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Pubbl. Mer, 19 Set 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

Il nuovo volto del sistema amministrativo tra sussidiarietà orizzontale e semplificazione

Annarita Sirignano


Disamina sul ruolo preponderante assunto dalla sussidiarietà orizzontale e dalla semplificazione nel processo di ristrutturazione che negli ultimi decenni ha interessato il sistema amministrativo, dando la stura alla riforma Madia e determinando un ripensamento dei rapporti tra cittadino e soggetto pubblico.


Sommario: 1. Premessa 2. L’attività autoritativa del soggetto pubblico: nozione di funzione amministrativa. 3. La sussidiarietà orizzontale: nozione, fonti e ambiti di operatività. 4. La semplificazione amministrativa. 5. Punti di contatto tra i due principi. 6. Un’ipotesi emblematica: la funzione autorizzatoria.

Sommario: 1. Premessa 2. L’attività autoritativa del soggetto pubblico: nozione di funzione amministrativa. 3. La sussidiarietà orizzontale: nozione, fonti e ambiti di operatività. 4. La semplificazione amministrativa. 5. Punti di contatto tra i due principi. 6. Un’ipotesi emblematica: la funzione autorizzatoria.

1. Premessa

L’analisi del nesso intercorrente, da un punto di vista squisitamente giuridico, tra il concetto di funzione amministrativa e i due fondamentali principi di sussidiarietà orizzontale e semplificazione – assiomi cui deve indiscutibilmente ritenersi informato l’agere publicum in ogni sua estrinsecazione – costituisce per chiunque si approcci allo studio della materia argomento di estremo interesse nonché punto di abbrivio di fondamentali riflessioni.

Ciò risulta ancor più evidente ove si abbia contezza dei molteplici interventi di riforma che negli ultimi decenni, prendendo le mosse dalla legge n. 241/90 e risentendo altresì dell’influenza del diritto comunitario, hanno interessato il sistema amministrativo, modificandone profondamente le fondamenta, nell’ottica di un radicale ripensamento dell’atteggiarsi del rapporto tra autorità pubblica e cittadino. Si pensi, tra le altre, alla recente legge n.124 del 2015 contenente la delega al Governo per la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (c.d. Riforma Madia).

Tali interventi legislativi, ancorché diversi nei contenuti, risultano a ben vedere animati da una finalità comune, essendo nel complesso volti a consentire l’implementazione in seno all’agere publicum del buon andamento. Quest’ultimo va inteso nella sua accezione sostanziale, che da un lato postula il riconoscimento sul piano concettuale della sua autonomia rispetto al principio di legalità (altro fondamentale assioma nel sistema amministrativo), dall’altro ne individua il dominio gnoseologico di appartenenza non nel diritto bensì nelle scienze economiche, come del resto si evince plasticamente già attraverso la mera enunciazione dei suoi tre corollari (economicità, efficacia ed efficienza). Prendendo in prestito un’espressione adoperata da autorevole dottrina, ben può dirsi che le riforme succedutesi in materia abbiano determinato il trapasso da un’amministrazione di atti ad un’amministrazione di risultato. In altre parole, alla luce del nuovo quadro emerso, obiettivo dell’autorità pubblica deve considerarsi non solo il perseguimento dell’interesse generale, ma anche l’ottimale allocazione delle risorse disponibili mercé l’individuazione delle modalità di azione più convenienti in un’ottica costi/benefici.

Orbene, nel corso della presente trattazione si tenterà di far emergere il ruolo preponderante assunto dai principi di sussidiarietà orizzontale e semplificazione nel processo di ristrutturazione del sistema amministrativo ut supra descritto.

Ciò posto, stanti l’indiscutibile ampiezza e complessità dell’oggetto di indagine, pare opportuno a parere della scrivente procedere per gradi suddividendo la trattazione in più parti.

In primis si cercherà di chiarire il significato dell’endiadi funzione amministrativa, spiegando attraverso l’impiego del meccanismo inferenziale quanto espresso dalla formula di sintesi che la definisce quale “potere nel suo farsi atto”. Si passerà quindi all’analisi dei principi di sussidiarietà orizzontale e di semplificazione, ponendo in luce i punti di contatto e le differenze tra gli stessi nonché andando a verificare se ed eventualmente in che modo essi interferiscano con l’esercizio dell’attività autoritativa della p.a. Oggetto di analisi sarà, da ultimo, la disciplina dei provvedimenti autorizzatori, quali figure massimamente emblematiche della dialettica tra autorità e libertà. Si avrà riguardo, in particolare, di stabilire se eventuali mutamenti della stessa debbano sussumersi nell’alveo della semplificazione o della sussidiarietà orizzontale, chiarendo in tal modo i termini di una vexata quaestio oggetto di dispute tanto in dottrina quanto in giurisprudenza.

2. L’attività autoritativa del soggetto pubblico: nozione di funzione amministrativa.

Tradizionalmente la funzione amministrativa indica il prodotto dell’attività autoritativa della pubblica amministrazione, inquadrabile nell’ambito del rapporto di primo livello e riconducibile allo schema norma- potere- effetto. In altre parole, l’amministrazione si avvale di un potere attribuitole dalla legge per il doveroso perseguimento dei fini da essi indicati. Detto modello caratterizza tutti i provvedimenti amministrativi, indipendentemente dalle rispettive peculiarità, dalla natura vincolata o discrezionale, dalla portata ampliativa o restrittiva della sfera giuridica del destinatario. Sono, infatti, rinvenibili diversi elementi costanti. In primis, l’effetto giuridico si produce sempre in virtù di un atto unilaterale, consistente nell’esercizio di un potere, quale espressione di una posizione di forza nella modificazione del mondo giuridico. Secondo carattere comune è dato dall’autoritatività, la quale denota come, nella forma di attività in esame, il rapporto tra cittadino ed amministrazione pubblica sia connotato dalla netta posizione di supremazia di quest’ultima. Diversamente da quanto accade nel diritto privato al destinatario dell’atto non è dato rifiutarne gli effetti, siano essi favorevoli o meno. I provvedimenti amministrativi sono altresì governati dai principi di tipicità (che ne esprime la riferibilità ad un potere positivamente previsto) e tassatività (che implica, invece, il numero chiuso degli stessi). Va ricordato tuttavia, come il rapporto di primo livello non coincida esclusivamente con l’attività provvedimentale, ricomprendendo altresì i comportamenti che siano espressione di un potere di cura dell’interesse pubblico, come ad esempio quelli in materia edilizia, urbanistica ed espropriativa.

Essenziale, al fine di chiarire il corretto significato della locuzione funzione amministrativa, è prendere le mosse dalla formula di sintesi coniata dal Benvenuti ed accolta dalla più autorevole dottrina che la definisce quale “potere nel suo farsi atto”. A parere della scrivente, siffatta definizione non può essere spiegata se non attraverso la ricostruzione dello schema inferenziale che è alla base del meccanismo di produzione dell’effetto giuridico   del potere. Premessa minore dell’inferenza de qua è data dalla situazione di fatto che giustifica l’intervento della pubblica amministrazione (si pensi ad esempio ad una situazione di pubblica urgenza), nonché dal potere alla stessa positivamente conferito per la realizzazione di detto intervento. La premessa maggiore è integrata dalla norma attributiva del potere e dai principi generali che ne disciplinano l’esercizio. Configura, invece, la conclusione l’atto o comportamento amministrativo finale.

In quest’ottica la funzione assurge a tecnica giuridica per la realizzazione di un compito fondato sull’esercizio di un potere. Essa consente di colmare lo “spazio” venutosi a creare tra la fattispecie legale ed il provvedimento, segnando il trapasso da una visione statica (che guarda al potere per come previsto e strutturato dalla norma) ad una dinamica (che invece pone l’accento sul suo esercizio).

Più ampio rispetto al concetto di funzione è quello di attività amministrativa, idoneo a ricomprendere altresì i contratti ad evidenza pubblica (attività paretica, riconducibile al rapporto di secondo livello ed inquadrabile nello schema norma- fatto-effetto) e gli accordi (attività mista, rapporto di terzo livello, derivante dalla combinazione dei due schemi suddetti).

Tanto premesso, è necessario procedere all’analisi dei principi di sussidiarietà orizzontale e semplificazione, ponendo in luce un primo, importante punto di contatto: entrambi rispondono, seppure con modalità diverse, ad una medesima esigenza di modernizzare il sistema pubblico, secondo una logica di maggiore attenzione al soddisfacimento dei bisogni dei privati (cd. consumer satisfaction). Tale direttiva di fondo appare del resto massimamente coerente con l’impostazione della legge 241/90, che guarda al cittadino non più quale mero destinatario passivo del provvedimento, ma come titolare di un interesse salvaguardato dalla legge. Obiettivo di entrambi i fenomeni è, in altre parole, quello di consentire all’amministrazione una più piena realizzazione dell’interesse generale (inteso quale sintesi di tutti gli interessi, pubblici e privati, individuali collettivi e diffusi, primari e secondari, coinvolti).

3. La sussidiarietà orizzontale: nozioni, fonti e ambiti di operatività

A parere della scrivente, utile, prima di procedere ad un più approfondito esame della sussidiarietà orizzontale, è accennare, seppur brevemente, alle origini culturali del concetto. Il termine sussidiarietà deriva dal latino subsidium (aiuto, soccorso) ed era adoperato nella terminologia militare romana per indicare le truppe di riserva che rimanevano dietro al fronte pronte, ove necessario, ad intervenire in aiuto a quelle schierate in prima linea. Risale invece a tempi assai più recenti l’impiego del termine nel contesto dell’organizzazione sociale ed ancor più dell’ordinamento giuridico. Primi cenni di una riflessione in materia possono farsi risalire al pensiero aristotelico, che fa riferimento al concetto di bene comune, quale risultato di una pluralità di apporti che si pongono tra loro in concorso e non in conflitto. La formulazione classica del principio di sussidiarietà è, tuttavia, dovuta alla dottrina sociale cattolica ed in particolare all’ Enciclica “Quadrigesimo Anno” di Papa Pio XI, pubblicata nel 1931. Nell’opera in esame, detto principio è visto quale strumento di valorizzazione della capacità della persona e delle formazioni sociali contro lo statalismo. Si afferma che l’autorità non può considerarsi detentrice della competenza assoluta quanto alla realizzazione dell’interesse generale. Sarebbe pertanto sacrilego togliere a dei singoli uomini delle competenze che essi ben potrebbero eseguire e darle allo Stato, potendo tutt’al più quest’ultime essere affidate a comunità inferiori, comunque più vicine ai cittadini. Resta fermo che l’intervento ausiliario del “potere” di grado superiore, consentito solo ove strettamente necessario, debba svolgersi con un atteggiamento tale da lasciare al beneficiario il più ampio spazio possibile di autonomia.

Nell’ordinamento giuridico, la sussidiarietà deve la sua comparsa al diritto comunitario e assurge a criterio di distribuzione dei compiti, in verticale (tra i vari enti territoriali che compongono la Repubblica) ed in orizzontale (tra pubblico e privato).

Ciò posto, prima di procedere ad una più approfondita disamina delle fonti normative e degli ambiti di estrinsecazione del principio de quo, pare opportuno individuarne il fondamento scientifico, all’uopo palesandosi imprescindibile il richiamo alle scienze esatte.

Va rilevato anzitutto che il sistema amministrativo, a differenza di quello civile, non può essere spiegato tramite il ricorso alla teoria dei giochi, in quanto il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione non rientra in nessuna delle due relazioni (cooperativa e competitiva) spiegate da tale teoria, ma (come visto in precedenza) appartiene ad un’ulteriore e diversa tipologia: la relazione autoritativa. A ben vedere, tuttavia, non esistono nell’ambito né delle scienze naturali né di quelle sociali leggi di copertura che prescrivono che un soggetto debba avere posizioni di supremazia. Al contrario, in un mondo “perfetto”, in cui i giocatori obbediscano alle sole leggi della ragione, le posizioni di autorità in partenza non consentono il raggiungimento della migliore allocazione delle risorse, in quanto destinate a precludere l’affermazione del soggetto migliore: quello più razionale. Costui è infatti, proprio in virtù delle sue qualità, destinato a guadagnare una posizione di forza una volta terminata la competizione. Si comprende quindi come la teoria dei giochi non solo non sia idonea a fondare la supremazia del soggetto pubblico rispetto al privato, ma addirittura guardi ad essa con sommo sfavore, ravvisandovi uno strumento capace di inficiare il corretto funzionamento dei meccanismi ivi contemplati. La ratio della relazione autoritativa va dunque rinvenuta non già nelle regole matematiche (che in questo caso non si applicano), ma nell’imperfezione del sistema in cui operano sia il cittadino sia l’amministrazione. In quest’ottica l’intervento dello Stato, quale soggetto terzo dotato di supremazia, può trovare giustificazione in necessità di carattere politico od economico. Si pensi, sotto il primo profilo, al settore sanità, in cui l’intervento pubblico è dettato esclusivamente dall’adesione al principio solidaristico di cui all’art. 2 della nostra Carta fondamentale e volto, per espressa previsione dell’art. 1 della legge n. 833/78, a garantire anche ai soggetti meno abbienti un livello minimo di prestazioni. Alla stregua delle leggi economiche, invece, lo Stato interviene in quei settori in cui non vi siano imprese in grado di produrre beni o servizi con remunerazione dei capitali impiegati (nei quali si realizzino cioè “fallimenti del mercato”). Si pensi, a titolo esemplificativo, ai settori della giustizia e della difesa militare, i quali richiedono la produzione di beni o servizi indivisibili, fruibili indistintamente da parte della collettività tutta. Risulta di facile comprensione come nessun’impresa privata si accollerebbe i relativi costi di produzione, vista l’impossibilità di escludere dal godimento coloro che non contribuiscano economicamente.

Alla luce delle considerazioni svolte, ben si evince come fondamento scientifico della sussidiarietà vada individuato, da un lato, nella complessità del reale e nella conseguente necessità di individuare i soggetti che meglio conoscano le leggi di copertura che governano i singoli segmenti di esso, dall’altro nella diffidenza con cui le scienze tradizionalmente guardano all’attribuzione di posizioni di autorità, atteggiamento quest’ultimo che ben giustifica – rendendola anzi doverosa – la devoluzione ai privati di compiti di interesse generale allorquando gli stessi sia capaci di ottemperarvi in maniera ottimale.

Ciò posto, come già rilevato in precedenza, la primigenia affermazione della rilevanza del principio de quo è dovuta al diritto comunitario. Va richiamato, in proposito, l’art. 5 comma 3 TFUE che fa riferimento alla ripartizione di competenze tra Unione e Stati membri. Ai sensi di tale norma, nei settori che non siano di sua competenza esclusiva, la prima può intervenire esclusivamente se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione proposta non possano essere perseguiti in misura sufficiente dai secondi, né a livello centrale, né a livello regionale e locale.

Meritevole di cenno nel medesimo contesto, in quanto idoneo a ribadire la centralità riconosciuta all’assioma dall’ordinamento europeo, è altresì l’art. 5 del protocollo n. 2 sui principi di sussidiarietà e di proporzionalità, che testualmente afferma che ogni progetto di atto legislativo dovrebbe essere accompagnato da una scheda contenente elementi circostanziati che consentano di valutare il rispetto dei principi di proporzionalità e di sussidiarietà.

Sul piano nazionale, il principio de quo rinviene copertura, in ambedue le sue accezioni, al massimo grado della gerarchia delle fonti e, segnatamente, agli artt. 117 e 118 Cost.

In tema di sussidiarietà orizzontale – unico aspetto rilevante ai fini della presente trattazione – rilievo determinante deve riconoscersi, già a livello definitorio, all’art. 118, comma 4, ai sensi del quale Stato, regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.

Detta norma, configurante indubbio paradigma ordinatore delle relazioni tra pubblico e privato, va interpretata estensivamente, sì da consentire una rilettura del rapporto autorità/cittadini, in chiave non già di mera integrazione, ma di vera e propria alternatività. Si profila, in altre parole, un obbligo per la prima di devolvere ai secondi quelle attività in cui risulti che essi siano in grado di conseguire un più efficiente risultato.

Ciò spiega i fenomeni di devoluzione ed esternalizzazione di attività amministrative. Mentre la prima ipotesi ha ad oggetto la cessione di funzioni, l’esternalizzazione indica il trasferimento, mediante contratto, ad imprese private di servizi ed attività strumentali aventi finalità di supporto all’amministrazione.

L’art 118, comma 4, va, altresì, letto in combinato disposto con l’art 41 Cost. Ne segue che l’iniziativa economica privata, tradizionalmente concepita per il perseguimento di bisogni individuali, è importata in settori in origine riservati al pubblico e finalizzati al perseguimento dell’interesse generale.

Degno di nota è ancora il collegamento con gli artt. 2 e 18 Cost. dei quali, a ben vedere l’art. 118 comma 4 Cost. rappresenta una conseguenza logica, stante la valorizzazione delle formazioni sociali nelle quali il singolo esplica la propria personalità (quali ad esempio le associazioni), la cui tutela peraltro è realizzata in senso non solo statico, ma anche dinamico, nella prospettiva in cui gli è riconosciuta la possibilità di contribuire con la propria attività al perseguimento dell’interesse generale.

A livello di normazione ordinaria, il principio di sussidiarietà rinviene le proprie affermazioni prodromiche, ossia antecedenti al dettato costituzionale, negli artt. 4, comma 3, della legge n. 59/1997 (cd. Bassanini I) e 3, comma 5, del TUEL. Tali disposizioni fanno riferimento ad esso, rispettivamente, quale criterio attraverso cui operare il conferimento di funzioni da parte delle Regioni agli enti locali e quale parametro cui questi ultimi debbano attenersi nell’espletamento dei propri compiti.

Affermazione conseguente si ravvisa invece nell’art. 7 della legge n. 131/2003(cd. legge La Loggia), volto proprio a dare attuazione al dettato costituzionale.

Ai fini di una maggiore completezza va altresì chiarito che il principio di sussidiarietà, oltre alla finalità suindicata, assurge anche a criterio di svolgimento dei compiti pubblici, espressione di una generale istanza di privatizzazione delle tecniche di esercizio degli stessi. In tal senso deporrebbe l’art. 1, comma 1-bis, l. 241/90, secondo cui: “La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”. Detta norma stabilisce che, eccettuate le ipotesi di esercizio di poteri autoritativi, la pubblica amministrazione nell’esercizio dei propri compiti è tenuta a privilegiare l’impiego di strumenti privatistici, necessitando l’agire secondo il diritto pubblico di un’espressa previsione normativa.

Tanto promesso, per comprendere a pieno i risvolti concreti dell’assioma in parola, bisogna esaminare separatamente i tre diversi settori in cui esso opera (Stato, società e mercato), evidenziandone le principali applicazioni in ciascuno di essi.

Afferiscono allo Stato quei settori in cui vengono in gioco interessi indisponibili attinenti all’esistenza ed alla conservazione dell’apparato pubblico, nei quali la previsione di un’attività autoritativa si giustifica alla luce di un’esigenza di carattere economico, id est la necessità di far fronte a fallimenti del mercato.

In tale ambito rilevano, quali precipitati del principio di sussidiarietà, la soppressione di enti pubblici che perseguano finalità non essenziali nonché l’attribuzione di maggiori spazi di operatività a quegli enti dotati di spiccata autonomia funzionale che si pongano al confine tra Stato e società (si pensi ad esempio ad università, istituti di formazione scolastica o camere di commercio)

Sono altresì riconducibili al settore Stato le ipotesi normativamente previste di devoluzione ai privati di compiti di interesse generale nei settori della pubblica sicurezza e della giustizia. Basti citare, quanto al primo, l’attività di vigilanza privata nonché le guardie giurate, quanto al secondo l’istituto dell’arbitrato (limitato a controversie civili e amministrative vertenti su diritti disponibili e postulante il previo consenso delle parti) o l’istituzione di giudici non togati.

Non possono, invece, considerarsi, attributivi ai privati di compiti di interesse generale gli istituti della mediazione civile (di cui al decreto legislativo n. 20/2010) e della negoziazione assistita (legge n. 162/2014). Trattasi, invero, di strumenti perseguenti indubbie finalità deflattive del contenzioso, il cui impiego mira alla risoluzione in via amichevole delle controversie mercé la stipulazione di un accordo.

Al principio di sussidiarietà orizzontale sono altresì riconducibili, a detta di un più recente orientamento dottrinario, gli istituti della legittima difesa e della facoltà di arresto in flagranza ex artt. 52 e 383 c.p.

Afferiscono al genus società tutti quei settori caratterizzati dall’espletamento di compiti che non siano di spettanza necessaria dello Stato, ma che tuttavia quest’ultimo assuma in virtù della connotazione assistenziale che gli compete ex art. 3 comma 2 Cost.

Applicazione precipua della sussidiarietà orizzontale è rappresentata in tale ambito dalle attività di promozione, riconoscimento e incentivazione degli enti statutariamente preposti al perseguimento di scopi solidaristici.

Valenza emblematica assume in subiecta materia la figura dell’impresa sociale, la cui disciplina è contenuta nel recente decreto legislativo n.112/2017. In particolare, ai sensi dell’art. 1 del testo normativo richiamato, “possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutti gli enti privati, inclusi quelli costituiti nelle forme di cui al libro V del codice civile, che, in conformità alle disposizioni del presente decreto, esercitano in via stabile e principale un'attività d'impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti  e  favorendo  il  più  ampio coinvolgimento dei lavoratori,  degli  utenti  e  di  altri  soggetti interessati alle loro attività”.

Tale definizione vale già di per sé ad illuminare il notevole rilievo che l’introduzione nell’ordinamento giuridico della figura in esame ha assunto a livello sistematico, avendo determinato il superamento dell’asserita incompatibilità ontologica tra scopo assistenziale ed attività di impresa. L’impresa sociale costituisce, in altre parole, manifestazione del fenomeno sociologico noto come “cittadinanza societaria”, volto ad indicare la sussistenza di un sentimento diffuso di solidarietà, che induca la comunità all’assunzione di compiti preordinati al soddisfacimento di interessi generali, alla soluzione dei problemi pratici in essa presenti nonché allo svolgimento di attività che contribuiscano al suo sviluppo. Esso, unitamente alla capacità dei privati di svolgere le attività originariamente demandate all’autorità amministrativa, integra a ben vedere condizione necessaria affinché possa operare la sussidiarietà orizzontale.

Ultimo ambito di applicazione dell’assioma in parola, peraltro dotato di rilievo di gran lunga maggiore ai fini della presente trattazione, è rappresentato dal mercato.

Si pone nel settore in parola l’esigenza di coniugare la sussidiarietà orizzontale con il dettato degli artt. 41, commi 2 e 3, e 43 Cost. Ed invero le norme costituzionali richiamate, pur riconoscendo la libertà dell’iniziativa economica privata, statuiscono che essa non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale e demandano alla legge la determinazione dei programmi e controlli opportuni affinché essa possa essere indirizzata e coordinata ai fini sociali; ancora è prevista la possibilità di riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato o ad enti pubblici determinate imprese che si riferiscano a servizi pubblici essenziali,  a fonti di energia o a situazioni di monopolio e abbiano carattere di preminente interesse generale.

In tal senso, può dirsi come in siffatto ambito la crescente devoluzione ai privati di funzioni di originaria spettanza dell’autorità pubblica abbia determinato il trapasso dallo Stato imprenditore allo Stato regolatore, sulla scorta di esigenze efficientistiche e di valorizzazione della concorrenza in ossequio altresì a quanto previsto dal diritto comunitario.

Precipue applicazioni della sussidiarietà orizzontale nel settore mercato sono rappresentate dalle liberalizzazioni – di cui si dirà nel prosieguo, in quanto fenomeno strettamente avvinto ai mutamenti di disciplina della funzione autorizzatoria – e dalla privatizzazione di enti e società pubbliche.

Quest’ultima può avere carattere formale o sostanziale. Nel primo caso si concreta nel mero mutamento dello strumento adoperato, comportando la trasformazione dei principali enti in società per azioni, fermo restando il controllo della mano pubblica; nel secondo, la privatizzazione si sostanzia nel più incisivo passaggio dalla proprietà pubblica a quella privata, perpetrato attraverso la dismissione delle partecipazioni azionarie.

Ancora, applicazione della sussidiarietà orizzontale può considerarsi l’attività svolta dalle SOA (società organismo di attestazione), che assolvono a un ruolo importante nell’attestazione delle qualificazioni in materia di contratti pubblici.

4. La semplificazione amministrativa

Tanto chiarito, occorre passare alla disamina del secondo assioma richiamato, quello di semplificazione.

Esso implica un ripensamento delle modalità di esercizio dell’agere publicum, nell’ottica della riduzione dei costi, di un incremento efficientistico e di una più ampia tutela dell’interesse del cittadino e può attenere sia alla funzione o all’organizzazione amministrativa, sia alle fonti del diritto vigenti in materia.

Va rilevato tuttavia come la semplificazione normativa riguardi solo indirettamente il tema che ci occupa. Ed invero, attraverso il miglioramento qualitativo delle disposizioni vigenti, si rende più agevole la conoscibilità del precetto da parte tanto dei cittadini quanto dei soggetti chiamati a darvi attuazione (in primis, quindi, l’amministrazione), evitando dubbi interpretativi e conseguenti disparità di trattamento pur a fronte di situazioni analoghe.

Cionondimeno, ai fini di una maggiore completezza espositiva, è opportuno quanto meno citare i principali strumenti attraverso cui essa si realizza.

In particolare, costituiscono applicazione della semplificazione normativa, oltre all’eliminazione di disposizioni inutili – in quanto, ad esempio, oggetto di abrogazione tacita, prive di reale contenuto normativo, concernenti materie irrilevanti o effetti già prodotti – e al riordino delle normative vigenti mediante la predisposizione di testi unici, l’A.I.R. e la V.I.R. Tali strumenti sono disciplinati dall’art. 14 della legge 246 del 2005. Più nello specifico, l’analisi di impatto della regolamentazione appare volta a valutare preventivamente gli effetti che l’intervento normativo ipotizzato potrebbe produrre sull’attività dei cittadini e delle imprese, nonché sull’organizzazione e l’attività pubblica, al fine di selezionare tra le diverse soluzioni praticabili, ivi compresa la possibilità di non intervenire (cd. opzione zero), quella preferibile.

La V.I.R consiste, invece, in una periodica valutazione in ordine al raggiungimento delle finalità prefissate e nella stima dei costi e delle ricadute prodotte da atti normativi già in vigore sui fattori di cui sopra.

La semplificazione amministrativa, come già evidenziato in precedenza, può attenere all’organizzazione o all’attività pubblica.

Per quel che rileva ai fini della presente trattazione, costituiscono strumenti di attuazione del principio in parola la sostituzione dei provvedimenti abilitativi preventivi ed espressi con la SCIA e con il silenzio assenso (artt. 19 e 20 della legge n. 241/90), la conferenza di servizi (artt.14 ss. della predetta), la riduzione degli oneri amministrativi gravanti sui cittadini e sulle imprese nonché il decremento del numero, delle fasi e dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi.

Ancora, può ricondursi alla semplificazione l’incentivazione dell’impiego della telematica di cui all’art. 3 bis della succitata legge, pacificamente considerata unitamente all’accesso civico quale nuovo modo di intendere il rapporto tra cittadino e amministrazione, facendo di quest’ultima una sorta di “casa di vetro”.

Quanto ai riferimenti normativi, valenza centrale in materia assume l’art. 20, comma 3, della legge cd. Bassanini I.

Tale disposizione, nel conferire delega al governo in materia di semplificazione amministrativa e riassetto normativo, lo invita ad attenersi tra gli altri a due criteri direttivi: da un lato l’eliminazione e ristrutturazione delle funzioni amministrative di controllo delle attività private e dei compiti attribuiti in settori non presidiati da interessi pubblici fondamentali, dall’altro la semplificazione di procedimenti relativi alle funzioni mantenute.

Quanto al primo aspetto, oltre alla chiusura di attività amministrative in settori in cui l’azione pubblica si palesi non necessaria, intenzione del legislatore è quella di procedere ad un’eliminazione degli interventi amministrativi autorizzatori e delle misure di condizionamento della libertà contrattuale, laddove non vi ostino interessi pubblici alla difesa nazionale, all’ordine ed alla sicurezza pubblica , all’amministrazione della giustizia ed alla regolazione dei mercati ed alla tutela della concorrenza.

Relativamente al secondo punto, si intende invece far riferimento alla riduzione dei termini per la conclusione dell’iter procedimentale, alla diminuzione del numero dei procedimenti, al loro accorpamento nonché all’eliminazione di quelli che comportino una valutazione negativa in termini di costi/benefici tanto per l’autorità pubblica, quanto per il cittadino.

Riferimento normativo rilevante in subiecta materia è altresì l’art. 23 della legge n. 35 del 2012, nel quale si richiama esplicitamente la finalità di semplificare le procedure in materia ambientale e ridurre gli oneri per le piccole e medie imprese, a riprova della particolare attenzione da parte del legislatore per il settore richiamato, la cui rilevanza è tale da richiedere una procedura particolarmente snella, in ossequio ad esigenze di efficienza e di proporzionalità.

5. Punti di contatto tra i due principi.

Alla luce di quanto esposto, ben si evince come sussidiarietà orizzontale e semplificazione operino su un terreno comune, essendo ambedue volte al perseguimento di una stessa finalità (id est: da un lato, l’implementazione in seno al sistema amministrativo del buon andamento in senso economico, dall’altro il perseguimento di un’ottimale consumer satisfaction).

Cionondimeno, assai diverso deve considerarsi il relativo modus operandi: segnatamente la sussidiarietà orizzontale si sostanzia nella devoluzione ai privati di funzioni originariamente appannaggio dell’agere publicum, la semplificazione nel mero alleggerimento dell’iter procedimentale. Con maggior impegno esplicativo, può dirsi che nel primo caso la funzione amministrativa viene eliminata, nel caso essa viene resa di più agevole e rapido esercizio.

6. Un’ipotesi emblematica: la funzione autorizzatoria.

Tanto chiarito sul piano generale, occorre fare applicazione delle coordinate sinora tracciate alla disciplina delle autorizzazioni. Come già anticipato, è d’uopo in particolare chiedersi se i mutamenti del relativo regime – id est, le liberalizzazioni delle attività economiche private – integrino applicazione della sussidiarietà orizzontale ovvero della semplificazione.

In punto definitorio, va rilevato come le autorizzazioni costituiscano, unitamente alle concessioni, funzioni ampliative, in quanto l’agere publicum appare volto all’emanazione di un provvedimento favorevole al destinatario. Esse rispondono ad una finalità di controllo e di programmazione (realizzando un intervento indiretto dello Stato nell’economia): le stesse, infatti, consentono all’amministrazione da un lato di verificare che l’iniziativa economica privata si svolga nel formale rispetto delle prescrizioni normative e non persegua obiettivi riprovati dall’ordinamento, dall’altro di coordinare tale iniziativa rendendola compatibile con quanto statuito nei programmi generali predisposti al fine di garantire un ordinato e razionale sviluppo dei singoli settori interessati.

Più in particolare, l’ubi consistam della fattispecie autorizzatoria deve ravvisarsi nella rimozione di un limite all’esercizio di un diritto o di altra situazione di vantaggio preesistente in capo all’istante, da effettuarsi per il tramite di una valutazione discrezionale che sia preceduta da una delicata operazione di bilanciamento tra l’interesse pubblico e quello privato.

Vexata quaestio, in dottrina e in giurisprudenza, è quella afferente alla natura giuridica dei provvedimenti in questione. Deve tuttavia preferirsi, a parere della scrivente, l’impostazione secondo essi avrebbero effetti meramente permessivi e non costitutivi di situazioni giuridiche in capo al privato, stante il rapporto di accessorietà in cui si porrebbero rispetto ad un diritto già esistente.

Quanto alla disciplina, occorre ricordare che quello autorizzatorio è un procedimento ad istanza di parte finalizzato a verificare l’esistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi per il rilascio del provvedimento.

Il richiedente sarà, dunque, titolare di un interesse legittimo pretensivo. Ne segue che, ove l’amministrazione rimanga inerte ovvero emani un provvedimento di diniego, egli potrà rispettivamente esperire il rito sul silenzio o impugnare il provvedimento illegittimo.

Il risarcimento del danno sarà tuttavia in re ipsa solo nel primo caso (ai sensi dell’art. 2 bis della legge 241/90), occorrendo nel secondo altresì una valutazione prognostica in ordine alla fondatezza dell’istanza del privato.

Quanto alla tutela dei terzi, occorre distinguere a seconda che si tratti di controinteressati (al provvedimento e al procedimento) ovvero di terzi indifferenziati che vengano occasionalmente in contatto con l’attività espletata sulla base dell’autorizzazione.

Nel primo caso, occorre distinguere a seconda che il terzo sia titolare di un interesse pretensivo di natura analoga e antagonista rispetto a quello del destinatario (aspirando egli all’ottenimento di un atto di eguale contenuto) ovvero di un interesse oppositivo, avendo quale scopo la mera caducazione dell’autorizzazione. Rimedio esperibile sarà in entrambi i casi l’impugnazione del provvedimento, ferma restando la ristorabilità ex art. 2043 c.c. di eventuali pregiudizi patiti.

Quanto invece ai terzi indifferenziati, deve segnalarsi come le autorizzazioni vengano di solito rilasciate con la clausola “salvi i diritti dei terzi”, attraverso la quale l’amministrazione intende esonerarsi da ogni responsabilità civile o penale in cui possa incorrere.

Ultimo profilo rilevante sul piano della disciplina attiene alla distinzione, propugnata da parte della dottrina tra autorizzazioni ob personam e ob rem.

Le prime si caratterizzano per l’instaurazione di un rapporto fiduciario tra il beneficiario e l’amministrazione, tale da comportare l’intrasmissibilità e l’incedibilità, nonché l’esclusione salvo casi eccezionali dell’operatività dell’istituto della rappresentanza.

Tali limitazioni non sussistono per la seconda categoria, postulante invece una valutazione discrezionale in ordine ai requisiti concernenti una res.

Tanto chiarito occorre passare all’analisi del fenomeno della liberalizzazione delle attività economiche private.

In punto definitorio può dirsi come il fenomeno richiamato, anche sulla scorta di quanto statuito dal diritto comunitario, miri alla eliminazione di limiti numerici, barriere o requisiti che circoscrivano l’accesso a tali attività. Liberalizzare un’attività significa in altre parole sottrarre la stessa dai condizionamenti che ne ostacolino lo svolgimento.

Finalità da perseguire appare pertanto quella di potenziare l’iniziativa economica privata, rendendola esente da limitazioni di derivazione pubblicistica, nonché di favorire l’insorgere di forme di autoresponsabilità.

Decisivo impulso in tale direzione è arrivato dalle fonti sovranazionali.

Volgendo lo sguardo al diritto europeo, in particolare, può rilevarsi come l’ordinamento comunitario – anche in ossequio alle libertà di stabilimento e di prestazione di servizi sul territorio dell’Unione (di cui rispettivamente agli artt. 49 e 56 TFUE) – non veda di buon occhio eventuali restrizioni apposte ad attività economiche private.

Tale orientamento è stato altresì ribadito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, la quale ha rimarcato come un regime autorizzatorio possa sopravvivere solo in casi eccezionali. Segnatamente occorre che lo stesso sia giustificato da motivi imperativi di interesse generale, sia applicato in maniera non discriminatoria e risulti idoneo al conseguimento dello scopo perseguito, né vada oltre quanto necessario per il suo raggiungimento in ossequio al principio di proporzionalità.

Sulla scia di tali premesse, nel 2006 è stata emanata la direttiva servizi, trasposta nel nostro ordinamento ad opera della legge n. 59 del 2010.

Tale intervento normativo reca centrali disposizioni in materia, individuando i casi in cui è consentito limitare l’accesso ad un’attività di prestazione di servizi, subordinandolo al possesso di determinati requisiti e ribadendo che l’istituzione di regimi pubblicistici di autorizzazione è consentita solo ove sussistano motivi imperativi di interesse generale e nel rispetto dei principi di proporzionalità e di non discriminazione.

Ulteriore disposizione rilevante è infine rappresentata dalla legge n. 148 del 2011, il cui art. 3 detta un principio di notevole impatto sistematico, stabilendo che l’iniziativa e le attività economiche private sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge, divieti apponibili nei soli casi di vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, contrasto con i principi fondamentali della costituzione , danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana e contrasto con l’utilità sociale, nonché disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali o vegetali , dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale.

In punto di conclusioni, occorre evidenziare come i fenomeni di liberalizzazione sinora esaminati, determinando la fuoriuscita dello Stato da interventi indiretti sull’economia e la conseguente eliminazione di funzioni amministrative, attengano non alla semplificazione, ma alla più incisiva sussidiarietà orizzontale. Si resterebbe invece, nell’ambito della prima, ove la disciplina autorizzatoria fosse oggetto di mero snellimento, di talché si configuri non una deregulation, ma una better regulation.

Riferimenti bibliografici

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  • P. Virga, Il provvedimento amministrativo, terza ed., Giuffrè, 1968