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Pubbl. Mar, 31 Lug 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

La natura polifunzionale dell´assegno divorzile

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Mauro Giuseppe Cilardi
AvvocatoUniversità degli Studi di Bari


Con la sentenza n. 18287 dell´11 luglio 2018 le Sezioni Unite chiariscono la natura composita dell´assegno divorzile, il quale assolve una funzione tanto assistenziale, quanto compensativa e perequativa: in tal modo viene valorizzato il contributo fornito dai coniugi alla conduzione della vita matrimoniale.


Sommario: 1. L'assegno di divorzio tra norma e interpretazione; 2. L'orientamento granitico della giurisprudenza: la centralità del tenore di vita condotto in costanza di matrimonio; 3. Il revirement della Cassazione: la prevalenza del principio di autoresponsabilità economica e il criterio dell'autosufficienza; 4. Le Sezioni Unite del 2018 e il principio di uguaglianza e pari dignità tra i coniugi; 5. Considerazioni conclusive.

1. L'assegno di divorzio tra norma e interpretazione

L'assegno di divorzio è una misura a carattere periodico, sancita dall'art. 5, comma 6 della legge n. 898 del 1970 ("Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio", cd. legge sul divorzio), che il tribunale prevede a carico di uno dei due coniugi e a favore dell'altro, previo accertamento di determinate condizioni normativamente fissate.

Il principale aspetto di criticità della disciplina de qua riguarda l'individuazione del presupposto in base al quale il consorte matura il diritto all'assegno. Invero, sin dall'originaria formulazione della norma, il Legislatore si è mostrato generico sul punto, prescrivendo l'obbligo del Giudicante di tenere conto, in sede di accertamento, delle condizioni economiche delle parti e delle ragioni della scelta di divorziare nonché di considerare, nella fase della quantificazione, l'apporto personale ed economico fornito da ciascun coniuge al funzionamento del ménage familiare. Tuttavia, considerata la vaghezza testuale, la dottrina e la giurisprudenza prevalenti ponevano tali criteri su un piano di eguale rilevanza. Sicché l'attività del giudice di merito si limitava ad una comparazione delle rispettive situazioni economiche, per verificare se uno dei due avesse subito un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali, mediante l'applicazione di un potere discrezionale eccessivamente ampio.

Di conseguenza, era necessario un intervento normativo chiarificatore, che non tardò ad arrivare, senza tuttavia sortire l'effetto sperato. In particolare, la legge n. 74 del 1987 ha subordinato la spettanza dell'assegno all'inadeguatezza dei mezzi da parte del richiedente o all'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Se con il termine «mezzi» sono agevolmente enucleabili i redditi, i beni mobili ed immobili e le altre utilità di cui il singolo può disporre, tuttavia non è chiaro quale sia il parametro comparativo attraverso cui accertare l'inadeguatezza citata.

2. L'orientamento granitico della giurisprudenza: la centralità del tenore di vita condotto in costanza di matrimonio

Con le sentenze nn. 11490 e 11492 del 1990 le Sezioni Unite statuiscono che l'adeguatezza dei mezzi va valutata con riferimento al tenore di vita goduto durante il matrimonio. Dunque, il coniuge ha diritto all'assegno divorzile, solo se non dispone di redditi o di cespiti patrimoniali che gli permettano di continuare ad assumere il medesimo standard economico di cui poteva anche solo astrattamente beneficiare in costanza del vincolo coniugale. In tal modo il Supremo Consesso civile inaugura una posizione ermeneutica quasi trentennale, in omaggio alla quale l'assegno divorzile assolve unicamente ad una funzione assistenziale, ossia di aiuto economico per il coniuge disagiato. Viene in tal modo valorizzato il principio della solidarietà sociale ed economica post-coniugale, che trova linfa programmatica nell'art. 2 della Costituzione. 

Tuttavia, il parametro del tenore di vita comune non trova alcun sostrato normativo, neppure implicito. Invero, l'unico riferimento al tenore di vita è contenuto nell'art. 5, comma 9 della legge n. 898/1970, ove viene specificato che i coniugi all'udienza presidenziale presentano le dichiarazioni dei redditi e, in caso di contestazione, possono essere effettuate indagini circa l'effettivo tenore di vita di ciascun coniuge. È evidente, tuttavia, che il tenore di vita di cui trattasi non è quello comune, bensì quello personale e che esso rileva nella fase dell'assunzione dei provvedimenti provvisori, non al momento della verifica della sussistenza del diritto a percepire l'assegno divorzile.

La ragione principale per cui i giudici della legittimità hanno operato tale forzatura è da rintracciare nell'esigenza di individuare un criterio unitario di riconoscimento dell'assegno, in modo da limitare la discrezionalità del potere giudiziario in una materia delicata quale è la famiglia e, in particolare, la sua cessazione. Per la verifica del tenore di vita comune, infatti, è sufficiente che il giudice ponga a confronto la situazione reddituale e patrimoniale attuale del richiedente con quella della famiglia al momento del suo dissolvimento.

L'esistenza del diritto in astratto, però, deve essere confermata dalla successiva fase della determinazione in concreto, nella quale il giudice di merito è tenuto ad applicare i criteri già stabiliti nella formulazione originaria dell'art. 5, comma 6, a cui la novella del 1987 ha aggiunto il riferimento alla durata del matrimonio. L'importanza di questa seconda operazione è data dal fatto che la stessa può condurre ad un progressivo decremento della somma spettante all'ex coniuge, fino al suo concreto azzeramento. Tale aspetto ha, peraltro, consentito alla Corte costituzionale di salvare la norma dall'asserita denuncia di incostituzionalità per contrasto col principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. e col dovere di solidarietà ex art. 2 Cost. In particolare con la sentenza n. 11 del 2015 gli Ermellini hanno ritenuto l'interpretazione offerta dalle Sezioni Unite del '90 conforme a Costituzione, in quanto i criteri di quantificazione dell'assegno consentono di evitare che il coniuge benefici a vita della medesima condizione economica di cui usufruiva nel contesto familiare ormai superato e, dunque, impediscono l'applicazione pura e astratta del parametro del tenore di vita matrimoniale.

3. Il revirement della Cassazione: la prevalenza del principio di autoresponsabilità economica e il criterio dell'autosufficienza

L'orientamento avviato dalle Sezioni Unite e seguito unanimemente dalla successiva giurisprudenza è stato revocato in dubbio dalla sentenza n. 11504/2017 della Prima Sezione Civile di Cassazione, alla quale si sono successivamente uniformate altre pronunce di legittimità. In questa storica sentenza il Supremo Collegio, pur continuando ad attribuire natura assistenziale all'assegno divorzile, muta il parametro con riferimento al quale valutare la sussistenza della misura economica de qua.

In particolare il Giudice nomofilattico prende atto che nella coscienza sociale è ormai superata l'idea del matrimonio come legame indissolubile, in omaggio alla quale la relazione tra gli ex coniugi sopravvive con il rilievo del tenore di vita comune in sede di definizione dei rapporti economici. Al contrario, è matura la concezione secondo cui ciascun individuo sceglie liberamente ed autonomamente di sposarsi, assumendo su di sé le conseguenze del futuro ed eventuale scioglimento del vinculum coniugalis. Invero con la sentenza di divorzio il rapporto coniugale si estingue sia sul piano personale che economico, sicché nella fase di verifica della sussistenza del diritto all'assegno divorzile il richiedente non deve essere considerato come parte di una relazione che ormai non sussiste più, bensì come persona singola e il parametro per valutare l'an debeatur dell'assegno non può che riguardare esclusivamente la sua sfera giuridico-patrimoniale. In ossequio a queste considerazioni, il criterio di attribuzione dell'assegno divorzile è la mancata autosufficienza economica del richiedente, su cui grava l'onere di allegazione di tutti i fattori da cui il giudice possa desumere la sua attuale condizione patrimoniale. Nel dettaglio, gli indici mediante cui valutare l'autosufficienza sono: il possesso di redditi di qualsiasi specie o di beni mobili ed immobili; la permanente disponibilità di una casa abitativa; la capacità e la possibilità concrete di trovare un impiego nel mercato del lavoro.

Dunque nella materia familiare, civilisticamente retta dal canone della solidarietà, il Giudice della nomofilachia applica il principio di autoresponsabilità economica, in quanto con lo scioglimento del vincolo coniugale non v'è più il presupposto in nome del quale essere solidali, ovvero la famiglia. Viene, in pratica, resa vana la funzione calmieratrice che la precedente giurisprudenza attribuiva alla fase di determinazione dell'assegno divorzile: infatti, già nella prima fase dell'an debeatur il tribunale potrà negare il diritto all'assegno divorzile, qualora risulti che il richiedente sia in grado di vivere in maniera dignitosa con le proprie sostanze, benché non possa godere di un tenore di vita analogo a quello assunto durante il matrimonio.

Giova rilevare che la Cassazione ha elaborato il criterio dell'autosufficienza sulla base di un'interpretazione analogica dell'art. 337-septies c.c., che attribuisce ai figli maggiorenni non economicamente indipendenti il diritto a ricevere un assegno di mantenimento di carattere periodico in sede di separazione. Sul punto, la terminologia usata dalla Cassazione non è casuale, ma risponde alla precisa scelta di considerare le vite degli ex coniugi separate ed autonome, una volta sancito lo scioglimento della coppia. Invero, l'indipendenza e l'autosufficienza sono concetti distinti, in quanto la prima richiama un raffronto con un altro soggetto o con una specifica condizione, mentre la seconda inerisce strettamente alla sfera di una determinata persona, senza necessità di operare alcuna comparazione.

4. Le Sezioni Unite del 2018 e il principio di uguaglianza e pari dignità tra i coniugi

Alla luce di un orientamento che per l'indagine sulla spettanza dell'assegno divorzile prediligeva il tenore di vita comune come termine comparativo e di una posizione interpretativa assestata sul parametro dell'autosufficienza economica, il tema non poteva che essere deferito alle Sezioni Unite come questione di massima importanza ex art. 347, comma 2, c.p.c. La rimessione alla composizione congiunta del Massimo Collegio civile garantisce, infatti, la risoluzione di conflitti esegetici, indirizzando i Giudici in ordine a tematiche di preminente interesse sociale.

Le Sezioni Unite si sono pronunciate con la sentenza n. 18287 dell'11 luglio 2018, addivenendo ad un'equilibrata sintesi delle linee di pensiero espresse in giurisprudenza. In particolare la Cassazione evidenzia i punti di forza e di debolezza di ciascuna delle due tesi sostenute in materia. Da una parte, infatti, il riferimento al tenore di vita comune esalta il vissuto coniugale, ma può determinare il rischio di ingiustificati arricchimenti in capo all'ex coniuge richiedente che benefici già di una posizione economica agiata, con evidente vulnerazione del canone di autoresponsabilità. Dall'altra, si rileva che il matrimonio non può giustamente essere considerato una sistemazione sine die per l'ex coniuge, ma al tempo stesso si stigmatizza la sopravvalutazione dell'autonomia patrimoniale ed economica a discapito del contributo dato dal consorte alla realizzazione del rapporto matrimoniale. Del resto, sotto quest'ultimo punto di vista, non va trascurato che tale contributo può rappresentare, nel caso concreto, l'esito di decisioni assunte di comune accordo dagli sposi e scelte di questo tipo possono incidere notevolmente sulle capacità economiche, patrimoniali e reddituali dell'ex coniuge dopo il dissolvimento del matrimonio.

Il principio della solidarietà economica e il canone dell'autoresponsabilità vengono ricondotti ad unità sub specie di principio di uguaglianza e pari dignità tra i coniugi, proclamato nell'art 5, Protocollo addizionale 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. In particolare, il Supremo Consesso a sezioni congiunte afferma che, nella verifica della sussistenza del diritto all'assegno divorzile, l'adeguatezza dei mezzi dev'essere valutata in relazione non soltanto al tenore di vita condiviso e all'autosufficienza, ma altresì all'apporto fornito da ciascun coniuge alla conduzione del rapporto familiare.

In definitiva, l'assegno divorzile assolve ad una triplice funzione: assistenziale, nella misura in cui rappresenta un supporto per il coniuge economicamente bisognoso; compensativa e perequativa, perché retribuisce il consorte che ha sacrificato o in qualsiasi misura ha condizionato la propria vita per la famiglia. Il rischio di degenerazioni discrezionali da parte del giudice è scongiurato, in quanto il tribunale deve procedere ad un accertamento rigoroso delle ragioni da cui deriva la diseguaglianza patrimoniale tra i coniugi, tenendo in debita considerazione il ruolo assunto da ciascuno all'interno del nucleo familiare, la durata del matrimonio e le prospettive reddituali future dell'avente diritto.

5. Considerazioni conclusive

La sentenza delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018 è da salutare con favore, in quanto appare una decisione bilanciata che tutela il coniuge debole e rifugge da pericolosi automatismi. Invero, promuovendo il principio di uguaglianza sostanziale tra i coniugi, la Cassazione offre una soluzione che contempera l'autonomia economica con il vissuto nell'ambito del rapporto matrimoniale, la cui cessazione incide certamente sullo status della persona, ma non elimina tutte le conseguenze personali derivanti dalle decisioni assunte di comune accordo nell'ambito del quotidiano svolgersi della vita nuziale. Del resto, un margine di ultrattività del vincolo coniugale è desumibile dalla previsione nella legge sul divorzio di alcuni diritti di carattere previdenziale che trovano fondamento proprio nel cessato consorzio familiare: la pensione di reversibilità ex art. 9, comma 2 ss.; il diritto ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'ex coniuge ex art. 12-bis; il diritto all'assistenza sanitaria in virtù dell'art. 5, comma 11; l'assegno a carico dell'eredità ai sensi dell'art. 9-bis. A questi deve aggiungersi il diritto all'assegno divorzile, qualora nel caso concreto lo impongano esigenze di natura etico-sociale e di dignità umana. Invero, tale assegno ha natura non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa e ciascuna di queste tre funzioni merita adeguato riconoscimento in sede giudiziale.

 

Riferimenti bibliografici e giurisprudenziali

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Cass. civ., I, 23/10/2015, n. 21670

Cass. civ., I, 25/02/2014, n. 2546