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Pubbl. Gio, 4 Ott 2018

Il futuro delle A.D.R.: mediazione e negoziazione strumenti sempre più preziosi?

Barbara Mascitto


Dall´avvento nel 2010 del termine mediazione e poi quello di negoziazione assistita, il sistema di ADR arriva per decongestionare il sistema giustizia, seppure in settori diversi. Con il DDL Pillon si torna a parlare di mediazione in ambito familiare, con le solite avversioni ed accettazioni, ma nella prospettiva di dare centralità alla persona.


Sommario: 1. Premessa storica; 2. La mediazione; 3. La negoziazione assistita; 4. Prospettive in evoluzione.

Sommario: 1. Premessa storica; 2. La mediazione; 3. La negoziazione assistita; 4. Prospettive in evoluzione.

1. Premessa storica

Il risolvere in modo “alternativo” le controversie o, meglio, gli scontri che si creano nei rapporti sociali, è sempre stata un’attitudine presente nella storia dell’umanità.

Nelle epoche più antiche, se non addirittura preistoriche, si è sempre avuta la necessità di rivolgersi ad un soggetto terzo che dirimesse con "saggezza" il conflitto insorto tra le parti.

Con l’impero romano si usava tentare di risolvere le controversie mediante la conciliazione delle parti dinanzi al Pretore (soggetto terzo) e nel caso in cui questa aveva esito positivo, il magistrato non doveva far altro che darne atto in sentenza.

Ai giorni nostri si è assistito ad un accentramento dei conflitti in capo alla giustizia dei Tribunali che con il passare del tempo si sono rivelati poco rispondenti alle esigenze di una società sempre più veloce, complessa e mutevole.

La conciliazione così come è intesa oggi, ovvero come modalità di risoluzione delle controversie alternativa alla tutela giurisdizionale, volontaria e non vincolante, in cui un terzo aiuta le parti a raggiungere un accordo, trae origine dall’esperienza americana degli inizi degli anni ‘70 e successivamente diffusasi nel mondo anglosassone.

Anche qui all’inizio l’istituto finalizzato alla conciliazione era necessario quale strumento per alleggerire il carico di lavoro dei giudici, offrendo alle parti la possibilità di risolvere le controversie attraverso l’attività di una terza persona imparziale, ma senza escludere la possibilità di far valere le proprie pretese dinnanzi al giudice nell’ipotesi in assenza di un accordo.

Dagli Stati Uniti l’ADR (Alternative Dispute Resolution – risoluzione alternativa delle controversia) si diffuse dapprima nel nord Europa e successivamente nel resto del continente, dove la problematica del sovraccarico di lavoro dei giudici civili ha fatto da catalizzatore per evidenziare la carenza del sistema “giustizia”.

In Italia, prima dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 28/2010, l’istituto ha avuto applicazioni marginali¹.

Gli scandali finanziari emersi nel 2000 portano a sottolineare l’evidente crisi dell’intero sistema ed il legislatore italiano risponde con il varo della legge 28 dicembre 2005, n.262 contenente “Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari” con la quale si è inteso tutelare i risparmiatori non solo dal punto di vista sostanziale, ma anche da quello processuale².

Mentre il legislatore italiano è impegnato a tutelare i risparmiatori, il Parlamento europeo ed il Consiglio dell’unione emanavano la Direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008, inerente determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale³.

La data di recepimento della normativa comunitaria era stata fissata per il 21 maggio 2011 ed il Parlamento italiano adotta la legge di recepimento in data 18 giugno 2009 n.69⁴ seppure demandando al Governo una delega per l’adozione di uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale da attuarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore.

2. La mediazione

Il D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 ha avuto il merito di dettare per la prima volta una disciplina omogenea in un settore come quello degli ADR in precedenza disciplinato in modo frammentario e per centrare in pieno l’obbiettivo di defatigare i carichi degli uffici giudiziari, l’art. 5, comma 1, del D.lgs. 28/2010 rende obbligatorio il tentativo di conciliazione trasformandolo in condizione di procedibilità nelle materie a più alta litigiosità⁵.

L’applicazione della nuova disciplina incontra immediatamente l’avversione dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana (OUA) qualificando la mediazione come in un mero allungamento dei tempi del processo, senza alcun effetto deflattivo. Dal lato opposto non sono mancate tesi secondo cui per essere un buon mediatore non è necessario essere un giurista, poiché il giurista incontra una notevole difficoltà a svolgere il ruolo di mediatore; secondo altri è necessaria una conoscenza generale del diritto, ma la cosa più importante è saper gestire il conflitto.

Le perplessità suscitate, nonché le esigenze di maggiore qualificazione professionale dei mediatori, inducono il Ministero della Giustizia ad adottare provvedimenti “correttivi”⁶.

L’avversione, però, arriva sino a far dubitare della legittimità costituzionale⁷ della stessa legge istitutiva; solo con la pronuncia del 6 dicembre 2012 viene dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1 del D.lgs. 28/2010 nella parte in cui era previsto l’esperimento della procedura di mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale in determinate materie. L’ambito di applicazione delle disposizioni del D.lgs. 28/2010 viene ristretto alle procedure di mediazione volontarie, a quelle delegate dal giudice ed a quelle derivanti da clausole contrattuali.

Seppur breve, il periodo di vigenza dell’obbligatorietà della mediazione ha dimostrato l’utilità dell’istituto nonostante l’ostruzionismo della classe forense ed il dibattito successivo sulla reintroduzione dell’obbligatorietà dell’istituto ha puntato non tanto sulla bontà del mezzo quanto sulla scarsa formazione/informazione in materia e, soprattutto, sulla necessità di far capire alle parti in lite che la decisione dall’alto adottata dal giudice, che dia ragione ad una e torto all’altra, non è l’unica forma di giustizia.

Presa coscienza delle potenzialità dell’istituto con il decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 (noto come “decreto del fare”) contenente misure urgenti per il rilancio dell’economia convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n.98, il Governo ha apportato modifiche al D.lgs. 28/2010 e riproposto la mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale cercando di depurarla dai profili di incostituzionalità rilevati dalla Corte Costituzionale⁸.

3. La negoziazione assistita

L’istituto della negoziazione assistita, come procedura di ADR, viene introdotto nel nostro sistema con il DL n.132 del 12 settembre 2014, sulla base del modello francese (seppure la Francia ne ha visto la nascita nel 2010 sul modello nord-americano della giustizia collaborativa).

Le parti, attraverso la sottoscrizione di un accordo di negoziazione, convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di uno o più avvocati.

Oggetto preliminare dell’accordo è la determinazione della procedura che sarà seguita durante la fase successiva, cioè quella della negoziazione vera e propria.

Per la stipula vi sono dei requisiti formali piuttosto stringenti⁹ finalizzati a proteggere i diritti delle parti, che nella fase successiva, cioè quella del vero e proprio accordo conciliativo, hanno la possibilità di dotarlo di efficacia esecutiva, attraverso la firma delle parti e degli avvocati.

La negoziazione non riguarda reciproche concessioni sulle posizioni delle parti, ma, in analogia con la mediazione, è un dialogo basato sugli interessi in conflitto.

La negoziazione assistita è stata resa condizione di procedibilità per le controversie in materia di danni da circolazione di veicoli e natanti, e per le controversie riguardanti il pagamento di somme non superiori ai 50.000 euro.

La disposizione è analoga a quella che riguarda la mediazione e la ratio è ben evidente: si prova, ancora una volta, a deflazionare il contenzioso dalle dispute più numerose e di scarso valore, almeno dal punto di vista economico₁₀.

Manca una vera cultura ed uno sviluppo fisiologico delle ADR in generale, che per molti costituiscono un’imposizione più che un’opportunità. Le implicazioni su come affrontare una controversia sono potenzialmente rilevanti: basti pensare al ruolo rinnovato dell’avvocato e sulla centralità della partecipazione delle parti al procedimento negoziale.

Assume estrema importanza dunque la competenza e la professionalità dell’avvocato, il cui atteggiamento muta: da difensore della posizione a negoziatore degli interessi. Perciò deve avere dimestichezza con le tecniche di negoziazione e comunicazione.

Il ruolo dell’avvocato è innovativo anche nella disposizione che lo rende responsabile professionalmente non solo dell’autografia delle sottoscrizioni apposte alla convenzione, ma anche della conformità dell'accordo finale alle norme imperative e all'ordine pubblico.

Inoltre, le conseguenze processuali della negoziazione potrebbero essere determinanti per il successivo svolgimento del giudizio.

L’accordo finale deve essere sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono affinché costituisca titolo esecutivo e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.

Infine, ma non per importanza, costituisce un dovere deontologico per l’avvocato informare il cliente, all'atto del conferimento dell'incarico, della possibilità di ricorrere a procedure alternative nelle materie obbligatorie.

4. Prospettive in evoluzione

Oggi nuovamente si torna a parlare di ADR e sempre in soccorso del sistema giustizia.

Il DDL Pillon, oggetto di non poche critiche, prevede la ribalta del sistema di ADR anche in materia di “famiglia” cercando di decongestionare il delicato settore sociale, affidandolo a specialisti della materia e non solo ad asettiche applicazioni della legge.

Pur non entrando nel merito dell’opportunità delle disposizioni di un disegno di legge che si spera possa essere armonizzato con la disciplina esistente e con le sperimentazioni affrontate nei vari tribunali italiani, non si può che affermare nuovamente la bontà dei sistemi di ADR e la sempre più sentita necessità di una formazione indirizzata nel settore.

L’istituto della mediazione familiare, seppure poco utilizzato nel nostro sistema, può rappresentare una valida alternativa al proliferare della rissosità nei rapporti sociali.

Pensare ad un progetto di coordinazione genitoriale che aiuti il Giudice a decidere nell’esclusivo e predominante interesse del minore, aiutando i genitori a comprendere meglio il proprio ruolo non solo attraverso l’esplicazione legale della fattispecie (diritti e doveri della funzione di genitore), ma anche con la coordinazione di professionalità differenti (ad esempio lo psicologo a supporto dei profili legali), il tutto rimettendo alle parti la comprensione e la soluzione nel rispetto dei ruoli.

Note e riferimenti bibliografici

¹ Il 2 luglio 2004 la Commissione europea ha adottato il codice di condotta per i mediatori che stabilisce una serie di principi ai quali i singoli mediatori possono spontaneamente aderire. Il codice può essere applicato a tutti i tipi di mediazione in materia civile e commerciale. Gli organismi sono tenuti ad elaborare codici più dettagliati adatti allo specifico contesto in cui operano o al servizio di mediazione offerto. L’adesione al codice non pregiudica la legislazione nazionale né le regole che disciplinano le singole professioni.

² Sotto il profilo processuale l’art. 27 della legge delegava il Governo ad adottare un decreto legislativo per l’istituzione, in materia di servizi di investimento, di procedure di conciliazione e arbitrato, da svolgersi in contraddittorio davanti alla Consob, per la decisione di controversie insorte fra i risparmiatori o gli investitori e le banche o gli intermediari finanziari circa gli adempimenti degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza nei rapporti contrattuali con la clientela. L’esecutivo esercitava la delega con il D.lgs. 8 ottobre 2007, n. 179 e si istituiva la Camera di conciliazione ed arbitrato.

³ La Direttiva, pur essendo riferita alle controversie “trasfrontaliere” in materia di diritti disponibili, concede la facoltà agli Stati membri di applicare le disposizioni in essa contenute anche alle procedure di mediazione svolte in ambito nazionale. La Direttiva conteneva le linee guida lasciando liberi gli Stati di prevedere ulteriori norme più stringenti con lo scopo di favorire la mediazione senza, peraltro, renderla obbligatoria. L’obbiettivo principale perseguito dal legislatore europeo è quello di snellire il lavoro dei giudici offrendo alle parti la possibilità di affidare la risoluzione delle proprie controversie ad uno o più conciliatori, senza privarli della tutela giurisdizionale in caso di mancato accordo.

⁴ “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”, che ha introdotto una serie di riforme nella disciplina del processo civile.

⁵ Controversie in materia di: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto d’aziende, risarcimento danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.

⁶ Il decreto 6 luglio 2011, n. 145 contenente il Regolamento recante modifica al D.M. 18 ottobre 2010, n. 180, sulla determinazione dei criteri e modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché sull’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’art. 16 del D.lgs. 28/2010 mediante il quale veniva introdotto l’obbligo per il mediatori di partecipare ad un’attività formativa denominata tirocinio assistito, che consiste nell’assistere ad almeno 20 casi di mediazione nel corso di un biennio in modo da affiancare alla formazione teorica quella pratica.

⁷ Le questioni di illegittimità portate all’esame della Corte riguardavano il contrasto tra gli artt. 5 e 16 del D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, l’art. 2653, comma 1 n. 1 c.c., l’art. 17 D.M. 18 ottobre 2010, n. 180, con le modifiche apportate dal D.M. 6 luglio 2011 n. 145 con gli artt. 24 e 77 della Costituzione.  

⁸ Mentre in Italia la mediazione vive alterne vicende, il Parlamento europeo ed il Consiglio, in data 21 maggio 2013 adottano due nuovi atti normativi: la Direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori e il Regolamento (UE) n.524/2013 relativo alla risoluzione delle controversie online dei consumatori. Entrambe in modifica del regolamento (CE) n.2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE.

⁹ Art. 2 comma 2 Decreto legge cit., che impone per la convenzione di negoziazione il requisito del termine apposto per la procedura, l’oggetto della controversia e la forma scritta; inoltre, all’art. 4 si afferma che la convenzione deve contenere l'avvertimento che la mancata risposta all'invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 e 642, primo comma, del codice di procedura civile.

₁₀ E questo ci dà anche la percezione di come queste disposizioni siano state strutturate con una modalità che ricorda moltissimo la mediazione obbligatoria.