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Pubbl. Ven, 14 Set 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

Decreto ingiuntivo revocabile se la delibera di riparto delle spese condominiali è nulla

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Maria Avossa
Università degli Studi di Salerno


La nullità della delibera assembleare rilevata d’ufficio, anche in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, determina la revocabilità del titolo monitorio emesso sulla scorta dell’atto viziato. Così ha deciso la Cassazione, sez. VI civ., con sent. 21.06.2018 n. 16389, in virtù del principio dettato in materia di contratti dall’art. 1421 c.c.


Sommario: 1. Introduzione. 2. La natura giuridica del condominio. 3. La modalità di formazione della volontà in condominio e vizi delle delibere assembleari. 4. Il sindacato incidentale della validità della delibera assembleare e la sentenza della Corte di Cassazione civile, sez. VI, 21.06.2018, n. 16389. 5. Osservazioni conclusive.

1. Introduzione 

La pronuncia della Corte di Cassazione civile, sez. VI, 21.06.2018 n. 16389 è intervenuta sulla questione dell’applicazione dei principi dettati in materia di contratti alla nullità della delibera assembleare. I temi affrontati incidono fortemente sulla disciplina di diritto sostanziale del condominio - codicisticamente prevista dagli artt.1117 c.c. e seguenti - ed allo stesso tempo interessa il profilo della titolarità del diritto di tutela giurisdizionale della posizione del singolo che forma la compagine condominiale unitamente agli altri titolari.

Più a monte - per ciò che concerne gli aspetti di diritto sostanziale -  con questa pronuncia i giudici di legittimità tornano ad imbattersi in tematiche ben note alla dottrina ed alla giurisprudenza ricollegate al contrasto esistente tra le posizioni giuridiche soggettive del diritto di proprietà dei singoli (art.832 c.c. e s.s.)  ed il rispettivo corrispondente diritto -pro indiviso- sulle parti comuni della struttura di cui gli immobili fanno parte. Come è noto, la disciplina del condominio è riconducibile ad una comproprietà forzosa dei beni comuni (art. 1100 c.c. e ss.) come, anche, al godimento di porzioni di beni condominiali, indicati – sia pur non come un numero chiuso - dall'art 1117 c.c..  Da tempi immemori, per la giurisprudenza, il nodo gordiano è consistito nella difficoltà di tracciare un limite preciso tra l’autonomia dei privati e gli interessi collettivi sui beni condominiali, governati con metodo gestionale collegiale.  È volta a questo scopo, l’esistenza di regole per il rispetto degli interessi collettivi, a cui debbano attenersi tutti i condomini e che -al tempo stesso- costituiscano un limite al libero arbitrio del singolo. A questa funzione assolvono i criteri di proporzionalità nel riparto dei costi comuni per la fruizione e la conservazione di beni e servizi condominiali - fissati dall'art. 1123 c.c. .  Le spese necessarie sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno. La deroga ai criteri legali di proporzionalità va ritenuta nulla, a meno che non sia il frutto di una convenzione approvata all'unanimità mediante delibera espressiva dell'autonomia contrattuale di tutti i condomini.  Identica è la funzione di limite svolta dall’ attività deliberativa demandata all’assemblea che concretizza l’esternazione della volontà collettiva. Quest’ultima, intanto, assume il valore di un atto vincolante per tutti i condomini, in quanto sia stata formata secondo un preciso iter procedimentale previsto dalla legge e nel limite dei poteri attribuiti all’organo deliberativo dal codice civile (art. 66 disp. att c.c., art. 1135 e seg. c.c.).

Tutto ciò non appare, però, sufficiente ad alleggerire le maggiori tensioni teoriche che ruotano attorno a questi istituti il cui punto nodale è stabilire quali siano i poteri esercitabili da parte dei singoli condomini in relazione alla titolarità pro indiviso dei beni. L’analisi della questione passa attraverso la natura giuridica del condominio. A seconda che si tratti di persona giuridica oppure si tratti di un mero ente di gestione, varia la possibilità di estendere l’operatività di taluni istituti giuridici alla disciplina speciale del condominio, tra cui le disposizioni in materia capacità giuridica e l’applicazione dei principi dettati in materia di contratti. Ancor prima, dell’entrata in vigore della legge 11 dicembre 2012 n. 220 (legge di riforma del condominio) si sono venute a creare posizioni contrastanti che la riforma non è riuscita a risolvere. Tutte hanno avuto quale minimo comun denominatore il tentativo di dare soluzione al conflitto tra diritto di proprietà individuale e diritto sulla proprietà collettiva, in particolare sotto il profilo della capacità giuridica del condominio e della sua capacità processuale.  Per tale ultimo aspetto le problematiche si sono ripartite in un doppio binario cioè, da un lato la capacità dell'esercizio dell'azione processuale da parte del condominio e, dall’altro, quella dei singoli condomini di azionare specifici rimedi giudiziali per tutelare le posizioni soggettive dei singoli sui beni comuni dalle attività gestorie e dispositive del condominio (art. 75 c.p.c.).  La salvaguardia della posizione del singolo condomìno attraverso un azione uti singuli è relegata ad un numero ben limitato di forme di tutela individuale, tra cui, ad esempio, la revoca dell’amministratore (art. 1129 c.c.), la tutela della destinazione d’uso dei beni comuni (art. 1117 quater c.c. ) e, non ultima, la disciplina specifica dell’art. 1137 c.c. in tema di opposizione alle deliberazioni assembleari. In particolare, per le azioni impugnative delle delibere, la giurisprudenza si è posta il problema dell’applicazione dei principi dettati in materia di contratti, ivi compreso il disposto normativo dell’art. 1421 c.c. nei casi di delibera affetta da nullità, trattandosi di un atto di volontà collettiva. Il problema è stato trasportato sino alle questioni procedurali di esperimento della relativa azione per ciò che concerne la capacità del giudice di rilevare d’ufficio il vizio della nullità di una delibera condominiale. Risulta lapalissiana, quindi, la necessità di un accurato inquadramento delle tematiche citate per poter dare un idoneo inquadramento alla delicata questione affrontata dalla pronuncia in argomento.   

2. La natura giuridica del condominio.

La giurisprudenza e la dottrina hanno cercato, da sempre, di derimere la “vexata quaestio” della natura giuridica del condominio a causa dell’assenza di una definizione a livello normativo. Partendo dalla lettura del codice, il condominio configura -come già detto- una particolare forma di comunione forzosa, regimentato dalla speciale disciplina che il codice civile detta agli artt. 1117-1139. Una possibile definizione del condominio è quella di organismo comunitario qualificabile come un ente collettivo (1), privo di personalità giuridica. Come tale il condominio non assume la titolarità sulle parti comuni dell’edificio, che continua a spettare ai singoli condomini nell’esercizio dei diritti individuali di ciascun di essi, sia pure in forma regimentata dalle regole gestionali dettate dal codice in materia (2).  La Cassazione si è adoperata per definire la figura ontologica del condominio, articolandosi in due posizioni. La prima (3)  corrisponde ad un orientamento che identifica il condominio come un «ente di gestione», privo di propria personalità distinta da quella di coloro che ne fanno parte. Il condominio, in questa impostazione risulta essere sprovvisto di autonomia patrimoniale e di personalità giuridica, e l'amministratore andrebbe considerato non al pari di un rappresentante organico, ma di un mandatario dei condomini (4). Diverso è il secondo orientamento della giurisprudenza (5) che riconosce la diversa la posizione di altre sentenze di Cassazione, che riconoscono espressamente in capo al condominio la legittimazione ad agire anche in assenza di delibera assembleare (6). Tale orientamento sembra già mostrare qualche apertura in più in ordine al riconoscimento di una seppur minima soggettività giuridica all'ente di gestione-condominio.

In dottrina, parallelamente, si sono sviluppate tre correnti di pensiero, facenti capo a distinte nozioni della natura giuridica del condominio. La prima è la c.d. teoria individualista - capeggiata dal teorico Lino Salis (7) - per la quale il condominio altro non sarebbe se non l'insieme dei proprietari. In quest’ottica ognuno di essi -uti singuli- resta un soggetto distinto dagli altri anche quando assumono diritti e obblighi nascenti per effetto di una deliberazione assembleare. La Cassazione con la pronuncia a sezioni unite n. 9148 del 2018 ha mosso critiche a questa impostazione. Su questa scorta il carattere di non autonomia è stato parzialmente abbandonato favorendo un’altra corrente di pensiero collettivistica. La teoria collettivistica (8), appunto, ha come capostipite lo studioso Giuseppe Branca.  Il condominio in questa impostazione è visto come un ente collettivo e non un semplice gestore delle stesse, dotato di personalità giuridica non unitaria ma collettiva ed al contempo portatore di autonomia patrimoniale (9). Parallelamente, i ragionamenti elaborati per giungere al superamento della concezione del condominio come ente meramente gestorio tendono ad incentrarsi sempre di più sulla configurazione giuridica del rapporto tra proprietà esclusiva e proprietà comune fondato non tanto sul rapporto di accessorietà o di pertinenza, quanto piuttosto nello stato della loro necessaria coesistenza (10). Tale impostazione è il presupposto di una terza teoria, la c.d. teoria mista, per la quale il condominio viene visto come la compartecipazione pro quota sui beni ed assume rilevanza nei rapporti esterni con i terzi tramite l’amministratore. Questi viene considerato come un mandatario munito di poteri rappresentativi ricollegati alla rappresentanza sostanziale e non legato al condominio da un rapporto di immedesimazione organica come sostenuto dalla teoria monistica (o individualistica) proposta dal Salis. In questo quadro interviene la recente e tanto attesa riforma del condominio negli edifici (l. 11 dicembre 2012, n. 220), che non si è di per sé rivelata determinante per la risoluzione del problema, lasciando sia in dottrina che in giurisprudenza il prevalere della teoria mista. Ciò sino a quando a seguito della sentenza a sezioni unite della Corte di Cassazione m 19663 del 2014 si è approdati ad una nozione di condominio che se pur privo di personalità giuridica può essere oggi considerato soggetto di diritto e, come tale ente distino dai singoli condomini, dotato di una distinta autonomia patrimoniale e decisionale.

3.  La modalità di formazione della volontà e vizi delle delibere assembleari

Una volta chiarito lo stato dell’arte della definizione della natura giuridica, è giocoforza esaminare le capacità soggettiva del condominio in relazione alle sue attività decisionali, deputate alla regolazione dei rapporti interni ed esterni. La volontà del condominio si esprime attraverso le decisioni assunte dai singoli condomini riuniti in sede collegiale (assemblea condominiale) e si forma attraverso un iter procedimentale specifico previsto dalle norme codicistiche. Le funzioni decisionali interne al condominio facenti capo all’assemblea sono regolate dall'art. 1136 c.c., il cui ultimo comma espressamente prevede che si rediga processo verbale delle relative deliberazioni da trascriversi in un registro (c.d. dei verbali delle assemblee) tenuto dall'amministratore, ex art. 1130, n. 7, c.c., al cui interno sono annotate le eventuali mancate costituzioni dell'assemblea, le deliberazioni nonché le brevi dichiarazioni rese dai condomini che ne hanno fatto richiesta. Il verbale assembleare ha valore di semplice scrittura privata ed è, pertanto, destinato a provare la provenienza delle dichiarazioni dai suoi sottoscrittori e non anche la veridicità del suo contenuto: sicché la relativa impugnativa può svolgersi ricorrendo ad ogni mezzo di prova, non essendo necessaria la proposizione di una querela di falso (11) . Il verbale assembleare può essere impugnato dal singolo innanzi all’autorità giudiziaria per ottenerne l’invalidazione nel caso in cui sia stato assunto in violazione di legge oppure quando sia affetto da un vizio nell’iter di formazione. Le forme di invalidità delle delibere sono, rispettivamente, l’annullabilità (delibere impugnabili o annullabili) e la nullità (delibere inesistenti e nulle). Le due categorie differiscono per il termine di impugnazione e per il contenuto della domanda di invalidamento. Le delibere impugnabili (o annullabili) possono essere oggetto di impugnazione entro il termine di 30 giorni indicato all’art. 1137 c.c.. Il tenore di questa norma permette ai condomini di promuovere l’azione di impugnazione ove la delibera sia contraria alla legge o al regolamento condominiale. La disposizione non considera, però le delibere affette dal vizio della nullità o inesistenza, in quanto illecite ovvero mancanti di un elemento essenziale, in riferimento al quale è sempre possibile l’impugnazione in ogni tempo e da parte di chiunque dimostri di avervi interesse (12). A tale riguardo, è già stato precisato che le Sezioni Unite della Cass. 07.03.2005 n. 4806 che, in tema di Condominio negli edifici, debbono qualificarsi “nulle” le delibere dell’assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto. Debbono, invece, qualificarsi “annullabili” le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da vizi formali nel processo di formazione della volontà collegiale.

In forza dell’articolo 1137 (13) c.c.. secondo gli Ermellini, a differenza delle ipotesi di annullabilità, nel caso di nullità sarebbero applicabili i principi dettati per gli organi collegiali.  Le deliberazioni prese dall’assemblea condominiale sono sottoposte, perciò, il principio dettato dall’art. 1421 c.c. trattandosi di un atto di volontà espresso dalla collettività condominiale cui è applicabile la disciplina in materia di contratti. In forza dell’art. 1421 c.c.  è attribuito al Giudice (anche d’appello) il potere di rilevare d’ufficio la nullità ogni qualvolta la validità (o invalidità) dell’atto collegiale rientri, per l’appunto, tra gli elementi costitutivi della domanda su cui egli debba decidere (in tal senso Cass. 17.06.2015 n. 12582; Cass. 15.03.2017 n. 6652).

Di norma, il potere del giudice di analisi della delibera viziata -sia nella forma sia nella sostanza del contenuto della delibera- dovrebbe trovare ostacolo per la rilevabilità di ufficio in ragione del vincolo della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.). In realtà, la domanda di declaratoria dell'invalidità di una delibera assembleare resta per il Giudice limitata da tale principio nelle sole ipotesi di impugnazione per annullamento della stessa (14). Il limite alla rilevabilità, anche d’ufficio, della invalidità delle delibere, ultra et extra petita, non opera allorché si tratti di vizi implicanti la loro nullità, trattandosi della applicazione di atti la cui validità rappresenta un elemento costitutivo della domanda. La posizione è stata chiarita dalla pronuncia della corte di Cassazione n. 305 del 2016 ed altre che giungono alle medesime conclusioni (15), non ultima la sentenza Cassazione civile, sez. VI, 21.06.2018, n. 16389, qui in oggetto di discorso.

4. La pronuncia della Corte di Cassazione civile, sez. VI, 21.06.2018, n. 16389 ed il sindacato incidentale della validità della delibera assembleare

La Suprema Corte, con l’ordinanza del 21.06.2018 n. 16389, coglie l’occasione dell’ulteriore intervento in materia sulla base della questione sottopostagli relativa al pagamento di oneri condominiali gravanti in capo ad un condomino moroso, per i quali il condominio creditore aveva chiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo fondato sul presupposto di una ripartizione dei costi in parti uguali adottato in sede di una delibera assembleare assunta non all’unanimità. Avverso la sentenza del giudice di prime cure venne promosso appello nella cui sede fu revocato il decreto monitorio. La decisione del giudice di appello conteneva la motivazione della revoca del decreto ingiuntivo fondata sulla rilevabilità, anche d’ufficio, della invalidità delle sottostanti delibere. La suprema Corte, ritenendo corretti i principi adottati in motivazione dal giudice di appello, ribadisce che alle deliberazioni assunte dall’assemblea condominiale si applica il principio dettato in materia di contratti dall’art. 1421 c.c. applicando il regime dei vizi del contratto in tema di legittimazione del soggetto interessato all'azione di nullità. Il caso preso in esame dalla pronuncia Cassazione civile, sez. VI, 21.06.2018, n. 16389, analizza il vizio di nullità della delibera condominiale quale vizio incidente sull’atto (delibera condominiale) che lede la posizione di diritto dei singoli condomini, riattivando la legittimazione degli stessi al di là della capacità del condominio di formare la volontà in modo collettivo per il governo dei beni comuni. Nel caso di ripartizione in parti uguali un capitolo di spesa, l’assemblea agisce in dispregio al criterio dell’unanimità dei consensi richiesta per la variazione dei criteri legali di riparto. Tale vizio inficia la stessa esistenza della delibera assembleare di approvazione. L’inesistenza della delibera e il vizio di nullità sottraggono l'azione al termine di impugnazione dell’art 1137 c.c.. e restano sottoposto alla verifica - pure d'ufficio- del giudice, anche, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo.

I giudici di Piazza Cavour erano già approdati a tale conclusione in altre pronunce (16), sostenendo la rilevabilità d’ufficio di una nullità della delibera assembleare costitutiva di un credito nei confronti di un condomino, idonea a paralizzare in sede di opposizione a decreto ingiuntivo emesso ex art. 63 Disp. Att. C.c..

A tal proposito è opportuno segnalare che la prospettazione dell’ordinanza del 21.06.2018 n° 16389 fronteggia un orientamento di segno opposto. Di recente, la Suprema Corte (17) ha sostenuto che nella fase della procedura di opposizione a decreto monitorio emesso per la riscossine di contributi condominiali, il compito del Giudice deve limitarsi a verificare la perdurante esistenza ed efficacia delle relative delibere assembleari, ma con ciò senza poter sindacare, in via incidentale, la loro validità essendo tale sindacato riservato al Giudice competente innanzi al quale le stesse delibere siano state impugnate. Il supporto a questo orientamento si ha con pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite 27.02.2007 n. 4421, dove si è precisato che il Giudice dell’opposizione al decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, ottenuto ai sensi dell’art. 63 comma 1 disp. att. C.c., non può disporre la sospensione del giudizio nelle more della definizione del diverso giudizio d’impugnazione della deliberazione, promosso ai sensi dell’art. 1137 C.c., e posta a base del provvedimento monitorio opposto, attesa la disciplina speciale e derogatoria del principio generale d’inesecutività del titolo ove impugnato con allegazione della sua originaria invalidità assoluta.

5. Osservazioni conclusive.

La decisione della Corte di Cassazione civile, sez. VI, 21.06.2018 n. 16389 offre un contributo nomofilattico alla “vexata quaestio” della insindacabilità del vizio di nullità delle delibere condominiali dove si registra una non uniformità di vedute da parte della giurisprudenza di merito e di legittimità. L’apporto alla prospettiva della rilevabilità d’ufficio dal giudice della nullità della delibera assembleare, anche, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, determina l’effetto nel procedimento monitorio di rendere revocabile il decreto ingiuntivo emesso sulla scorta dell’atto viziato. Il ragionamento logico-giuridico della Corte, principiando dall’applicazione delle norme in materia di contratti in virtù dell’operare del principio dettato dall’art. 1421 c.c., valorizza la formazione della volontà del condominio, quale soggetto dotato di autonomia giuridica e patrimoniale. Al contempo riceve apporto, anche, la disputa sul potere di sindacato del giudice, in via incidentale, della nullità della delibera, ove sia presupposto costitutivo della domanda giudiziale. Le questioni restano, però, aperte e, allo stesso tempo, foriere di futuri sviluppi.

 

Note e riferimenti bibliografici

(1) F. Carnelutti, Personalità giuridica e autonomia patrimoniale, in Riv.Dir.Comm., 1913, I, 87.Cfr. M. Dogliotti, Comunione e Condominio, in Trattato di Diritto Civile, diretto da Sacco, 2006, 160 ss..

(2). V. Carbone, Luci e ombre sulla nuova disciplina del condominio negli edifici, in Corr.Giur.,2013, II, 161.

(3). In tal senso Cass., 26 aprile 2005, n. 8570, Cass.,23 ottobre 2009, n. 22558Cass., 17 ottobre 2011, n. 21461, i Cass., 14 ottobre 2011, n. 21322.

(4)  Nella prospettiva del condominio quale ente di gestione legittimato a partecipare ai giudizi è l’amministratore, anche se i condomini non perdono la propria legittimazione ad agire in giudizio per l’esercizio in tutela dei propri diritti come anche conservano il diritto di intervenire nelle azioni promosse dall’amministratore o in cui esso è convenuto per il condominio. Alla Stessa maniera questa impostazione preserverebbe i diritti di azione dei singolo al di là della azione collettiva, oltre sempre fermo restando il diritto di avvalersi autonomamente dei mezzi di impugnazione. Si confrontino in tal senso in pluris Cass., 9 giugno 2000, n. 7891, 2000; Cass., 14 dicembre 1993, n. 12304.

(5)  In tal senso in Pluris si veda Cass., 17 aprile 2008, n. 10084.

(6)  Questo diverso orientamento è stato sostenuto dalla Suprema Corte nel caso di giudizi per equa riparazione da durata irragionevole del processo, riprendendo gli orientamenti della Cedu (Cfr. Comingersoll Sa c. Portugal, 6 aprile 2000, n. 35382/97). secondo cui «il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo, è conseguenza normale della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e (per le persone giuridiche) si riflette sui soggetti individuali che ne sono membri». La teoria fa capo anche ad orientamenti della stessa Corte di Cassazione stessa che ammettono la sussistenza di diritti e obblighi e la legittimazione attiva e passiva in capo agli enti di fatto. In tal senso la Cassazione si è pronunciata con sentenza Cass., 23 maggio 1997, n. 4628.

(7)  L. Salis, Il condominio negli edifici, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, 1956.

(8) G. Branca, Comunione, condominio negli edifici, in Commentario al codice civile, a cura di Scialoja e Branca, 1982, 358., Comunione, condominio negli edifici, in Commentario al codice civile, a cura di Scialoja e Branca, 1982, pagina 358.

(9) E il rapporto tra il condominio e l'amministratore non andrebbe ricondotto all'alveo del mandato, bensì a quello della rappresentanza organica unitaria.

(10)  F. Girino, Il condominio negli edifici, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 1982.

(11) Si confronti Cassazione civile, sez. VI, 09/05/2017 n. 11375 Il verbale di un'assemblea condominiale, munito di sottoscrizione del presidente e del segretario, ha natura di scrittura privata, sicché il valore di prova legale è limitato alla provenienza delle dichiarazioni dai sottoscrittori e non si estende al contenuto della scrittura medesima, per impugnare la cui veridicità non occorre la proposizione di querela di falso, potendosi far ricorso ad ogni mezzo di prova. A tale proposito, si segnala un parziale contrasto con Cassazione Civile, Sez. II, 8 marzo 1997 n. 2101, la quale ebbe ad affermare l'inammissibilità della prova testimoniale dimostrativa di una volontà assembleare difforme da quella risultante, per l'appunto, dal verbale. Spetta in ogni caso al condomino che impugna la delibera assembleare, per contestare la rispondenza a verità di quanto riferito nel relativo verbale, l’onere probatorio dell’assunto della relativa domanda (si confronti in tal senso Cassazione Civile, Sez. VI-2, ord. 12 agosto 2015 n. 16774).

(12) L’articolo 1137 c.c. non riguarda, inoltre, le delibere affette da nullità relativa, quali ad esempio quelle che pregiudicano uno o solo alcuni condomini. In tal caso la delibera resta impugnabile in ogni tempo solo singolarmente da ognuno dei essi.

(13) Le deliberazioni assunte dall’assemblea a norma degli articoli 1117 c.c. e seguenti sono obbligatorie per tutti i condomini Contro le determinazioni assunte in maniera contraria alla legge o ala regolamento condominiale può essere promossa da ogni condomino assente dissenziente o astenuto l’azione di annullamento entro il termine perentorio di trenta giorni in base all’articolo 1137 c.c..

(14) La domanda di declaratoria dell'invalidità di una delibera dell'assemblea dei condomini per specifici motivi inibisce l'annullamento della medesima delibera per qualsiasi altra ragione attinente a quella questione in discussione indicata nell'ordine del giorno, sia pure per la stessa ragione esplicitata dall'attore con riferimento alla deliberazione specificamente impugnata (Cassazione civile, sez. VI, 25/06/2018,  n. 16675).

(15) Al riguardo della tematica affrontata la Cassazione ha pronunciato in tal senso con sentenza del 12/01/2016 n° 305. In senso conforme, Cass. 27/03/2015 n° 6295, Cass. 23/02/2017 n° 4672 e 4675.

(16) In tal senso anche Cass. 27/03/2015 n° 6295, Cass. 23/02/2017 n° 4672 e 4675.

(17) Si confronti  Cass. 23/02/2017 n° 4672 che riguarda analogo orientamento espresso da Cass. S.U. 18/12/2009 n° 2669; idem da Cass. 24/08/2005 n° 17206 e Cass. 08/08/2000 n° 10427). Coerente con tale tesi è la pronuncia delle S.U. della Cass. 27/02/2007 n° 4421.

Bibliografia.

Branca G., Comunione, condominio negli edifici, in Commentario al codice civile, a cura di Scialoja e Branca, 1982, 358., Comunione, condominio negli edifici, in Commentario al codice civile, a cura di Scialoja e Branca, 1982, 358;
Carbone V., Luci e ombre sulla nuova disciplina del condominio negli edifici, in Corr.Giur.,2013, II, 161;
Carnelutti F., Personalità giuridica e autonomia patrimoniale, in Riv.Dir.Comm., 1913, I, 87;
Dogliotti M., Comunione e Condominio, in Trattato di Diritto Civile, diretto da Sacco, 2006, 160 ss.;
Girino F, Il condominio negli edifici, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 1982;
Salis L., Il condominio negli edifici, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, 1956.