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Pubbl. Dom, 21 Ott 2018

Contratti bancari: la banca può sollevare l´eccezione di prescrizione anche solo genericamente

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Stefano Marziali


La Corte d´Appello di Milano, con la sentenza del 19 giugno 2018, è tornata ad occuparsi dell’eccezione di prescrizione delle rimesse solutorie.


La sentenza in commento abbraccia una tematica di notevole rilievo, in cui ci si trova non di rado dinanzi a complesse questioni interpretative e applicative.

Nel procedimento n. 3013/2018 viene sottoposta ai giudici della Corte d’Appello, una questione pregiudiziale di notevole rilievo avente ad oggetto il rapporto di conto corrente intercorso, tra una società di persone ed un istituto di credito, nel quale il correntista aveva eccepito un'illegittima capitalizzazione degli interessi passivi, somme per CSM, spese fisse di chiusura periodica, interessi debitori a saggio ultralegale ed interessi usurari. Di converso, la Banca oltre a contestare nel merito le diverse doglianze, aveva invocato in via preliminare la prescrizione del diritto alla ripetizione delle somme addebitate sul conto in questione. Il giudice di prime cure aveva rigettato l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Banca poiché non aveva indicato in modo compiuto e specifico la natura solutoria delle rimesse.

La Corte d'Appello ha riformato la sentenza del giudice di primo grado affrontando la tematica della prescrizione, in particolare soffermandosi sulla questione della ripartizione dell’onere della prova.

Appare doveroso effettuare in prima battuta una panoramica che descriva l’istituto della prescrizione nelle controversie bancarie. L’eccezione di prescrizione viene spesso utilizzata quale strumento di difesa da parte degli istituti di credito. La stessa non ha la funzione di impedire l’accertamento sulla eventuale illegittimità degli addebiti contestati, bensì, esclusivamente, di paralizzare gli effetti pratici che da tale accertamento deriverebbero, in particolare la restituzione al cliente dei relativi importi. L’azione di ripetizione è soggetta al termine prescrizionale ordinario decennale previsto dall’art. 2496 c.c.

Altro punto di peculiare interesse che ha suscitato un ampio dibattito nell'ambito dottrinario e giurisprudenziale, riguarda la determinazione del dies a quo dal quale far decorrere l'azione di ripetizione dell'indebito. Illuminante, a tal proposito, è l'orientamento espresso dalla Cassazione a Sezioni Unite n. 24418 del 2 dicembre 2010, la quale ha distinto ipotesi in cui la rimessa effettuata dal correntista viene identificata come solutoria e situazioni in cui la rimessa funga esclusivmente come atto ripristinatorio. Nel primo caso il termine prescrizionale decorrerebbe dalla data di esecuzione dell'operazione, mentre, nel secondo caso il termine decennale ha inizio dalla data di chiusura del rapporto.

Alla luce di quanto sopraesposto, la Corte d’Appello ha affermato che qualora l’azione di restituzione dell’indebito sia svolta dal correntista, incombe su di esso l’onere di allegare i fatti posti a base della domanda. Tale onere probatorio, secondo l’orientamento pacifico della giurisprudenza, va assolto mediante la produzione del contratto di conto corrente e degli estratti conto relativi a tutto il rapporto contrattuale intercorso tra le parti. Nel caso in cui il correntista difetti al proprio onere probatorio verrebbe a mancare la prova del fatto costitutivo del diritto azionato, onde la domanda attrice andrebbe respinta senza necessità di prendere in esame l'eccezione di prescrizione.

Ragion per cui, una volta prodotti gli estratti conto compete al giudice, eventualmente con l'ausilio di un C.T.U., distinguere le rimesse aventi natura solutoria e quelle aventi natura ripristinatoria.

In altri termini, la Corte ha ritenuto sufficiente una eccezione di prescrizione formulata in maniera generica da parte dell'Istituto di credito, senza essere gravata dall'onere di individuare i predetti versamenti solutori.