Pubbl. Ven, 30 Nov 2018
L´Antitrust multa Apple e Samsung: aggiornamenti software per rendere vecchi i loro smartphone
Modifica paginaCon provvedimento adottato nell´adunanza del 25 settembre 2018 l´Autorità Garante si esprime per la prima volta sulla c.d. obsolescenza programmata. Brevi considerazioni su un modello economico destinato ad essere rivisto.
Sommario: 1. Cenni introduttivi e la definizione di obsolescenza programmata; 2. Il caso Apple e Samsung; 3. Lo stato dell'arte a livello normativo; 4. Riflessioni conclusive e possibili scenari futuri.
1. Cenni introduttivi e la definizione di obsolescenza programmata
La recente sanzione pecuniaria comminata dall'Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato nei confronti di Apple e Samsung ha suscitato molto scalpore1. Nell'adunanza del 25 settembre scorso, infatti, le due multinazionali operanti nel settore della telefonia, sono state multate nell'ordine di 10 milioni di euro, per quanto riguarda Apple, e di 5 milioni per quanto riguarda Samsung. Avverso detto provvedimento le due società potranno presentare ricorso entro 60 giorni dalla notifica al Tar del Lazio oppure ricorso al Presidente della Repubblica nel termine di 120 giorni. Per comodità e brevità di esposizione, stante l'assoluta simmetria circa la natura delle violazioni contestate, nonché i motivi giustificativi addotti dalle società ed i provvedimenti presi, si farà riferimento ad un unico provvedimento. Il motivo di interesse principale della decisione in commento, è che per la prima volta il fenomeno della c.d. obsolescenza programmata diviene oggetto di analisi da parte di un organo giudicante. Il tutto in assenza di un dato normativo che dia compiuta definizione al concetto, e quindi, specificamente, alle forme di obsolescenza programmata. Come primo elemento possiamo affermare che detta obsolescenza è quella pratica industriale in forza della quale un qualsiasi prodotto tecnologico è deliberatamente progettato o programmato dal produttore per durare solo per un periodo di tempo determinato, al fine di indurre od imporne la sostituzione con un prodotto nuovo2. Non siamo dunque in presenza di un fenomeno naturale, in virtù del quale in base al normale progresso tecnologico, un prodotto diviene obsoleto, e pertanto superato a livello tecnico se paragonato a quello successivo. Bensì trattasi di pratiche in cui deliberatamente si accorcia il normale ciclo di un bene ab initio, rendendo di fatto antieconomica od impossibile - per la mancanza dei prezzi di ricambio - la riparazione; oppure con comportamenti successivi si rende impossibile il normale utilizzo del bene. Inoltre, si induce nel consumatore la sensazione che il bene dallo stesso in precedenza acquistato, sia ormai del tutto inadeguato e non più funzionale alle aumentate esigenze che, invece, sono soddisfatte dai prodotti immessi successivamente in commercio. Convenzionalmente, si fa risalire l'emersione della obsolescenza programmata al 19253 allorquando i principali produttori mondiali di lampadine decisero di stipulare tra loro un cartello, stabilendo di ridurre progressivamente la durata delle lampadine da 2.500 ore a 1.000 ore ed infine a 750 ore. Ciò è anche conseguenza dell'assunto - in verità frutto di una petizione di principio sul cd comportamento razionale del consumatore - che tali pratiche fungessero da stimolo ai consumi, ed in definitiva apportando benefici per l'andamento generale dell'economia.
Come detto, proprio perché varia è la natura e la funzione dei prodotti in una moderna società di mercato, seppur ancora in assenza di una compiuta definizione normativa, si sono individuate diverse forme di obsolescenza programmata4. Rispettivamente si indicano:
1) l'obsolescenza in senso stretto, in virtù della quale si programma una vita ridotta del bene (caso classico delle stampanti che divengono inservibili dopo un numero programmato di stampe);
2) l'obsolescenza indiretta, laddove la riparazione risulta impossibile per mancanza dei pezzi di ricambio o per altri ragioni: il singolo componente da sostituire in realtà è un corpo unico con un altro elemento perfettamente funzionante, ma il primo non è rimovibile senza correre il rischio di danneggiare il secondo (esempio dei moderni telefoni, ove la sostituzione della batteria può comportare il rischio di deteriorare lo schermo del telefono);
3) l'obsolescenza per incompatibilità, nel caso di programmi informatici che non funzionano più quando viene aggiornato il sistema operativo; ciò determina una maggiore convenienza, dal punto di vista economico, nella scelta di sostituire il bene (anche perché non esiste un adeguato servizio di assistenza), piuttosto che ripararlo;
4) l'obsolescenza psicologica o indotta, ovvero, in questo caso, il bene acquistato è tutt'ora funzionante, ma viene instillata nel consumatore la convinzione che questo ormai sia obsoleto e quindi necessitante di sostituzione.
Peraltro, i primi studi sull'argomento smentiscono l'efficienza sull'economia dell'obsolescenza programmata. E' stato calcolato che in Germania (l'economia più avanzata a livello europeo), i tedeschi otterrebbero un risparmio di circa 100 miliardi di euro all'anno se non fossero costretti a comprare ripetutamente nuovi prodotti5. In più, si deve aggiungere come il tema non interessa solo ed esclusivamente i consumatori, ma gli Stati stessi che sono tra i primi acquirenti di prodotti sul mercato. Si è stimato che l'ammontare delle commesse pubbliche nei paesi della UE è pari al 16% del PIL. In buona sostanza, in sede di prima analisi, si può sostenere che l'obsolescenza programmata sia una sorta di tassa occulta non destinata a fini di interesse generale.
2) Il caso Apple e Samsung
Nel lasso temporale tra il 2014 ed il 2017 le due multinazionali immettevano sul mercato nuove versioni dei loro smartphone, collocabili nella fascia di punta a livello di prezzi e di qualità. Gli acquirenti delle prime versioni, dapprima notavano e poi segnalavano che in conseguenza degli aggiornamenti effettuati sui loro smartphone questi vedevano rapidamente decadere le prestazioni, sino a risultare del tutto inservibili. Tali problematiche, sempre le stesse, avevano un picco come quantità immediatamente dopo il decorso della garanzia legale dei due anni. Non era consentito all'utente ripristinare la versione originaria del software del proprio telefono: pertanto, qualora l'utente avesse deciso di compiere o richiedere la c.d. operazione di downgranding (il ritorno alla versione precedente), se il problema fosse emerso nella vigenza della garanzia, sarebbe stata considerata manomissione, determinando il non riconoscimento della garanzia. In buona sostanza, la scelta di questi utenti si limitava alla accettazione delle onerose ed antieconomiche attività di riparazione (sostituzione della batteria e della scheda madre) oppure procedere all'acquisto di un nuovo telefono che aveva già incorporato in sé il nuovo tipo di software. Soltanto in un secondo momento, di fronte alle ripetute segnalazioni di guasti ai vari centri di assistenza, veniva proposta l'ulteriore soluzione di procedere all'acquisto di un nuovo modello con uno sconto del 25%. Inutile dire che tali soluzioni non avrebbero avuto alcunchè di risolutivo, poiché il problema sarebbe stato solo spostato in avanti, al momento dell'introduzione di un ulteriore nuovo modello con annessa diversa versione del software. L'Autorità contesta la violazione degli art 20-21-22 e 24 del Codice del Consumo. Dunque, si ravvisa una pratica commerciale scorretta, azioni e/o omissioni ingannevoli ed infine una pratica commerciale aggressiva.
Segnatamente si contesta alla pratica commerciale in oggetto: a) la proposta insistente ai consumatori degli aggiornamenti del software, incluso anche l'aggiornamento del sistema operativo del telefono, che hanno provocato riduzione delle prestazioni dei telefoni, inizialmente con continui rallentamenti e riavvi automatici per poi giungere allo spegnimento totale; b) nell'omissione ed ingannevole descrizione degli aggiornamenti proposti, senza alcuna avvertenza circa le conseguenze sull'uso dei telefoni di precedente generazione; c) nell'aver reso impossibile l'attività di downgranding, consentendo solo la sostituzione di parti rilevanti dell'hardware se in garanzia, senza detta estensione per i prodotti ormai fuori garanzia. Va precisato che gli aggiornamenti in questione, sono quelli derivanti direttamente dal produttore, fortemente consigliati se non quasi imposti dal medesimo, e comunque non il frutto di una scelta autonoma del consumatore. Sul piano difensivo i due produttori giustificano l'aumento degli interventi in riparazione, trascorso il termine di garanzia, con la normale usura derivante dal tempo. In altri termini, al lancio di un telefono nuovo ne deriva la massiccia vendita dello stesso. Logico, secondo tale ricostruzione, che aumentando il numero di modelli di un certo tipo sul mercato, dopo due anni si raggiunga il punto più alto della curva relativa alla presenza di quel determinato bene. Ma nel frattempo, il tempo trascorso ne ha comportato l'usura di componenti fondamentali a livello di hardware. Si esclude che sul piano causale vi sia alcun nesso tra detti aggiornamenti ed i fenomeni di mal funzionamento che vengono addebitati. L'installazione dei nuovi software non viene imposta, anche se risulta necessaria per un miglior funzionamento del telefono. In ogni caso, la pratica commerciale della c.d. obsolescenza programmatica non sarebbe profittevole, poiché lederebbe la fiducia dei consumatori e riguarda anche apparecchi che erano sempre nel periodo di vigenza della garanzia. Infine, viene sottolineato come le procedure di downgranding siano dannose per la stabilità e la funzione del bene. Non viene dunque in contestazione, che nell'invito più o meno forzoso ad effettuare detti aggiornamenti non vi sia stata avvertenza alcuna circa le possibili conseguenze su uno smartphone di passata generazione. Tant'è che l'Autorità fonda, tra i vari motivi, il proprio giudizio negativo proprio su questa colpevole omissione. Infatti, viene in gioco la c.d. asimmetria informativa tra produttore e consumatore. Quest'ultimo fa legittimo affidamento su quanto gli viene consigliato dal primo, e non dispone certo dei mezzi per comprendere se l'informazione che gli viene riferita sia più o meno corretta. Invece, sul nesso causale, l'Autorità ritiene che proprio la frequenza in un periodo concentrato (decorso il periodo della garanzia) degli stessi problemi, immediatamente successivi all'installazione dei medesimi programmi su telefoni di ugual modello e tutti precedenti all'ultima versione, dimostri sembra ombra di dubbio il contestato rapporto causa-effetto. Si potrebbe precisare che nel momento in cui, in sede di addebito, si individua una relazione statistica che rende probabile il collegamento tra installazione e mal funzionamenti, per il c.d. principio di vicinanza alla prova era ed è il produttore a dover dimostrare l'insussistenza del citato nesso causale. Ebbene, la prova più diretta da addurre sarebbe stata la dimostrazione (certamente più agevole per il produttore), che dette installazioni non avevano conseguenze alcuna sul funzionamento dei telefoni. Ad avviso dell'Autorità un avveduto operatore economico doveva e deve essere ben consapevole delle conseguenze derivanti dall'installazione di un nuovo software su un apparecchio di vecchia generazione, prevedendo così meccanismi alternativi idoenei a consentire all'utente di ripristinare le vecchie funzionalità del proprio telefono. In più la circostanza che le eventuali riparazioni fossero in concreto del tutto antieconomiche, unitamente alla previsione di uno sconto sull'acquisto di un modello nuovo, dimostra nei fatti che questa fosse una pratica programmata tesa ad indurre alla compravendita dei nuovi modelli. Tale insieme di elementi e la reiterazione della condotta, nonché la forza economica dei produttori, secondo l'Autorità giustificano l'irrogazione di una sanzione nel massimo previsto per legge.
3) Lo stato dell'arte a livello normativo
Nonostante convenzionalmente può farsi risalire l'avvento dell'obsolescenza programmata a quasi un secolo fa, ad oggi sul piano normativo nazionale e comunitario non vi sono apposite disposizioni di legge. Solo alcuni paesi come Francia e Belgio hanno previsto una qualche forma di tutela. Sul piano Europeo il rapporto del CESE ha portato all'approvazione a larga maggioranza di una risoluzione del Parlamento della UE7. Sul piano internazionale, pertanto, siamo ancora ben lontani dall'approdo ad una normativa vincolante, il che rende difficile la risposta alla questione dell'obsolescenza programmata. Infatti, la risoluzione di un tema che non interessa il singolo Stato bensì più Stati, poiché si tratta della vendita di prodotti di largo consumo venduti da multinazionali, non può che non essere comune. E' noto come i beni tecnologici siano beni in cui il margine di profitto sul singolo pezzo sia molto risicato, il che comporta che sia necessaria una vendita in grande quantità e soprattutto continua per garantire i profitti ai produttori. Sul piano nazionale si sono avvicendati vari disegni di legge che, però, non sono mai approdati all'esame del Parlamento. E' comunque interessante farne un confronto tra quelli più recenti per analizzare come, nel breve volgere di un paio di anni, le proposte siano radicalmente mutate sia nella definizione del concetto di obsolescenza programmata, sia nell'entità delle sanzioni8. L'inasprimento delle sanzioni tiene conto anche del potenziale afflittivo della pena, onde evitare che per l'operatore economico - nel rapporto costi-benefici- sia comunque sempre preferibile ricorrere a vietate pratiche di obsolescenza programmatica. Più di qualche dubbio resta circa la previsione di una sanzione penale, dal momento che questa rischia fortemente di violare il principio di legalità sotto il profilo della necessaria determinatezza della fattispecie. La moltitudine delle forme, anche più di una nello stesso tempo, in cui può manifestarsi la obsolescenza programmata - unitamente al fatto che questa, a livello di definizione, si fonda su concetti indeterminati- rendono molto problematico delineare i confini della fattispecie. Tratto comune, anche a livello europeo, è la previsione dell'innalzamento medio del periodo di garanzia da 2 a 5 anni, nonché l'obbligo per il produttore di assicurare la disponibilità dei prodotti di ricambio per un congruo numero di anni, anche successivi alla fuoriuscita dalla produzione del prodotto. Infatti, secondo lo studio del Cese questo avrebbe anche un benefico risvolto sull'economia, poiché da un lato non vi sarebbe un indebito spreco di risorse per produrre beni, in definitiva non necessaria, con conseguente riduzione della quantità di rifiuti, e dall'altro potrebbe essere ricreata tutta una filiera occupazionale sul versante della riparazione. Ciò comporterebbe l'acquisizione di professionalità artigianali soprattutto a livello di piccole e medie imprese. In definitiva, se un bene viene progettato, programmato, ideato per durare nel tempo, rispetto ad un bene destinato ad essere immediatamente sostituito, nonostante i maggiori oneri iniziali, nel medio e lungo periodo questa operazione può rivelarsi assai più economica. Nel contempo, si creerebbe un circolo virtuoso con conseguenze calmieramento del c.d. prestito al consumo, che determina un aumento del tasso di indebitamento dei consumatori.
4) Riflessioni conclusive e possibili scenari futuri
Come si è visto la decisione dell'Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato costituisce il primo passo, se non la parentesi, di un cammino che è tutto da compiere. La risposta non può giungere solo sul piano nazionale, dal momento che l'obsolescenza programmata riguardata prodotti che vengono venduti in più paesi e dagli stessi soggetti, visto che riguarda beni di largo consumo. I tempi ormai sono maturi, vista la scarsità delle risorse di fronte all'aumento del numero dei potenziali acquirenti. Già solo quest'ultima variabile incide sul tema dello smaltimento dei rifiuti, per cui la strada di un ripensamento di prodotti destinati a durare nel tempo appare obbligata. Vi è da dubitare che l'obsolescenza programmata, anche per gli stessi produttori, sia nel lungo periodo profittevole. Basti pensare ad una banale considerazione: se il bene B rispetto al bene A rappresenta effettivamente una rivoluzione o una novità (come nel passaggio dai cellulari agli smartphone) il consumatore è prevedibile che proceda all'acquisto. Ma se il bene B rispetto al bene A rappresenta una mera variante, ed è destinato ad essere sostituito in breve dal bene C e D, non è così prevedibile che l'utente provveda all'acquisto, oppure scelga di rivolgere il proprio interesse a beni di fascia di prezzo inferiore, poiché non appare conveniente acquistare prodotti di livello superiore destinati, in breve, ad essere soppiantati. Tra l'altro, tale impostazione si basa sulla petizione di principio che i potenziali consumatori siano destinati ad aumentare all'infinito, quando non può essere così. Ovviamente, la risposta, per i problemi accennati non può giungere sul piano sanzionatorio ed eventualmente penale. In realtà, appare più efficace nell'immediato, estendere il periodo di durata della garanzia legale, nonché prevedere l'obbligo di mettere a disposizione pezzi di ricambio per un tempo adeguato: ciò presuppone che la riparazione sia in primo luogo possibile, e poi conveniente. Tra l'altro tali previsioni non andrebbero di certo ad incidere su quella che è la libertà economica del produttore circa la scelta di immettere sul mercato sempre prodotti nuovi.
Note e riferimenti bibliografici
1I Due provvedimenti sono rinvenibili sul sito dell'Autorità Garante (link). A livello di composizione le due decisioni sono strutturate su una tripartizione: 1) risultanze del procedimento istruttorio con relative contestazioni 2) giustificazioni dell'operatore economico 3) motivazione.
2Tale definizione, nonché un breve excursus sul fenomeno dell'obsolescenza programmata, sono indicati indicati nella relazione al disegno di legge 3404 presentato alla Camera dei Deputati. Il citato disegno di legge, tra l'altro reca proposte di modifiche al Codice del Consumo. (Link) Lo stesso dicasi per il disegno di legge 4729 del 8 novembre 2017 (link)
3Si cita tale esempio nel disegno di legge 3404
4Parere del Comitato Economico e Sociale Europeo sul tema: “Per un consumo più sostenibile: la durata di vita dei prodotti industriali e l'informazione de consumatori per ripristinare la fiducia”. (Link)
5Dato che viene indicato nella relazione del disegno di legge 3404 (pag 03)
7La risoluzione che ricalca a grandi linee quanto emerge dallo studio del CESE (link).
8Si riporta l'art 1 del disegno di legge 4729 in cui rispetto al precedente disegno che reca la definizione di obsolescenza programmata viene aggiunta la lettera d) che così prevede: “l'utilizzo di componenti software o di sistemi operativi aventi l'effetto di peggiorare le condizioni generali del bene e il suo funzionamento”. Si riporta anche il testo dell'art 9 del disegno di legge che rispetto ai precedenti prevede anche la sanzione penale ed un forte inasprimento delle sanzioni pecuniarie: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il produttore o il distributore di beni di consumo è punito con la reclusione fino a due anni e con una multa di 300.000 eur se ha ingannato o tentato di ingannare il consumatore, con qualsiasi mezzo o procedimento, anche attraverso terzi: a) sul ricorso a tecniche di obsolescenza programmata b) sulla natura, specie, provenienza, qualità essenziali, composizione o contenuto dei beni, c) sulla quantità di beni consegnata o sulla consegna di beni diversi da quelli previsti dal contratto di vendita d) sull'idoneità all'uso, sui rischi inerenti all'uso, sui controlli effettuati, sui manuali d'uso o sulle precauzioni da prendere, e) sulla durata di vita del bene intenzionalmente ridotta. 2) L'importo dell'ammenda di cui al comma 1 può essere aumentato in modo proporzionale ai benefici derivanti dalla violazione considerando il fatturato medio annuo relativo al bene di consumo, calcolato in base agli ultimi tre anni”.