenso necessario per poter arrivare alla conclusione finale e quindi all’adozione del provvedimento.
Non altrettanto genuina, in senso semplificatorio, appare la ratio che invece anima l’istituto disciplinato dall’art. 15: “gli accordi tra Pubbliche Amministrazioni”.
Poco dice il legislatore in proposito, ma l’incipit della norma «anche al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune» è stato interpretato dalla dottrina nel senso che la conferenza di servizi può essere un’occasione per le amministrazioni di organizzare un “consensus” e quindi di accordarsi.
La finalità prima, diretta e immediata della norma è, quindi, quella del coordinamento più che della semplificazione delle azioni delle P.A., ma questo coordinamento può avere come effetto mediato ed indiretto anche la riduzione dei tempi, ma può produrre, viceversa, anche una fortificazione delle valutazioni che ogni amministrazione è tenuta a fare, perché si moltiplicano i procedimenti e si complicano le situazioni.
[5] Guido Corso, “Manuale di Diritto Amministrativo”, G. Giappichelli Editore, Torino.
[6] Guido Corso riconduce il silenzio assenso alla liberalizzazione, ma le due logiche sono nettamente separabili.
[7] Legge 15 marzo 1997, n. 59, recante Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa, nota come Legge Bassanini.
[8] Mengoli G. C., “Manuale di diritto urbanistico”, Milano, 2009; Sandulli M.A. (a cura), Codice dell’azione amministrativa, sub art. 19, Milano, 2010.
[9] D. Lgs. n. 126/2016 (cd. SCIA 1).
[10] Legge n. 124/2015, nota come “Riforma Madia”.
[11] Art. 19, comma 1 L. 241/90: “Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria. La segnalazione è corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, nonché, ove espressamente previsto dalla normativa vigente, dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese di cui all’articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell’amministrazione. Nei casi in cui la normativa vigente prevede l'acquisizione di atti o pareri di organi o enti appositi, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al presente comma, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti. La segnalazione, corredata delle dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni nonché dei relativi elaborati tecnici, può essere presentata a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, ad eccezione dei procedimenti per cui è previsto l’utilizzo esclusivo della modalità telematica; in tal caso la segnalazione si considera presentata al momento della ricezione da parte dell'amministrazione.”, (comma modificato dall'art. 5, comma 2, lettera b), legge n. 106 del 2011, poi dall'art. 2, comma 1, legge n. 35 del 2012, poi dall’art. 13, comma 1, legge n. 134 del 2012).
[12] Prof. Avv. Gerardo Soricelli, “La nuova Segnalazione Certificata di Inizio Attività, tra semplificazione e liberalizzazione delle attività amministrative”, in Gazzetta Amministrativa, 2017.
[13] F. Freni – M. Nunziata, “Il nuovo procedimento amministrativo dopo la riforma della PA”, in Officina del Diritto, L’amministrativista.
[14] Art. 20, comma 1, L. 241/90: “Fatta salva l'applicazione dell'articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all'articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2. Tali termini decorrono dalla data di ricevimento della domanda del privato.”, (comma così modificato dall'art. 3, comma 1, lettera d), d.lgs. n. 126 del 2016).
[15] Si pensi al caso di un bene demaniale e quindi alla concessione o anche al caso dei limiti legali delle farmacie per problema demografico e di territorio o ai taxi. Tutti settori, questi, nei quali non si può parlare mai di autentica liberalizzazione, proprio perché viene fissato dal legislatore il limite legale.
[16] F. Liguori, “La Funzione Amministrativa. Aspetti di una trasformazione”, Editoriale Scientifica, 2013, Napoli.
[17] D. Lgs. n. 222/2016.
[18] Rinvio esplicito della norma agli artt. 21 quinquies e 21 nonies della L. 241/90.
[19] Il potere amministrativo non si esaurisce con il suo esercizio e ciò consente all’amministrazione di rivedere in ogni tempo le decisioni assunte, con il limite esterno rappresentato dal principio del legittimo affidamento e dalle regole puntuali che di esso sono diretta esplicazione, cfr. M. Trimarchi in “L’inesauribilità del potere amministrativo. Profili critici”, Editoriale Scientifica, 2018.
[20] G. Corso, “Manuale di Diritto Amministrativo”, G. Giappichelli Editore, Torino
[21] così F. Liguori, in “La Funzione Amministrativa. Aspetti di una trasformazione”, commentando Guido Corso.
[22] Termine che è sempre certo, ma talmente breve (trenta giorni) che qualcuno dice che la formulazione dell’art. 2 è tale da sollecitare sempre il legislatore o l’esecutivo a prevedere dei termini diversi, poiché un mese sembrerebbe veramente un lasso di tempo poco verosimile affinché si riesca a concludere il procedimento.
[23] Cons. Stato Ad. Plen . cit.., 9 e ss. secondo cui: “…il principio di autoresponsabilità è temperato dalla persistenza del potere amministrativo di verifica dei presupposti richiesti dalla legge per lo svolgimento dell’attività denunciata. Trattasi, in sostanza, di attività ancora sottoposte ad un regime amministrativo, pur se con la significativa differenza che detto regime non prevede più un assenso preventivo di stampo autorizzatorio ma un controllo -a seconda dei casi successivo alla presentazione della d.i.a. o allo stesso inizio dell’attività dichiarata- da esercitarsi entro un termine perentorio con l’attivazione ufficiosa di un doveroso procedimento teso alla verifica della sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per l’esercizio dell’attività dichiarata”, pag. 14.
[24] Prof. Avv. Gerardo Soricelli, “La nuova Segnalazione Certificata di Inizio Attività, tra semplificazione e liberalizzazione delle attività amministrative”, in Gazzetta Amministrativa, 2017
[25] Il silenzio inadempimento si forma a seguito della violazione da parte dell’amministrazione dell’obbligo di provvedere di cui all’art. 2 l. n. 241/1990 “ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza”. Nel caso della segnalazione certificata di inizio attività, il procedimento si avvia a seguito della segnalazione del privato.
[26] D.l. 138/2011
[27] Sull’istituto, cfr. TAR Bari, II, 17 settembre 2009 n. 2100.
[28] Per il terzo che ritenga lesiva di un proprio interesse l’attività altrui posta in essere a seguito di segnalazione, la disciplina attuale sulle SCIA prevede possibilità di: sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.
[29] cfr. nota precedente
[30] TAR Toscana, Sez. III, ord. 11 maggio 2017, n. 667, Nel caso di cui è questione, la facoltà di sollecitazione dei poteri pubblici era stata esercitata con un notevole scarto temporale rispetto alla data in cui la segnalazione era stata effettuata (circa quattro anni). Attesa tale criticità e ritenendo di discostarsi dai precedenti orientamenti di giustizia amministrativa, il Collegio ha quindi sollevato questione di costituzionalità in relazione a tali ultimi profili.
[31] Corte Costituzionale, sent. del 13 marzo 2019, n.45.