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Pubbl. Mar, 23 Apr 2019

Concorso di persone nelle ipotesi di concorso doloso nel reato colposo e di concorso colposo nel reato doloso

Angela Cuofano


Dopo una breve premessa sugli elementi soggettivi ed oggettivi del concorso di persone nel reato, ci si sofferma sulla configurabilità dei due istituti di origine dottrinale, anche alla luce della recente sentenza della Cassazione n. 7032/2019


Il concorso di persone nel reato è disciplinato nel capo III del codice penale, precisamente agli artt. 110 e seguenti c.p.

Il concorso di persone nel reato è disciplinato nel capo III del codice penale, precisamente agli artt. 110 e seguenti c.p.

In particolare, l’art. 110 c.p. stabilisce che "Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti". 

 Secondo parte della dottrina, le fattispecie sono in genere modellate sulla figura del singolo autore del reato e, quindi,  le norme incriminatrici non sarebbero applicabili a soggetti che pur partecipando alla condotta criminosa, pongano in essere atti che da soli non integrerebbero il reato.

In quest’ottica, le disposizioni sul concorso di persone assolvono la funzione di rendere punibili anche comportamenti che non lo sarebbero in una singola norma incriminatrice.

Si parla, in tal caso,  di concorso eventuale di persone perché il reato può essere commesso anche da una sola persona; ci si trova di fronte ad un concorso necessario quando la plurisoggettività costituisce un elemento essenziale del reato.

Dunque, il concorso di persone nel reato trova nell’ordinamento i propri presupposti che sono la presenza di più soggetti e la connessione causale tra le varie loro condotte e l’evento antigiuridico in concreto determinatosi.

Non esiste però una nozione delineata di nesso causale e diverse posizioni giurisprudenziali hanno tentato di risolvere il problema, giungendo a soluzioni differenti.

 Secondo una corrente di pensiero, si dovrebbe abbracciare la teoria accessoria in base alla quale si distingue tra la condotta principale dell’autore del reato e le azioni accessorie dei partecipi che non sarebbero punibili, ma lo diventano in virtù dell’art. 110 c.p. con cui viene estesa l’applicabilità della norma incriminatrice di parte speciale.

 Secondo la teoria condizionalistica, invece, la condotta del concorrente deve costituire il supporto necessario alla realizzazione del reato.

Tale opinione, nata delle critiche della precedente teoria accessoria che non teneva conto che, in alcuni casi, tutte le azioni criminose possono essere principali, risulta in ogni caso poco soddisfacente.

Essa infatti contrasta con il tenore letterale dell’articolo 110 c.p. che, avendo una funzione estensiva, attribuisce tipicità comportamenti che di per sé ne sarebbero privi e contrasta con la previsione dell’attenuante della minima partecipazione al fatto, poiché condotte di minima importanza non possono essere considerate condizione indispensabile per la realizzazione del reato.

In quest’ottica, altra giurisprudenza ha optato per la teoria della facilitazione o agevolazione, secondo la quale, perché si configuri la fattispecie del concorso di persone, è sufficiente un contributo esteriore che comperi in maniera apprezzabile alla commissione del reato.

In alcuni casi, le conclusioni di tale teoria sono riportate all’interno della teoria condizionalistica, quando in base ad un giudizio prognostico, il contributo agevolante sia valutato quale condizione sine qua non.

Quale che sia la soluzione accolta dal giudice nel valutare il caso concreto, perché si configuri il concorso di persone nel reato non è sufficiente il solo presupposto oggettivo del nesso di casualità.

 E’ altresì necessario, infatti, che in ciascuno degli agenti ci sia l’elemento psichico del reato, inteso come consapevolezza sia del reato che si commette, sia della partecipazione altrui.

 Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che non sia necessaria la convergenza psicologica sull’evento finale perseguito da altro dei concorrenti, ma che sia sufficiente la volontà di contribuire al verificarsi del fatto criminoso.

In particolare,  riguardo al concorrente morale,  il soggetto che contribuisce psicologicamente anche la sua fase di ideazione, è necessario che questi si sia rappresentato l’evento del reato e abbia partecipato ad esso,  esprimendo una volontà criminosa uguale a quella dell’autore materiale.

 Questa posizione si sposa con le recenti opinioni della giurisprudenza di legittimità che ritiene sia necessario dimostrare che ciascuno dei partecipanti abbia agito con la consapevolezza del ruolo svolto.

 Ciò posto, si è aperto un annoso dibattito in dottrina di ammettere un concorso di persone che rispondano a titoli soggettivi diversi.

 La questione si è posta tanto per il concorso doloso nel delitto colposo, quanto il concorso colposo nel delitto doloso.

 Nella prima ipotesi, infatti, ci si troverebbe di fronte ad un soggetto che, ignaro di realizzare un’azione criminosa, venga istigato a commetterla da un altro soggetto che invece persegue quello specifico reato.

 La dottrina prevalente ammette questa figura, sostenendo che se, nel nostro ordinamento, risulta punibile l’istigazione dolosa ad un fatto compiuto incolpevolmente, a maggior ragione deve essere punito il fatto compiuto colpevolmente.

Più dibattuta è stata invece la configurabilità del concorso colposo del reato doloso.

La giurisprudenza degli anni ‘90 ne affermava l’inconfigurabilità, sostenendo che l’art. 42, co. 2, c.p. richiede l’espressa previsione per la responsabilità colposa che mancherebbe nel caso di specie.

Tra l’altro, questa soluzione appare convincente anche considerando il tenore letterale dell’art. 43 c.p. che stabilisce la cooperazione nel solo delitto colposo.

In senso opposto, parte della dottrina ha osservato che non esiste dolo senza colpa quindi ciò permetteva di ritenere configurabile il concorso colposo nel delitto doloso.

 Questa soluzione era apparsa convincente.  Il concorso colposo nel delitto doloso è stato pacificamente ammesso da recente giurisprudenza sia nel caso in cui la condotta colposa concorra con quella dolosa alla causazione dell’evento secondo lo schema del concorso di cause indipendenti, sia in quello di vera e propria cooperazione colposa, purchè in entrambi i casi il reato del partecipe sia previsto anche nella forma colposa e nella sua condotta siano effettivamente presenti tutti gli elementi che caratterizzano la colpa.

In particolare, è necessario che la regola cautelare violata sia diretta ad evitare anche il rischio dell’atto doloso del terzo, risultando dunque quest’ultimo prevedibile per l’agente.

 Questo orientamento è stato recentemente sconfessato da una pronuncia della Corte di Cassazione la quale ha sposato la tesi restrittiva. I giudici hanno infatti considerato che si tratta di una previsione implicita che porterebbe ad un’espansione in malam partem del penalmente rilevante. Tra l’altro, non si può non tenere in conto l’art. 42, co. 2, c.p. che, nella sua formulazione letterale, richiede l’espressa previsione per la responsabilità colposa, che mancherebbe nel concorso colposo nel reato doloso. Infine l’art. 113 c.p. ammetterebbe il concorso in esame nella sola ipotesi di delitto ugualmente colposo.

Si tratta dunque di un istituto dove non ci sono certezze, ma che richiede un intervento massimo dell’interprete.

La soluzione abbracciata in ultima analisi dalla giurisprudenza sembra quella maggiormente condivisibile, posto che analizza in modo più rigoristico quanto stabilito dal legislatore.

 In conclusione, va considerato che l’interpretazione normativa non può spingersi ad un livello creativo tale da produrre ulteriori fattispecie criminose.

In caso contrario, sarebbe violato l’intero ordinamento.