Il legittimo affidamento a seguito di annullamento degli atti del concorso: limiti ai poteri d´ufficio del G.A.
Modifica paginaL’affidamento maturato dai vincitori di un concorso pubblico al mantenimento del rapporto di impiego non esime il G.A. dal pronunciarsi interamente sulla domanda di annullamento degli atti della procedura, quand’anche ciò avvenga a distanza di molti anni e per effetto di ciò le posizioni acquisite dai controinteressati si siano consolidate.
Sommario: 1. Il tema della questione. 2. Il principio del legittimo affidamento con particolare riferimento al giudizio di annullamento della graduatoria concorsuale: posizioni della Giurisprudenza. 3. Annullamento o risarcimento danni?. 4. Il riparto di giurisdizione tra G.A. e G.O.
1. Il tema della questione
Ci si pone la questione se i vincitori di un concorso pubblico, annullato in sede giurisdizionale per vari profili di illegittimità a distanza di molti anni dalla sua conclusione, possano invocare il principio del legittimo affidamento per aver maturato nell’ambito della stessa Amministrazione una posizione lavorativa di livello superiore che si sarebbe consolidata nel corso degli anni. In tale situazione, ci si è chiesti se il candidato che abbia ottenuto l’annullamento degli atti della graduatoria possa chiedere anche il risarcimento dei danni per aver fatto incolpevole affidamento sulla legittimità degli atti adottati dall’Amministrazione medesima.
Con riguardo alla posizione degli idonei della graduatoria che hanno ottenuto l’avanzamento di carriera a seguito di atti di scorrimento della graduatoria successivamente annullata, occorre stabilire se essi possano analogamente conservare la loro posizione in virtù del citato principio del legittimo affidamento.
Per una esaustiva risposta alla problematica esposta pare opportuno concentrare l'analisi sul quadro giurisprudenziale in tema di legittimo affidamento e sulla questione della proponibilità della domanda risarcitoria nei confronti della P.A. per i danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento illegittimo della P.A..
2. Il principio del legittimo affidamento con particolare riferimento al giudizio di annullamento della graduatoria concorsuale: posizioni della Giurisprudenza.
Il legittimo affidamento è un principio elaborato dalla giurisprudenza comunitaria che impone al soggetto pubblico che intenda esercitare il suo potere nei confronti del soggetto privato, -come nel caso in cui il provvedimento amministrativo attribuisca un determinato bene al soggetto medesimo-, di assicurare l’interesse di quest’ultimo alla conservazione di un vantaggio ottenuto in buona fede alla luce di un previo atto amministrativo cui abbia fatto seguito il decorso di un ragionevole lasso di tempo utile a rendere definitiva e consolidata la situazione giuridica soggettiva.
Come ben noto, i presupposti a fondamento del principio in questione sono: l’elemento oggettivo del provvedimento vantaggioso per il destinatario; l’elemento soggettivo della buona fede del destinatario; il fattore tempo in quanto si è verificato il consolidamento della situazione di vantaggio nella sfera soggettiva del privato.
Tale principio non si è rivelato tassativo per l’Amministrazione e nemmeno può considerarsi una regola generale volta a limitare il potere pubblico atteso che occorre valutare caso per caso le situazioni giuridiche nel senso di dover necessariamente stabilire se dare prevalenza all’interesse pubblico alla legalità dell’azione amministrativa o all’interesse privato al mantenimento della posizione acquisita nonché alla certezza del diritto.
Infatti, sul punto la giurisprudenza comunitaria, recepita anche dal nostro ordinamento giuridico, ha ritenuto che rispetto al dato temporale occorre dare rilevanza non solo al comportamento negligente dell’Amministrazione che ha generato l’adozione dell’atto illegittimo (ed in tal caso talvolta si è concessa la tutela dell’affidamento colposamente ingenerato) ma anche ad un eventuale condotta scorretta o colposa del destinatario dell’atto che abbia fornito indicazioni false o incomplete tali da trarre in inganno la P.A. che ha poi adottato l’atto illegittimo (in tale situazione è stata negata la tutela del legittimo affidamento).
Nel nostro ordinamento giuridico l'Amministrazione è tenuta ad improntare la sua azione non solo agli specifici principi di legalità, imparzialità e buon andamento, ma anche al principio generale di comportamento secondo buona fede, cui corrisponde l'onere di sopportare le conseguenze sfavorevoli del proprio comportamento, che abbia ingenerato nel cittadino incolpevole un legittimo affidamento.
Tale regola comportamentale viene spesso sanzionata nel campo della responsabilità precontrattuale della P.A. per danni cagionati da condotta non lineare e trasparente. Talvolta, tale principio viene invocato nei giudizi aventi ad oggetto l’impugnativa di graduatorie concorsuali laddove i candidati vincitori o altri idonei abbiano conseguito, a distanza di molto tempo, una qualifica superiore o un avanzamento di carriera nell’ambito dell’Amministrazione dalla quale dipendono.
Ebbene, con particolare riguardo a tale ultimo aspetto, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, riproducendo un precedente indirizzo giurisprudenziale dell’Adunanza plenaria, ha recentemente confermato il principio secondo il quale l’affidamento maturato dal vincitore di un concorso al mantenimento del rapporto di impiego non esime il Giudice amministrativo, com’è suo dovere, dal pronunciarsi per intero sulla domanda di annullamento degli atti della procedura, quand’anche ciò avvenga a distanza di molti anni e per effetto di ciò le posizioni acquisite dai controinteressati si siano consolidate. Analogamente, gli altri candidati idonei della graduatoria, quali controinteressati nel medesimo giudizio, non possono addurre di aver conseguito una qualifica superiore e, quindi, di aver consolidato la loro posizione nel corso di molti anni e a distanza di un notevole lasso di tempo rispetto alla definizione del concorso.
In pratica, si trattava di un caso in cui un candidato, con qualifica di primo tecnologo, aveva impugnato dinanzi al Giudice amministrativo di prime cure gli atti del concorso per profilo professionale di dirigente di ricerca di I livello, suddiviso in varie aree, in quanto non aveva ottenuto il punteggio minimo per accedere al colloquio. Invero, il primo Giudice aveva accolto solo un motivo di ricorso relativo alla mancata esplicitazione dei punteggi per ogni singola sotto-categoria di titoli elaborati dalla Commissione all’interno della griglia di valutazione di ciascun candidato. In ragione di ciò il Giudice annullava la graduatoria disponendo la rivalutazione del punteggio solo del profilo del ricorrente. Peraltro, anche gli atti di scorrimento della graduatoria e il conseguente avanzamento di carriera ottenuto dagli idonei, oggetto del motivo di impugnazione accolto in primo grado, erano stati invalidati in virtù dell’effetto cassatorio della pronuncia di annullamento ottenuta dal medesimo ricorrente in primo grado.
Da qui l’impugnazione della sentenza in sede di appello con richiesta dell’appellante di procedere alla rinnovazione della procedura concorsuale nei confronti di tutti i candidati.
Il Giudice di appello, pronunciandosi definitivamente sulla questione, ha imposto all’Amministrazione resistente un ordine di graduazione dell’attività conformativa di quest’ultima: una prima rivalutazione dei titoli del solo appellante e solo ove mai per gli stessi il candidato risultasse meritevole di un punteggio superiore al minimo la Commissione dovrà rivalutare i titoli degli altri concorrenti.
3. Annullamento o risarcimento danni?
L’altro problema è quello di stabilire se il ricorrente che abbia ottenuto l’annullamento della graduatoria (chiedendolo espressamente negli atti di causa) possa ottenere dal Giudice amministrativo la tutela risarcitoria.
Sul punto sono state elaborate nel corso degli anni varie tesi contrastanti.
Un primo indirizzo era propenso nel ritenere che il Giudice amministrativo non possa disporre l'annullamento dell'atto illegittimo quando nessun vantaggio arrechi al ricorrente né ne derivi alcun beneficio agli interessi pubblici potendo, invece, mutare d'ufficio la domanda e disporre unicamente il risarcimento del danno, senza il previo annullamento degli atti illegittimi. In tal caso sarebbe richiesto all’interessato di formulare espressa domanda di risarcimento derivante dalla illegittimità della procedura concorsuale in modo tale che il giudizio potrebbe definirsi con l'accoglimento della domanda risarcitoria senza necessità di provvedere all'annullamento degli atti impugnati, potendo il giudice "modulare" la tutela, in considerazione del danno sociale che deriverebbe da un eventuale annullamento.
Secondo altro indirizzo, il comma 3 dell'art. 34 del C.p.a. non imporrebbe all’interessato un’espressa richiesta risarcitoria atteso che la norma utilizza una espressione vincolante e, quindi, ne deriva che la sussistenza dell'interesse può essere compiuta d'ufficio anche in assenza di domanda
Di segno opposto è emersa altra tesi secondo la quale incombe sempre sulla parte istante l'onere di allegare i presupposti per la successiva azione risarcitoria e, quindi, di proporre espressamente, se pure non formalisticamente ma in sostanza, la domanda di accertamento dell'illegittimità o di manifestare un interesse al solo accertamento a successivi fini risarcitori
Nel corso degli ultimi anni è risultata prevalente la tesi dell’osservanza del principio della domanda anche nel processo amministrativo.
Infatti, sulla base di tale principio che regola il processo amministrativo, il Giudice amministrativo, una volta ritenuta la fondatezza del ricorso, non può ex officio limitarsi a condannare l'Amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti agli atti illegittimi impugnati anziché procedere al loro annullamento, che abbia formato oggetto della domanda dell'istante ed in ordine al quale persista il suo interesse, ancorché la pronuncia (che disponga la rinnovazione in tutto o in parte, della procedura esperita) possa recare gravi pregiudizi ai controinteressati, anche per il lungo tempo trascorso dall'adozione degli atti.
Pertanto, se dal giudizio di primo e secondo grado emerge un persistente interesse del ricorrente all'annullamento, nella forma di interesse strumentale ad ottenere la rinnovazione della procedura concorsuale, il Giudice amministrativo non ha il potere di mutare la domanda di annullamento in domanda risarcitoria non rilevando in tal caso nemmeno il tempo trascorso dall’annullamento dell’atto in sede giurisdizionale. Il Giudice, dunque, può non già modulare la forma di tutela sostituendola a quella richiesta, ma determinare, in relazione ai motivi sollevati e riscontrati e all'interesse del ricorrente, la portata dell'annullamento, con formule ben note alla prassi giurisprudenziale, come l'annullamento parziale, "nella parte in cui prevede" o "non prevede", oppure "nei limiti di interesse del ricorrente".
4. Il riparto di giurisdizione tra G.A e G.O.
Sotto il profilo del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in tema di proposizione della domanda risarcitoria nei confronti della P.A. per i danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo illegittimo, va segnalato il recentissimo principio della Suprema Corte di Cassazione, confermativo di quello precedente, secondo cui la giurisdizione deve essere determinata sulla base della domanda, dovendosi guardare, non già alla prospettazione compiuta dalle parti, bensì al "petitum sostanziale". Quest'ultimo deve essere identificato, non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al Giudice, quanto, soprattutto, in funzione della "causa petendi", ossia dell'intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio, da individuarsi con riguardo ai fatti.
Sulla base di tale principio, la giurisprudenza ha affermato che la domanda risarcitoria proposta nei confronti della P.A. per i danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo illegittimo rientra nella giurisdizione ordinaria, non trattandosi di una lesione dell'interesse legittimo pretensivo del danneggiato (interesse soddisfatto, seppur in modo illegittimo), ma di una lesione della sua integrità patrimoniale ex art. 2043 c.c., rispetto alla quale l'esercizio del potere amministrativo non rileva in sè, ma per l'efficacia causale del danno-evento da affidamento incolpevole
E’ stato inoltre ritenuto che in tema di riparto della giurisdizione, l'attrazione (ovvero concentrazione) della tutela risarcitoria dinanzi al Giudice amministrativo può verificarsi soltanto quando il danno patito dal soggetto sia conseguenza immediata e diretta della dedotta illegittimità del provvedimento che egli ha impugnato; ciò in quanto il risarcimento del danno ingiusto non costituisce una materia di giurisdizione esclusiva, ma solo uno strumento di tutela ulteriore e di completamento rispetto a quello demolitorio. Pertanto, la domanda risarcitoria proposta nei confronti della P.A. per i danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica e legittimamente annullato rientra nella giurisdizione ordinaria, atteso che viene denunciata non già la lesione di un interesse legittimo pretensivo, bensì una situazione di diritto soggettivo, rappresentata dalla conservazione dell'integrità del proprio patrimonio, deducendo il privato di avere sopportato perdite e/o mancati guadagni a causa dell'emissione del provvedimento amministrativo.
Riferimenti bibliografici
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Cons. Stato, sent. 13 aprile 2015, n. 4
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Cons.Stato sezione VI n. 2755 del 2011
Cons. Stato, V, 12 maggio 2011, n.2817
Cons. Stato, V, 14 dicembre 2011, n.6539 e 6 dicembre 2010, n.8550.
Cfr. Cons. Stato (Ad. Plen.), 13-04-2015, n. 4
Cass. civ. Sez. Unite Ord., 02-03-2018, n. 4996Cass., Sez. Un., n. 15323 del 25/06/2010; Sez. Un., n. 20902 del 11/10/2011; Sez. Un., n. 2360 del 09/02/2015; Sez. Un., n. 11229 del 21/05/2014.
Cass., Sez. Un., n. 17586 del 04/09/2015
Cass., Sez. Un., n. 6594 del 23/03/2011
Cass., Sez. Un., n. 12799 del 22/05/2017; Cass., Sez. Un., n. 19171 del 02/08/2017