ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Gio, 21 Mar 2019

Niente tenuità per il Carabiniere che usa l´auto di servizio per ragioni personali

Modifica pagina

Olga Paola Greco
Funzionario della P.A.Ministero della Giustizia


“Integra il delitto di peculato d´uso la condotta dell´appartenente ad una forza di polizia che utilizzi l´auto di servizio per esigenze personali” (Cass. Pen., Sez. VI, n. 2006/19)


Sommario: 1. Premessa; 2. Il peculato d'uso; 3. La causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p.;4.Attenuante del danno di particolare tenuità; 5. Conclusioni.

1-Premessa

La Corte di Cassazione con la sentenza in commento prende posizione, seppur in maniera breve, in merito a tre questioni giuridiche. In prima battuta qualifica come peculato d’uso la condotta di indebito utilizzo dell’auto, da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, per fini personali e ne conferma la natura plurioffensiva. In secondo luogo prende, altresì, posizione in merito all’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis nelle ipotesi di reato continuato e, per tale via, della circostanza attenuante di cui all’art. 62 co. 1 n. 4 c.p.

2. Il Peculato d’uso

La Corte di Cassazione  si allinea all’orientamento oggi prevalente[1] secondo il quale costituisce peculato d’uso (e non peculato ordinario) l’utilizzo, a fini personali, di una macchina detenuta per ragioni di ufficio o di servizio. Il delitto di peculato d’uso, previsto dall’art. 314 co. 2 c.p.[2],  è stato introdotto con la L. 86 del 1990 in luogo del precedente peculato per distrazione e costituisce una ipotesi di reato autonomo e non circostanziato. La sua ratio è quella di punire in maniera meno grave condotte che abbiano un disvalore penale più attenuato rispetto alle ipotesi di peculato ordinario di cui al co. 1. All’interno del peculato ordinario, infatti, possono venire in rilievo condotte sia di appropriazione che di distrazione e il soggetto non agisce con lo scopo di restituire il denaro o la cosa. Nel delitto di peculato d’uso,invece, viene in rilievo solo la distrazione e il soggetto agisce sapendo già di fare uso momentaneo del bene[3]. Per distrazione si intende uno sviamento del bene rispetto al titolo. Per appropriazione si intende, invece, una condotta che si concreta in un momento espropriativo ed in uno “impropriativo” in cui il soggetto agisce uti dominus e, quindi, con animus rem sibi habendi[4].Il delitto di peculato (sia ordinario che d’uso) è plurioffensivo e, in particolare, viene in rilievo una plurioffensività alternativa[5]. Esso, infatti, tutela non solo l’imparzialità e il buon andamento della Pubblica Amministrazione (Art. 97 Cost.),  ma anche il patrimonio della stessa. Ciò significa che il danno patrimoniale, se presente, deve essere di un certo tenore ma può anche essere lieve se viene leso in maniera apprezzabile il buon andamento dell’Amministrazione[6].  Il peculato d’uso si distingue dal peculato ordinario sia perché consiste nella mera distrazione e non nell’appropriazione e sia perché implica una restituzione e, quindi, un uso momentaneo della cosa con lo scopo di restituirla. Per questo stesso motivo mentre il peculato di cui al co. 1 è punito, secondo i più, a titolo di dolo generico, il peculato d’uso richiede, invece, il dolo specifico. La Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, infatti,  riconduce l’ipotesi di uso della macchina di servizio a fini personali all’interno del peculato d’uso, indipendentemente dal tenore del danno economico subito dall’amministrazione, purchè venga arrecato un pregiudizio alla funzionalità del servizio[7]. Sempre che, però,l’uso della res si esaurisca nel distogliere la cosa solo temporaneamente dalla sua originaria destinazione e, quindi, non comporti appropriazione[8]. Secondo la Corte,infatti, “non può esigersi l’esatta quantificazione del pregiudizio patrimoniale arrecato all’amministrazione, che pur dovendo essere apprezzabile, non può spingersi fino a richiedere un giudizio di valore che si presenti incompatibile con la stessa fattispecie penale che punisce il semplice uso del bene…”.  Al di là dell’orientamento accolto circa le caratteristiche del peculato d’uso, tale pronuncia si segnala poi, in maniera particolare, per l’approdo in materia di applicazione della particolare tenuità, di cui all’art. 131 bis c.p.

3. La causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p.

L’art. 131 bis, introdotto con il d.lgs. 28/2015[9], prevede una causa di non punibilità che lascia integra l’illiceità del fatto e non ne fa venire meno l’antigiuridicità ma che, in virtù della sua particolare tenuità, lo rende non punibile a determinate condizioni[10]. L’istituto, che ha natura sostanziale e non processuale[11], è stato introdotto dal legislatore per esigenze di deflazione processuale e, in particolare, per evitare spese processuali inutili quando il fatto abbia un disvalore oggettivo e soggettivo così lieve da non giustificare la lesione del diritto fondamentale prodotta dalla pena.  La circostanza che esso non elida né la tipicità e né l’antigiuridicità della condotta, risulta evidente dal fatto che nel casellario giudiziale vanno indicati i provvedimenti che dichiarano il proscioglimento per particolare tenuità del fatto. Il giudice, infatti, nel caso di successiva commissione di reati, per valutare la non abitualità, dovrà tener conto anche dei fatti su cui in precedenza sia intervenuta una sentenza di proscioglimento ex art. 131 bis c.p.  La causa di non punibilità è applicabile ai soli reati per i quali sia prevista la pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni o la pena pecuniaria, sola o congiunta alla pena detentiva, sempre che ricorrano contestualmente i due requisiti della  particolare tenuità dell’offesa e della non abitualità del comportamento. La norma specifica, poi, che la sussistenza del presupposto della particolare tenuità dell’offesa va valutata sulla base dei due indici  della modalità della condotta e dell’esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi ai sensi dell’art. 133 co. 1 c.p. Per quanto concerne il requisito della non abitualità del comportamento il legislatore, però,  non lo ha definito e si è limitato, al comma 3, ad individuare una serie di ipotesi in cui il comportamento è considerato abituale. Si è posto, dunque, il problema di capire quando il reato possa dirsi tale e, nello specifico, si sono posti dubbi in merito al reato permanente e al reato continuato di cui all’art. 81 c.p.[12]

La Corte nella pronuncia in commento, in particolare, ritiene non applicabile la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis in virtù della “particolare qualifica del soggetto agente e della reiterazione dei delitti anche della stessa indole, in un breve arco di tempo, delle modalità del fatto, la non modesta rilevanza del fatto, tenuto conto della valenza non meramente patrimoniale dei reati”. Nel caso di specie, infatti, il soggetto, un pubblico ufficiale, per giustificare l’utilizzo illegittimo dell’auto contestatogli aveva formato degli atti falsi. La Corte , dunque accoglie l’orientamento secondo il quale, nel caso di continuazione tra reati della stessa indole, non trova applicazione l’istituto di cui all’art. 131 bis. In proposito sono venuti in rilievo tre orientamenti. Secondo alcuni[13], nella fattispecie del reato continuato il soggetto si pone ripetutamente in contrasto con l’ordinamento dimostrando una maggior proclività al delitto. Inoltre tale ipotesi rientrerebbe nell’art. 131 bis co 3 lett. C)  e , cioè, nel caso di reato commesso con condotte reiterate[14]. Motivo per cui nel caso di reato continuato l’ art. 131 bis c.p. non può trovare applicazione. Altra parte della dottrina e della giurisprudenza di merito, invece, contesta tale soluzione accogliendo l’orientamento secondo il quale il reato continuato è un reato unico nel caso in cui ciò comporti effetti favorevoli[15] . L’applicazione dell’art. 131 bis da vita, infatti, ad  un effetto utile. Altri ancora, invece[16], ritengono che il legislatore distingua le ipotesi ai numeri 2 e 3. Nel caso della commissione di reati della stessa indole, al n. 2,  esclude, infatti, l’applicazione della causa di non punibilità al singolo reato anche quando esso singolarmente considerato sia di particolare tenuità. Al numero 3, invece, non contempla tale distinzione e prevede la non applicazione della causa di non punibilità nel caso di reati commessi con condotte plurime, abituali e reiterate. Per tale motivo sembra che la fattispecie continuata, nel caso di reati eterogenei, possa essere scissa in più reati e riferire l’art. 131 bis a uno o più di questi. La Corte, facendo riferimento alla reiterazione di delitti anche della stessa indole, esclude che nel caso di specie sia applicabile l’art. 131 bis c.p. ma sembra accogliere proprio quest’ultimo orientamento che consente al giudice, quando vengano in rilievo reati di natura eterogenea, di valutare la particolare tenuità di ciascuno dei reati uniti dal vincolo della continuazione.

4. Attenuante del danno di particolare tenuità

Per gli stessi motivi per i quali non ritiene applicabile l’art. 131 bis c.p., la Corte esclude, altresì, l’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 co 1 n. 4 . Secondo la stessa, infatti, essa richiede una valutazione complessiva del reato che non prenda in considerazione solo l’entità del danno o del lucro conseguito  “ma ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e dell’evento da questi determinato[17]

La ratio della circostanza di cui all’art 62 co 1 n. 4[18] si rinviene, infatti, nella tenue offensività del fatto sotto il profilo del proprio tornaconto e sotto quello dell’offesa proiettata sul bene giuridico[19].  La Corte, dunque, si allinea all’orientamento prevalente che ritiene necessaria una valutazione globale e non commisurata solo al danno cagionato a differenza della giurisprudenza che, invece, in un precedente arresto aveva ritenuto che “agli effetti dell’attenuante in questione, ciò che effettivamente rileva è il danno cagionato dal reato”[20].

5-. Conclusioni

Da quanto sopra esposto, la Corte, come chiarito,  si è allineata all’orientamento prevalente sia in materia di peculato d’uso che in tema di circostanza attenuante del danno di particolare tenuità. Particolare interesse desta, invece, l’approdo cui giunge in materia di rapporto tra particolare tenuità ex art. 131 bis c.p. e reato continuato di cui all’art. 81 c.p. Essa, infatti, sembra discostarsi dalle precedenti pronunce di legittimità ed accogliere un orientamento minoritario della giurisprudenza di merito.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Vedi tra le altre Corte di Cassazione penale, sez. VI, 15 dicembre 2017, n. 5206

[2] Art. 314 c.p. “1. Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro quattro a dieci anni e sei mesi.
2. Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agisto al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita”.

[3] Cassazione Penale, Sezioni Unite, 2 maggio 2013 n. 19054

[4] Dario Guidi, il delitto di peculato, edizioni Giuffrè (pagg. 123 e ss.)

[5] Cassazione Penale, Sezioni Unite, 2 maggio 2013 n. 19054

[6]Tra le altre Corte di Cassazione sez. IV sent. 14040/2015 e Cassazione Penale, Sezioni Unite, 2 maggio 2013 n. 19054

[7] Come già fatto da Cassazione Penale, Sezioni Unite, 2 maggio 2013 n. 19054

[8]Vedi sul punto  Corte di Cassazione n. 26616/2013

[9]Il decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28  reca “Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67”.

[10] Art. 131 bis c.p. “Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.

L'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.

Il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'articolo 69.

La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante”.

[11] Cass., Sez. Un., u.p. 22 giugno 2017  n. 53683

[12] Art. 81 c.p. “ È punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge”.

[13] Vedi Corte di Cassazione 43816/2015; Corte di Cassazione 29897/2017; Corte di Cassazione 6870/2017.

[14] Tra le altre vedi Corte di Cassazione 29897/2015

[15] Tra le altre Sezioni unite penali sentenza 26 febbraio 2015, n. 22471

[16] Tribunale di Milano sentenza 4195/2015

[17] Vedi Corte di Cassazione sez. VI n. 14825/2014

[18] Art. 62 co 1 n. 4 : “Attenuano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze attenuanti speciali, le circostanze seguenti: 4) l'avere nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l'avere agito per conseguire o l'avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l'evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità

[19] Cassazione Penale, Sez. VI, 8 febbraio 2017 n. 5812

[20] Cass. pen., sez. II, 5/07/12, n. 30447