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Pubbl. Sab, 28 Lug 2018

Due realtà a confronto: bullismo e stalking

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Giacomo Tasca


Nota alla sentenza della Cass. Pen. n. 26595 del 2018: nuove conferme sull´equiparazione tra bullismo e atti persecutori (”stalking”).


Sommario: Premessa. 1. Il Fatto; 2. Il ricorso; 3. La decisione della Corte; 3.1 (segue) La differenza tra fatto “diverso” e fatto “nuovo”; 3.2 (segue) Travisamento della prova o travisamento del fatto?; 3.3 (segue) Relazione tra bullismo e atti persecutori: lo stalking scolastico; 3.4 (segue) Lesioni personali volontarie o percosse?; 3.5 (segue) Circostanze attenuanti; 4. Considerazioni conclusive.

Premessa.

La V Sezione della Corte di Cassazione Penale, con la sentenza 11 giugno 2018 n. 26595 si è pronunciata, tra i diversi motivi di ricorso, sulla qualifica come “atti persecutori” ex art. 612 bis c.p. delle continue vessazioni promosse dagli imputati nei confronti del proprio compagno di classe, determinando di fatto sia un’evidente alterazione delle condizioni di vita del minore che un accertato stato di ansia e di paura per la propria incolumità fisica.

1. Il Fatto

La Corte d'Appello di Catania, Sezione penale minori, con sentenza del 27 gennaio 2017 confermava la sentenza di condanna, emessa dal Tribunale per i minorenni, per i reati di lesioni personali aggravate, percosse e atti persecutori, tutti realizzati ai danni di un minore dai due imputati.

2. Il ricorso

Avverso la decisione della Corte di appello, con autonomi atti di impugnazione, proponevano ricorso per Cassazione gli imputati. Dal punto di vista squisitamente processuale, si contestava la violazione dell’art. 518 c.p.p., avendo il pubblico ministero proceduto alla contestazione del reato di cui all’art. 612 bis in dibattimento e senza il consenso dell’imputato, trattandosi, per i ricorrenti, di fatto nuovo ed ulteriore rispetto a quelli originariamente contestati nel decreto che dispone il giudizio. Il secondo motivo di censura attiene, invece, l’attendibilità dei testimoni escussi nel corso del dibattimento, difettando la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per l’integrazione del reato di stalking. Il terzo motivo è a sua volta rivolto a censurare la manifesta illogicità della motivazione circa la qualifica giuridica del fatto come lesioni personali volontarie. Invero, avendo la vittima subito unicamente lividi e ematomi, il fatto va riqualificato nel meno grave reato di percosse ex art. 581 c.p. Infine, l’ultima, circa l’opportunità di concedere agli imputati le attenuanti generiche.

3. La decisione della Corte

3.1 La differenza tra fatto “diverso” e fatto “nuovo”

Per quanto riguarda il primo motivo di gravame occorre preliminarmente sottolineare che il legislatore, attraverso l’art. 517 del codice di rito, ha recepito l’insegnamento del previgente codice del 1930, consentendo al PM, nel corso dell’istruzione dibattimentale, di ampliare il thema decidendum rispetto all’addebito principale, aggiungendo al fatto contestato circostanze aggravanti o reati connessi a norma dell’art. 12, 1 comma lett. b), c.p.p. L’anomalia processuale rispetto al successivo art. 518 c.p.p. viene giustificata dall’esigenza precipua di eliminare ogni atto non essenziale in grado di allungare i tempi di definizione del processo, attribuendo in tal senso estremo rilievo, sia ai dati probatori da cui emergono le nuove circostanze o i reati connessi, sia allo stretto rapporto che li lega ai fatti per i quali si procede. A tali condizioni appare, dunque, superfluo un ritorno del processo alle fasi precedenti, salvo che la cognizione non appartenga alla competenza di un giudice superiore. 

L’art. 518 c.p.p., invece, consente le contestazioni del PM nella medesima udienza, purché non configuranti reati connessi ex art. 12, comma 1, lett. b), c.p.p. o circostanze aggravanti, il giudice le autorizzi e l’imputato presente consenta. Pertanto, se nel caso dell’art. 517 la scelta è subordinata ad un valutazione circa il pregiudizio che l’economia processuale può subire circa la rapida definizione del processo, nell’ipotesi dell’art. 518 c.p.p., la scelta è rimessa alle strategie difensive dell’imputato[1]. Emerge, dunque, in tutta la sua complessità, come la differenza tra fatto “diverso” e fatto “nuovo” non sia questione meramente terminologica, ma comporti importanti risvolti circa il modus operandi del PM.

Nel caso di specie, la Corte afferma come la contestazione suppletiva promossa dal PM nel corso del dibattimento di primo grado atteneva specificamente ad elementi già acquisiti nel corso delle indagini preliminari e rientranti a pieno titolo nell’ipotesi di cui all’art. 12, lett. b) c.p.p. Pertanto, mancando un limite temporale o di fonte all’esercizio del potere di modifica dell’imputazione in dibattimento da parte del pubblico ministero (Cass. Pen. N. 10551/1999) e mancando la necessità di far retroagire il processo alla fase delle indagini preliminari, la Corte, sulla base di consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Pen. n. 3192/2009), ritiene pienamente legittima la contestazione suppletiva ex art. 517 c.p., ritenendo irrilevante il mancato consenso dell’imputato e l’autorizzazione del Presidente. In altri termini, la contestazione suppletiva effettuata dal PM nel corso dell’istruttoria dibattimentale di primo grado aveva ad oggetto “da un lato, le circostanze aggravanti previste dall’art. 585 c.p. e art. 61 c.p. n. 11 ter, dall’altro lato il delitto di cui all’art. 61 c.p., n. 11 ter e art. 110 c.p. e art. 612 bis c.p., comma 3, che rientra nell’ipotesi prevista dall’art. 12 c.p.p. lett. b, trattandosi di reato unificato sotto il vincolo della continuazione con gli altri reati originariamente contestati agli imputati”, sostenuti tutti dallo stesso disegno criminoso.

3.2 (segue) Travisamento della prova o travisamento del fatto?

Allo stesso modo infondati appaiono gli ulteriori motivi di impugnazioni in quanto generici e di natura fattuale. In altre parole, ciò che viene dedotto dai difensori tramite ricorso non è il vizio di “travisamento della prova” che ricorre nelle ipotesi in cui il giudice di merito fondi il convincimento su prove che non esistono o su risultati oggettivamente diversi da quelli reali, ma, bensì, deducono un vizio del “travisamento del fatto”, che per consolidata giurisprudenza di legittimità, non può essere oggetto di valutazione da parte della Corte di Cassazione. Orbene, rimettere una reinterpretazione delle risultanze processuali alla Corte di legittimità comporterebbe un'indebita operazione, estranea al ruolo e alla funzione svolta da tale giudizio (Cass. Pen. n. 10289/2014). Talaltro, nel caso de quo, i giudici di secondo grado hanno articolato la responsabilità degli imputati sulla base di concreti elementi probatori, fondati principalmente sulla narrazione credibile e attendibile della persona offesa, peraltro coadiuvata da importanti elementi di riscontro.

3.3 (segue) Relazione tra bullismo e atti persecutori: lo stalking scolastico

Infine, la Corte riserva uno specifico riferimento al reato di atti persecutori contestato da entrambi gli imputati. Come è noto, con il termine stalking “si fa riferimento a un fenomeno di molestie assillanti e cioè un insieme di comportamenti ripetuti ed intrusivi di sorveglianza, controllo, ricerca di contatto e comunicazione che talora degenera nella vera e propria violenza, nei confronti di una vittima che non gradisce questi comportamenti, fonte di fastidio, preoccupazione, se non vera e propria paura-ansia o, comunque, di uno stato di sofferenza psicologica”[2].

Tale fenomeno, emerso originariamente in relazione ad episodi di molestie assillanti da parte dei fans nei confronti di persone famose, è entrato a far parte dell’ordinamento penale con il d.l. n. 11/2009 (convertito dalla l. n. 38/2009) che ha introdotto all'art. 612 bis c.p., il reato di "atti persecutori". Tale reato ha nel tempo rivestito una nozione sempre più ampia, facendo rientrare in essa anche episodi di mobbing e di bullismo. Il bullismo, infatti, può essere definito come una relazione violenta fondata sull’asimmetria di potere che lega il bullo e la vittima. Tralasciando le diverse sfumature di tale asimmetria, si tratta, in ogni caso, di una condotta violenta che vede un soggetto vessarne un altro attraverso i comportamenti più vari e reiterati nel tempo. Secondo lo psicologo Dan Olweus[3], tra i primissimi Autori a prestare particolare attenzione al fenomeno, il bullismo si caratterizza per un’azione di prevaricazione fisica o verbale, originata da uno squilibrio di forza o potere, prolungata nel tempo.

L’attenzione alla tematica è di stretta attualità ed è dimostrata dalla recente novella normativa, L. n. 107 del 2017[4], la cd. Buona Scuola, che ha definito la prevenzione e il contrasto alla discriminazione a al bullismo, anche informatico, come uno degli obiettivi formativi prioritari. Tuttavia, seppur si tratta di un fenomeno diffuso e studiato in diverse categorie psicologiche e sociologiche è privo di una norma civile e penale ad hoc che sanzioni specificamente questo comportamento. Nonostante ciò, il reato di stalking ben si presta a punire il comportamento del bullo.

Nel caso in questione, la vittima risultava oggetto di continue iniziative minacciose di natura persecutoria. Ripetute risultano le spinte e i calci subite dal ragazzo dai due imputati, accertati dalla presenza nel minore di numerosi lividi ed ematomi. Succube del potere prevaricante dei compagni di classe, sottomesso a forme di intrusione relazionale che provocano preoccupazione e timore, il ragazzo è addirittura costretto ad abbandonare definitivamente la scuola. Per i Giudici di Piazza Cavour il percorso argomentativo seguito dalla Corte di merito appare del tutto condivisibile anche con riferimento alla sussistenza dei requisiti normativi previsti dall’art. 612 bis c.p., disattendendo in tal modo gli argomenti spesi dalla difesa degli imputati. Invero, tre sono gli eventi finali il cui verificarsi segna la consumazione del reato: il grave e perdurante stato di ansia e di paura; il fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona al medesimo legata da una relazione affettiva; l’alterazione delle proprie abitudini di vita. Si tratta, secondo dottrina e giurisprudenza consolidata, di eventi previsti in via alternativa e dunque, ai fini dell’integrazione della fattispecie tipica, basta che se ne verifichi uno solo, anche se non è da escludere che se ne possa realizzare anche più d’uno come conseguenza delle stesse condotte reiterate. La sentenza de qua afferma al riguardo che “la pluralità delle condotte vessatorie poste in essere dai due imputati in danno del L.B., per tutto il periodo dell'anno scolastico in cui egli frequentò la scuola, costringendolo, prima, ad interrompere la frequenza scolastica ed, alla fine, ad abbandonare la scuola, eventi che, avendo determinato un'evidente alterazione delle condizione di vita del minore, integrano, come correttamente ritenuto dal giudice di appello, la fattispecie incriminatrice, di cui all'art. 612 bis c.p., unitamente all'accertato stato di ansia e di paura per la propria incolumità fisica, insorto nel minore”[5].

3.4 (segue) Lesioni personali volontarie o percosse?

Con riguardo al contestato reato di lesioni personali volontarie, i ricorrenti lamentavano manifesta e contraddittorietà della motivazione. Più precisamente, si lamenta la mancata riqualificazione del fatto nel reato di percosse ex art. 581 c.p. Anche in questo caso la Corte concorda con le risultanze dei giudici di merito, desumendo la presenza del più grave reato di lesioni dall’accertata presenza sul minore di lividi ed ematomi che, secondo consolidata giurisprudenza, vanno considerati “malattia” ai sensi e dell’art. 582 c.p.

Difatti, la stessa Suprema Corte ha in più occasioni affermato come anche un’alterazione lieve dell’integrità fisica della persona, risultante dall’infiltrazione di sangue nel tessuto sottostante l’epidermide, è in grado di integrare l’evento “malattia” richiesto dalla fattispecie di lesioni (Cass. Pen., n. 2433/2006; Cass. Pen, n. 10986/2010; Cass. Pen., n. 10986/2010).

3.5 (segue) Circostanze attenuanti

Infine, manifestamente infondati sono i rilievi circa la mancata concessione delle attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. e la conseguente diminuzione della pena. Nello specifico, la presenza a carico di uno degli imputati di un precedente penale, oltre la mancanza di una reale processo di maturazione e rivisitazione critica della condotta tenuta, impediscono, sulla base del corretto uso dei criteri fissati dall’art. 133 c.p., di concedere le attenuanti generiche.

4. Considerazioni conclusive

In linea con l’intento legislativo di porre freno al dilagante fenomeno del cyberbullismo[6] in tutte le sue manifestazioni, con un specifica strategia di educazione e prevenzione nei confronti dei minori coinvolti, anche la giurisprudenza continua la sua opera. Tramite il richiamo alla fattispecie di stalking si è inteso, dunque, apprestare un tutela forte e pene esemplari nei confronti di tutti coloro che, approfittando della debolezza del compagno, lo rendono vittima di continui atti di sopraffazione fisica e psichica, spesso coperti da una sorta di omertà consapevole che induce ad accettarli come comportamenti normali. Molti studiosi sono concordi nel sottolineare il profondo disagio e sofferenza psicologica che deriva nella personalità del minore vittima di tali soprusi.

La diffusione di internet e della rete ha, inoltre, aumentato il potenziale offensivo del bullismo, rendendolo ancora più persistente e pericoloso.In conclusione può quindi affermarsi che tramite la recente legge n. 71 del 2017 si è finalmente aperta una breccia all'interno del tema scottante del bullismo, in cui la giurisprudenza pone sempre maggiore attenzione.

Traendo le fila del discorso sin qui svolto, occorre sottolineare come un vero cambio di marcia sul punto deve partire sostanzialmente dalla società civile e da un rinnovato senso di legalità e rispetto reciproco, che prescinde e sovraintende la presenza o meno di un normativa ad hoc, ma si radica profondamente nella cultura di un Paese.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Vincenzo Perchinunno – Percorsi di procedura penale, Volume 4, 2008
[2] Anna M. Maugeri – Lo stalking tra necessità politico criminale e promozione mediatica, 2010
[3] Per approfondimenti: D. Olweus - Bullying at School: What We Know. and What We Can Do, 1996
[4] Ai sensi dell’art. 1 comma 2 della suddetta legge si legge che “ai fini della presente legge,  per «cyberbullismo»  si  intende qualunque  forma  di  pressione,  aggressione,   molestia,   ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento  illecito  di  dati personali in danno  di  minorenni,  realizzata  per  via  telematica, nonché' la diffusione di contenuti on line aventi  ad  oggetto  anche uno o  più  componenti  della  famiglia  del  minore  il  cui  scopo intenzionale e predominante sia quello di  isolare  un  minore  o  un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco  dannoso, o la loro messa in ridicolo”.
[5] Con la sentenza n. 28623 del 2017 la Cassazione ha per la prima volta riconosciuto la sussistenza del reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p. in caso di bullismo in ambito scolastico, confermando le condanne inflitte a quattro ragazzi che, all'epoca dei fatti studenti minorenni di un istituto tecnico, avevano preso di mira per due anni un compagno di scuola, picchiandolo e insultandolo, fino al punto di indurlo, dopo essere finito in ospedale, a lasciare la scuola per trasferirsi altrove.
[6] Secondo i dati del rapporto dell’ISTAT del 2015 ad oggetto “Il Bullismo in Italia: comportamenti offensivi e violenti fra i giovanissimi” nel 2014, poco più del 50% degli 11-17enni ha subìto qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi o ragazze nei 12 mesi precedenti. Il 19,8% è vittima assidua di una delle “tipiche” azioni di bullismo, ossia le subisce più volte al mese. Per il 9,1% gli atti di prepotenza si ripresentano con cadenza settimanale. Hanno subìto ripetutamente comportamenti offensivi, non rispettosi e/o violenti più i ragazzi 11-13enni (22,5%) che gli adolescenti 14-17enni (17,9%); più le femmine (20,9%) che i maschi (18,8%). Tra gli studenti delle superiori, i liceali sono in testa (19,4%); seguono gli studenti degli istituti professionali (18,1%) e quelli degli istituti tecnici (16%).