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Pubbl. Sab, 4 Ago 2018

Acquisizione di immobile abusivo: nessuna violazione del diritto in caso di mancata demolizione

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Giorgio Avallone


Il Consiglio di Stato si pronuncia sulla legittimità dell’acquisizione al patrimonio comunale di un immobile abusivo a seguito di mancata ottemperanza all’ordine di demolizione da essa emanato. Nota a Cons. di Stato, Sez. VI, sent. 7 febbraio 2018, n. 775.


Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato si è pronunciato circa la legittimità dell’acquisto nel patrimonio comunale dell’immobile abusivo per mancata ottemperanza all’ordine di demolizione.

L'acquisto nel patrimonio comunale di un immobile abusivo, è normativamente disciplinato ai sensi dell'art. 31 del d.p.r. 380/2001, nel quale vengono delineate le conseguenze giuridiche da porre in essere in caso di accertamento di interventi edilizi eseguiti in totale assenza del permesso di costruire, in totale difformità ovvero con variazioni essenziali al medesimo. 

Vengono considerati interventi eseguiti in totale difformità coloro che comportano “la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile.

Laddove venga accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali (le quali sono determinate da ogni singola regione sebbene il legislatore ordinario preveda degli indici criteri nei quali può essere estrinsecata la rispettiva discrezionalità, essendo la materia urbanistica a legislazione concorrente ex art. 117 Cost.), il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale all’esito dell'istruttoria, ingiunge al proprietario nonché al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto. Stabilendo inoltre che se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. 

La questione posta all’attenzione del Consiglio di Stato è volta a chiarire se il decorso del termine dalla commissione dell’abuso edilizio, possa o meno consentire il predetto accertamento da parte dell’ufficio comunale, ovvero se faccia insorgere nel titolare del bene, anche laddove vi siano state vicende traslative del diritto reale, un affidamento meritevole di tutela idonea al consolidamento della sua posizione giuridica, ostativa pertanto alla ordinanza di demolizione ed, in conseguenza, dell’acquisto nel patrimonio del comune. 

Nel caso di specie la Consulta si è espressa in ordine alle diverse censure promosse dalla proprietaria del bene che riguardavano precipuamente l’impossibilità per il comune di procedere all’ordine di demolizione in quanto il notevole lasso temporale trascorso dal momento della commissione dell’illecito e l’ingiunzione di demolizione avrebbe determinato il sorgere di un affidamento tutelabile; inoltre l’impossibilità per il Comune di far valere l’abusivismo dell’immobile era dovuta alla circostanza secondo cui la ricorrente non aveva la titolarità del cespite al momento della commissione dell’illegittimità; ed infine la mancata motivazione del provvedimento di ingiunzione demolitoria sarebbe in contrasto con le regole convenzionali ed in particolare dell’art. 1 del protocollo addizionale della CEDU, il quale tutelando il diritto di proprietà richiederebbe sempre il confronto tra l’interesse pubblico e privato e la ragionevolezza del sacrificio di quest’ultimo (nel caso di specie del tutto assente).

Al fine di comprendere precipuamente i contorni della sentenza, occorre puntualizzare alcuni elementi fattuali. La ricorrente aveva ricevuto in eredità un terreno agricolo su cui era stato costruito un fabbricato nel 1974. Tuttavia, dopo 41 anni il Comune a seguito di un controllo tra lo stato di fatto esistente al momento dell’attività ispettiva ed il progetto autorizzato in ragione della licenza di costruzione (oggi permesso di costruire) aveva riscontrato una illegittimità, in quanto le opere realizzate ed esistenti erano diverse da quelle dedotte nel titolo (in particolare, era stato autorizzato un fabbricato non ad uso abitativo, mentre a seguito dei controlli, è emerso che esso è stato adibito a civile abitazione). In ragione di tale violazione, il comune ingiunge un ordine di demolizione, il quale ha visto immediatamente l’impugnazione da parte della ricorrente, respinta dal TAR di Genova.

Pertanto, avverso la decisione, la ricorrente decise di proporre appello al fine di far valere il mancato accoglimento del ricorso in primo grado, non avendo il giudice di prime cure valutato alcuni fattori quali il decorso del tempo, la mancata motivazione del provvedimento di ingiunzione di demolizione, ed infine la diversità soggettiva tra il titolare del bene attuale ed il vero responsabile dell’abuso.

Premesso sommariamente lo stato fattuale su cui è intervenuta la sentenza, il Consiglio di Stato non accoglie le istanze della ricorrente, facendo applicazione dei principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza amministrativa.

Innanzitutto, non è stato considerato meritevole di accoglimento la circostanza secondo la quale il decorso del tempo, nonché l’inerzia della P.A., avrebbero fatto insorgere in capo alla ricorrente una situazione di legittimo affidamento ostativo alla demolizione del manufatto.

Come affermato anche dall’adunanza plenaria 1/2017, laddove si proceda alla demolizione di un manufatto abusivo, non è necessario dover andare a verificare se sussista in capo al privato un legittimo affidamento. Difatti anche se sia decorso un notevole lasso di tempo, esso ha sempre in oggetto un abuso, e quindi un atto/un’attività contra legem.

Da come si evince nella motivazione “non è in alcun modo concepibile la possibilità di riconnettere a tale situazioni fattuali e comportamentali la perdita del potere di contrastare l’abusivismo edilizio”. Ciò infatti porterebbe implicitamente ad ammettere una forma di sanatoria automatica, non normativizzata, ma nemmeno ammissibile, in quanto le norme della pianificazione urbanistica hanno in oggetto la tutela di un interesse avente carattere generale relativo alla tutela del territorio.

Ed è proprio per tale motivo che deve essere escluso un obbligo motivazionale, in quanto l’ordinanza di demolizione, (come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia) essendo un atto vincolato, non richiede una specifica comparazione tra l’interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino della legalità violata con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, non potendosi mai ammettere l’esistenza di un affidamento che sia meritevole di tutela ad una situazione di fatto ab origine illegittima, e che, pertanto, il decorso del tempo non potrà mai legittimare.

Per quanto concerne il secondo motivo di censura, relativo alla diversità tra il soggetto che ha commesso l’abuso e il titolare del bene, non può essere considerato come una circostanza tale da onerare la P.A. ad una peculiare motivazione del provvedimento. Infatti, il carattere reale (e quindi di inerenza al cespite) dell’abuso e la stretta doverosità delle conseguenze, non possono considerare situazioni di alterità soggettiva. Tale ricostruzione consente di affermare che la doverosità di dover sopprimere gli abusi sono considerati preminenti rispetto alle vicende di natura civilistica relativa al trasferimento di diritti reali.

A corroborazione di ciò il Consiglio di Stato rimarca che l’appellante era a conoscenza dell’abuso. E proprio tale situazione di fatto non consente di accogliere la censura addotta. Difatti in materia di abusi in materia edilizia, affinché un soggetto possa andare esente da conseguenze pregiudizievoli, è necessario che risulti in modo inequivocabile l’estraneità al compimento dell’opera abusiva, ovvero che, laddove ne sia venuto a conoscenza soltanto successivamente, si sia adoperato al fine di impedirne la continuazione e quindi di vederne cessati gli effetti con gli strumenti offerti dall’ordinamento.

Quindi, ad esempio, il proprietario incolpevole, anche dopo aver ricevuto l’ordinanza di demolizione, deve provare ad intraprendere ogni iniziativa idonea per ripristinare lo status di legalità ex ante la commissione dell’illecito, come ad esempio alla rimozione dell’abusivismo, pena l’acquisizione gratuita e di diritto al patrimonio del Comune, ai sensi dell’art. 31 comma 3 D.P.R. 380/2001. Tra l'altro la rimozione dell’abuso è una facoltà che lo stesso ordinamento offre al fine di impedire l’acquisizione ex lege. 

Un’ultima violazione addotta dalla ricorrente è stata rinvenuta nella circostanza che la mancata motivazione del provvedimento di demolizione, avrebbe violato il diritto Convenzionale in relazione all’art. 1 del protocollo addizionale CEDU. Secondo l’appellante infatti, vi sarebbe violazione nella parte in cui non vi è l’osservanza del principio del rispetto della proprietà privata.

Tuttavia, come rilevato dal Consesso, l’art. 1 del Protocollo Addizionale è disposizione foriera di precipitati normativi, che non devono essere letti l’uno distintamente dall’altro, in quanto tra di loro vi è un rapporto intrinseco.

In particolare, il secondo e terzo periodo disciplinano i casi particolari di ingerenza nel diritto al pacifico godimento di un bene, e che, secondo la giurisprudenza europea, l’incisione nel diritto di proprietà privata, oltre ad essere legittima e diretta a perseguire un interesse pubblico, deve essere anche proporzionata al fine da realizzare.  

Nel caso di acquisizione al patrimonio comunale, invero, non vi sarebbe alcuna violazione dei predetti principi, in quanto l’incidenza nel pacifico godimento dei beni è giustificata dalla tutela di un interesse superiore, ovvero quello della tutela del territorio. Inoltre, l’interessato non sopporta un onere sproporzionato, in quanto può egli stesso scongiurare l’effetto ablativo rimuovendo l’abuso.