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Pubbl. Gio, 6 Set 2018

Natura giuridica dei verbali e documentazione dell´atto amministrativo

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Giorgio Avallone


Con la pronuncia sent. n. 4373 del 2018, il Consiglio di Stato si è pronunciato in ordine alla natura giuridica dei verbali resi durante l’attività amministrativa, distinguendone due momenti: quello formativo della volontà e quello della sua esteriorizzazione.


Il Consiglio di Stato è chiamato a pronunciarsi circa la validità nonché l’efficacia di una determinata species dell’atto amministrativo, quale l’atto certificativo nella subspecies del verbale reso durante l’attività amministrativa. 

Il nostro ordinamento è manchevole di una nozione univoca volta a definire il concetto di atto amministrativo, a differenza di altri ordinamenti, come ad esempio quello tedesco, il quale lo compone come “ogni provvedimento, decisione o altra misura autoritativa che è emanata per regolare un caso singolo nel diritto pubblico e che è volta a produrre effetti giuridici diretti verso l’esterno” (par. 25 del Verwaltungsverfahrensgesetz). 

Tuttavia, nella nostra legislazione si possono rinvenire diversi principi generali che consentono di individuare i loro tratti salienti del medesimo; in particolare dalla Costituzione emerge all’art 113 Cost. che “contro gli atti della Pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale …; la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della Pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge”. Da tale disposizione sicuramente si ricava una funzione di tutela a duplice rango: una relativa alla possibilità di sottoporre l’atto amministrativo alla tutela giurisdizionale e, in secundis,nella possibilità, in caso di violazione delle regole di una sua caducazione dal mondo giuridico. 

Un altro aspetto che caratterizza la categoria degli atti amministrativi è quello dei vizi che possono affliggere gli stessi e quale sia il potere del giudice amministrativo in merito, il quale può decidere, da come emerge dall’art 26 del T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato, oggi abrogato dal codice del processo amministrativo, “sui ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge, contro atti e provvedimenti di un’autorità amministrativa” consentendo, in tal modo, una tutela di un atto ritenuto lesivo di una situazione giuridica soggettiva del privato.   

Orbene, da una lettura sistematica delle diverse norme che menzionano i concetti di atto e provvedimento, si denota un utilizzo promiscuo, alla stregua di concetti analoghi e, dunque, sinonimi. Invero, tra gli stessi sussiste una netta distinzione, oggi giorno condivisa sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.  

Difatti il concetto di provvedimento concerne, secondo l’opinione prevalente, una manifestazione di volontà della Pubblica amministrazione, espressione della titolarità del potere attribuito dalla legge, emesso all’esito di un procedimento pubblico, volto alla cura di un interesse pubblico ad essa attribuita e volto a modificare unilateralmente la situazione giuridica soggettiva dei destinatari del provvedimento medesimo. Mentre il concetto di atto amministrativo, di converso, deve definirsi come qualsiasi manifestazione di volontà, di conoscenza, di desiderio, compiuta dalla pubblica amministrazione nell’esercizio della potestà amministrativa. Pertanto, costituiscono espressioni di un atto amministrativo tutti quegli atti endo-procedimentali comunque denominati, tra i quali rientrano i pareri, le valutazioni tecniche, ovvero le certificazioni che spesso hanno una funzione strumentale o accessoria al provvedimento amministrativo. 

Per quanto concerne precipuamente la pronuncia in commento occorre far riferimento agli atti amministrativi di natura dichiarativa, nel cui novero rientrano, oltre agli atti di certificazione (summenzionati) aventi la funzione di constatare delle dichiarazioni di scienza in relazione ad “atti, fatti qualità e stati soggettivi” ex art 18 l. 241/90, ovvero di autocertificazione come previsto ai sensi dell’art 46 d.p.r. n. 446/2000, anche le verbalizzazioni. 

Il verbale viene definito dalla dottrina come un atto dichiarativo consistente nella narrazione storico giuridica reso da un pubblico ufficiale, attestante fatti ed operazioni avvenuti in sua presenza. Il processo verbale, a sua volta, può essere incluso tra gli atti di un procedimento, come, ad esempio, nel caso in cui la polizia municipale, nell’espletamento dell’attività di accertamento e di vigilanza in materia edilizia, dopo essersi recata in un cantiere edile, verbalizzi le eventuali violazioni di legge (come, ad esempio, la costruzione in difformità rispetto al permesso di costruire) per poi inserire lo stesso in un procedimento sanzionatorio. 

L’attività di verbalizzazione, in particolare, assume un rilievo nevralgico nell’ambito delle attività deliberative degli organi collegiali, come nel caso della commissione di esame, con la quale si consente la verifica della regolarità delle operazioni. 

Ricostruita, per sommi capi, la categoria degli atti amministrativi, la sentenza resa dal Consiglio di Stato ha in oggetto la doglianza proposta da parte di un Ente operante nel settore delle adozioni internazionali, il quale è stato destinatario di un provvedimento di rigetto volto ad ottenere un finanziamento per alcuni progetti da esso presentati. 

In particolare, tali progetti in un primo momento furono dichiarati inammissibili dall’autorità amministrativa, per poi essere riammessi nell’iter amministrativo a seguito di una valutazione favorevole da parte della sentenza del TAR competente, ma che, a loro volta, non sono stati considerati meritevoli di finanziamento in quanto hanno ottenuto un punteggio inferiore rispetto a quello richiesto dal bando. 

Pertanto, il ricorrente ha posto all’attenzione del giudice di prime cure la legittimità dell’atto con il quale non si è accolto il finanziamento, in quanto nel momento dell’adozione della delibera che ha riportato l’attribuzione dei punteggi, il verbale relativo alla seduta in cui gli stessi furono attribuiti ancora non era stato approvato.

La sentenza di primo grado ha reputato infondata la questione in quanto non assume alcun rilievo la circostanza che al momento della adozione della delibera non risultasse ancora approvato il verbale della commissione attributivo dei punteggi, poiché “non può essere confuso né sotto il profilo funzionale nonché logico il momento dell’esternazione documentale delle operazioni collegiali effettuale con quello nel quale si determina compiutamente la volontà dell’organo, la quale, laddove necessario o utile all’efficienza dell’azione amministrativa, nelle more della formalizzazione del verbale, può essere rappresentata a mezzo di altri atti a rilevanza esterna, ferma restando, naturalmente, la necessità dell’assoluta identità di contenuto tra tali atti e il verbale”.

La questione giuridica, pertanto, attiene alla forma dell’atto amministrativo. In generale è possibile asserire che esiste un principio di libertà di forma, potendo avere l’atto sia una forma scritta che orale. Tuttavia, il provvedimento in virtù dell’obbligo di motivazione previsto ai sensi dell’art 3 l. 241/90 richiede necessariamente la forma scritta, in modo tale da poter individuare quale siano i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che ha portato la Pubblica amministrazione a convergere verso quella determinata risultanza. 

Invero, alcune categorie di atti amministrativi vengono esternate oralmente, come ad esempio i provvedimenti collegiali, ma possono comunque tradursi in documenti, determinando la esternazione dello stesso. Pertanto, occorre distinguere due momenti, quello relativo alla formazione della volontà della pubblica amministrazione, che determina a sua volta l’atto amministrativo, e quello della sua esternazione, che consente di addivenire alla conoscenza dello stesso. 

Avverso la decisione di primo grado sono stati proposti diversi motivi di appello, tra cui quello volto a censurare l’esclusione dal finanziamento dei progetti in quanto assunta senza che fosse stato rispettato il passaggio procedimentale di approvazione del verbale da parte della Commissione; senza tralasciare che la Commissione non era presieduta dal Presidente (ndr. secondo la ricorrente, l’ammissione ai finanziamenti della Commissione di progetti rientri tra le competenze istituzionali del Presidente); ed, infine, che la seduta ove sono stati assegnati i punteggi era al di sotto del numero legale.  

Il Consiglio di Stato ha rigettato le doglianze, accogliendo pertanto la ricostruzione effettuata dal giudice di prime cure, in quanto ha specificato come il verbale sia un mero “documento preordinato alla descrizione di atti o fatti, rilevanti per il diritto, compiuti alla presenza di un soggetto verbalizzante, appositamente incaricato di tale compito”, avente pertanto una funzione di documentazione, garantendo la certezza degli accadimenti in ivi trascritto. 

Dunque, la funzione di documentazione deve essere distinta sia dagli atti in esso descritti, sia dagli atti nei quali confluisce l’atto adottato. In particolare, l’esternazione di quanto adottato è un momento autonomo e distinto dalla documentazione dell’atto che avviene normalmente per iscritto, e ciò al fine di consentire l’impugnabilità degli atti amministrativi e quindi di una loro sindacabilità ed eventuale caducazione laddove illegittimo.

Dopo aver premesso questa regola generale, si tende a precisare che la forma scritta “non costituisce la forma tipica degli atti collegiali”, i quali si perfezionano e divengono validi con forme diverse da quella scritta, come ad esempio mediante una particolare modalità di votazione (tipico esempio, l' alzata di mano); ciò che si traduce per iscritto, invero, è la documentazione (rectius verbalizzazione) di un atto amministrativo già valido ed adottato in un momento precedente alla sua formazione, la cui forma di esternazione non è un atto proprio, ma rappresenta dunque quanto emerso dall’espressione del collegio.

Negli organi collegiali la funzione di verbalizzazione assume un ruolo indefettibile, in quanto vi deve essere un necessario collegamento, ai fini di consentire la funzione di certezza del diritto e quindi eventualmente di sindacabilità dell’atto, tra l’esternalizzazione dell’atto che può avvenire in altre forme rispetto a quella scritta, dalla documentazione dell’atto in senso proprio, che è rappresentato dal verbale della seduta. 

Proprio per la distinzione, il verbale ha la funzione di attestare il compimento di ciò che vi è stato, al fine di verificare la corretta formazione dell’atto amministrativo; a sua volta un eventuale difetto non comporta l’inesistenza dell’atto amministrativo, dato che la determinazione volitiva dell’organo è ben distinta dalla sua proiezione formale. 

Per quanto concerne, invece, il contenuto del verbale, il Consiglio di Stato  ha precisato come non devono essere documentati minuziosamente ogni tipo di attività espletata, ma solo quelle attività che assumono rilevanza in ragione delle finalità per cui è redatto, non potendo mancare, ad esempio, nel caso dell’attività di un organo collegiale, l’indicazione del luogo e della data della seduta, i componenti dell’organo presenti, l’oggetto delle singole deliberazioni, le modalità di formazione della volontà della pubblica amministrazione, con particolare riguardo all’espressione del voto. 

Infine, il Consiglio di Stato  precisando che il verbale non ha una funzione di controllo, ma consente di effettuare una mera verifica sull’iter formativo dell’atto ammnistrativo rispetto a quanto documentato e quanto svoltosi, in ossequio alla giurisprudenza formatasi in materia, ritiene che, essendo la prassi amministrativa comportante una distinzione tra il verbale e una prima fase di formazione dello stesso (mediante la minuta, appunti, o attività variamente denominate), essi non devono avvenire nel medesimo momento e necessariamente in concomitanza della seduta stessa, ben potendo essere diacronici, non portando pertanto alla illegittimità del provvedimento nel caso in cui esso sia ottenuto in un momento diverso rispetto alla approvazione del verbale.